dossier essico
I fratelli Magòn
di El Censurado
Un pezzo di storia messicana poco conosciuta.
Non a caso.
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Il
brano qui riportato, scritto da un redattore della bella
rivista anarchica di Montevideo "Alter", costituisce l'introduzione
al testo "MAGONISMO E MOVIMENTO INDIGENO NELLA RIVOLUZIONE
MESSICANA", in via di edizione a cura di 'Zero in Condotta'
(V.le Monza 255, 20126 Milano, fax 022551994, e-mail zeroinc@tin.it
). Il corpo centrale del libro è rappresentato dalla relazione
preparata da Juan Carlos Beas e da Manuel Ballesteros
per il seminario dedicato alla grande figura di Ricardo
Flores Magon, tenutosi in Messico nel giugno del 1986,
e mai tradotta in italiano.
Scorrendo l'indice si può avere un'idea dei vari argomenti
trattati:
- La lunga resistenza contro la barbarie occidentale
- La guerra contro gli stranieri
- Le prime battaglie
- Il magonismo, corrente radicale della rivoluzione messicana
- La tradizione comunalista nel magonismo
- Magonisti ed indigeni uniti nella rivolta armata
- I contadini dicono 'basta!' e lo dimostrano coi fatti.
Un lavoro, in sostanza, teso ad evidenziare sia il forte
legame esistente tra ribellione indigena ed i magonisti
che l'originalità della proposta magonista, alimentata
dalle tre componenti basilari del processo rivoluzionario
messicano: il liberalismo autoctono, l'influenza dell'anarchismo
europeo ed il comunalismo indigeno.
È la storia di una lotta che è non mai terminata: i 'vinti'
di allora continuano a lottare sulle montagne, nelle foreste,
nei 'barrios' di città; le idee magoniste non sono morte,
anzi sono germinate e fanno ormai parte della memoria,
della storia viva di un popolo che si rifiuta di morire,
come d'altronde le attualissime vicende del Chiapas zapatista
stanno ampiamente a dimostrare.
Massimo Varengo
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Oggi come oggi, in cui ci si rapporta
all'altro come a un rivale, o lo si guarda come un modello o
come possibilità di ascesa, mossi da arrivismi individuali,
parlare di essere umani che hanno dato la loro vita per i loro
ideali, quasi 80 anni fa, in una storia in cui le stelle (anche
quelle del cinema) erano altre (Zapata e Villa), è da pazzi,
è da pazzi anarchici.
Commettiamo allora questo grande peccato, cioè dar loro spazio
sulla stampa (chi li conosce, infatti?), spazio che non ebbero
neanche tra gli anarchici, e chi scrive ammette di aver conosciuto
i loro nomi, ma non molto più di questo.
Ogni gruppo umano (e ovviamente anche quello anarchico) ha i
suoi codici, i suoi requisiti, i suoi princìpi, ecc.; molti
sono espliciti e molti altri impliciti.
I Flores Magòn ebbero due grandi "difetti" per l'immaginario
anarchico dell'epoca: 1) non provenivano da una tradizione anarchica
(erano liberali e divennero anarchici nel corso della lotta),
e 2) non agivano di preferenza nel sindacalismo, bensì nelle
comunità indigene. Il sindacalismo è stato sopravvalutato dai
libertari nel loro credo fondamentalista, in quanto ambito dei
lavoratori, ritenuti questi gli unici possibili creatori della
nuova società.
Questa è allora una buona occasione, dopo tanti anni, per vedere
gli errori commessi come movimento nella valutazione dei fatti,
che è stata il prodotto dei nostri pregiudizi, ma è ancor più
importante sapere che oggi ne abbiamo degli altri, che è necessario
sviscerare per non cedere a due tentazioni opposte: dalla convinzione
passare o alla necessità (la verità è solo nostra!), o, con
un discorso libertario, adattarci individualmente e/o collettivamente
alla società.
Quanto segue, quindi, in questo secondo Dokumenta di Alter,
non è uno studio esauriente della lotta dei compagni in Messico,
ma solo un modo per scoprirli insieme nel loro momento, quasi
80 anni fa (non è che un dettaglio).
"Non sono magonista, sono anarchico. Un
anarchico non ha idoli"
(Ricardo Flores Magòn)
Pur ammettendo la nostra ignoranza sul Magonismo, questo stesso
termine ci risvegliava una certa antipatia, fino a che scoprimmo
in questo movimento, proprio il rifiuto del personalismo, cosa
che riteniamo fondamentale in un genuino movimento di liberazione.
Il Magonismo è la forma peculiare in cui appare l'anarchismo
in un dato movimento, in un dato luogo, attraversato da circostanze
e varianti che sono sempre uniche.
Ideologicamente si nutre fondamentalmente di tre correnti: il
liberalismo messicano, l'anarchismo europeo e il comunitarismo
indigeno.
Storicamente è tra le espressioni più chiare di un movimento
di resistenza popolare (fondamentalmente indigeno) dai tempi
della conquista dell'America.
"Morte a tutti quelli che portano i pantaloni"
(Grido di guerra dell'Esercito Indio, 1877)
Questo slogan dimostra la peculiarità della storia
messicana che arriva fino ai giorni nostri con gli avvenimenti
del Chiapas; e che a noi, discendenti europei dal punto di vista
genetico e culturale, ci sorprende al punto che non comprendiamo,
sottovalutiamo e inconsciamente rifiutiamo l'indio e persino
la sua lingua (chi può ricordare parole come: zacapoaxtlas,
Tuxtepec, Huaxtecos, Miahuatlan, Oaxaca, ecc.?).
Dai tempi della conquista la resistenza india non è mai venuta
meno, forse favorita dalla segregazione subita, che consentì
tuttavia di conservare la propria identità culturale. In questa
lotta alcuni popoli furono sterminati, come i Cazcanes e gli
Acaxes. Nella guerra d'indipendenza, i baluardi e i cosiddetti
eroi di queste gesta furono intimamente legati ai popoli indios:
Hidalgo parlava otomì, Morelo si formò nei villaggi parepechas,
un esercito di indios e di negri accompagnava Vicente Guerrero.
In questa guerra furono redatti i "Contratti di Associazione
per la Repubblica degli Stati Uniti di Anahuac", il primo progetto
di organizzazione politica federale, in cui si rivendicava l'importanza
della proprietà comune dei villaggi indios.
Naturalmente, contro le invasioni francesi e nordamericane furono
di nuovo in prima fila.
Nel 1876 Porfirio Dìaz prende il potere e, alleandosi con gli
interessi capitalistici stranieri, impone un processo di modernizzazione
che si scontrerà con gli interessi delle comunità indie.
"Biba Atoha"
(Ribellarsi!)
Gli Indios dovevano ribellarsi per sopravvivere,
non solo culturalmente ma anche fisicamente prima contro gli
stranieri, ora contro i criollos alleati con gli stranieri.
Già nel 1850, tra uno sterminio e l'altro, Benito Juarez diceva:
"Solo la razionalità può estirpare da questi popoli, i vizi
e l'immoralità che li domina e che li porta a compiere atti
di disordine che il governo ha dovuto reprimere con la forza
delle armi" (niente di nuovo sotto il sole!)
Nel 1877 ad Hidalgo e a Sierra Gorda, nel 1882 a Ciudad del
Maìz e a Istmo, dal 1875 fino al 1901 a Los Yaquis nel nord
del paese.
Puntualmente, in un luogo o nell'altro, alternando le vittorie
con le sconfitte, gli indios si giocavano (e si giocano) la
vita.
"La costumbre"
"È evidente che il popolo messicano è preparato
all'arrivo del comunismo,
perché lo ha praticato da secoli, almeno in parte"
(Ricardo Flores Magòn)
La lotta quotidiana degli indios intende mantener
viva la Costumbre, cioè il loro modo di vivere e la loro
visione del mondo.
Questa Costumbre, che, grazie alla loro determinazione
di resistere, esiste tuttora, propone certe forme di proprietà
e di rapporto tra le persone e con la natura, che sono un ostacolo
per il capitalismo.
La comunità, come costumbre dei popoli indios e contadini,
propone la proprietà sociale, forme di rappresentazione diretta
e in assemblea, così come un profitto dal lavoro e dalle risorse,
che non comprende il concetto di mercato.
Inoltre, interpreta il funzionamento del mondo come risultato
dell'intervento collettivo degli uomini e delle forze soprannaturali.
I Flores Magòn procedono dunque naturalmente verso l'incontro
e la sintesi perfetta tra il comunitarismo e l'anarchismo, dopo
esser passati per il liberalismo.
I Flores Magòn
Sono figli di Margarita Magòn, meticcia e dell'indio Teodoro
Flores, ufficiale che svolse un ruolo decisivo nella vittoria
di Porfirio Dìaz contro i conservatori.
Come tutti gli indios, il loro padre lottò per la libertà, fino
a quando sembrò che la libertà coincidesse col nome di Porfirio
Dìaz.
È stato capo di diversi villaggi, ma capo alla maniera degli
indios, giacché "in realtà non occorre che ci impongano un'autorità,
perché sappiamo vivere in pace tra di noi, trattandoci da amici
e da fratelli", come Enrique ricordava di avere sentito dire
dal padre.
"Non lasciate che il tiranno spenga il vostro coraggio", avrebbe
detto loro in punto di morte; e dieci anni dopo, prigionieri,
avrebbero saputo che anche Margarita Magòn, nell'agonia avrebbe
detto ad un emissario del dittatore, che permetteva la visita
dei figli in cambio della loro rinuncia alla lotta: "Dite al
presidente Dìaz che scelgo di morire senza vedere i miei figli.
Ditegli che preferisco vederli impiccati ad un albero o in garrote,
piuttosto che saperli pentiti o rinnegando quanto hanno fatto
o detto." Questi erano i genitori dei Flores Magòn.
Il magonismo: dai venti liberali alle tempeste
anarchiche
In termini di lotta, questo movimento sorse nel 1892 come un
grido spontaneo e vigoroso. Successivamente si lega ad altri
processi rivoluzionari, legame che porterà il movimento a fondersi
con essi e ad assumere un carattere peculiare.
Vi parteciperanno uomini e donne di diverse regioni, di diverse
razze e categorie professionali. Dal maestro Librado Rivera,
agli indios come Fernando Palomares, a donne come Modesta Abascal,
a operai come Hilario Salas, o al poeta guanajuatense Praxedis
Guerrero. Molti moriranno nella lotta, altri arriveranno a governare
i loro stati o saranno deputati, alcuni aderiranno allo zapatismo,
altri moriranno vecchi e in miseria.
Il movimento magonista, come altre correnti popolari, verrà
sconfitto. La rivoluzione, diventata governo, morirà. E come
succede sempre, alcuni princìpi saranno deliberatamente stravolti;
nel caso dei princìpi magonisti, saranno ridotti e sviliti,
fino ad affermare che il magonismo è stato "l'espressione culminante
del liberalismo messicano."
Il partito liberale messicano
Dal 1892 al 1903 il Partito Liberale Messicano difenderà apertamente
la Costituzione del 5 febbraio 1857, riconoscendo così la grande
influenza dello spirito riformatore sui liberali, che si caratterizzano
anche per l'anticlericalismo e antimperialismo.
Ma nel 1901, nel 1° congresso liberale, l'influenza di Ricardo
Flores Magòn determinerà una svolta antiporfirista nel discorso
liberale.
Agli inizi, gran parte delle energie si spendono per l'elaborazione
di diverse pubblicazioni, che sono un attacco al governo, non
solo perché lo criticano e lo denunciano, ma anche per il carattere
propagandistico e perché trasmettono idee ed informazioni.

Le idee anarchiche
Le idee socialiste europee arrivarono in Messico già nel XIX
secolo; dai tempi della curiosa "Escuela del Rayo y el Socialismo",
fino alle unioni mutualistiche degli artigiani.
Ma l'antistatalismo, l'ateismo e l'ugualitarismo, così come
il disprezzo anarchico per i meccanismi elettorali, insieme
alla persecuzione, il carcere e l'esilio, hanno fatto sì che
il magonismo nella sua evoluzione ideologica, aderisse ai princìpi
anarchici.
La Junta Organizadora del Partito Liberale non adotta
nel suo discorso una posizione apertamente anarchica fino al
1906; ma dal 1904 promuove la creazione di gruppi armati in
più di 12 stati.
Questa evoluzione darà origine, da una parte ad un profondo
avvicinamento con gli anarchici di diversi paesi (soprattutto
con la IWW nordamericana), dall'altra al passaggio di diversi
liberali al gruppo di Panchito Madera.
Nei manifesti del 1911, il nucleo anarchico del PLM punta a
colpire la trinità maledetta: il capitale, l'autorità e il clero,
invitando alla ribellione e all'espropio.
Nel maggio del 1918 verrà lanciato l'ultimo manifesto magonista,
che esorta gli anarchici del mondo alla rivolta dopo la barbarie
della Prima Guerra Mondiale. Termina al grido di : "Viva la
Terra e la Libertà!", slogan adottato già dal 1910 e che Praxedis
Guerrero aveva ripreso dai populisti russi.
Questo manifesto costò il nono arresto di Ricardo, che morì
in carcere.
La tradizione comunitaria nel magonismo
Il magonismo non è un'elocubrazione teorica europea poi trapiantata
in Messico: si arriva all'anarchismo grazie alle caratteristiche
proprie della sua gente; la maggioranza è di indios e di meticci
che hanno una grande tradizione di vita comunitaria, di solidarietà,
di appoggio reciproco.
La forza di questo principio è ancora evidente quasi un secolo
dopo, quando il subcomandante Marcos, in Chiapas, riconosce
di essersi dovuto adattare alla vita indigena e ai suoi metodi.
Vediamo ora, due curiosi e indicativi modi di vedere il ruolo
del popolo nella società:
"Per quanto riguarda la popolazione meticcia, che costituisce
la maggioranza degli abitanti della Repubblica Messicana, a
parte le grandi città o i paesi di una certa importanza, essa
contava sulle terre, sui boschi e sull'acqua liberi, in quanto
in comune, come la popolazione indigena. Anche l'aiuto reciproco
era una regola; le case si costruivano in comune, il denaro
quasi non serviva, perché vigeva lo scambio dei prodotti; ma
si è fatta la pace, l'autorità si è rafforzata e i banditi della
politica e del denaro hanno rubato sfacciatamente le terre,
i boschi, tutto; è evidente, quindi che il popolo messicano
è adatto al comunismo, perché lo ha già praticato, almeno in
parte, già da diversi secoli, e ciò spiega perché, anche quando
la maggioranza è analfabeta, comprende che piuttosto che prender
parte alle farse elettorali per metter su dei boia, è preferibile
prendere possesso della terra, e lo sta facendo con grande scandalo
della borghesia ladrona" (Ricardo Flores Magòn)
"Il popolo ignorante non avrà una parte diretta
nella scelta di coloro che dovranno essere i candidati per gli
incarichi pubblici... Anche nei paesi molto avanzati, non è
il popolo basso a scegliere quelli che terranno le redini del
governo. Generalmente i popoli democratici sono governati dai
capi di partito, che si riducono a un esiguo numero di intellettuali."
(Panchito Madero)
Ogni commento è superfluo
La rivolta india e magonista
I delegati della Junta Organizadora del PLM hanno viaggiato
in tutto il paese per stabilire forti legami con le lotte degli
indios.
Si è diviso militarmente il paese in 5 regioni e il giornale
Regeneraciòn circolava in diverse regioni arrivando a
più di 30.000 copie.
Hilario Salas incitava alla rivolta nella Sierra de Soteapan,
a Veracruz. Nello Yucatan i magonisti incitavano i maya alla
guerra. E succedeva lo stesso nelle Sierras di Oaxaca, nei chontales
di Tabasco e nei yaquis di Sonora.
A nordest dell'istmo di Tehuantepec, nello stato di Veracruz
e nella Chontalpa di Tabasco si verificò uno degli episodi di
rivolta antiporfirista più radicali e profondi, in cui magonisti
ed indios agirono insieme.
In questa regione il porfirismo ha reso possibile il vecchio
sogno capitalista di mettere in comunicazione, attraverso la
ferrovia, l'oceano Pacifico col Golfo del Messico.
Questo, insieme ad altre opere, ha acutizzato in modo violento
l'espropriazione di terre e di boschi alle comunità della regione.
Centinaia di migliaia di ettari furono registrati come proprietà
di stranieri, i boschi di legna tropicale tagliati, fino ai
territori storici dei villaggi mixes di Mazatlàn e Guichicovi,
così come quelli degli zoques dei Chimalapas di Oaxaca.
Inoltre subirono l'imposizione della schiavitù, di ordini e
misure repressive; chi protestava era mandato nella selva o
assassinato dai rurales.
Dopo tre anni di lotta rivoluzionaria, nel 1906 gli indigeni
si ribellano in varie regioni, lotta che durerà otto anni.
Ma questa è solo una delle ribellioni in cui gli indios e i
magonisti agirono insieme.
Dappertutto ci sarà la bandiera rossa con la scritta: "TERRA
E LIBERTA'".
La fine del principio
La lotta dei magonisti e la sua radicalizzazione ideologica
li portò sempre più all'isolamento. Ciò fece sì , insieme alle
sconfitte militari, che alcuni di loro, tra i quali Ricardo,
dovessero "rifugiarsi" negli Stati Uniti, dove continuarono
la loro lotta soprattutto dal punto di vista tattico-militare
e nella stampa propagandistica.
Il "rifugio" non fu tale, perché la collaborazione tra i due
Stati ha portato i magonisti in carcere in moltissime occasioni,
fino alla morte di Ricardo Flores Magòn nel 1922.
Va citato l'appoggio che ebbe dal socialista Eugene Debbs e
dall'anarchica Emma Goldman in denaro e in termini di agitazione.
In questa fase, Ricardo esprime la sua simpatia, non senza riserve,
per lo zapatismo e la sua antipatia per il villismo.
Il magonismo in qualche modo ha rappresentato l'inizio della
rivoluzione messicana, a cui forse è mancata una chiarezza ideologica.
Alcuni dati
Anche se il magonismo è stato un movimento collettivo, oggi,
che vi siamo lontani sia geograficamente che temporalmente,
ci sembra, che malgrado le sue volontà, Ricardo Flores Magòn
fosse il centro, il referente del gruppo radicale. Dai pochi
dati che conosciamo, possiamo intuire la sua grande personalità,
che a volte lo porta ad inconsapevoli atteggiamenti personalistici.
Ciò sembra essere avallato da alcuni suoi scritti e anche da
lettere critiche di suo fratello Jesas.
Ma stiamo parlando di un uomo, con tutto quello che ciò significa,
coi suoi pregi e i suoi difetti, in un determinato contesto,
che ha sempre un ruolo proponderante.
Riscattiamo il rivoluzionario che ha avuto il coraggio, in un
paese privo di tradizioni anarchiche, di definirsi tale fino
alla fine, quando avrebbe potuto "accomodarsi" (e le offerte
non gli sono mancate) nel panorama politico messicano.
Dal 1892 al 1922 è stato fatto prigioniero per 13 anni dopo
9 arresti, tra il Messico e gli Stati Uniti.
Ha sempre lavorato alla stampa rivoluzionaria e alla propaganda
nelle classi popolari. Dei suoi innumerevoli articoli, dedicati
generalmente a problemi relativi al Messico, estrapoliamo quanto
segue come dimostrazione delle sue convinzioni; questi concetti
d'altronde li ha ribaditi, in modi diversi, ogni volta:
"Viva l'unità di tutti in un solo uomo! La serenità, il benessere,
la libertà, il soddisfacimento di tutti gli appetiti sani sono
nelle nostre mani; ma non lasciamoci guidare da capi; che ognuno
sia il padrone di se stesso; che ogni cosa venga risolta col
consenso degli individui liberi. A morte la schiavitù! A morte
la fame! Viva la Terra e la Libertà! (...) La libertà e il benessere
sono alla portata di tutti noi. Lo stesso sforzo e lo stesso
sacrificio che servono per eleggere un governante, che è un
tiranno, servono per espropriare i beni dei ricchi. Bisogna
dunque scegliere; o un nuovo governante, cioè un nuovo giogo,
o l'espropriazione che è salvezza e l'abolizione di qualsiasi
imposizione religiosa, politica o di qualsiasi altro tipo. TERRA
E LIBERTA'!" (23 settembre 1911)
Epilogo di un prologo
"I tiranni ci sembrano grandi perché noi li vediamo stando in
ginocchio; alziamoci!" (Scritto sulla porta dell'Università,
Messico)
Questo modesto lavoro che oggi presentiamo, intende far conoscere
militanti anarchici di 80 anni fa. Non semplicemente per commemorare
in modo formale un passato, ma perché questo sia un prologo,
un insegnamento per il nostro presente. Sono dovuti passare
80 anni perché in Chiapas si rivivessero gli ideali magonisti
e zapatisti. Ciò significa che a volte dimentichiamo, o che
vogliono farci dimenticare: fino a quando ci sarà chi domina,
il conflitto sociale (sempre latente) prima o poi, si manifesta.
E non c'è scelta. Si può addormentare, si può rimandare, ma
non si può evitare e l'unica scelta è di tipo personale, cioè
sul ruolo da svolgervi. In quale trincea combattere. In quella
dei dominatori o dei loro ruffiani, che significa disumanizzazione.
O in quella dei dominati, aspettando magari qualche messia,
oppure si può agire autonomamente tra persone uguali, preparandosi,
organizzandosi alla creazione di un mondo nuovo.
Scelta delle più difficili, oggi più che mai, che richiede dignità,
capacità, creatività, volontà. Ma non c'è scelta. Il mondo procede
verso un futuro irreversibile, in cui non ci sarà lavoro e la
ricchezza si concentrerà sempre di più (secondo le Nazioni Unite
nel 1960, il 20 % dei ricchi aveva degli introiti 30 volte maggiori
dell'80% di poveri; oggi questo stesso 20% guadagna 150 volte
di più dell'80% di poveri. El Observador, 12/09/1999,
p.25)
Che il ricordo, dunque dell'esperienza dei magonisti, con i
loro errori, i loro difetti, i risultati ottenuti e i pregi,
ci aiuti ad inventare spazi di resistenza, di riflessione, di
creatività, di organizzazione, cercando un mondo da inventare.
El Censurado
(traduzione di Fernanda Hrelia
dalla rivista uruguayana "Alter" n° 5,
Primavera/estate '99)

Emiliano
Zapata
di
Claudio Albertani
A
differenza di molti altri rivoluzionari del ventesimo
secolo, Emiliano Zapata (1879-1919) non è stato un intellettuale
né un transfuga della classe dominante, ma un leader popolare
di origine indigena.
Nato l'8 agosto del 1879 nel villaggio di Anenecuilco,
frazione di Villa de Ayala, Stato di Morelos, Emiliano
è il penultimo dei dieci figli di una delle tante famiglie
impoverite dalle haciendas, le grandi aziende agricole
divoratrici di terre che sono l'asse della modernizzazione
promossa dal dittatore Porfirio Díaz. Nel Morelos, terra
di paradossi e di contraddizioni, si scontrano allora
due civiltà: quella degli imprenditori capitalisti imbevuti
di positivismo e quella degli indigeni legati alla terra
e al villaggio (pueblo) che conservano uno spirito indomito
e un forte senso della solidarietà.
Emiliano, che parla spagnolo e nahuatl, la lingua
degli antichi messicani, riceve l'istruzione elementare
fino a quando, rimasto orfano all'età di 16 anni, comincia
a lavorare distinguendosi ben presto come buon agricoltore
e gran conoscitore di cavalli. Dotato di una mente inquieta
e di una natura indipendente, non tarda a conquistarsi
una posizione di prestigio all'interno della comunità,
diventandone al tempo stesso la sua memoria vivente. All'inizio
del secolo, lo troviamo chino su antichi documenti coloniali
che dimostrano la legittimità delle rivendicazioni del
pueblo.
Negli stessi anni, conosce due personaggi che giocheranno
un ruolo importante nella sua vita: Pablo Torres Burgos
e Otilio Montaño. Entrambi sono maestri di scuola, entrambi
divoratori di letteratura incendiaria. Il primo gli mette
a disposizione la propria biblioteca dove vi può leggere
anche "Regeneración", la rivista clandestina dei fratelli
Flores Magòn; il secondo lo introduce alla letteratura
libertaria e in particolare all'opera di Kropotkin.
Il battesimo politico avviene nel febbraio 1909 quando,
eletto sindaco di Anenecuilco, Zapata appoggia il candidato
a governatore dell'opposizione, Patricio Leyva. La vittoria
dell'aspirante ufficiale, Pablo Escandón, provoca ad Anenecuilco
dure rappresaglie e nuove perdite di terre. Verso la metà
del 1910, dopo un'infruttuosa intervista con il presidente
Díaz e vari tentativi di risolvere i problemi del pueblo
per la via legale, Zapata e i suoi cominciano a occupare
e a distribuire terre.
Nel frattempo, il 20 novembre 1910, un gruppo di liberali
democratici ostili a Díaz, capeggiato da Francisco Madero,
fa appello alla resistenza contro la dittatura, promettendo
fra l'altro la restituzione delle terre usurpate. Nel
Morelos i tempi sono maturi: passato un primo momento
di esitazione, Zapata si lancia nella lotta armata.
Dopo la morte di Torres Burgos per mano dei federales,
egli diventa il capo indiscusso della rivoluzione del
sud. Appoggiato dai pueblos, riesce a tenere in scacco
le truppe governative fino alla rinuncia del dittatore
nel maggio del 1911. Il 7 giugno ha un deludente incontro
con Madero il quale, venendo meno alle promesse, si mostra
insensibile alle rivendicazioni contadine. L'inevitabile
rottura si produce in novembre quando, ormai esasperato,
Zapata riprende le armi, lanciando il Plan de Ayala dove
si definisce Madero un traditore e si decreta la restituzione
delle terre. La rivoluzione del sud ha ormai una bandiera:
"sono disposto a lottare contro tutti e contro tutto"
scrive Zapata a Gildardo Magaña, suo futuro successore.
Ha inizio una guerra lunga e difficile, prima contro Madero,
poi contro Huerta e infine contro Carranza. I soldati
dell'Ejército Libertador del Sur combattono in
unità mobili di due o trecento uomini comandati da un
ufficiale con il grado di "colonnello" o "generale". Applicando
la tecnica della guerriglia, colpiscono i distaccamenti
militari per poi abbandonare la carabina 30/30 e scomparire
nel nulla. Invano, i federales mettono il Morelos a ferro
e fuoco: gli zapatisti sono inafferrabili.
Verso la fine del 1913, grazie anche alle spettacolari
vittorie di Villa al nord, l'antico regime traballa. Dopo
la fuga di Huerta (15 luglio), nell'autunno 1914 si celebra
ad Aguascalientes una Convenzione tra le differenti frazioni
rivoluzionarie che però non riescono a trovare l'accordo.
Tra la costernazione dei presenti, il delegato zapatista,
Antonio Díaz Soto y Gama, strappa la bandiera nazionale
proclamando la necessità di "farla finita con tutte le
astrazioni che opprimono il popolo".
In dicembre, in seguito alla rottura con Carranza, che
rappresenta la borghesia agraria del nord, le truppe contadine
di Villa e Zapata entrano trionfanti a Città del Messico
inalberando i vessilli della vergine della Guadalupe,
patrona dei popoli indigeni. Gli abitanti della capitale
hanno paura dell'Attila del Sud, però i rivoluzionari
non commettono saccheggi né atti di violenza. In un gesto
poi diventato famoso, Zapata rifiuta l'invito a sedere
sulla poltrona presidenziale: "non combatto per questo.
Combatto per le terre, perché le restituiscano". E torna
nel Morelos, territorio libero dopo la fuga dei proprietari
terrieri e dei federales.
Nel 1915, prende forma quel grande esperimento di democrazia
diretta che è stato chiamato la Comune di Morelos. Affiancati
da una generazione di giovani intellettuali e studenti
provenienti da Città del Messico, gli zapatisti distribuiscono
terre e promulgano leggi per restituire il potere ai pueblos.
Tuttavia il loro destino si gioca più a nord, nella regione
del Bajío, dove le strepitose vittorie di Obregón su Villa
capovolgono nuovamente la situazione. A quel punto, la
rivoluzione contadina entra in una fase di declino progressivo
da cui, salvo per brevi momenti, non si riprenderà più.
Quasi invincibile sul piano militare, Zapata è attirato
in un'imboscata - lui, che aveva sempre temuto il tradimento
- e assassinato il 10 aprile 1919, presso l'hacienda di
Chinameca. Non ha compiuto 40 anni.
La storia non finisce qui. Ancora forti, gli zapatisti
eleggono loro capo Gildardo Magaña, giovane e abile intellettuale
con doti di conciliatore. Questi continua la lotta fino
al 1920, quando aderisce al Plan de Agua Prieta,
lanciato contro Carranza da un gruppo di generali del
Sonora. Ormai stremati, i guerriglieri del Morelos accettano
di deporre le armi in cambio della promessa di una riforma
agraria. La pace è fatta: sorge così un regime che considera
Zapata tra i propri fondatori accanto a coloro che lo
hanno assassinato. Tuttora i militari messicani - gli
stessi che combattono i neozapatisti del Chiapas - venerano
il caudillo del sur, il cui ritratto si può vedere
in ogni caserma.
Quale può essere, oggi, il bilancio dello zapatismo? Più
volte, gli storici si sono chiesti se quella del Morelos
sia stata un'autentica rivoluzione sociale. Alla domanda
molti, sia marxisti che liberali, hanno risposto di no,
etichettandola come una ribellione conservatrice, localista
e perfino reazionaria. Tuttavia, è facile osservare che
il movimento andava oltre la semplice rivendicazione delle
terre. Possedeva, ad esempio, una chiara concezione del
potere e del governo. Secondo il caudillo del sur,
la nazione si doveva costruire a partire da un'organizzazione
decentralizzata di pueblos liberamente federati, sovrani
ed autonomi nelle decisioni politiche, amministrative
e finanziarie. Altro aspetto importante era la preminenza
delle autorità civili su quelle militari, una concezione
assai avanzata per il Messico di quel tempo.
Al contrario di quanto sostengono i suoi detrattori, Zapata
comprese anche la necessità di non rimanere isolato. Per
questo mandò rappresentanti all'estero (tra gli altri,
Octavio Paz Solorzano, padre del poeta) e aprì le porte
del Morelos a tutti coloro che erano disposti a unirsi
alla sua lotta. Nel 1913, chiamò anche Ricardo Flores
Magón, allora esiliato negli USA, il quale, per motivi
mai del tutto chiariti, non poté accettare l'invito.
Combinazione contraddittoria di passato, presente e futuro,
il movimento zapatista marca l'irruzione delle civiltà
indigena nel Messico contemporaneo: la sua sconfitta ha
solo rimandato il problema. A fine secolo, Zapata cavalca
di nuovo, rivendicando i diritti dei più piccoli.
Claudio
Albertani
(dal bollettino n°14 del Centro Studi Libertari di
Milano)
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