Penso che la quasi totalità dei lettori di A senta ancora
fortemente la mancanza di un certo Fabrizio... Parlare dunque
dei Mercanti di Liquore diviene quasi un obbligo, dunque. Ma
procediamo con ordine.
Li hanno visti in parecchi suonare dal vivo; anzi, forse tutti
noi li abbiamo visti almeno una volta. Personalmente ho assistito
ad almeno tre dei loro concerti. Quaggiù nel fetido Milanese,
ormai privo di nebbie quanto ricolmo di micropulviscolo canceroso
(almeno così dicono quelle benedette et "sovversive" centraline
di rilevamento degli inquinanti...), si sono resi protagonisti
di un intensa attività concertistica. Caratterizzati da un repertorio
incentrato massicciamente su brani di De André e integrato da
canzoni originali di buono spessore, i nostri in realtà hanno
rischiato grosso fin dall'inizio: se è vero che una simile proposta
gli avrebbe procurato tutto sommato discrete possibilità per
quanto concerne l'ambito live, va detto che il rischio
di proporre la solita polpetta tristocantautorale era quantomeno
dietro l'angolo. Io stesso ero un po' scettico, visto l'approccio
che l'italiano medio ha verso la materia cantautorale: eternamente
confinata nelle mani di un palloso front man che ritiene
di essere innanzitutto poeta, e poi, proprio se ne ha tempo
e voglia, anche musicista... Beh, non è proprio il caso dei
Mercanti di Liquore: due chitarre e una fisarmonica davvero
molto vitali. È un approccio diretto assai funzionale, con il
Lorenzo Monguzzi che fa il suo sporco lavoro a livello di chitarra
ritmica, il Simone Spreafico che scoppietta di chitarra molto
ma molto flamencosa ed il Piero Mucilli che dà un gran sostegno
con la sua fisa. Insomma: dal vivo sembrano una specie di power
trio in acustico, sudano come camalli e bevono come cammelli,
ma soprattutto ti offrono una freschezza strumentale davvero
invidiabile. Un sound diretto ma ottimamente curato negli arrangiamenti
e nelle singole partiture, probabilmente frutto di un lavoro
meticoloso e ben congegnato (in stile De André? Pare che il
Fabrizio fosse un mostruoso perfezionista...).

Si intitola Mai paura il loro disco uscito a Maggio
'99, e forse non rende molto l'idea di quanto sopra, ma resta
comunque un prodotto di buona fattura. È composto da 11 brani,
sette cover di De André e quattro originali. Devo ammettere
che le canzoni che preferisco in questa veste sono proprio i
quattro che portano la loro firma: più naturali e diretti negli
arrangiamenti sembrano essere più fedeli al loro approccio "immediato".
I rifacimenti invece soffrono di qualche sonorità in eccesso
che sovente tende a "comprimere" un po' troppo la dinamica delle
chitarre (e ne fa le spese soprattutto la "flamencosità" dello
Spreafico). Jamin-a e Andrea sono sicuramente le versioni
meglio riuscite, mentre Bocca di rosa perde parecchia della
sua vitalità live. Va rimarcato che:
1) Se non li avete visti dal vivo queste differenze non le noterete
di certo
2) È naturale, una volta entrati in studio, cercare di approfittare
dei mezzi tecnici a disposizione per " arricchire" il tuo sound.
Considerato che il disco è stato registrato e mixato in cinque
giorni, non è lecito aspettarsi miracoli da una band essenzialmente
acustica...
3) Visto che a Novembre hanno intrapreso un tour a base di teatri
et palazzettidellosport, penso che un dischetto dal vivo prima
o poi pioverà sulle nostre testoline padane.
4) Ninna Nanna, il brano che chiude l'album, mi piace
un casino.
5) Il Lorenzo (voce e chitarra), tre anni orsono aveva dato
la sua disponibilità per un live di finanziamento per "A" (chi
ha orecchie da "mercante" intenda).
6) Abbiamo sempre un bel 20 testoni abbondanti di debito, care
le mie sensibili anime libertarie (lo so, non c'entra un cazzo,
ma lo scrivo lo stesso...).
Ultime note: lo spettacolo che stanno proponendo in giro per
l'Italia si chiama "Gente invisibile- omaggio a Fabrizio De
André e a tutti quelli che hanno raccontato storie sbagliate",
ed è " costruito su una soluzione scenica bidimensionale, nella
quale il trio acustico, attraverso le suggestioni che ci arrivano
dalla musica di De André, dai loro brani e dalle voci più significative
della musica d'autore italiana - quali Tenco, Lolli, Guccini,
Endrigo- interagisce con volti e personaggi della gente comune
presenti sulla scena attraverso uno schermo", ed il virgolettato
è d'uopo visto che ho citato la scheda della loro agenzia (certe
cose io le ammetto, mica scrivo per Rumore...).
Il brano Mercanti di liquore che chiude il cd ospita
una traccia nascosta (una ghost track, direbbero le mortadelle
più anglofone...), che altro non è che un intima versione acustica
di Mai paura (uno dei quattro brani autografi): una chitarra,
una voce ed un paio di mani che spalettano il ritmo; perché
sotto sotto i Mercanti Di Liquore sono proprio così... Ma, scusatemi
il salto, passiamo ai

Fugazi
(in nuce)
Anche l'underground ha i suoi mostri sacri. Succede. E succede
anche che talvolta suonino al Leoncavallo (straripante di pubblico!).
Succede. E succede anche che qualche stronzo (tipo il sottoscritto)
tenti di intervistarli. Succede. E succede anche che non ce
la fai e che qualcuno da quelle parti di Greco avrebbe bisogno
di una polare doccia fredda in certi frangenti organizzativi...
Succede, kakkio se succede... Insomma, per intervistare i Fugazi
ho dovuto ricorrere alla posta elettronica: il buon Ian Mckaye
(chitarra e voce), a fine concerto, quando gli diedi la rivista
mi disse: "Mi raccomando, non spedirmi più di 10 domande! Cerca
di capirmi , ricevo più di 100 mail al giorno". Ed il problema
è che i Fugazi ti rispondono. È parte della loro filosofia,
a costo di doversi disfare le dita tutti i giorni sulla tastiera.
E, vi assicuro, sono anche un bel po' succinti... Il loro ultimo
disco si intitola Instrument Soundtrack, è uscito l'anno
scorso e non è altro che la colonna sonora del quasi omonimo
film ("Instrument") che racchiude parecchio materiale d'archivio
raccolto durante 10 anni abbondanti di concerti , registrazioni,
improvvisazioni, versioni demo... Quasi un compendio della loro
attività, ma Ian non è molto d'accordo: "Semplicemente ci siamo
ritrovati con un enorme quantità di pellicole e videotape: abbiamo
deciso di ricavare un film da tutto ciò. Ed altrettanto semplicemente
è successo che questo progetto è stato intrapreso al nostro
decimo anno di vita... Il disco altro non è che una colonna
sonora. In gran parte scelta da ore ed ore di demo e nastri
di prove che abbiamo accumulato col passare degli anni. Non
penso che sia una rappresentazione di dove stiamo andando, ma
piuttosto uno sguardo su dove siamo già stati. Speravamo di
stampare il film su pellicola, ma oggi i costi sembrano troppo
elevati (30.000 dollari!!). Potrebbe darsi che un giorno ci
riusciremo, ma non ti so dire quando saremo in grado di farlo".
Il loro ultimo "vero" disco in studio è End Hits del
1998, ed un paio di cose mi avevano particolarmente colpito
di quel disco : la prima era Recap Modotti, ed era ovviamente
un brano rivolto alla indimenticabile Tina. L'autore in persona
(Joe Lally, bassista) mi detto a riguardo:
"Inizialmente vidi un suo libro di fotografie, e mi chiesi perché
non avevo mai sentito parlare di lei prima di allora. Poco tempo
dopo un amico mi diede la sua biografia Photographer and
revolutionary e rimasi impressionato dalla sua determinazione
nel perseguire ciò in cui credeva. Come molte altre prima e
dopo di lei, trasgredì la mentalità sociale che imponeva alle
donne di comportarsi in un certo modo ed abbatté le barriere
che distorcevano la percezione che la gente aveva delle donne.
Ma sopra a tutto ciò sta il fatto che nel giro di due decenni
le accaddero così tante cose importanti da farmi girare la testa.
Francamente trovavo impossibile scrivere una canzone che esprimesse
tutto quello che ho visto nella storia della sua vita. Anche
mia moglie è una fotografa (ed è pure anarchica) che si è trasferita
dall'Italia negli Stati Uniti e devo ammettere che questa canzone
ha un doppio significato per me."
La seconda era il retrocopertina: raffigurava i nostri quattro
con le facce cancellate , quasi "raspate" via dalla foto, mentre
sullo sfondo troneggiava un tramonto rosso fuoco. Timore di
una notorietà sempre più vicina? Macché, Ian mi riporta subito
sul pianeta Terra:
"Pensavamo che le nostre facce distraessero dall'intensità dell'alba
dietro di noi. Sentiamo che ad un certo punto diveniamo soltanto
figure o forme agli occhi delle persone, ma soprattutto pensavamo
che la foto fosse più attraente nascondendo le nostre facce.
Non analizziamo veramente questo tipo di cose... Sembrava soltanto
la cosa giusta da fare in quel momento".
Dopo più di dodici anni la formazione non è mai cambiata, e
Ian su questo è quantomeno categorico:
"I Fugazi sono la somma dei quattro membri che compongono il
gruppo. È sempre stato chiaro che se qualcuno avesse lasciato
la band, questa avrebbe cessato di esistere. Ciò che ci fa continuare
a stare insieme è la consapevolezza che tutti noi abbiamo la
possibilità di staccare la spina, ed inoltre c'è un rapporto
di fiducia e di amicizia che ci unisce."
Per chi ancora non lo sa, Fugazi significa anche Dischord: una
delle etichette americane indipendenti più interessanti ed intransigenti
del panorama sonico più disturbante. Distribuzione capillare,
prezzi fantascientifici (max 9 dollari per un vinile), e buona
musica (non solo Hard-core punk o Emo-core , come invece molti
pensano...). Avrei voluto sapere come sono riusciti in questo
quasi-miracolo rigorosamente autogestito, ma Ian è "astringente"
fino al parossismo:
"Non sono in grado di dare una risposta appropriata a questa
domanda perché per farlo dovrei scrivere uno o due libri...
Non so veramente perché siamo riusciti a lavorare così a lungo,
forse perché avremmo comunque ritenuto che l'etichetta sarebbe
stato un completo successo anche se l'avessimo gestita per realizzare
un solo singolo e restare nel mercato un anno soltanto".
Dischord significa anche Washington. Mi spiego: solo i gruppi
di questa città incidono per la suddetta etichetta... No, un
attimo, che avete capito: mica vogliono fare la padania degli
Stati Uniti Discografici!!! Semplicemente la Dischord è nata
per "archiviare":
"Abbiamo cominciato a documentare questa particolare scena composta
soprattutto da amici, e questo è rimasto il nostro obiettivo
nei venti anni di attività che ne sono conseguiti. Esisteremo
fino a che questa comunità continuerà a creare, ma quando tutto
questo cesserà anche l'etichetta farà lo stesso. A quel punto
il lavoro sarà completato."
Aggiungo io: per "allargare il discorso" è nata la Slowdime,
etichetta gemella di casa Dischord, che espande, oltre ai confini
musicali (peraltro ormai molto eterogenei anche quelli della
casa madre), anche quelli "geografici": infatti i bolognesi
Three Second Kiss hanno appena inciso un buon 12" per codesta
etichetta...
Per molti Fugazi significa anche Straight Edge, quella
specie di "dottrina" che comporta una versione vegetariana e
salutista (no drugs, no alcohol) e non violenta del politically
correct più radicale. Tutto nacque dall'omonimo brano di
Ian Mckaye quando ancora militava nei Minor Threat (la band
che ha praticamente generato la Dischord), per poi dilagare
in buona parte della scena Punk-Hardcore statunitense. Cerco
di punzecchiarlo chiedendogli se non trova ormai quel tipo di
cose una specie di moda, e risponde con franchezza:
"Non credo di trovarmi in una posizione tale per potermi esprimere
pro o contro quelle persone che considerano se stesse della
scena straight edge. Ho coniato quella definizione quando
scrissi il brano omonimo nel 1980, ma non sono mai stato interessato
a quel "quasi - movimento" a cui penso tu ti stia riferendo.
Credo nel diritto individuale di scelta del proprio stile di
vita, e questo è ciò a cui si riferiva la canzone Straight
edge. Immagino che esistano alcune persone, che definiscono
se stesse straight edge, inclini ad indottrinarti su
quello che devi fare, ma ipotizzo anche che ci sia molta più
gente che abbia le stesse idee e che non si sente in dovere
di dirti nulla...". Fine. Ma giuro che un giorno o l'altro tornerò
a tampinarli sulla questione autogestione: caro Ian, comincia
subito a scrivere il libro....
Mario Bossi

Fugazi
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