Alla Darsena milanese (antico porto fluviale della città)
le vecchie case di ringhiera sono diventate comodi appartamenti
per giovani architetti e le vecchie botteghe artigianali hanno
lasciato il posto ad improbabili 'Antiche Ostarie' che in compenso
hanno di modernissimo i prezzi. Nell'uniformità delle
case colorate di fresco in tonalità pastellate per fare
'tradizionale' qualche cosa è ancora fuori posto: in
un'esplosione di colori e mosaici resiste la casa occupata di
via Gorizia che ospita l'associazione Elicriso, uno dei due
gruppi d'acquisto solidale presenti a Milano. Continuando la
carrellata d'informazioni sul CIR intrapresa nello scorso numero
di questa rivista, sono andato a trovarli.
Partiamo dalla carta d'identità dell'Elicriso.
Roberto - L'Elicriso (nome di un fiore) è un'associazione
culturale senza fini di lucro nata nel 1999 ma operante già
dal '98. È un gruppo d'acquisto solidale di prodotti
biologici ed artigianali e di vendita diretta nei mercati. Abbiamo
inoltre una libreria sulle tematiche legate alla salute, al
transgenico, all'autogestione.
Il gruppo fondatore, da quali esperienze proviene, quale
è stata la molla per intraprendere questo nuovo cammino
che sempre più si configura come una delle nuove frontiere
dell'intervento politico?
Roberto - Per quanto mi riguarda ho militato nei centri sociali
milanesi allontanandomene man mano che cresceva l'esigenza di
andare a vivere in campagna senza però che questa spinta
si risolvesse in una ritirata, mollando tutto.
L'idea che ne venne fuori fu quella di dare voce in città
alle comunità rurali attraverso i loro prodotti. Era
un bisogno che avevo già constatato in alcune comunità
liguri.
Una necessità di rete e di scambio emersa con chiarezza
nelle varie Fiere dell'Autogestione. È stato quindi un
matrimonio felice tra la nostra esigenza di andare in campagna
pur tenendo un piede in città e le esigenze di chi produceva
già da molti anni biologico.
Malgrado nei centri sociali si parla continuamente di autogestione
io credo che la vera autogestione arriva dall'autosufficienza
che può nascere dalla produzione diretta agricola: al
contrario se vivi in città rimani sempre un consumatore
e basta; puoi fare l'azione politica che vuoi ma alla fine vai
al supermercato a dare i soldi ai tuoi nemici.
Così all'apparire della rete CIR abbiamo trovato l'occasione
per garantire uno sbocco cittadino alla microeconomia di queste
realtà rurali, contemporaneamente assicurando agli acquirenti
prodotti sani a basso costo, non avendo spese particolari di
struttura: la nostra sede è in una casa occupata e non
ci sono al momento persone stipendiate ma tutto il lavoro è
volontario.
Anche se uno degli obiettivi prioritari è nel prossimo
futuro garantire un reddito a chi gestisce il negozio, è
da tenere presente che la nostra associazione è ancora
molto giovane: siamo nati solo nell'aprile del 1999, dopo un
anno di lavori di ristrutturazione radicale dei locali a nostra
disposizione.
Il fatto di avere scelto come sede una delle storiche case
occupate di Milano è stata una decisione basata su un
mero calcolo economico o ha altre implicazioni?
Roberto - Naturalmente la scelta di entrare in una casa occupata
ha altre motivazioni di quelle strettamente economiche (anche
se non secondarie perché ci permette di fare una politica
dei prezzi molto particolare) ma bisogna ricercarla nel tentativo
di avvicinare esperienze a nostro avviso parallele, tessere
di un mosaico più vasto da costruire; del resto noi stessi
proveniamo tutti da esperienze collettive in case occupate.
Girando l'occhio, vedo che vendete un po' di tutto: dai
libri alle patate, dall'artigianato al caffè equo-solidale.
Chi sono i vostri fornitori?
Roberto - In primo luogo il piccolo ma tenace popolo di artigiani
ed agricoltori che aderiscono al CIR, per quello che non riusciamo
a coprire con questa rete andiamo noi di persona a cercare i
piccoli produttori che ci garantiscano prodotti di qualità
con un alto tasso etico. Per intenderci: non basta che uno faccia
le melanzane biologiche se poi paga cinque lire ai lavoratori
che gliele vanno a raccogliere. Inoltre cerchiamo sempre di
costruire dei rapporti di fiducia umana reciproca che siano
un ulteriore garanzia non scritta sui prodotti.
Tracciami un profilo medio dei vostri clienti
Roberto - Premettendo che il 'giro' è in espansione,
attualmente la tipologia dei frequentatori è di due tipi:
lo zoccolo duro dei compagni ed amici che conoscono e sostengono
l'iniziativa e le persone del quartiere che stanno prendendo
sempre più piede.
Contrariamente a quanto pensavamo c'è stata scarsa sensibilità
negli ambiti di movimento e nei centri sociali milanesi che
dovrebbero essere i primi interessati come discorso politico
e come reale necessità di rifornimento per le proprie
mense e cene popolari: invece salvo alcune eccezioni positive
ed una negativa (un centro sociale che ha semplicemente cercato
di scavalcarci con una avvilente logica speculativa), l'interesse
è ancora basso.
Credete che questo sia il frutto di poca attenzione o si
nascondono dietro resistenze culturali? Intendo dire che mi
sembra un po' schizofrenico il comportamento di grande partecipazione
virtuale alla lotta contro il WTO e le multinazionali del transgenico
salvo poi, nel quotidiano, chiudere gli occhi su quello che
abbiamo nel piatto.
Alessio - È vero, io che ho cinquant'anni, non mi è
mai passato per la testa come militante di chiedermi cosa mangiavo
veramente, al massimo rientrava nei diritti negati come sotto
categoria del diritto alla qualità della vita: una questione
negli anni passati tutto sommato considerata secondaria come
del resto i problemi ambientali.
Addirittura mi ricordo che a Bologna nel 1977 chi sceglieva
di andare ad occupare le campagne era considerato un compagno
di serie B; adesso mi accorgo che c'era della lungimiranza in
parte di quei propositi, alla luce dell'allarme reale, amplificato
dai media, sul disastro ecologico e delle modificazioni genetiche.
Roberto - Sicuramente non basta la bottiglia di olio buono,
bisogna fare un profondo lavoro culturale per mettere in relazione
la bottiglia d'olio con i processi di globalizzazione, noi cerchiamo
di fare un lavoro d'informazione che accompagna i nostri prodotti.
Dietro quella bottiglia c'è una proposta alternativa
allo sfruttamento capitalista degli uomini e degli uomini sulla
natura.
Questa idea è ben radicata nella variegata rete CIR dove
la pratica di un'economia mutualista è molto sentita,
come dimostra la nascita della carovana itinerante di lavoro
maknovicina.
Voi siete stati i promotori dell'incontro milanese del CIR,
oltre ad essere stati la redazione dell'ultimo numero del vostro
bollettino CIR 4 ('Collegamenti ed informazioni rurali') ma
in una realtà come Milano che genere di rete state creando?
Alessio - Noi crediamo nell'utilità fondamentale della
relazione tra città e campagna e la nostra proposta è
indirizzata alle singole persone così come ai gruppi
strutturati di movimento, nella speranza che oltre alla sensibilizzazione,
qualcun'altro prenda l'iniziativa di creare altri gruppi d'acquisto
simili al nostro. In particolare abbiamo costruito legami solidi
con alcuni centri sociali (Torchiera, Garibaldi) che hanno sempre
accolto di buon grado i nostri banchetti di prodotti biologici
e con l'altro gruppo d'acquisto milanese 'Maltrainsema' con
il quale intendiamo razionalizzare alcuni aspetti distributivi
e sviluppare progetti comuni. Resta comunque un approccio globale
così, oltre all'aspetto prettamente alimentare, abbiamo
molta attenzione per progetti nel campo della salute e dell'uso
delle medicine alternative. Inoltre puntiamo su un recupero
del lavoro artigianale mettendo a disposizione diversi corsi
come ad esempio per mosaicisti.
Ho sentito dire che voi partecipate al progetto proposto
in ambito CIR di difesa e diffusione delle varietà di
semi autoctone ad uso agricolo.
Roberto - È vero anche noi abbiamo la nostra brava cassetta
di semi. L'idea è quella di difendere la massima varietà
di piante. Così ogni contadino è andato a ricercare
nella sua zona i semi a rischio di estinzione consultandosi
con i vecchi del luogo e costruendo una genealogia del seme
fin dove arriva la memoria contadina. Coltivandone un certo
quantitativo e mettendo a disposizione della rete i nuovi semi
per chi vuole usufruirne.
È una forma di opposizione all'attuale agricoltura che
tende ad una drammatica semplificazione.
Ad esempio il grano ha 32 cromosomi e sono arrivati ad utilizzare
ibridi con solo 8 cromosomi, questo perché è necessaria
un'esasperata specializzazione delle coltivazioni.
Senza pensare ovviamente al transgenico che, momentaneamente
in crisi in Europa, viene largamente utilizzato per il mangime
animale, ritrovandocelo così nei prodotti derivati. D'altro
canto oltre metà della produzione di soia americana è
transgenica.
Quali obiettivi vi ponete a medio termine?
Alessio - Quanto prima andarcene da Milano perché ogni
anno passato in questa città vuol dire abbassamento delle
difese, della salute. Questo non vuol dire far morire l'Elicriso
ma una fase è terminata: la sede è stata ristrutturata,
la rete è partita e noi saremmo ben contenti d'iniziare
la seconda parte del nostro progetto che è andare in
campagna.
Noi consideriamo l'Elicriso una ricchezza per il movimento,
non una proprietà privata e speriamo che a breve altri
compagni si affianchino per continuare il discorso in una rotazione
degli incarichi più ampia.
Dino
Taddei
Elicriso
Associazione culturale "Elicriso"
via Vigevano 2A
20144 Milano
Tel. 02-58111925
e-mail elicir@iol.it |
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