Libertà nelle istituzioni. Bella storia.
Sono in molti a vantare una ricetta magica per essere liberi nelle istituzioni.
State sicuri, però, che alla fine della teoria, del programma politico
di riforma, c'è sempre, manifestata, l'esigenza di rispettare le nostre
tradizioni, la nostra storia. C'è ancora chi vuole il rispetto dello Statuto
Albertino del 1848; chi vede nella nostra Costituzione un continuo ideale, politico,
storico, giuridico di quella Costituzione, "in fondo noi italiani siamo figli
di quello Statuto", quello concesso dal Re "ai Suoi amatissimi
sudditi". Verrebbe da dire "ma come? Se la nostra storia è fatta
di poteri forti, poteri dall'alto, com'è possibile costruire un sistema
di libertà nel rispetto delle nostre tradizioni?" La domanda è
ingenua e acca nisciuno è fess, quindi sappiamo bene che chi dice
così in realtà non vuole cambiare niente.
Come rispettare quanto fatto dal Re, dal Duce, dai nipoti del Duce, da falsi costituenti,
dai preti? Gli esperti di diritto pubblico sono sempre al lavoro; fanno libri,
conferenze, lezioni universitarie; sono al fianco del politico di turno per teorizzargli
il suo sentire; prima e dopo la caduta del muro sono sempre gli stessi: possibile?
In molti si sono convertiti; molti, ma veramente molti, hanno rivisto le proprie
idee dicendo che "sì in verità ho scritto questo ma intendevo
dire che
e poi erano discussioni teoriche, accademiche, possibilistiche,
guardavano al mondo istituzionale in fieri... e poi scusate, il valore
teorico rimane pur sempre ancora oggi". Non rimane che alzarsi e lasciare
la sala pensando che, di certo, le cose cambiano lo stesso senza il loro intervento
che, anzi, loro sono sempre esistiti, fanno parte del gioco. Alla fine non ci
si arrabbia nemmeno. Si abbandonano tante sale per poi non frequentarle più.
A ogni modo, anche se spesso le cose cambiano da sole, anche noi abbiamo una ricetta
per cambiare: copiare. Sì, come gli studenti che hanno studiato poco e
che comunque non vogliono, non possono abbandonare. Copiare da chi è più
bravo; da chi, per un motivo o altro, è riuscito a realizzare un grado
di democrazia, di libertà individuale diverso dal nostro. Senza distinguo,
senza "sì, ma
" Copiamo e basta. Abbiamo vantato le nostre
radici culturali, quando Alexander Fleming scoperse la penicillina? O quando il
dottor Jonas Salk ha scoperto il vaccino contro la poliomielite? Le abbiamo invocate
quando ci siamo avvalsi dello sfruttamento dell'energia elettrica?
Chiederemo la nazionalità dei componenti l'équipe che troverà
il modo di sconfiggere il cancro, l'Aids, l'atrofia cerebrale, il morbo di Parkinson,
prima di avvalerci dei loro risultati?
Il primo emendamento
Facciamo un esempio. Dopo aver studiato il sistema della stampa negli Stati
Uniti d'America, dove il primo emendamento del 1791 impone che "Il Congresso
non potrà fare alcuna legge
per limitare la libertà di parola
o di stampa
" (la Costituzione italiana impone invece il contrario "Il
Parlamento dovrà fare una legge sulla stam-pa
") non concludiamo
dicendo: è un buon sistema, ma
noi abbiamo le nostre tradizioni,
la nostra storia, le nostre radici, ecc. ecc. Non dimentichiamo che il primo emendamento
alla Costituzione degli Stati Uniti d'America funziona ancora oggi; che in molti
hanno provato a cambiarlo, schivarlo, raggirarlo, che sono sorte correnti dottrinali
e giurisprudenziali per aggredirlo, abrogarlo, svuotarlo. Niente. Lui funziona
ancora: in suo nome, negli Stati Uniti, è possibile bruciare la bandiera
per manifestare il proprio pensiero "perché la bandiera è il
simbolo di una libertà tanto grande che comprende anche il diritto di offendere
questa libertà". Da noi chi brucia la bandiera rischia la prigione.
Potremmo copiare il processo penale con giuria popolare, il federalismo, il sistema
elettorale maggioritario.
Guardando il mondo anglosassone ci siamo fatti un'idea: la libertà va usucapita.
Se con il possesso continuato nel tempo possiamo diventare titolari di un bene
o di un diritto, è questo che dobbiamo fare anche nei confronti della libertà.
Nessuno osa toccare una proprietà altrui: se questo succede, c'è
sempre una legittima difesa, una legittima rivolta. Bene: questo deve succedere
anche riguardo i diritti di libertà. Chi osa toccare, in Inghilterra, il
processo con giuria voluto dalla Magna Charta (1215)? Chi, negli Stati
Uniti d'America, osa proporre una legge che regoli la libertà di stampa,
di coscienza, volute da tutte le costituzioni originarie e infine da quella federale?
Il problema storico dell'Italia in merito al problema libertà, è
che non si è mai cominciato a computare i termini di questa usucapione.
Per il Re, per la Chiesa, per il Duce, per la guerra, per una costituzione fatta
male, per le leggi fasciste che ancora ci governano, per Tangentopoli, logico
frutto di stagione di un albero avvelenato; per tutto questo noi italiani dobbiamo
ancora cominciare a usucapire la libertà. E si badi bene: non le libertà,
ma la libertà. La pluralità di diritti individuali fondamentali
non è che una specificazione, una realizzazione della libertà dell'individuo.
Lo strano anello
La nostra cultura dogmatica che tutto seziona e tutto razionalizza, sembra
aver dimenticato questo rapporto di mezzo a fine fra diritti fondamentali e libertà
individuale per cui sui testi di diritto pubblico leggiamo quali e quante sono
le libertà (la libertà personale, di coscienza, di manifestazione
del pensiero, di domicilio, riunione, associazione, ecc.): un'impostazione che
riduce, in sostanza, ciò che per definizione non è riducibile, la
libertà dell'individuo.
Se la persona è un assoluto, se l'individuo è un valore in sé,
allora non si può sezionare nella sua caratteristica essenziale: la libertà.
Se "l'uomo ha in sé stesso tutto ciò che gli appartiene",
come ha scritto il primo costituzionalista europeo, Giuseppe Compagnoni (1754-1833),
allora si capisce quanto sia assurdo "affidare alla credibilità d'un
sistema l'importanza della verità e gli interessi del genere umano".
Ecco perché non servono leggi per definire la libertà.
La nostra storia ha invece elaborato un ordinamento giuridico diventato ormai
uno strano anello. "Il fenomeno dello 'Strano Anello'", scrive
Douglas R. Hofstadter, autore di uno straordinario testo scientifico, Godel,
Escher, Bach: un'eterna Ghirlanda Brillante, "consiste nel fatto di ritrovarsi
inaspettatamente, salendo o scendendo lungo i gradini di qualche sistema gerarchico,
al punto di partenza". E questo è quanto successo a noi italiani.
Abbiamo conosciuto vari gradini di un sistema gerarchico, ma siamo sempre al punto
di partenza.
Il pittore George Grosz, nel quadro allegorico, "I pilastri della società",
dipinto nel 1926, ritrae i rappresentanti del potere nella repubblica di Weimar:
un giurista privo di orecchio con una svastica come colletto e un boccale di birra
in mano; un deputato con al posto del cervello delle fecalie fumanti e un giornalista
con un vaso da notte in testa.
Qualcuno potrebbe obiettare: "Certo Grosz ha ragione, ma... "
Rinaldo Boggiani
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