Rivista Anarchica Online


racconto

Anarchica
di Elena Petrassi

 

Il mondo non è fatto a misura di bambino. I tavoli, le sedie, tutto troppo alto, gli interruttori, be’ per forza, e anche i lavandini. Soprattutto gli adulti non sono fatti a misura di bambino. Perché tutti avevano dimenticato com’era vedere il mondo sempre dal basso verso l’alto. A scuola tutti i bambini venivano accompagnati dalla mamma, ma non lei perché sapeva la strada e lei era grande. Qualche bambino non aveva la mamma e questo era molto triste. Mauro invece non aveva il papà, ma non perché fosse morto. Il papà di Mauro era andato via con un’altra donna e la mamma di Mauro era una signora bella e triste con i capelli biondi come una principessa.
La scuola era divertente però, perché c’era Marco che divideva sempre la merenda con lei. Poi c’era Laura, la sua compagna di banco, che era proprio tanto piccola, ma siccome loro due chiacchieravano sempre, la maestra, la maestra le aveva fatte sedere in fondo alla classe perché Paola era troppo alta per stare in primo banco. Addirittura una volta che non avevano smesso di parlare le aveva chiamate e aveva ordinato loro di andare alla cattedra e di mettersi dello scotch sulla bocca. La maestra aveva ordinato e loro avevano ubbidito. Cos’era allora quella sensazione di caldo allo stomaco?  E la vista che tremava come se stesse guardando da dietro la fiamma di una candela? Ma quando si girò verso Laura, lei stava ridendo. Ridevano entrambe dopo poco e la maestra si arrabbiava sempre di più. Non ci fu niente, nessun ordine che le fece smettere, le altre bambine cominciavano ad agitarsi, così la maestra fu costretta a chiamare la bidella per farle accompagnare fuori.
Però c’erano anche i giorni belli a scuola, la cosa che le piaceva di più era fare le ricerche. Soprattutto quando stavano imparando i nomi degli alberi e dei fiori e il pomeriggio andava con Laura, ma spesso anche sola, a raccogliere foglie cadute dagli alberi per metterle a seccare nel quaderno a quadretti piccoli. La storia invece l’annoiava un po’. Tutti quei nomi di quella gente sconosciuta che andava sempre in guerra. Non mangiavano mai? E avevano dei bambini quei guerrieri? E gli antichi romani andavano mai al bagno? Con la geografia invece era bello studiare. Perché il mondo era grande. C’era anche un mare più profondo di quello dove andava lei tutte le estati con la sua famiglia.
E c’erano città che si chiamavano Parigi e Lisbona. Un giorno sarebbe partita per andare a vederle. Anche da sola perché non aveva paura. Un giorno il fratellino aveva cominciato a parlare con lei. Non era più tanto piccolo. Lei a dire il vero avrebbe preferito una sorellina, ma non le avevano fatto scegliere e cos", anche se non lo voleva, dopo avere visto la sua faccia rotonda e i suoi occhi neri, le era sembrato simpatico. Avrebbero giocato insieme comunque, anche se non era una femmina.
Quando lei leggeva, lui andava vicino e stropicciava le pagine del sussidiario con le sue mani piccole e sempre sporche di terra. Ma era bello giocare con lui, anche se qualche volta lo faceva piangere e poi se lo stringeva tra le braccia per farlo smettere, perché le dispiaceva vederlo così sconsolato.
Quando finì di leggere tutti i suoi libri, iniziò a prenderne altri dalla libreria senza chiedere niente ai genitori. La mamma era impegnata a cucire, papà lavorava tutto il giorno in un ufficio. Quando aveva finito li rimetteva al loro posto e nessuno sapeva niente. Fu così che ebbe conferma che i bambini non li porta la cicogna, che stavano prima nella pancia della mamma, come il fratellino.
Faceva sempre disegni per le sue ricerche ma non era tanto brava. Invece le piaceva scrivere i pensierini e poi i temi. Cos" a Natale i suoi genitori - aveva appena scoperto con grande dolore che i regali non li portava Babbo Natale e figuriamoci, tanto meno Gesù Bambino - le avevano fatto trovare sotto l’albero un vocabolario enorme con le pagine leggere. Aveva la copertina rossa e tutte le parole in ordine alfabetico. Che era un buon modo di leggere se non si sapeva da che parte iniziare. Poi il papà le aveva dato un libro di poesie. Che era un libro per bambini grandi pensava lei.
- Ma no Ninni - le disse il papà - le poesie sono per tutti, grandi e piccoli, anche se forse adesso ci sono cose che non capirai. Ma un giorno sarà diverso, le leggerai e ti piaceranno.
Il poeta si chiamava Federico García, come il sergente di Zorro, ed era morto giovane perché durante una rivoluzione in Spagna, i nemici lo avevano ucciso.
La poesia della lumaca era la più bella e le piaceva anche quella del pioppo caduto.
Portava  il libro sempre con sé, anche a scuola, a volte lo leggeva con Laura di nascosto mentre la maestra parlava. Il vocabolario invece era troppo pesante per portarlo a scuola e così lo lasciava, suo malgrado, a casa.
Nei pomeriggi invernali, quando si poteva giocare in cortile solo poche ore, si sedeva sulla grande poltrona rossa della cameretta con il fratellino accanto e gli leggeva le parole e gli spiegava. Lui era contento anche se non capiva, però preferiva quando lei gli raccontava la fiaba dei tre porcellini per farlo addormentare. C’erano tante parole che non avevano senso, non si potevano vedere, non si potevano toccare.
Un giorno che stava facendo le ricerche l’avevano chiamata perché andasse a tavola. Ma lei non voleva muoversi. Papà quel giorno era stanco e non li aveva presi in braccio quando era tornato a casa dall’ufficio.  Cos" lei disse che non andava, che non aveva fame.
Il papà la chiamò a voce più alta. Lei disse ancora no.
- Aiuta la mamma allora, quando ti dico una cosa la devi fare.
Lei lo guardava senza abbassare gli occhi.
- Chi non sa obbedire non sa neanche comandare, continuò l’uomo.
La bambina sorrise.
- Io non voglio obbedire perché non voglio comandare - gli rispose.
- Un’anarchica, adesso mi ritrovo anche con una figlia anarchica, replicò lui - e poi non seppe più cosa dirle.
Prima che decidessero di metterla in castigo ci andò da sola, nell’angolo dove si rifugiava quando era troppo arrabbiata. Si era portata il libro del poeta Federico e il vocabolario. Nel vocabolario la parola anarchia l’aveva già letta perché era arrivata alla lettera E, ma non avrebbe saputo dire cosa fosse perché era una cosa che non si toccava e non si vedeva, cioè non era proprio una cosa. Le parole a volte venivano prima dell’esperienza completa, ma anche questo la bambina, ancora, non lo sapeva.
Non sapeva che le avrebbero detto sei un’anarchica con aria di scherno e lei avrebbe ricordato quell’episodio con il padre.
Anarchia non era quello che c’era scritto nel vocabolario dalla copertina rossa.
Ma questo lo scoprì da sola molti anni dopo leggendo la vita di una donna anarchica che si chiamava Emma.
Anarchica, le piaceva scoprire a vent’anni di essere anarchica senza averlo saputo prima. Ora sapeva di esserlo sempre stata.
Anarchica, anarchia si ripeté e le parole avevano sulla lingua il sapore salato di una focaccia e il sapore dolce del miele. C’era tutto in quelle parole, anche quel che ancora lei non sapeva.

Elena Petrassi

 

“Ora sapeva
di esserlo
sempre
stata.”