Rivista Anarchica Online


Decisioni inammissibili
di Carlo Oliva

È già stato detto quasi tutto sulla sentenza di Venezia contro Bompressi, Pietrostefani e Sofri. Eppure, c'è sempre qualcosa in più da evidenziare: qualcosa di allucinante.

Illustrazione di Natale Galli
Illustrazione di Natale Galli

 

È davvero difficile trovare qualcosa da nuovo da dire sul caso Sofri-Calabresi. E non soltanto perché chiunque legga la nostra rivista con un minimo di regolarità sa benissimo, ormai, cosa pensiamo di questa brutta faccenda. Il fatto è che i suoi ultimi sviluppi, con la conferma veneziana della condanna di Sofri, Bompressi e Pietrostefani in nome, sempre e soltanto, dell'attendibilità di Marino, non possono che produrre un'impressione fortissima (e un po' assurda) di deja vu, un'impressione di fronte alla quale qualsiasi commentatore finisce per sentirsi spiazzato.
Personalmente, vi confesserò che, oltre che profondamente deluso, mi sento un po' stanco. Sono stanco di polemizzare a vuoto su una "giustizia" perennemente tra virgolette e su una magistratura che si è rivelata fin troppo disposta a smentire se stessa in caso di assoluzione, ma è pronta a ignorare qualsiasi argomento e qualsiasi pur ragionevole prova pur di confermare le proprie condanne. Di questa polemica è forse ora di riconoscere la sterilità. Il sistema giudiziario italiano, diciamocelo una buona volta, crede soltanto nelle abiure e nelle delazioni e non può che accanirsi su chi, di fronte a una delazione, si rifiuta di abiurare. È stato questo, in realtà, l'unico vero criterio di tutto il processo, nei suoi vari gradi e nei suoi infiniti ricorsi: un criterio inespresso (salvo che da Marino, che ha anche recentemente ribadito la convinzione per cui l'unica vera anomalia della vicenda consiste nella riluttanza di Sofri a confessare, dopo di che tutta la faccenda potrebbe essere tranquillamente dimenticata), ma assoluto e incrollabile, un criterio di fronte al quale il fatto che la delazione in questione sia, come minimo, dubbia, nel senso che i suoi fondamenti e i suoi presupposti non hanno patentemente retto al riesame dei fatti, è del tutto irrilevante. È inevitabile, così, che ogni tentativo di evidenziare le aporie dell'impianto accusatorio si riveli drammaticamente futile, come drammaticamente futile si è rivelato il processo di revisione. Il problema, come si dice, sta nel manico e finché non lo affronteremo nel manico non ne verremo mai fuori.
Tuttavia c'è una cosa che, nonostante tutto, è ancora riuscita a stupirmi e su cui mi permetterò di richiamare la vostra attenzione. Si tratta della motivazione con la quale, a sentenza pronunciata, il giudice di sorveglianza di Massa, competente - a quanto sembra - per territorio, ha negato a Ovidio Bompressi non solo gli arresti domiciliari, ma anche quella sospensione della pena per motivi di salute di cui il condannato già godeva prima del processo di revisione. Un particolare forse minore, una mera quisquillia giuridica, che pure la dice lunga su come funziona la giustizia (sempre tra virgolette) nel nostro paese.

 

Sentenza inappellabile?

Se ho ben capito, il giudice non ha rifiutato a Bompressi quei poveri privilegi perché convinto che non ne avesse diritto, nel senso che la legge nel suo caso non li preveda o che il suo stato di salute, a un più attento esame, si sia rivelato tale da permettergli di andare tranquillamente in galera. Si è limitato a considerare "inammissibile" l'istanza relativa. Ha detto, in sostanza, di non essere competente a decidere in merito perché la condanna di una Corte di Appello, contro cui è sempre possibile ricorrere in Cassazione, non è ancora definitiva. Solo quando l'alta corte avrà doverosamente confermato la pena, sarà possibile decidere di sospenderla o di applicarla in forma alternativa. Per ora, Bompressi, malato o no, deve tornare in prigione, a rischio di essere dichiarato, com'è stato dichiarato, latitante, con tutte le conseguenze, anche sanitarie, del caso. Contro questa decisione, come contro quella parte della sentenza di Venezia che prevede l'incarcerazione immediata dei condannati sono stati proposti svariati appelli, che, finora, nessuna corte, sempre per motivi di competenza, ha voluto o potuto accogliere. Vedremo come andrà a finire.
Che volete che vi dica. I vari magistrati preposti avranno senz'altro ragione. Io e voi potremo pensare che il fatto che una condanna non sia definitiva giochi a favore, e non contro, la possibilità di sospenderla, ma da qualche parte, nei codici, ci sarà sicuramente scritto il contrario. Il fatto che la Corte di Venezia abbia ordinato l'arresto immediato dei condannati, una cosa che fa pensare che i suoi membri considerassero la propria decisione piuttosto definitiva, e che Sofri, da quel testone che è, si sia fatto arrestare subito, evidentemente non vuol dire niente. Che una sentenza possa essere considerata inappellabile quando si tratta di mettere dentro qualcuno e appellabile quando il problema è quello di lasciarlo fuori non è cosa che possa stupire nessuno, se non quei pochi che nella legge cercano una logica e una coerenza non puramente formali. La forma cui i giudici devono attenersi sta nella lettera nei codici, che non sono altro che testi scritti, e a un testo scritto, sin dai tempi della prima sofistica, si può far dire di tutto. Ne siamo tutti talmente convinti che la decisione del giudice di Massa, con tutte le complicate contraddizioni che adombra, non è stata, per quanto mi risulta, messa in discussione da nessuno, salvo che dalla difesa che, notoriamente, non conta.

 

Se Sofri fosse scappato

Eppure, che un giudice, di fronte a un problema che riguarda la vita di un uomo, si limiti a dichiararsi non competente perché l'istanza non è ammissibile, e che altrettanto incompetenti si siano affrettati a dichiararsi gli altri magistrati di fronte a cui l'istanza è stata portata, dovrebbe fare, se non proprio scandalo, almeno una certa impressione. Ma, a quanto pare, di fronte al caso Sofri l'opinione pubblica ha perso la capacità di scandalizzarsi.
Il che non significa, naturalmente, che l'esito del processo abbia convinto qualcuno. Tutti coloro che, a vario titolo, hanno voluto quest'esito, un po' di vergogna, sotto sotto, devono provarla. È abbastanza sintomatico il fatto che siano in tanti coloro che, pur senza azzardarsi a mettere in discussione le decisioni della magistratura, sarebbero comunque lieti di lasciar liberi i condannati, se solo potessero trovare il modo di farlo salvando la faccia di chi ha pronunciato la loro condanna. Ma il problema è esattamente questo: per quanto poco convincente sia la condanna, qualsiasi argomento a favore degli imputati dev'essere considerato inammissibile a priori. A nessuno, proprio a nessuno, dev'essere consentito di mettere in discussione la logica di questo processo. Ne andrebbe di mezzo l'intera gestione della giustizia politica degli ultimi venticinque anni.
In effetti, se Sofri fosse scappato anche lui sarebbe stato un sollievo per tutti.


Carlo Oliva

 

LibertAria

È uscito il numero 1/2000 di Libertaria. Ecco i principali articoli: un'intervista a Riccardo Massa su come cambia la scuola; un'ironica dissertazione sul giubileo di Angelo Quattrocchi; il nuovo razzismo culturale di René Lourau; la grande rapina che il Nord compie nei Paesi del Sud del mondo di Rodrigo Andrea Rivas; l'evoluzione delle idee fondanti dell'anarchismo da Godwin a Malatesta di Giampietro Nico Berti; un'analisi della storiografia sulla guerra civile spagnola di Claudio Venza e un immaginifico ritratto di Fabrizio De André a un anno dalla morte, scritto da Mauro Macario. L'abbonamento a quattro numeri di Libertaria costa 50.000 lire (estero 60.000) e l'abbonamento sostenitore 100.000 lire.Versamenti sul c.c.p. 53537007 intestato a Editrice A sezione Libertaria, casella postale 9017, 00167 Roma oppure con rimessa bancaria sul c/c 03776/01 della Cariplo, Abi 6070, Cab 3206 Roma agenzia 6, intestato a Editrice A sezione Libertaria.