Una volta, tanto tempo fa, l'estate,
dal punto di vista giornalistico (oggi, probabilmente, si direbbe
"mediatico") era la stagione dei serpenti di mare.
Come a dire che, in mancanza di notizie pubblicabili di qualche
interesse, visto che tutti, ma proprio tutti, erano in vacanza,
compresi i politici, i campioni sportivi, le dive del cinema
e gli altri soggetti istituzionalmente delegati alla fornitura
di notizie che i cittadini potesse considerare interessanti,
quei pochi operatori dell'informazione che in vacanza non erano
dovevano darsi da fare per riempire in qualche modo le pagine
loro affidate e provvedevano alla bisogna ripescando dagli appositi
archivi, o inventando di sana pianta, la cronaca di eventi improbabili,
ma suggestivi, che si pensava potessero fare quanto più
possibile colpo su un pubblico di lettori distratti dal fatto
di essere anch'essi, naturalmente, in vacanza.
Di queste fantacronache (chiamiamole così), che noi lettori
di una certa età ricordiamo ancor oggi con sommessa nostalgia,
la più classica riguardava - appunto - l'avvistamento
del leggendario serpente di mare: una belva ubiquitaria e vagabonda
se mai ve ne fu una, che poteva, a seconda dei casi, apparire
nelle vicinanze dei Faraglioni di Capri, gettando lo sgomento
nei fortunati che in quell'incantevole angolo del Tirreno si
dedicavano, tra l'altro, ai bagni di mare, o emergere inaspettato
di fronte alla prua di un mercantile norvegese in rotta verso
il porto di Vladivostok. Nessuno, per quel che mi risulta, riuscì
mai a catturarne o semplicemente a fotografarne uno, ma visto
che negli abissi marini non si lamenta certo la mancanza di
esseri serpentiformi, siano anguille, murene, lamprede o altro,
l'ipotesi che se ne potesse incontrare uno abbastanza grande
da farsi notare nelle varie circostanze di volta in volta ipotizzate
era, tutto sommato, abbastanza ragionevole e tanto bastava,
evidentemente, per soddisfare l'etica professionale di chi quelle
circostanze era chiamato a descrivere.
Oggi - si sa - le vacanze sono un fatto di massa, anche se sembra
che il fenomeno si stia attenuando rispetto ai fasti di qualche
anno fa. Ma a livello di massa, naturalmente, sono assurti anche
i mezzi d'informazione. Col risultato che l'inevitabile interazione
tra informazione di massa e vacanze di massa ha finito con il
produrre un curioso (e alquanto molesto) "effetto specchio",
nel senso che solo di vacanze, in periodo di vacanza, si reputa
di dovere o potere parlare.
È per questo, suppongo, che giornali, riviste e televisione
in estate dedicano una quantità spropositata di spazio
alla descrizione di come se la spassino, al mare, ai monti o
all'estero, i vari VIP e quando arriva l'agosto eleggono ad
argomento principe, per tutti i primi quindici giorni del mese,
la descrizione dell'affluenza dei cittadini nelle località
di villeggiatura, mentre negli ultimi quindici riservano le
loro energie al compito di dar conto nei minimi particolari
del progressivo ritorno dei medesimi nelle città di residenza
(agosto - si sa - ha trentun giorni, ma il sedici, per fortuna,
i giornali non escono).
Il guaio è che, a quanto pare, col crescere quantitativo
dell'informazione non migliora il suo aspetto qualitativo, né
si rafforza il senso della responsabilità etica degli
operatori addetti. E così ogni tanto ci capita di ritrovarci
di fronte, un po' increduli, a quei fantastici figli degli abissi.
Ma non si tratta, ahimè, dei cari, vecchi serpenti di
una volta, creature fantastiche e inquietanti, ma generalmente
innocue, incapaci, pur nella terribilità del loro aspetto
supposto, di recar danno ad alcuno. I serpenti di mare che si
incontrano di questi tempi sui mezzi d'informazione sono bestiacce
velenose, che dove piantano i denti lasciano segni indelebili.
Sono entità malvagie, nate da connubi inconfessabili
e dotate della capacità di autopropagazione tipica di
ogni mala erba: capaci - quindi - di recare alla società
in mezzo alla quale vengono irresponsabilmente sguinzagliati
i mali peggiori.
Pericoloso
irresponsabile
Anche in quest'ultima estate il nostro sistema informativo
(tutto il nostro sistema informativo, con le solite due o tre
eccezioni istituzionali, che mai più che in questa occasione
hanno dato l'impressione di esistere al solo scopo di confermare
la regola), ci ha ammannito il suo bravo serpente di mare.
Giornalisti e commentatori di tutti i colori e di tutte le sfumature
ideologiche, generalizzando indebitamente un paio di dolorosi
episodi, ci hanno spiegato che sulle nostre teste incombe un
nuovo pericolo: la furia criminale di quanti, pur condannati
per qualche reato più o meno grave, non si trovano, per
un motivo o per l'altro, dietro le sbarre. Tutti i condannati
ancora in attesa di un giudizio definitivo, tutti i (pochi)
beneficiari di una delle non molte possibilità di espiazione
alternativa della pena previste da una legislazione carceraria
tutt'altro che liberale come la nostra, con particolare riguardo
a quelli che godono del beneficio degli arresti domiciliari,
sono stati dipinti come altrettanti pericoli pubblici, pronti
a rapinare, assalire e uccidere i cittadini innocenti. Quando
i controlli prontamente messi in atto hanno rivelato che la
maggior parte degli ammessi agli arresti domiciliari si trovavano,
come prevedibile, al proprio domicilio, si è deciso di
enfatizzare la percentuale dei pochissimi che a domicilio invece
non erano stati trovati (avessero o non avessero approfittato
dell'assenza per commettere altri reati). Episodi criminali
che trovavano la loro evidentissima origine nella degradazione
di periferie urbane sconvolte dalla ristrutturazione selvaggia
dell'economia sono stati interpretati come effetto dell'asserita
permissività del sistema penitenziario.
Erronea
convinzione
Osservazioni assolutamente ovvie, come quella per cui la maggior
parte dei malavitosi in attività qualche esperienza di
carcere l'ha subita (un'osservazione che, se mai, dovrebbe far
sorgere qualche dubbio sulle capacità rieducative dell'educazione
carceraria, e spingere a cercare un qualche modo con cui sostituirla)
sono state presentate come spaventose scoperte. E visto che
il fatto che chi esce di galera ha una certa tendenza a continuare
a delinquere non veniva letto come una prova dell'essenziale
inutilità della galera stessa, ma come conferma del principio
per cui chi ci finisce non dovrebbe uscirne più e buonanotte,
ministri e magistrati, sempre pronti a cavalcare le ondate di
spirito forcaiolo che periodicamente si scatenano nel nostro
paese, si sono messi a parlare della necessità di sbattere
quanta più gente possibile dietro le sbarre e - soprattutto
- di tenercela.
A chi cercava di far notare come chi è in attesa di giudizio
definitivo debba essere libero, in quanto presunto innocente
a norma di legge, è stato risposto che allora bisognava
cambiare la legge che lo presume tale. Chi ha provato a difendere
le timide aperture della legge Gozzini e della legge Simone
è stato presentato come un pericoloso irresponsabile.
Il frastuono, a quanto pare, si è spento con gli acquazzoni
di agosto. Ma il veleno è rimasto in circolazione: da
questa estate in poi saranno in molti, moltissimi gli italiani
a vivere nella convinzione, erronea ma incrollabile, di vivere
in un paese permissivo, in cui la condanna al carcere è
poco più che una formalità. E ad appoggiare, quindi,
quelle forze e quelle figure politiche pronte a promettere e
realizzare nuovi giri di vite, che, con il crescere della brutalità
repressiva, innescheranno nuovi sviluppi criminali, in un circolo
vizioso da cui tutti non avremo che da perdere.
Carlo Oliva
Poscritto. È probabile che per gli estimatori
e i raccoglitori di bizzarrie ideologiche, il simbolo di questa
campagna di estate sarà - in futuro - il braccialetto
elettronico: il prodigioso dispositivo che, inestricabilmente
applicato al polso o alla caviglia del condannato in circolazione
extracarceraria, avrebbe dovuto permetterne in ogni momento
la localizzazione immediata e scoraggiarne, quindi, ogni velleità
di fuga, moderno sostituto dell'uniforme a strisce e della palla
al piede con cui i carcerati sono soliti apparire nelle vignette
umoristiche. Anche di questo straordinario manufatto, che prima
che nella cronaca estiva aveva fatto la sua comparsa nella letteratura
di fantascienza, sembra si siano perse le tracce.
Difficoltà tecniche e problemi di costo - a quanto pare
- ne hanno sconsigliato, per ora, la messa in opera. Ma forse,
a ben vedere, del braccialetto elettronico non c'è mai
stato bisogno. Basta osservare con quanto zelo i nostri concittadini,
oggi, portino con sé, di propria iniziativa, i loro identificatori
elettronici; come si sentano nudi se sprovvisti del prezioso
telefonino grazie al quale, con soddisfazione reciproca, chiunque
potrà raggiungerli in ogni momento, senza prendersi il
fastidio di imporgli alcun meccanismo coatto. Chissà
se al ministro Jervolino, al procuratore Ambrosio e a quanti
altri si sono preoccupati della possibilità di individuare
e raggiungere i malfattori in trasferta, qualcuno ha avuto l'idea
di suggerire che basterebbe regalare a chiunque subisca una
condanna in primo grado il più aggiornato modello di
telefono cellulare. Come chiunque altro, i criminali non avrebbero
mai il coraggio di spegnerlo.
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