Alcuni l'hanno definito "lo Spock italiano",
il più noto pediatra americano, autore di un manuale sulla prima infanzia
letto da milioni di famiglie negli Stati Uniti e nel mondo. Ed in effetti Marcello
Bernardi è forse il più noto pediatra oggi in Italia: il suo libro
Il nuovo bambino, che più che un libro è un manuale, una guida per
"tirar su bene" i bambini fin dalla nascita, ha avuto una diffusione
di massa. Il suo ultimo libro La maleducazione sessuale, incentrato sulla critica
dell'educazione sessuale e dei falsi miti della presunta "liberazione sessuale",
ha avuto un'eco minore.
In Italia - afferma Bernardi - non è "normale" che
un pediatra, che dovrebbe occuparsi solo dei bambini che hanno mal di pancia o
che fanno pipì a letto, si interessi anche dei più generali problemi
della società. Francamente, credo che i miei "colleghi" pediatri
non si siano nemmeno accorti dell'uscita del mio ultimo libro.
Per le mie idee, per certe mie prese di posizione a volte mi sono sentito dare
dell'anarchico. Anche se la cosa non mi dispiace, debbo francamente dire che istintivamente
rifiuto qualsiasi catalogazione. Al di là delle etichette, comunque, io
sono assolutamente convinto della necessità della libertà quale
condizione per il positivo sviluppo della personalità umana. Al bambino,
invece, si insegnano subito due cose: 1) che lo stato, la polizia, la famiglia,
in definitiva l'Istituzione è indispensabile, a meno che non si voglia
tutti finire travolti dall'anarchia (come molti amano definire il caos); 2) che
la sua identità di individuo, di bambino, implica di necessità l'Istituzione,
tanto che la funzione stessa di un individuo (operaio, impiegato, ecc.) rappresenta
la categoria nella quale egli si deve necessariamente inserire. Ciò che
gli si vuol fra credere è che, in ogni caso, un padrone è necessario,
sia esso il papà, il maestro, il prete, l'ufficiale dell'esercito o il
padrone della fabbrica.
Inutile insistere nella critica alla "pedagogia tradizionale":
su questo terreno la concordanza di opinioni tra gente di sinistra è ovvia,
completa. Ma non sta proprio qui un possibile pericoloso equivoco? Che cosa si
nasconde dietro il generale unanimismo a favore di sistemi educativi più
liberi? E soprattutto, che significato e che funzione può avere oggi, in
questa società, una "pedagogia libertaria"?
Libertà
obbligatoria?
Io ho l'impressione - risponde Bernardi - che in molti casi ad un'imposizione
di destra se ne sia sostituita un'altra di sinistra. Dopo la distruzione di un
mito pedagogico di stampo tradizionalista, si è voluto riempire il vuoto
(ma quale vuoto, non riesco a capire) con l'imposizione di un altro mito di tipo
progressista (si fa per dire, naturalmente). Si è cercato di imporre la
"libertà obbligatoria", ma questa non è più libertà.
Anche il vasto e contraddittorio "movimento" delle comuni, cioè
il tentativo di spezzare antiche tradizioni di vita famigliare per sperimentare
nuove forme di convivenza (e quindi di "educazione"), viene analizzato
da Bernardi sotto questa luce critica.
Per lodevoli che possano essere giudicate le intenzioni dei promotori di quegli
esperimenti, resta immutato il fatto che il bambino viene pesantemente condizionato
dagli adulti: sono loro che vogliono fare la loro "rivoluzione", sono
loro che sentono determinati problemi e che tentano di risolverli come meglio
credono: il bambino, ancora una volta, non è che un "oggetto"
nelle loro mani, il capro espiatorio dei loro problemi. Troppo spesso ci si dimentica
che, almeno nei suoi primi due o tre anni di vita, il bambino è un essere
rivoluzionario, infinitamente più rivoluzionario degli adulti: dopo con
il passare del tempo, sotto il "bombardamento" della famiglia e della
società, lo è sempre di meno, le sue difese diventano sempre meno
valide finché, coma ha scritto Laing, a 15 anni ci troviamo davanti un
cretino, esattamente uguale a noi. Io vorrei, invece, che il bambino potesse evolvere
per conto suo.
D'accordo, ma come? In quali strutture?
In nessuna struttura. Assolutamente nessuna.
Chiedo a Bernardi se ritiene possibile una famiglia "diversa",
più aperta, non rigidamente strutturata, come è stata "tentata"
e anche realizzata in molte esperienze comunitarie. Mi risponde con un drastico
"no": a suo avviso la famiglia, cioè quella struttura formata
da una figura maschile (che può essere o non essere il padre), che rappresenta
un certo tipo di ruolo, da una femminile, che rappresenta un altro ruolo, e dai
bambini, questa struttura "famiglia" è di per sé stessa
negativa. E va distrutta, sempre e comunque.
Se si vuol cominciare qualcosa di diverso, bisogna svincolarsi da concetti,
come quello di famiglia, che sono terribilmente sbagliati. Sia ben chiaro: io
non voglio negare che ogni essere umano abbia diritto ad un suo nucleo affettivo,
cioè ad avere alcune persone alle quali è legato da rapporti affettivi
- ma questo non significa creare una famiglia. Ciò significa semplicemente
che alcune persone (quali, non so) stanno insieme perché si amano e si
aiutano l'una con l'altra: ma questa, lo ripeto, non è una famiglia. io
credo che spesso, dietro a grandi paroloni "progressisti", si nasconda
solo la volontà (ed io sono convinto che di volontà si tratta) di
non mettere in discussione schemi, abitudini, tradizioni, che in effetti si ha
paura di modificare. È difficile, in effetti, sottoporre se stessi ed il
proprio operato ad una critica costante: è difficile e richiede una buona
dose di volontà, che forse non si può nemmeno pretendere da tutti.
Ma resta comunque il fatto che, per cambiare le cose, questa è la strada
da percorrere.
Il ruolo
sociale del bambino
Bernardi insiste nella sua critica all'istituzione famigliare, che giudica
una delle fonti principali di oppressione e di sofferenza per un bambino. Riferendosi
alla sua esperienza professionale, cita il diverso "tipo" di bambini
che riscontra nelle aree urbane (dove la famiglia è davvero famiglia, con
il padre, la madre e basta, tutti chiusi tra le quattro mura) ed in campagna (dove
invece la famiglia è necessariamente meno ripiegata su se stessa, più
numerosa, più "comunità").
I bambini che vivono in realtà familiari chiuse sono i più disgraziati,
si può dire che spesso la loro personalità viene "disintegrata"
dalla famiglia. Si pensi solo al gran numero di separazioni e di divorzi che avvengono:
al bambino costretto fino a quel momento a far perno sulle due sole figure del
padre e della madre, vengono tolte le sue certezze; Tutto gli crolla attorno,
ed è lui a pagarne più di tutti le conseguenze: molte nevrosi cominciano
proprio così.
Il discorso si sposta sul "ruolo sociale" del bambino. Bernardi
mette in rilievo che le motivazioni per le quali gli individui (compresi i bambini)
agiscono sono sempre di carattere affettivo: è l'amore (per se stessi,
per gli altri, ecc.) che spinge gli uomini a fare, istintivamente. Vi sono poi
motivazioni "esterne" , indotte dall'ambiente circostante, di carattere
puramente economico, redditizio: si fa per i soldi, per il guadagno, per la posizione.
Il bambino - sottolinea il mio interlocutore - conosce solo le prime
motivazioni, non concepisce nemmeno alla lontana quelle economiche. Sarà
la società a imporgliele, instillandogli il mito del lavoro, della produttività,
del guadagno. Il bambino istintivamente gioca, non produce: anche in ciò
sta il suo essere radicalmente rivoluzionario. Spesso siamo noi adulti a non comprendere
il significato di tutto questo, spingendo il bambino a trovare la sua "normalità"
proprio sul terreno delle motivazioni economiche: è la solita storia, siamo
sempre noi "adulti sociali" a voler trasformare i più piccoli
in essere simili a noi. E così cominciamo a costruire il futuro suddito,
schiavo, obbediente, ossequioso.
Inevitabilmente il discorso cade su Fromm, che nel suo best-seller Avere
o essere ha sviluppato la tematica qui solo accennata. Bernardi è d'accordo
con Fromm e ci tiene a sottolineare la "pericolosità sociale"
del gioco dei bambini, che altro non sono che esseri umani nello stadio affettivo
(prima cioè di venir condizionati dalle motivazioni economiche).
Il gioco non produce, e qui sta il suo valore rivoluzionario. È per
questo che sono sempre stato contrario ai giochi didattici, che vogliono essere
giochi produttivi: i "veri giochi", invece, producono solo gioia e felicità.
Nient'altro.
E non vi è dubbio - prosegue Bernardi - che dall'infanzia alla morte
il gioco più gioco, quello che da più gioia e felicità, è
la sessualità: attuandola l'uomo raggiunge l'estasi, che noi chiamiamo
orgasmo e che gli antichi definivano "piccola morte". Definizione certamente
appropriata, perché nel momento dell'orgasmo - e solo in quello - l'uomo
esce da se stesso. La sessualità è dunque il gioco per antonomasia,
quindi è anche il gioco che "produce" di meno: anzi, non solo
non produce, ma ostacola anche la produzione tanto che naturalmente un operaio
non ha alcuna voglia di andare a lavorare (magari alla catena di montaggio) quando
sa che in alternativa può andare a letto con la sua ragazza.
Durante il maggio francese venne fuori lo slogan "abbraccia la tua ragazza
ma non mollare il fucile": io sono d'accordo, ma dobbiamo renderci conto
delle difficoltà connesse con la traduzione in pratica di quello slogan.
Certo, in linea di massima non dobbiamo "mollare il fucile", cioè
abbandonare il terreno dello scontro: ma non possiamo nemmeno passare tutta la
vita con il fucile in mano, sempre in prima fila nella lotta per l'altrui
felicità. Noi vogliamo lottare per la felicità di tutta l'umanità,
e sta bene: ma nella stessa misura dobbiamo volere la nostra felicità,
la realizzazione della nostra sessualità. E questo la società non
potrà mai tollerarlo, perché così vengono scardinate le fondamenta
stesse sulle quali si basa l'attuale organizzazione sociale.
Liberazione
dalla sessualità
Quando si affronta in questi termini la questione sessuale, per riaffermarne
l'importanza ed anche la "centralità" sia al giorno d'oggi sia
nell'ambito di un progetto rivoluzionario, Wilhelm Reich salta sempre in ballo.
Il suo pensiero e le sue attività, pur così vari, contraddittori
e spesso discutibili, costituiscono indubbiamente un punto di riferimento fondamentale,
con il quale bisogna ancora oggi fare i conti. Bernardi ricorda di essere stato
tacciato più volte di essere un reichiano (oltre che un anarchico) non
a torto: dichiara infatti di condividere in pieno l'impostazione generale data
da Reich alla questione sessuale. Tralasciando dunque queste linee generali, qual'è
l'opinione del mio interlocutore sull'educazione sessuale, questa nuova materia
che in molti Paesi stranieri da tempo s'è imposta come normale materia
d'insegnamento nelle scuole e che, grazie alla spinta dei "progressisti"
sta facendo capolino anche da noi?
L'educazione sessuale - risponde Bernardi - è assolutamente antipedagogica:
è l'antibiotico che la società usa per distruggere il geme della
sessualità. Così come è progettata o attuata oggi, infatti,
essa consiste in due operazioni: 1) dare delle informazioni così freddamente
informative da essere ripugnanti (mi ricorderò sempre di quel bambino,
mio paziente, che dopo aver assistito ad lacune lezioni di educazione sessuale,
venne da me e mi chiese se il sesso era poi davvero così brutto come gliel'avevano
presentato); 2) fornire delle norme di comportamento su quel che si deve e quel
che non si deve fare. Prima ti dicono "il sesso è così"
e te lo presentano in modo che ti faccia schifo, poi ti dicono "anche se
fa schifo, puoi adoperarlo, però in questo modo". Io mi chiedo se
ciò possa esser chiamato educazione sessuale.
E allora cos'è per Lei l'educazione sessuale "vera"? O
meglio, è auspicabile e possibile un'educazione sessuale "diversa"?
O non sarebbe forse meglio impegnarsi solo a garantire il massimo di libertà
affinché ognuno possa sperimentare in piena libertà e trovare così
nella pratica il suo approccio alla sessualità?
Indubbiamente, è così e non potrebbe essere che così.
Secondo me è possibile solo una liberazione totale della sessualità,
che sicuramente si scontrerà con il mondo in cui viviamo. Certo, questo
significa anche che i bambini si troveranno ad avere un impatto più "duro"
con la realtà circostante, perché lasciati privi di tutte quelle
regole e norme di comportamento che oggigiorno vengono loro inculcate. Ma a me,
francamente, questa storia secondo cui dovremmo essere noi adulti a risolvere
tutti i problemi dei bambini, non piace e non è mai piaciuta. Parliamoci
chiaro: ai bambini si può dire tutto e si deve dire tutto, naturalmente
dietro loro richiesta. Nemmeno in questo caso bisogna intervenire autoritariamente,
costringendoli a sapere cose che non chiedono. Ma quando chiedono, bisogna rispondere
loro senza reticenze: si può spiegare benissimo che cosa sia la pederastia
ad un bambino di tre anni, così come si può spiegare benissimo cos'è
un vibratore ad una bambina di due anni e mezzo. Il bambino recepisce queste informazioni
come tali, senza giudicare se è una brutta cosa o no: il bambino infatti
è (e abbiamo visto che col passare del tempo lo diventa sempre meno) libero
dai pregiudizi, dai tabù, dalle inibizioni che abbiamo noi adulti.
Noi non dobbiamo condizionarlo con tutto ciò: il nostro unico compito è
quello di dargli la libertà di essere un uomo, e basta. Non dobbiamo "programmare"
la risoluzione dei suoi problemi presenti e futuri: deve essere lui stesso a farlo,
a poterlo fare, in piena libertà.
P.F.
(tratto da "A" 70 dicembre 1978 - gennaio 1979)
Marcello Bernardi è certamente stato il più famoso
pediatra italiano. Il suo libro Il nuovo bambino ha venduto ben oltre il
mezzo milione di copie. Nato nel 1922 a Rovereto, si è trasferito a Milano
nel 1934, dove ha svolto la sua attività professionale. Nelle Conversazioni
con Marcello Bernardi. Il libertario intollerante (Elèuthera, Milano
1996, pagg. 152, lire 20.000) con l'amico Roberto Denti - che ha fondato con la
moglie Gianna, nel 1972, la Libreria dei Ragazzi di Milano, la prima del genere
in Europa - Bernardi parla, del tutto prevedibilmente, di figli e genitori, di
scuola e di educazione sessuale, ma anche di religione, di fiabe, di potere...
Incalzato da Denti a ripensare il già scritto, a dire il non detto, a scoprirsi
più di quanto amerebbe la sua garbata scontrosità, Bernardi ci dà
un bellissimo autoritratto d'intellettuale aperto e spigoloso, appassionatamente
di parte: dalla parte dei bambini e dei ragazzi. E della loro libertà.
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