Rivista Anarchica Online


millenium

a cura di Carlo E. Menga

Siamo, ahimé, finalmente nel Duemila; è il giorno della Befana e mi sento particolarmente ben disposto, nonostante un fastidioso raffreddore inaugurale. Non mi va di prendermela con gli spot pubblicitari e i loro mandanti ed esecutori. Anche loro hanno diritto di starsene in pace a smontare e riporre il loro albero di Natale, o aggiungere i Magi al Presepe. Concedetemi solo una benevola tiratina d'orecchi a DHL, una specie di corriere postale privato, sedicente efficientissimo, e al suo spot colpevole a mio avviso di un errore metodologico solo in apparenza veniale. Il protagonista, piccolo imprenditore, si sente tutt'uno con l'universo mondo poiché DHL gli toglie ogni preoccupazione. Ciò rende i suoi familiari più rilassati, la qual cosa rende tranquillo anche il cane del vicino, e così via, fino a comprendere nel felice rasserenamento, dovuto a coscienziosi postini, l'intero pianeta. Che "tutto" sia in rapporto con "tutto", lo sappiamo "tutti", ma spiegare un fenomeno attraverso i rapporti che esso ha con "tutto" il resto non spiega assolutamente nulla, come ben sapeva Hegel quando prendeva in giro i filosofi che volevano occuparsi senza criterio dialettico dell'Assoluto, e definiva quest'ultimo come "la notte in cui tutte le vacche sono nere". Fatto sta che il pianeta non è per niente sereno e felice, nonostante gli sforzi dei portalettere per Azioni, come possono testimoniare Ceceni, Curdi, e via discorrendo.
Un altro protagonista, più strombazzato, di questa fine dell'anno, è stato il cosiddetto Millennium Bug, da me soprannominato Ronaldo per i seguenti motivi: primo, facevo il tifo per lui, perché speravo di risparmiarmi uno o più giorni di lavoro; secondo, perché dopo tante promesse e belle speranze, arrivato al momento cruciale ha fatto soltanto, come dicono a Napoli, "fetecchie". Evidentemente i computers sono meno stupidi di quel che credono gli uomini. Più stupidi di quel che credono gli uomini sono invece quegli uomini che credono che dato che abbiamo cambiato tutte le cifre dell'anno ci troviamo automaticamente nel nuovo millennio, il terzo. Squallidi personaggi dalla mentalità platonico-matematica, di ogni tipo ed estrazione, ritengono che gli anni, come i numeri e come i bit, si incominci a contarli da zero, e vanno spacciando, foraggiati da multinazionali desiderose di rifarsi la verginità ed emulati da gran numero di seguaci vocianti più o meno in buona fede, che l'anno duemila sia il primo anno del terzo millennio, anziché l'ultimo del secondo, come ben dovrebbe sapere chiunque abbia duemila lire in tasca formate non da 1999 monetine da una lira più zero monetine sempre da una lira, ma da duemila monetine. Non ho nessuna intenzione di imbarcarmi in una dimostrazione matematica, e comunque non ce n'è bisogno, per chiunque guardi alla faccenda senza pregiudizi di sorta. Gli anni hanno a che fare non con i numeri, ossia coi punti che separano gli intervalli, bensì con gli intervalli medesimi, col tempo, con la durata. Aristotele, che aveva chiara la questione, definiva il tempo come "il numero del movimento". Per non parlare del fatto che la logica di questa macroscopica fallacia ha conseguenze che vanno a infognarsi nelle antinomie kantiane dell'inizio del tempo e della fine dello spazio. Ma questo è un altro discorso e ora non ho abbastanza tempo per discuterne. Mi sarebbe piaciuto molto poterne discutere con mio padre che, come me, aveva studiato filosofia ma aveva lavorato in contabilità. Purtroppo è morto ad aprile del 1998, e non ha avuto il tempo di gustarsi gli effetti di questo scenario pieno di zeri. Entrambe le date sulla sua lapide cominciano per millenovecento. Ad aprile del duemila saranno due anni che è morto. Non tre. Non ne sono del tutto certo, ma credo che avrebbe concordato con me nel ritenere che se Gesù di Nazaret è nato nel punto zero ed è morto crocifisso nel punto trentatre, i punti saranno pure trentaquattro (più tre dei chiodi trentasette), ma gli anni sono sempre trentatre. E siccome da quando mio padre è morto, nonostante le mie convinzioni, vado quasi ogni settimana al cimitero, anche perché, come in una specie di Ritratto di Dorian Gray al contrario, mi vedo sempre più somigliante alla sua foto sulla tomba, mi è capitato di imbattermi, dopo tanto tempo, in un altro personaggio del duemila. Si tratta di uno dei principali protagonisti del Giubileo cattolico. Alcuni altoparlanti disposti lungo le mura del cimitero diffondono voci monacali femminili registrate, recitanti all'infinito la preghiera dell'Ave Maria. Essendo costretto mio malgrado ad ascoltarla mi sono però reso conto del perché da ragazzo la detestassi cordialmente, preferendole il molto più serio e monoteista Padre Nostro. Già prima di leggere "Ossessioni e fobie" di Freud non ho mai creduto alle virtù salvifiche di rituali compulsivi, anche perché li avevo praticati senza esiti rilevanti nella fanciullezza, ponendo attenzione a non calpestare, per strada, le linee di separazione tra le piastrelle che pavimentano i marciapiedi. Mia nonna è morta comunque. In più, ho proprio avuto l'impressione che definire chicchessia "madre di Dio" corrisponda esattamente a una palese bestemmia politeista, per non parlare del fatto che "frutto del tuo seno" è una metafora di "figlio" non meno oscena che eufemistica, e anche così orribilmente dislocata da essere in grado di ispirare fiumane di serial killers degni della penna di Patricia Cornwell.
E così, dovendo rinunciare al Millenium Bug, ho optato per il Millennium Bach, acquistando un CD con una versione per archi dell' "Arte della Fuga", opera per la quale non si è ancora riusciti a capire per quale diavolo di strumento J.S.B. l'abbia scritta. Sembra che esista uno studioso tedesco che insegna in Italia e che sostiene di avere scoperto il mistero, che svelerà a breve in una prossima sua pubblicazione. Ma non mi fido. Anche Bach ha a che fare con la matematica. Ma non sembra che la sua musica sia questa gran metafisica. Spiegatemi questo: perché la sua musica è più commovente di quella di qualunque altro compositore? Forse perché è arte, e non programmazione computistica. Ricordo, negli anni '70, il disco "Computer music" di un certo Pietro Grossi, compositore veneziano, che in quel periodo dirigeva una qualche sezione di ricerca al CNUCE di Pisa. La musica era prodotta da programmi elaborati elettronicamente, e ogni brano era definito da variazioni di parametri. Se la memoria non mi inganna, quelli riconoscibili come musica erano proprio quelli che anziché lasciare "random" le basi per le variazioni, le rubavano dall'opera di Bach. Che cosa significherà mai? Mi preoccupo un po'. Forse non sono ancora pronto per il terzo millennio.

P.S.: Mi accorgo in questo istante che il Baco ha colpito il mio, di computer. Ha datato questo file 6/1/80. Per qualche strana ragione che solo Dio e Bill Gates conoscono, è ritornato indietro di vent'anni. Esattamente quello che avrei voluto fare io. Poi dicono che i computers non hanno un'anima.

Carlo E. Menga