Il
prezzo da pagare?
È possibile perdere più di un'ora per un banale controllo dei
documenti? È logico perdere il primo trenino rosso delle Ferrovie Retiche,
e quasi anche il secondo, a causa della subdola e gentile repressione democratica
della Polizia di Stato italiana?
A quanto pare sì ed è quello che ho vissuto in prima persona con
la mia compagna e la nostra figlia di 2 anni: praticamente "posteggiati"
contro la nostra volontà e i nostri desideri nell'atrio doganale di Tirano,
la mattina del 23 gennaio 2001.
Tirano - triste cittadella nel cuore delle Alpi - non confina col Kossovo, né
con la Serbia né tantomeno con l'Afganistan, bensì con la sempre
più extracomunitaria ... Confederazione Elvetica.
Il pittoresco trenino rosso in questione, fiore all'occhiello della rete ferroviaria
svizzera, dopo circa 3 km ferma nei pressi dell'abitazione di Annaberta e Renato,
madre e fratello del compagno Marco Camenisch attualmente detenuto a Biella, in
viale dei Tigli 14.
Ma al di là di questi aspetti affettivi sto comunque parlando della più
alta ferrovia d'Europa che, superando in superficie il passo del Bernina con i
suoi 2000 e passa metri di altitudine sul livello del mare, può permettere
di raggiungere le rinomate stazioni invernali di St. Moritz o Davos.
Nel mio caso, però, non è tanto importante il luogo di destinazione
quanto il dover pagare una penale in perdita di tempo e rottura di coglioni ogni
qual volta mi appresto (solo o in compagnia) ad attraversare questo innaturale
confine che divide artificialmente la mia bioregione.
Voglio scrivere tutto questo come testimonianza e non solo per una questione personale;
resto convinto fermamente che simili episodi di ordinaria amministrazione (repressiva)
siano una amara realtà, non certo virtuale, che limita ogni giorno la libertà
di transito non solo ai sovversivi impenitenti.
L'essenza dell'attuale democrazia neo-liberista, totalitaria di fatto e quindi
poco discutibile a parole, si manifesta anche così, prolungando i tempi
tecnici di un semplice controllo di documenti a discrezione del funzionario di
turno.
Peccato che le merci globalizzate - dal cibo transgenico alle farine animali -
e le svariate fonti d'inquinamento - da Chernobyl alle Galapagos - siano molto
fluide nei loro spostamenti; ringraziando anche per questo chi abusivamente pretende
di amministrare la nostra libertà e il nostro benessere.
Piero Tognoli
(Sondrio)
A
proposito di Leda Rafanelli
Cari amici di A,
ho letto il pezzo di Accame su Leda Rafanelli e credo sia opportuno fare alcune
precisazioni.
Ho conosciuto Leda nel 1970. Andai a trovarla a casa sua con Pier Carlo Masini
e Maria Molaschi. Di quell'incontro conservo un ricordo indimenticabile e una
registrazione che non ho nessuna intenzione di rendere pubblica. Con Leda avviai
anche una corrispondenza ed ho perciò alcune sue lettere.
Le informazioni che ho sono quindi di prima mano. Ho avuto modo di porre a Leda
domande esplicite e di avere risposte altrettanto esplicite. Leda era una donna
straordinariamente trasparente.
Ma andiamo con ordine. Le lettere di Una donna e Mussolini non furono pubblicate
da Leda ma da Giuseppe Monanni nell'immediato dopoguerra. Fu Monanni e non Leda
a conservarle, anzi a nasconderle, durante il fascismo. Monanni lavorava alla
Libreria Rizzoli ed offrì all'editore la pubblicazione. Ma per motivi comprensibili,
che però fanno inorridire lo storico, censurò le lettere tagliando
quelle parti che illustravano chiaramente come la relazione tra i due non fosse
stata semplicemente platonica. Leda disse a Masini e a me (Maria Molaschi sapeva
ma era troppo discreta per parlarne) che gli incontri avvenivano in alberghi e
che Mussolini dava il nome di Lorenzo Ardévi. Masini citò questo
particolare nella prefazione alla nuova edizione di Una donna e Mussolini (p.
20) e, anche se preferì non essere del tutto esplicito, a me - forse perché
ero al corrente della cosa - l'accenno sembra anche oggi piuttosto chiaro.
Purtroppo non possediamo gli originali delle lettere, come molto altro materiale
di Leda. La figlia di Monanni, infatti, mi raccontò che il padre aveva
un baule con giornali, lettere e materiali vari di Leda (mi disse che c'erano
giornali annotati da Mussolini) e che il tutto venne distrutto da sua madre (cioè
dalla donna che Monanni aveva sposata, lasciata Leda) per gelosia .
A parte le sciocchezze dei giornalisti pseudostorici come Petacco, qual è
il problema? Che Leda, come ammise, abbia amato Mussolini? Voglio citare la frase
di una lettera scritta da Leda a Carlo Molaschi il 5 settembre 1915 (le lettere,
di cui ho copia da più di 30 anni, verranno presto pubblicate ma non sarò
io a curarle):
"se Dio darà la forza di respingere [la lettera è strappata]
amore (ammesso che ancora lui lo senta!) o di non invocarlo, sarà solo
per rinunziare alla più atroce sofferenza. Perché Lui, ormai, è
troppo lontano da me; è un mio nemico, superiore a tutti gli altri nemici,
come lo sei tu; ma nemico, nemico, 33 volte nemico, perché con lui non
è possibile nemmeno l'amicizia che è stata possibile tra me e te,
che non ci siamo mai amati, perché tra noi due non è nato il desiderio
che è stato invece, per me e lui, la febbre e il tormento ". E quel
lui non era altri che Mussolini.
Fu a Leda per prima che Mussolini, pallido ed emozionato, confessò che
si sarebbe pronunciato per l'intervento, sapendo già che questo avrebbe
portato alla rottura. Da allora non si videro più.
Ci sono cose di cui non mi è mai parso necessario parlare. Ho ritenuto
opportuno farlo ora perché non trovo giuste certe affermazioni retrospettive.
All'epoca Mussolini era il direttore dell'"Avanti!" e molti giovani
socialisti avevano sviluppato una sorta di culto per quella figura che sembrava
incarnare le energie nuove del socialismo. Alcuni lo seguirono nell'intervento
e nel fascismo. Molti altri ruppero e divennero suoi avversari. Certo era uomo
capace di suscitare profonde passioni, in un senso o nell'altro.
Perciò non mi stupisco affatto che Leda abbia potuto amarlo. E non capisco
come si possa parlare di "diffidenza" nei confronti di "Mussolini
persona". È possibile che Mussolini fosse "cialtrone e bugiardo"
anche con Leda, ma ciò non toglie che lei vedesse le cose diversamente.
Del resto, non possiamo guardare tutto con gli occhi rivolti al fascismo.
Nel '14-'15 il fascismo non c'era. E se è vero che la scelta interventista
poteva provocare rotture, questo non significava che ingenerasse disprezzo o diffidenza.
Nella Giacomelli, che aveva disperatamente amato Oberdan Gigli fino al punto di
pensare al suicidio (anche qui ho una lettera che non renderò nota), ruppe
i rapporti con lui quando diventò interventista. Anni dopo li riprese insieme
con tutta la famiglia Molinari.
In ogni caso ho sempre nutrito un grande rispetto per i sentimenti e le scelte
di una donna come Leda. Anche per quanto riguarda l'Islam, che per Leda fu una
questione del tutto personale che non influenzò i suoi comportamenti politici
("Il velo mussulmano - quando lo metterò - sarà una sapiente
astuzia per... fingermi più giovane"). Del resto tutti gli anarchici
che frequentava, a partire da Carlo Molaschi, conoscevano la sua scelta islamica
e non consideravano affatto la sua "teoria" e la sua "pratica"
discutibili. Certo, Leda faceva la chiromante. A me volle leggere quelle
che lei chiamava le pietre egiziane. Splendide predizioni, debbo dire (sicuramente
per farmi piacere). Per anni, dopo la morte del figlio Aini, che aveva lasciato
la moglie e quattro figli/e, contribuì al mantenimento della famiglia predicendo
il futuro soprattutto ai marinai genovesi. Anche per questo la nuora e i nipoti
le erano molto legati.
Quanto al giudizio un po' ingeneroso di un altro amico scomparso, Gino Cerrito,
che mi piacerebbe vedere un po' più ricordato per le sue qualità
umane che non per qualche discutibile valutazione storiografica, Leda era una
individualista ma, a parer mio, ben poco influenzata da Nietzsche, amato peraltro
da Monanni (che ne pubblicò pure le opere) e da Molaschi. I due non erano
affatto influenzati dalle letture di Mussolini e ho la convinzione che, sotto
quel profilo, ne capissero ben più di lui. Il fatto è che talvolta
il buon Gino era, come spesso sono i militanti, un po' tendenzioso e non riusciva
a liberarsi della sua antipatia per gli individualisti. Del resto, gli misero
nella bara le foto del nipotino e di Malatesta.
Capisco che Accame abbia voluto in qualche modo difendere Leda dalle stupidaggini
di qualche pseudostorico. Ma credo che la limpidezza del percorso di Leda non
ne abbia bisogno. Non c'è niente di offensivo nel dire di Leda che era
stata una delle amanti di Mussolini. Del resto, il discorso potrebbe anche essere
rovesciato. Potremmo dire che Mussolini era stato uno degli amanti di Leda (e
anche qui so quello che dico). Offensivo è definirla "rivoluzionaria
snob". Rivoluzionaria lo era a modo suo, ma snob per niente affatto. Aveva
pensieri troppo nobili per essere "sine nobilitate".
Qui forse mi tradisce un po' il ricordo affettuoso. Ma vedo ancora quella piccola
donna novantenne dallo spirito indicibilmente vivo, che mangiava solo noci e grissini,
seduta sotto la sua grande bandiera verde con i 99 nomi di Allah, che mi dice
"tu ti costruirai una casa d'avorio".
Maurizio Antonioli
(Milano)
Risposta
a Maurizio Antonioli
Qualcosa non mi quadra. Scrivo che, "in mancanza di una documentazione
più convincente", non ci sono motivi sufficienti per annoverare -
come fa Petacco - Leda Rafanelli fra le "amanti di Mussolini". Antonioli
questa documentazione dice di averla e, dunque, mi viene in soccorso. Bene, e
grazie. Si fosse limitato a ciò.
Invece aggiunge quanto segue:
a) Le lettere nel volume in questione non furono pubblicate dalla Rafanelli, ma
dal Monanni. Da ciò, mutilazioni a iosa. Non ho la prima edizione del libro,
ma posso assicurare i lettori sia che, nella seconda edizione, l'autrice (che
all'epoca era viva) è indicata esplicitamente in copertina, sia che tutto
il racconto è effettuato in prima persona, al femminile.
b) Che la coppia frequentava alberghi, dove Lui firmava "Lorenzo Ardévi".
Masini nell'Introduzione evita di correlare la conoscenza da parte della
Rafanelli di tal "pseudonimo" - conoscenza che poi si traduce nella
scelta del nome di un personaggio di un suo racconto - al fatto che ne potesse
rendere testimonianza diretta. Il dottor Watson ne avrebbe subito sospettato,
ma io - che di Masini avevo fiducia, perché non riesco neppure ora a comprendere
le ragioni di sua eventuale "discrezione" -, io no.
c) Allora Petacco aveva ragione. E tuttavia farebbe parte della categoria dei
"giornalisti pseudostorici". Non invidio Antonioli che sa distinguere
fra "storici" e "pseudostorici". A me basta che uno parli
coniugando un verbo qualsiasi al passato per avere tutto il diritto di essere
definito "storico". Poi, se mai, vedrò se è uno storico
che racconta balle o uno storico che mette assieme una storia che stia in piedi.
d) Non capisce, poi, come io possa parlare di "diffidenza" della Rafanelli
per Mussolini. Pensa, addirittura, che io mi sia fatto condizionare dal senno
di poi. Lo capirebbe benissimo se leggesse il libro di cui si parla. Per esempio:
"Istintivamente sentivo che egli potesse tradire? Non so" (pag. 37).
"Leda, ditemi la verità, voi diffidate di me", "Infatti...
Ma no, permettete, devo spiegarmi. Come uomo politico vi credo sincero, ché
sarebbe offensivo credere il contrario senza una ragione. Ma, non so, sento in
voi qualche cosa di oscuro, di sotterraneo che certo sfugge a voi stesso. Non
si può leggere nel vostro sguardo... Mi pare, perdonatemi, che voi, a volte,
mentite inconsciamente, ed anche a voi stesso" (dialogo fra Leda e Mussolini,
pag. 57, mentre per Antonioli, se non ho capito male, sarebbe fra Monanni e Mussolini...).
"Mi sentivo a disagio e sentivo pure, sempre più, il senso di lontananza,
di diversità, di distacco totale" (pag. 63). Bastano ?
e) Tutti gli anarchici che frequentava la Rafanelli si guardavano bene dal ritenere
"discutibile" un anarchismo composto di letture della mano e di conversioni
islamiche. Peggio per loro e per l'anarchismo. Buon per Antonioli se, da storico
non pseudo presumo, crede di aver usufruito di "splendide predizioni"
che lo concernevano.
f) Gino Cerrito sarebbe stato "ingeneroso" nei suoi giudizi sulla Rafanelli
e meriterebbe di essere ricordato per le "qualità umane" - non
per "qualche discutibile valutazione storiografica" di cui quella sulla
Rafanelli costituirebbe un esempio. Non invidio Antonioli che sa distinguere "qualità
umane" e giudizi. Io non so farlo e non voglio saperlo fare. Come non voglio
imparare a gettare discredito su qualcuno, dopo averne tessuto gli elogi: magari
aggiungendo che "gli misero nella bara le foto del nipotino e di Malatesta"
(neretti miei).
g) Sarebbe "offensivo" definire la Rafanelli una "rivoluzionaria
snob". Lo penso anch'io. Ed è per questo che metto in guardia il lettore
dalla particolare costruzione della frase di Antonioli in grazia della quale potrebbe
sembrare che a dirlo sia il sottoscritto. Come risultava chiaro dal mio articolo,
a dirlo, è Petacco (che, a dire il vero, parlava più sfumatamente
di "pose da rivoluzionaria snob").
Felice Accame
(Milano)
Vignetta tratta da un calendario
realizato da alcuni detenuti nel braccio speciale del carcere di Voghera.
Disegno: Andrea Perrone - computer graphic: Antonino Carollo "e con il perenne
disturbo
di Carmelo Musumeci" - guide spirituali: F. De André, G.M. Volontè,
S. Leone, Victor
Urla
nel silenzio
Lettera aperta al Dr. Gianfrotta direttore IV DAP Roma
al Dr. Tamburino ufficio III DAP Roma
Un gruppo di detenuti della sezione EIV di Voghera da alcuni mesi pensava di
organizzare una giornata di studi sulle normative e sulle condizioni di vita delle
sezioni EIV ed in senso lato discutere di tutto ciò che riguarda il carcere
e le sue problematiche, comunque consapevoli che il tentativo di attirare l'attenzione
dei mass media, ed in verità questa c'è stata, ma eravamo certi
che averla da parte del DAP sarebbe rimasta vana speranza, com'è del resto
la lotta di una mosca per divincolarsi dalla marmellata. In sostanza si chiedeva
alla direzione del carcere di Voghera e al DAP un aiuto, anche minimo, purché
concreto, per attuare questa iniziativa, che si sarebbe svolta in un incontro
organizzato all'interno del carcere di Voghera.
Da parte nostra avevamo cominciato a preparare del materiale di discussione, che
avrebbe dovuto essere integrato da riflessioni da parte di altri detenuti, ubicati
in altre sezioni EIV, riconoscendo e, volendo, la necessità d'intervento
di responsabili del DAP, di Magistrati di Sorveglianza, di operatori del carcere,
di associazioni di volontariato, professori universitari, volontari, giornalisti,
ecc. Lo scopo era di focalizzare il problema carcere e di trovare o proporre,
scusate la presunzione, alcune soluzioni legislative.
Oggi, 25 gennaio, la dottoressa Caterina Zurlo, direttrice del carcere di Voghera,
ci ha comunicato che il DAP ha risposto negativamente al progetto del convegno
ideato e proposto da noi detenuti. La nostra delusione, nonostante abituati ad
essere trattati dal DAP a calci nel sedere, è stata enorme. Comunque non
ci può proibire di scrivere e di comunicare il nostro sdegno. E lo facciamo
a voce alta, anche se questo può comportare eventuali punizioni ministeriali,
sopporteremo anche questo, con dignità e consapevolezza che il nostro intento
era giusto. Si vuole che i detenuti prendano coscienza e la stessa coscienza di
fatto viene distrutta, si vuole i detenuti più responsabili e di fatto
viene negata ogni responsabilità. Ci si vuole costruttivi e positivi e
ci denigrano facendoci sentire uomini inutili, uomini persi. Ci vogliono non violenti
ma si crea nella realtà un ambiente più violento negandoci la parola
su tutte le violenze che ogni giorno si è costretti a subire, con il ricatto
di stare peggio se si protesta. Il "sistema" non vuole che il detenuto
prenda coscienza, che assuma la consapevolezza di una rivisitazione critica del
proprio passato.
Noi pensiamo che bisognerebbe riconoscere ai detenuti un ruolo attivo non da semplice
frequentatore delle patrie galere, per educarsi ed educare. Si voleva parlare,
davanti a una platea, di carcere, soprusi e illegalità, di situazioni insostenibili
come le sezioni "lager" EIV, condizioni igieniche preoccupanti, mancanza
di vitto regolare, prezzi elevatissimi del sopravvitto, vessazioni e soprusi,
applicazioni arbitrarie del regolamento... il DAP di fatto ci vuole tappare la
bocca, la maggiore razionalizzazione del potere sembra rispecchiarsi in sempre
maggiore razionalizzazione della repressione nel ridurre i detenuti a larve umane.
Certo per il DAP si è sporchi e cattivi ed il nostro attivismo contraddice
questa loro affermazione.
A questo punto che fare? Facciamo nostro un pensiero di Ezra Pound "se un
uomo non sa rischiare per le sue opinioni vuol dire o che le sue opinioni non
valgono niente o che non vale niente lui". Pensiamo di andare avanti, inserendo
in un "libricino" le nostre raccolte di documenti, i nostri pensieri,
le nostre proposte che, purtroppo, ci è stato negato esporre al convegno.
Sapevamo che parlare di carcere in questo momento, quando addirittura un membro
autorevolissimo del governo sta attuando uno sciopero della fame, sempre per problematiche
attinenti al carcere, non ci sarebbe stato consentito. Prendendo spunto dal sottosegretario
alla giustizia Corleone, riteniamo che soffrire sia giusto quando si soffra per
una giusta causa, quindi alcuni di noi, a turno, per attirare l'attenzione digiuneranno
contro l'ordine del DAP di condannarci al silenzio. Chiediamo aiuto e attenzione
per comunicare le nostre urla nel silenzio.
"Gruppo di Lavoro per il Convegno"
Carmelo Musumeci
Andrea Perrone
Francesco Mammoliti
Gianpaolo Manca
Antonino Carollo
(Voghera - gennaio 2001)
I
nostri fondi neri
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Sottoscrizioni.
Joe Cono (Monte Sereno - USA), 403.000; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Alfonso
Failla, 1.000.000; Paolo Zonzini (Cailungo - San Marino), 50.000; Salvatore Piroddi
(Arbatax), 10.000; Paolo Friz (Mesagne), 10.000; Cosimo Valente (Torino), 130.000;
Alessandro (Milano), 40.000; Antonio Pedone (Perugia), 10.000; Silvio Sant (Milano),
20.000; Stefano Vittori (Latina), 50.000; Gianni Pasqualotto (Crespano del Grappa),
150.000; Claudio Topputi (Milano), 100.000; Battista Saiu (Biella), 50.000; Piera
Manfredi (Imperia), 20.000; David Koven (Vallejo - USA), 195.000; a/m F. Paltenghi,
Milena e Paolo Soldati (Clermont-Ferrand - Francia), 182.000; saldo eredità
di Valerio Isca (New York - USA), 2.423.520; Silvio Gori (Bergamo) ricordando
Egisto e Marina, 100.000; Riccardo Ceschini (Rivalta Veronese), 20.000; Danilo
Vallauri (Dronero), 50.000; Angelo Zanni (Sovere), 30.000; Giuseppe Galzerano
(Casalvelini Scalo), 40.000; Fabio Bernieri (Pisa), 14.000; Andrea Albertini (Merano),
20.000; Mirco Baratto (Bigolino), 50.000; Giulia Simonetto (Roveredo in Piano),
20.000.
Totale lire 5.187.520.
Abbonamenti sostenitori.
Flavio Baccalini (Milano), 150.000; Rocco Tannoia (Settimo Milanese), 150.000;
Piero Cagnotti (Dogliani), 150.000; Francesco Zappia (Messina), 150.000; Giorgina
Arian Levi (Torino), 300.000; Paolo Zaccagnini (Roma), 500.000; Mario Perego (Carnate),
200.000; Aimone Fornaciari (Kangasala - Finlandia), 150.000; Attilio A. Aleotti
(Pavullo nel Frignano), 200.000; Davide Milanesi (Bologna), 150.000; Stefano Cempini
(Ancona), 150.000; Alessandra Bulleri (Volterra), 300.000; Francesco Lombardi
Mantovani (Brescia), 150.000; Luigino Piccolo (Padova), 150.000; Eros Bonfiglioli
(Bologna), 150.000.
Totale lire 3.000.000.
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