Rivista Anarchica Online


Conifere
latifoglie:
3-1

a cura di Carlo E. Menga

Vorrei segnalare alla vostra attenzione un tabellone pubblicitario di ROBE DI KAPPA, che raffigura un radioso e sorridente Marco Tardelli. Interessante tabellone autoreferenziale, in cui l’allenatore della nazionale under 21 fa da testimonial e quindi da sponsor a ROBE DI KAPPA, a sua volta sponsor della nazionale di calcio under 21, di cui è allenatore Tardelli. E il cerchio si chiude, se non fosse per il fatto che Tardelli, che tutti ricordiamo per essere stato l’autore di uno dei più bei goals di tutti i tempi, almeno dal punto di vista emotivo, quello che chiuse il discorso nella finale di Spagna ‘82 contro la Germania, quello che fece esclamare la storica interiezione al commentatore brasiliano: "que gollazo!", quello che fece alzare in piedi sbracciandosi Sandro Pertini ("un partigiano come presidente", cantava Cotugno), se non fosse, dicevo, che Tardelli è un po’ ingrassato. Ma quello, si sa, è effetto dell’età e dei radicali liberi.
Un tabellone autoreferenziale, dunque. E volete che non ci sia qualche strana implicazione? Tardelli ha una maglietta rosa, e fin qui se ne accorgono tutti: guarda un po’ che bella idea, un azzurro vestito di rosa, e abbiamo la solita supposizione materiale che s’accavalla con quella formale, che abbiamo già visto nel caso del preservativo ("se mi ami, mettiti NUDO"); azzurro e rosa sono i colori dei neonati, maschietto e femminuccia, ed ecco qui, la bella famigliola. Però, però: Tardelli ha sulle spalle una stecca di calcio balilla cui si tiene aggrappato. La stecca è quella di centrocampo, quella con cinque pupazzetti. I pupazzetti, naturalmente, sono azzurri, e il Marco nazionale, rosa, enorme, pende dal centro della stecca, nascondendo col simpatico capoccione il giocatore centrale, al quale, nella sintassi del messaggio, si sostituisce. Questo gran spenzolare, che occupa quasi tutto lo spazio del cartellone, non ci ricorda qualcosa? Quell’iperesposizione sessuale che nelle scimmie è messaggio gerarchico? Noi, tra le scimmie, siamo il massimo. Desmond Morris ci ricorda che l’uomo è, fra le scimmie antropomorfe, quella che possiede il pene di maggiori dimensioni. Non vi convince l’accostamento? Credete che io cerchi l’ideologia dappertutto? Osservate meglio il tabellone. Avete mai visto una stecca di calcio balilla CON LE MANOPOLE DA TUTT’E DUE LE PARTI? Ah, gran cosa la simmetria bilaterale. Bel servizio che fa ROBE DI KAPPA al Tardellone nostro. Se solo Marco sapesse che epiteto gli s’attribuisce con quest’implicito che sfugge (?) al controllo dei pubblicitari che invece volevano soltanto (?) riferirsi al gioco del calcio...
Quest’oggi mi sento rapsodico e voglio proporvi ancora un paio di leggere meditazioni, quasi di sottofondo, cosìcome in sottofondo mi sono pervenuti gli argomenti che sto per presentarvi. Il primo caso l’ho colto mentre facevo un annoiato zapping postprandiale. Qualcuno, in qualche spot televisivo, ha scritto: "Internet logora chi non ce l’ha", spingendomi ad amare riflessioni sulle motivazioni che spingono gli uomini a ricordare i propri simili. Giulio Andreotti, nel bene e nel male personaggio storico di questo secolo che sta per terminare, verrà ricordato per la sua bella frase furbetta sul potere, pronunciata quando il potere ce l’aveva da un pezzo, piuttosto che per la sconosciuta buona azione compiuta da giovanissimo, quando il potere non ce l’aveva ancora, fornendo a mio padre, appena sfuggito dal carcere di Regina Coeli dopo l’otto settembre del quarantatre, un paio di sandali da cappuccino perché potesse almeno non andare scalzo sulla lunga strada del ritorno a casa.
Il secondo l’ho afferrato a orecchio una recente Domenica mattina, mentre andava in onda un programma per fanciulli. Ahimé, i fanciulli sono lo specchio di ciò che sono gli adulti che li hanno generati, e quello degli adulti che saranno. C’era in corso un quiz facile facile: "che alberi sono il leccio, il faggio, ecc.: conifere o latifoglie?". Il primo bambino risponde: "conifere". Pazienza, ignorare è umano. La domanda viene riproposta al secondo, il quale risponde: "conifere". D’accordo, i fanciulli sono facili alla distrazione. Il terzo, a sua volta sollecitato, risponde ai conduttori sempre più veementemente manifestanti a gran voce la loro sorpresa incredulità: "conifere". Solo il quarto, finalmente, afferra la logica dell’alternativa e scioglie il dilemma, rispondendo: "latifoglie". é mai possibile che il meccanismo stimolo-risposta venga così mesmerizzato dall’essere ripresi da una telecamera? Forse la parola conifera è più familiare ai fanciulli i quali, date le condizioni funzionali della scuola italiana e quelle mentali degli insegnanti, l’avranno appresa dai genitori. (Nel bosco il papà indica un pino a Pierino e dice: la vedi, quella è una conifera. Purtroppo, anche se è duro da accettare, non è verosimile che il padre indichi un leccio a Pierino, dicendo: quella è una latifoglia. L’idea di foglia rappresenta di per sé qualcosa di "lato", largo.
È del tutto normale, una foglia è larga per default. Strana è una foglia aghiforme, che, guarda caso, è quasi sempre associata ad alberi che hanno pigne, "coni", come frutti. Cono s’associa al gelato, e il bambino non dimenticherà mai quegli alberi strani e appuntiti). Possibile che a tal punto la psicologia del bambino sia così poco avvezza alla logica elementare che se chiedo loro di indovinare se desidero pere o mele e mi portano una pera e io dico che no, non la voglio, loro mi portino ancora e ancora pere, come nell’antica barzelletta del gelato al pistacchio? O forse sono influenzati dai quiz per adulti, dove se aggiungi un articolo determinativo al titolo di una canzone perdi ottocento milioni che vengono vinti dall’altro concorrente che si limita a correggere la risposta. Io la chiamo la "sindrome di Sarabanda". Forse il secondo e/o il terzo bambino hanno pensato che il precedente aveva pronunciato male e lo correggono. O, più ottimisticamente, i bambini sono diabolicamente rivoluzionari e fanno esplodere il gioco, alla Bresci, senza sapere che da adulti verranno poi cannoneggiati, alla Bava Beccaris.
Sinceramente, non so cosa pensare, se non male dei quiz, della scuola, e degli esseri umani. So solo che pensarci mi fa venir mal di testa. Vi lascio eredi della mia perplessità e della mia emicrania.

Carlo E. Menga