Siamo, ahimé, finalmente nel
Duemila; è il giorno della Befana e mi sento particolarmente
ben disposto, nonostante un fastidioso raffreddore inaugurale.
Non mi va di prendermela con gli spot pubblicitari e i loro
mandanti ed esecutori. Anche loro hanno diritto di starsene
in pace a smontare e riporre il loro albero di Natale, o aggiungere
i Magi al Presepe. Concedetemi solo una benevola tiratina d'orecchi
a DHL, una specie di corriere postale privato, sedicente efficientissimo,
e al suo spot colpevole a mio avviso di un errore metodologico
solo in apparenza veniale. Il protagonista, piccolo imprenditore,
si sente tutt'uno con l'universo mondo poiché DHL gli
toglie ogni preoccupazione. Ciò rende i suoi familiari
più rilassati, la qual cosa rende tranquillo anche il
cane del vicino, e così via, fino a comprendere nel felice
rasserenamento, dovuto a coscienziosi postini, l'intero pianeta.
Che "tutto" sia in rapporto con "tutto",
lo sappiamo "tutti", ma spiegare un fenomeno attraverso
i rapporti che esso ha con "tutto" il resto non spiega
assolutamente nulla, come ben sapeva Hegel quando prendeva in
giro i filosofi che volevano occuparsi senza criterio dialettico
dell'Assoluto, e definiva quest'ultimo come "la notte in
cui tutte le vacche sono nere". Fatto sta che il pianeta
non è per niente sereno e felice, nonostante gli sforzi
dei portalettere per Azioni, come possono testimoniare Ceceni,
Curdi, e via discorrendo.
Un altro protagonista, più strombazzato, di questa fine
dell'anno, è stato il cosiddetto Millennium Bug, da me
soprannominato Ronaldo per i seguenti motivi: primo, facevo
il tifo per lui, perché speravo di risparmiarmi uno o
più giorni di lavoro; secondo, perché dopo tante
promesse e belle speranze, arrivato al momento cruciale ha fatto
soltanto, come dicono a Napoli, "fetecchie". Evidentemente
i computers sono meno stupidi di quel che credono gli uomini.
Più stupidi di quel che credono gli uomini sono invece
quegli uomini che credono che dato che abbiamo cambiato tutte
le cifre dell'anno ci troviamo automaticamente nel nuovo millennio,
il terzo. Squallidi personaggi dalla mentalità platonico-matematica,
di ogni tipo ed estrazione, ritengono che gli anni, come i numeri
e come i bit, si incominci a contarli da zero, e vanno spacciando,
foraggiati da multinazionali desiderose di rifarsi la verginità
ed emulati da gran numero di seguaci vocianti più o meno
in buona fede, che l'anno duemila sia il primo anno del terzo
millennio, anziché l'ultimo del secondo, come ben dovrebbe
sapere chiunque abbia duemila lire in tasca formate non da 1999
monetine da una lira più zero monetine sempre da una
lira, ma da duemila monetine. Non ho nessuna intenzione di imbarcarmi
in una dimostrazione matematica, e comunque non ce n'è
bisogno, per chiunque guardi alla faccenda senza pregiudizi
di sorta. Gli anni hanno a che fare non con i numeri, ossia
coi punti che separano gli intervalli, bensì con gli
intervalli medesimi, col tempo, con la durata. Aristotele, che
aveva chiara la questione, definiva il tempo come "il numero
del movimento". Per non parlare del fatto che la logica
di questa macroscopica fallacia ha conseguenze che vanno a infognarsi
nelle antinomie kantiane dell'inizio del tempo e della fine
dello spazio. Ma questo è un altro discorso e ora non
ho abbastanza tempo per discuterne. Mi sarebbe piaciuto molto
poterne discutere con mio padre che, come me, aveva studiato
filosofia ma aveva lavorato in contabilità. Purtroppo
è morto ad aprile del 1998, e non ha avuto il tempo di
gustarsi gli effetti di questo scenario pieno di zeri. Entrambe
le date sulla sua lapide cominciano per millenovecento. Ad aprile
del duemila saranno due anni che è morto. Non tre. Non
ne sono del tutto certo, ma credo che avrebbe concordato con
me nel ritenere che se Gesù di Nazaret è nato
nel punto zero ed è morto crocifisso nel punto trentatre,
i punti saranno pure trentaquattro (più tre dei chiodi
trentasette), ma gli anni sono sempre trentatre. E siccome da
quando mio padre è morto, nonostante le mie convinzioni,
vado quasi ogni settimana al cimitero, anche perché,
come in una specie di Ritratto di Dorian Gray al contrario,
mi vedo sempre più somigliante alla sua foto sulla tomba,
mi è capitato di imbattermi, dopo tanto tempo, in un
altro personaggio del duemila. Si tratta di uno dei principali
protagonisti del Giubileo cattolico. Alcuni altoparlanti disposti
lungo le mura del cimitero diffondono voci monacali femminili
registrate, recitanti all'infinito la preghiera dell'Ave Maria.
Essendo costretto mio malgrado ad ascoltarla mi sono però
reso conto del perché da ragazzo la detestassi cordialmente,
preferendole il molto più serio e monoteista Padre Nostro.
Già prima di leggere "Ossessioni e fobie" di
Freud non ho mai creduto alle virtù salvifiche di rituali
compulsivi, anche perché li avevo praticati senza esiti
rilevanti nella fanciullezza, ponendo attenzione a non calpestare,
per strada, le linee di separazione tra le piastrelle che pavimentano
i marciapiedi. Mia nonna è morta comunque. In più,
ho proprio avuto l'impressione che definire chicchessia "madre
di Dio" corrisponda esattamente a una palese bestemmia
politeista, per non parlare del fatto che "frutto del tuo
seno" è una metafora di "figlio" non meno
oscena che eufemistica, e anche così orribilmente dislocata
da essere in grado di ispirare fiumane di serial killers degni
della penna di Patricia Cornwell.
E così, dovendo rinunciare al Millenium Bug, ho optato
per il Millennium Bach, acquistando un CD con una versione per
archi dell' "Arte della Fuga", opera per la quale
non si è ancora riusciti a capire per quale diavolo di
strumento J.S.B. l'abbia scritta. Sembra che esista uno studioso
tedesco che insegna in Italia e che sostiene di avere scoperto
il mistero, che svelerà a breve in una prossima sua pubblicazione.
Ma non mi fido. Anche Bach ha a che fare con la matematica.
Ma non sembra che la sua musica sia questa gran metafisica.
Spiegatemi questo: perché la sua musica è più
commovente di quella di qualunque altro compositore? Forse perché
è arte, e non programmazione computistica. Ricordo, negli
anni '70, il disco "Computer music" di un certo Pietro
Grossi, compositore veneziano, che in quel periodo dirigeva
una qualche sezione di ricerca al CNUCE di Pisa. La musica era
prodotta da programmi elaborati elettronicamente, e ogni brano
era definito da variazioni di parametri. Se la memoria non mi
inganna, quelli riconoscibili come musica erano proprio quelli
che anziché lasciare "random" le basi per le
variazioni, le rubavano dall'opera di Bach. Che cosa significherà
mai? Mi preoccupo un po'. Forse non sono ancora pronto per il
terzo millennio.
P.S.: Mi accorgo in questo istante che il Baco ha colpito il
mio, di computer. Ha datato questo file 6/1/80. Per qualche
strana ragione che solo Dio e Bill Gates conoscono, è
ritornato indietro di vent'anni. Esattamente quello che avrei
voluto fare io. Poi dicono che i computers non hanno un'anima.
Carlo E. Menga
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