Sono noti, nelle linee essenziali, i rapporti di collaborazione
realizzatisi tra Carlo Rosselli e il movimento Giustizia e Libertà (GL)
da un lato e gli anarchici italiani e spagnoli dall'altro durante le prime fasi
del volontariato antifascista italiano nella guerra civile spagnola.
Molto meno si è invece sino ad oggi indagato e riflettuto da parte degli
studiosi su tutto ciò che fu a monte di quella collaborazione e ne rappresentò
la premessa politica, vale a dire sull'insieme dei rapporti intercorsi durante
la prima metà degli anni Trenta tra il movimento giellista e il movimento
anarchico italiano in esilio. Dove ovviamente se con GL si indica un'entità
politica definita e strutturata, seppure in forma non partitica, la dizione di
movimento anarchico va invece intesa in maniera estensiva, tale da comprendere,
oltre al gruppo parigino che a partire dal 1927 ha dato vita a un organo di stampa,
La Lotta Umana, poi La Lotta Anarchica, che si richiama al programma
dell'Unione Anarchica Italiana, anche tutto un insieme di circoli, gruppi, piccoli
nuclei di militanti sparsi in diverse località d'Europa e d'America, tenuti
assieme da un vincolo pressoché esclusivamente politico-ideale e dal canale
di collegamento rappresentato da giornali quali Il Risveglio di Ginevra,
Studi Sociali di Montevideo, Il Martello e L'Adunata dei Refrattari
di New York.
Nella composita realtà dell'anarchismo italiano in esilio l'apparizione
sulla scena antifascista della novità rappresentata da "Giustizia
e Libertà" suscita quasi subito il più vivo interesse. Ciò
per diverse ragioni.
Va anzitutto considerato che GL sorge in alternativa, se non in contrapposizione
dichiarata, alla concezione e ai metodi di lotta adottati da quella Concentrazione
antifascista alla quale, sin dalla costituzione, gli anarchici non avevano risparmiato
le più aspre critiche di attendismo sterile.
Al contrario, è immediatamente percepibile la carica attivistica che anima
i promotori del nuovo movimento, un attivismo che, come certamente non sfugge
ai più attenti tra gli osservatori libertari, affonda le sue radici nel
dichiarato rifiuto del determinismo marxista proprio dell'autore di Socialisme
libéral.
A ciò si aggiunga che il volontarismo etico che pervade i fondatori di
"Giustizia e Libertà" non solo si esprime nel proclamato primato
dell'azione; ma quest'ultima, contrapposta alle sterili diatribe ideologiche dell'esilio,
intende anche come atto audace esemplare, capace di scuotere coscienze sopite,
risvegliare entusiasmi, indurre a fenomeni imitativi.
Niente di più emblematico in tal senso delle reazioni suscitate da quell'attentato
di Fernando De Rosa al principe Umberto di Savoia in visita a Bruxelles che si
produce nell'ottobre del 1929 proprio a poche settimane di distanza dall'avvenuta
costituzione di GL: mentre gli esponenti della Concentrazione antifascista, sia
nelle discussioni interne che nelle prese di posizioni ufficiali, pur non negando
solidarietà antifascista a De Rosa, esprimono disapprovazione per atti
di terrorismo giudicati politicamente improduttivi e che se compiuti in Paesi
stranieri possono creare difficoltà a tutta l'emigrazione politica italiana;
al contrario i giellisti, lungi dal far propria la condanna aprioristica del terrorismo
individuale, manifestano piena approvazione per l'operato di De Rosa, sostenendo
che in un regime dittatoriale che ha privato gli oppositori di ogni mezzo legale
di lotta, l'alternativa è tra la sottomissione servile e il ricorso a "la
rivoluzione di massa e l'attentato individuale". Conformemente a tale presa
di posizione, nei mesi successivi manifestini di esaltazione del gesto di De Rosa
vengono clandestinamente diffusi dalle organizzazioni di GL in Italia, mentre
nelle pubblicazioni estere del movimento De Rosa viene salutato come "il
campione dell'antifascismo, la coscienza ribelle di una generazione".
Gli anarchici in esilio non solo si trovano accomunati ai giellisti nell'esaltazione
del gesto di De Rosa espressione dell' "odio insopprimibile del popolo d'Italia
per la tirannia clerico-sabauda-fascista" e le "sue opere quotidiane
di oppressione, di violenza, di delitto e di corruzione", ma salutano con
toni altrettanto entusiastici il volo di Bassanesi su Milano del luglio 1930 assumendolo
ad emblema della carica attivistica e insurrezionalistica che anima il movimento
giellista. "Il programma del movimento che s'intitola 'Giustizia e Libertà'
non è il nostro - si legge in un giornale di notevolissima diffusione e
prestigio negli ambienti anarchici internazionali quale il ginevrino Il Risveglio
-, ma in quanto tende a fare insorgere il popolo italiano contro il fascismo lo
salutiamo con gioia, anche perché non avanza una pretesa di direzione esclusiva,
non nega a priori la possibilità di accordi fra varie correnti, non si
dà per unico interprete d'una dottrina infallibile, di cui ha monopolizzato
la rivelazione e l'esecuzione".
All'apprezzamento per il carattere movimentista di GL, per la sua apertura alla
collaborazione, sul piano dell'azione insurrezionale, con uomini e forze di diversa
estrazione politica, si accompagna il prestigio di cui gode negli ambienti libertari
un esponente di primissimo piano di GL quale quell'Emilio Lussu, il quale, respingendo
il 31 ottobre 1926 da solo, armi in pugno, l'assalto di centinaia di squadristi
alla propria abitazione cagliaritana, ha dato un esempio luminosissimo di determinazione
eroica nel fronteggiare la violenza reazionaria, cui dovrebbero attingere - sostengono
i redattori de Il Martello - gli antifascisti tutti.
Stando così le cose, la decisa presa di distanze dal movimento giellista,
con l'insistita denuncia che dei caratteri "borghesi" e "moderati"
del movimento fondato da Rosselli esprime sul finire del 1930 Camillo Berneri
dalle pagine de L'Adunata dei Refrattari, ha tutta l'aria di voler più
che altro "tamponare", con il richiamo puntuale a basilari discriminanti
ideologiche, l'ondata di simpatie umane e politiche che tra gli anarchici italiani
in esilio ha suscitato il movimento giellista. Tale rigida presa di posizione
appare infatti finalizzata, come dirà esplicitamente qualche mese dopo
il giovane pubblicista anarchico - dalle colonne sempre di quell' Adunata dei
Refrattari che non a caso, tra i maggiori giornali anarchici di lingua italiana,
è quello di gran lunga più intransigente in tema di rapporti e di
alleanze tra antifascisti di diverso colore politico -, ad evitare "che degli
elementi nostri si lascino polarizzare dai movimenti sedicenti rivoluzionari,
che preparano i quadri ed i mezzi repressivi di una repubblica conservatrice".
Ma la capacità di attrazione esercitata su non pochi militanti anarchici
dall'attivismo cospiratorio di GL, dalla mai rinnegata predilezione giellista
per azioni audaci ed atti esemplari (non escluse azioni terroristiche dimostrative
del tipo degli attentati incendiari agli Uffici finanziari e compresi i ripetuti
progetti di attentati alla vita di Mussolini nei quali si cimenterà uno
dei componenti del vertice esecutivo di GL: Alberto Tarchiani), dall'esempio di
dedizione alla causa e di fermezza morale che hanno offerto decine e decine di
militanti giellisti tradotti davanti al Tribunale speciale, prevale in più
di un'occasione sulle pregiudiziali ideologiche. È quanto traspare dalle
colonne de Il Martello, in cui, nel commentare l'avvenuta pubblicazione
(gennaio 1932) dello Schema di programma rivoluzionario di Giustizia e Libertà,
si sostiene che nei confronti dei militanti del movimento giellista, definito
esplicitamente "la forza più importante" tra quante operano sul
terreno della lotta antifascista, non debba esservi da parte degli anarchici "nessuna
antipatia, né dottrinale, né personale [...]. Essi hanno delle buone
intenzioni. Queste sono naturalmente in relazione alle loro convinzioni, ai loro
interessi, alla loro mentalità [...]. 'Giustizia e Libertà', composta
di borghesi, combatte con tutti noi una comune battaglia. La battaglia antifascista.
E forse con più potenza e più efficacia di noi. Molti dei suoi aderenti
sono nella fornace. Rischiano ad ogni momento la libertà. E quanti di essi
sono già passati al massacro del Tribunale speciale!".
A spingersi ancora oltre è Alberto Meschi, che in un intervento dal titolo
Gli anarchici e "Giustizia e Libertà", che appare sia
ne La Lotta Anarchica (1° maggio 1932) che ne Il Martello (2
aprile 1932), non si limita ad indicare in "Giustizia e Libertà"
il movimento che "ha scritto pagine splendide nella lotta contro il fascismo",
ma, con riferimento al Programma di GL, apparso sul primo numero (gennaio 1932)
dei Quaderni di Giustizia e Libertà e destinato a suscitare ampie
discussioni e vivaci polemiche negli ambienti antifascisti, dichiara di apprezzare
di esso quella componente rivoluzionario-spontaneistica rappresentata dall'ipotesi
di comitati locali rivoluzionari cui sarebbe toccato, all'indomani della
rivoluzione antifascista vittoriosa, di porre le basi della nuova organizzazione
sociale indipendentemente e prima della convocazione di un'assemblea costituente;
arrivando ad ipotizzare la partecipazione degli anarchici ai comitati in questione
al fine di combattere e imbrigliare dall'interno il temuto ritorno delle tendenze
autoritarie e statolatre.
Ve ne è a sufficienza per suscitare le reazioni di chi come Gigi Damiani
sostiene che, riconosciuto il diritto a "Giustizia e Libertà"
a darsi un programma, "che è un programma di Stato, di governo",
e ferma restando la possibilità d'intesa tra forze diverse nella battaglia
contro il comune nemico, occorre però guardarsi dal pericolo di una forma
di compartecipazione, come quella ipotizzata dal Meschi, "che fatalmente
si risolverebbe poi più che in una fusione di forze in una subordinazione
nostra a movimenti non nostri ed al nostro antagonistici". Ancora più
dura la reazione del gruppo redazionale de La Lotta Anarchica, che, dopo
aver liquidato il Programma di GL alla sua apparizione come "di pura marca
ed essenza piccolo-borghese", farà seguire all'articolo di Meschi
ospitato nel quindicinale libertario una postilla redazionale in cui si sostiene
che le proposte "collaborazioniste" dell'esponente anarchico sono rivelatrici
di uno stato d'animo di sfiducia sul futuro della dottrina e della pratica libertarie.
Ben maggiore inquietudine e preoccupazione susciteranno di lì a poco tra
gli anarchici intransigenti della newyorkese Adunata dei Refrattari e i
rigorosi custodi dell'ortodossia libertaria raccolti attorno a La Lotta Anarchica
di Parigi, i pronunciamenti "filogiellisti" di colui che, dopo la
morte di Malatesta, è la più prestigiosa figura del movimento anarchico
italiano in esilio: Luigi Fabbri. Questi già a metà del 1932 aveva
dichiarato di aver guardato al sorgere e all'affermarsi del movimento giellista
con viva simpatia perché, "facendola finita con le chiacchiere, scendeva
sul piano dell'azione dove era più pericoloso ed utile insieme: in Italia",
e che malgrado il carattere democratico-borghese, venato di riformismo socialista,
di GL, "il sorgere di una forza così attiva sopra un terreno francamente
antimonarchico e insurrezionale, non escludente neppure la rivolta individuale,
costituiva lo stesso di per sé un fatto rivoluzionario nuovo e pieno di
promesse per tutti quanti vogliamo una rivoluzione in Italia".
L'anno successivo, rispondendo ad un'inchiesta promossa dai Quaderni di Giustizia
e Libertà sul tema del rinnovamento politico e ideale dell'antifascismo,
Fabbri ribadisce la simpatia provata sin dal primo momento per GL, per "l'essersi
essa posta sul terreno francamente insurrezionale, non escludente neppure la rivolta
individuale, [per] il suo anelito di libertà, il suo volontarismo dinamico
e i suoi propositi di azione diretta, di azione soprattutto in Italia". Fabbri
mostra inoltre di apprezzare quelle parti del Programma di "Giustizia e Libertà"
che, prevedendo una serie di radicali trasformazioni socioeconomiche immediate,
scaturenti dalla spontaneità creatrice del processo rivoluzionario, conferiscono
alla rivoluzione antifascista un carattere tendenzialmente libertario, di libera
creazione dal basso, ben diverso dal modello autoritario e statalista della concezione
marxista.
"Credo - scrive Fabbri - che se questo movimento conserverà il suo
slancio iniziale e soprattutto il suo carattere di azione sul terreno cospiratorio
e insurrezionale in Italia, subito, fin da ora e non solo come progetto
per il domani, esso potrà essere un fattore di primo ordine per la rivoluzione
italiana. Ciò che soprattutto approvo di esso è l'idea che la rivoluzione
debba procedere immediatamente, fin dai primi passi, e senza rimandarle a più
tardi e alle decisioni insicure di costituenti, plebisciti, governi ecc., a realizzazioni
pratiche di demolizione, espropriazione e riorganizzazione che possano restare
conquista acquisita del popolo italiano". Quindi, in conclusione - sostiene
Fabbri -, niente confusionismi ideologici deleteri ma neppure rivalità
meschine e settarismi ingiusti tra anarchici e giellisti, ma un atteggiamento
equilibrato che nel "mentre non deve escludere la critica e discussione serene
dei punti controversi del programma o degli eventuali errori di GL", non
deve neppure escludere "dall'altro lato, volta a volta, per singole sue azioni
determinate, il concorso spontaneo del proprio sforzo, senza patteggiamenti, né
impegni per il poi, né pretese di contraccambio e rinuncia".
Posizioni che Fabbri riconfermerà in un successivo articolo in Studi
Sociali, anche per rispondere alle ripetute obiezioni critiche dei compagni
de L'Adunata dei Refrattari che, in un articolo a firma del direttore del
quindicinale anarchico Raffaele Schiavina, non mancheranno di esternare la "dolorosa
impressione" in essi suscitata dalle dichiarazioni "filogielliste"
di Fabbri.
Ma l'attenta considerazione, e financo il franco apprezzamento di taluni aspetti
del movimento giellista, non sono all'interno del movimento anarchico italiano
prerogativa esclusiva di Fabbri, come staranno per l'appunto a dimostrare le discussioni
che si sviluppano in occasione di quel Convegno d'intesa degli anarchici italiani
emigrati in Europa che si tiene a Parigi nell'ottobre del 1935, proprio alcune
settimane dopo la morte di Fabbri occorsa a Montevideo nel giugno dello stesso
anno.
Avviene infatti che in una delle relazioni introduttive ai lavori del Convegno,
imperniata sul problema dei rapporti dei libertari italiani con gli altri partiti
e gruppi antifascisti, si indichi in "Giustizia e Libertà", oltre
che in alcuni settori del repubblicanesimo e del sindacalismo rivoluzionario in
esilio, l'interlocutore privilegiato per l'avvio di un leale e proficuo rapporto
di collaborazione tra combattenti dell'antifascismo di orientamento diverso ma
accomunati dall'avversione ai "partiti e gli uomini del passato, rimasti
invariabilmente gli stessi aspiranti al potere, disposti a compromessi politici
e sociali". Sono per l'appunto le componenti "eretiche" e minoritarie
della sinistra italiana rimaste fuori dalla logica della politica di unità
d'azione socialcomunista avviatasi nel 1934, le forze con le quali, come si ribadisce
in un altro documento del Convegno, gli anarchici devono essere disposti al dialogo
e, se possibile, all'intesa, anche al fine di controbattere la manovra tendente
all'isolamento dei libertari tentata dai comunisti "bolscevichi". Con
questi ultimi nessun dialogo è assolutamente possibile, perché significherebbe
dimenticare "che per noi [anarchici] e per la rivoluzione sociale, il nemico
più perfido e insidioso, dopo il fascismo, è il partito comunista
ufficiale", stante la sua dichiarata intenzione di sostituire la tirannide
fascista con quella "dittatura cosiddetta 'proletaria', la quale, in fin
dei conti, diventa perniciosa e tirannica quanto l'autocrazia".
Luigi Fabbri
Ancora più esplicito l'intervento nel dibattito del Convegno parigino
di Sabino Fornasari (che figura negli atti con lo pseudonimo Lambrusco),
il quale motiva l'opinione per cui siano opportuni i contatti e, in qualche misura,
anche la collaborazione con "Giustizia e Libertà", facendo osservare
che "GL più che un partito è un 'movimento rivoluzionario',
movimento sorto in un momento storico molto difficile ed animato da uno spirito
rivoluzionario e cospirativo che raramente troviamo negli altri gruppi politici.
Inoltre conviene tener conto che, mentre gli altri partiti hanno sempre calunniato
e vituperato il movimento anarchico, anche in quello che ha avuto di più
generoso ed eroico, GL non solo ha compreso ed apprezzato, in certe circostanze,
il nostro apporto all'azione rivoluzionaria e cospirativa, ma ci ha pure, a volte,
incoraggiati e forse aiutati".
Ma l'aspetto più interessante della questione, per alcuni aspetti ancor
più rilevante e significativo delle ripetutamente manifestate simpatie
filogielliste di Fabbri e delle prese di posizione fatte registrare dal Convegno
d'intesa dell'ottobre 1935, è il mutamento che, a metà degli anni
Trenta, si registra nell'atteggiamento di Berneri nei confronti di "Giustizia
e Libertà". Nessuna incondizionata apertura di credito né deroghe
dall'ortodossia libertaria, ma un atteggiamento di grande interesse, di vigile
attenzione verso gli sviluppi interni del movimento giellista. Ad esso contribuiscono
diversi fattori.
Concorre indubbiamente la constatazione dello spazio e della risonanza che sulla
stampa giellista hanno gli interventi di un intellettuale dalle spiccate connotazioni
socialiste-libertarie come Andrea Caffi, le cui penetranti analisi dei meccanismi
degenerativi, in senso sempre più marcatamente illiberale e autoritario,
delle società di massa non possono non suscitare l'interesse di un osservatore
dell'acutezza di Berneri.
Va poi ricordato come le più volte ricorrenti critiche di Rosselli agli
aspetti più opprimenti della moderna organizzazione statale siano sfociate
nel celebre articolo del settembre 1934 Contro lo Stato, destinato a suscitare
non poche polemiche all'interno del stesso movimento giellista, nel quale Rosselli
spinge la propria provocazione politico-intellettuale sino ad espressioni del
tipo: "vi è un mostro nel mondo moderno - lo Stato - che sta divorando
la Società [...]. L'alternativa è ormai chiara: o lui, lo Stato,
schiaccia noi, la Società, o noi abbattiamo lo Stato moderno liberando
la Società". Per giungere alla conclusione che "la rivoluzione
italiana, se non vorrà degenerare in una nuova statolatria, in più
feroce barbarie e reazione, dovrà, sulle macerie dello Stato fascista capitalista,
far risorgere la Società, federazione di associazioni quanto più
libere e varie possibili".
Non si può inoltre prescindere dal fatto che il dibattito interno a GL,
sviluppatosi nel corso del 1933, sull'opportunità della trasformazione
o meno del movimento in partito, si è, almeno provvisoriamente, risolto
con la prevalenza della tesi di Rosselli che intende GL non come organismo partiticamente
strutturato ma come "libera federazione dei nuclei che saranno i partiti
di domani e che hanno già in comune un certo numero di principi fondamentali
(lotta rivoluzionaria, rivoluzione non solo politica ma sociale, autonomie, rispetto
del metodo della libertà)"; una libera federazione non escludente
la costituzione, all'interno di essa, di gruppi di studio e di tendenza marxisti,
federalisti, socialisti liberali, sindacalisti, comunisti, liberali, anarchici,
tenuti insieme dalla disciplina del lavoro rivoluzionario, i quali discutano ed
elaborino le idee e i programmi per la nuova Italia.
Più in generale, è l'insieme del dibattito e del travaglio politico
e culturale interno a GL che denota la prevalenza, attorno alla metà degli
anni Trenta, di un socialismo dalle spiccate connotazioni autonomiste e federaliste.
Autonomismo non solo e non tanto nel senso dell'autonomia quale criterio gestionale
delle aziende delle quali il Programma del 1932 prevedeva la socializzazione,
ma nel significato politico più ampio, per come gobettianamente inteso
dal gruppo giellista torinese raccolto attorno a Leone Ginzburg, dell'autonomia
quale principio ispiratore e criterio informatore del libero sorgere e dello spontaneo
costituirsi di una pluralità di formazioni democratiche nelle quali si
sarebbe articolata la futura vita politica e sociale dell'Italia liberata dal
fascismo.
A sviluppare il tema dell'autonomia intesa essenzialmente quale spontaneità
rivoluzionaria creatrice di forze non imbrigliate negli schemi di un rivoluzionarismo
dottrinale, contribuisce per l'appunto Rosselli sostenendo che, "una volta
scatenate le forze di libertà alla base della vita sociale e abbattute
le forze del privilegio e dell'oppressione di classe al vertice dello Stato, allora
la vita riprenderà, si riorganizzerà. Sarà il popolo, allora,
a decidere attraverso le nuove istituzioni sorte dalla rivoluzione (comitati rivoluzionari,
consigli, comuni, cooperative ecc.) le sue forme definitive di vita. Sarà
il popolo che si autogovernerà".
In virtù di questa sottolineatura spontaneistica, l'autonomismo si riconnette
al federalismo, quest'ultimo inteso non tanto in senso territoriale quanto nei
termini di una libera aggregazione tra gli istituti politici, economici, sociali
cui avrebbe dato vita la spontaneità creatrice del processo rivoluzionario.
E non è certamente un caso che Rosselli sia stimolato ad approfondire e
sviluppare temi siffatti proprio nell'ambito del serrato confronto dialettico
che egli ha con Berneri nel dicembre del 1935 sulle colonne di Giustizia e
Libertà settimanale sul tema dell'apporto che dagli anarchici italiani
sarebbe potuto venire a una rivoluzione antifascista imperniata su ideali non
antitetici a quelli del socialismo libertario. È proprio allora che, stimolato
da Berneri a precisare i termini del federalismo e dell'autonomismo giellisti,
Rosselli enuclea nei seguenti termini i punti salienti di una concezione per cui
"gli organi vivi dell'autonomia non sono gli organi burocratici, indiretti,
in cui l'elemento coattivo prevale, ma gli organi di primo grado, diretti, liberi
o con un alto grado di spontaneità, alla vita dei quali l'individuo partecipa
direttamente o è in grado di controllare. Quindi il comune, organo territoriale
che ha in Italia salde radici e funzioni; il consiglio di fabbrica e di azienda
agricola, organo o uno degli organi dei produttori associati; la cooperativa,
organo dei consumatori; le camere del lavoro, i sindacati, le leghe, organi
di protezione e cultura professionale; i partiti, i gruppi, i giornali,
organi di vita politica; la scuola, la famiglia, i gruppi sportivi, i centri
di cultura e le innumerevoli altre forme di libera associazione, organi di
vita civile". Ne consegue che "è partendo da queste istituzioni
nuove o rinnovate, legate tra loro da una complessa serie di rapporti, e la cui
esistenza dovrà essere presidiata dalle più larghe libertà
di associazione, di stampa, di lingua, di cultura, che si arriverà a costruire
uno stato federativo orientato nel senso della libertà, cioè una
società socialista federalista liberale [...]".
Un confronto di elevato profilo politico e culturale, che vede Berneri controbattere,
con l'orgoglioso richiamo e la fiera rievocazione delle migliori tradizioni dell'anarchismo
italiano e internazionale, alla pretesa di Rosselli di autodefinire se stesso
e i suoi compagni i "libertari del XX secolo"; che lo vede rivendicare
puntigliosamente l'autonomia politica e organizzativa degli anarchici contro ogni
tentativo di assorbimento che li porterebbe "a fare, in seno a GL, la parte
che il rosmarino fa nell'arrosto", ma nello stesso tempo a non escludere
la possibilità che ulteriori sviluppi inducano GL ad evolvere decisamente
verso il socialismo libertario.
È un confronto quanto mai serio e rigoroso quello che, all'insegna di un
sincero spirito di tolleranza e di rispetto reciproco, si va sviluppando tra posizioni
di socialismo liberale (Rosselli) e socialismo libertario (Berneri) distinte ma
non antagoniste.
Un confronto che - giova notarlo - si produce proprio nell'imminenza dello scoppio
della guerra civile spagnola e da cui non si può prescindere per comprendere
le ragioni, tutt'altro che occasionali, dei rapporti di stretta collaborazione
che nelle prime fasi di essa si producono, anche sul piano dell'intervento militare,
tra giellisti e anarchici italiani e spagnoli.
Un confronto che si sarebbe con ogni probabilità ulteriormente approfondito
se un diverso ma comune destino di vittime della barbarie totalitaria non avesse
di lì a poco investito i protagonisti: Berneri assassinato il 5 maggio
1937 a Barcellona dagli agenti di Stalin; Rosselli trucidato il 9 del mese successivo
in terra di Francia dai sicari di Mussolini.
Santi Fedele
Santi Fedele (Messina, 1950) insegna Storia Contemporanea nella Facoltà
di Lettere e Filosofia dell'Università di Messina. Fa parte del Comitato
Scientifico della Fondazione Turati di Firenze ed è direttore dell'Istituto
Salvemini di Messina.
Umberto Marzocchi
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