A Seattle sono rimasta quasi tutta la settimana per
la strada, assistendo allo svolgersi degli eventi. Solo ogni tanto cercavo un
riparo dal clima orrendo di questa città in una chiesa o in un auditorio,
dove potevo ascoltare illustri esperti che parlavano dei diversi aspetti del WTO
(World Trade Organisation - Organizzazione Mondiale del Commercio). Qualunque
fosse il tema trattato, era impossibile trovare una sintonia tra quanto accadeva
nelle strade e queste conferenze preparate con tanta cura. Una di queste prometteva
una critica femminista al WTO, ma l'unico concetto espresso dagli oratori e dalle
oratrici era che il WTO poteva contribuire ad aumentare l'occupazione femminile
nella produzione globale. Quel giorno, poche ore prima, c'era stato un corteo
di donne che si era fermato a un incrocio e, nel giro di cinque minuti, i poliziotti
si erano messi le maschere antigas. Questo in nome del dialogo.
In una delle conferenze ho fatto amicizia con un'indonesiana che, come me, era
delusa dalle divisioni. Ce ne siamo andate e, a piedi sotto la pioggia battente,
abbiamo raggiunto il centro, capitando nel bel mezzo di un'altra manifestazione.
Da lontano si vedeva un corteo di ambientalisti che cercava di sottrarsi ai gas
lacrimogeni mentre, proprio davanti a noi, i poliziotti con i manganelli e le
pallottole di gomma inseguivano lungo i marciapiedi i membri del sindacato dei
pubblici dipendenti che indossavano certe gualdrappe viola. Bastava attraversare
la strada per essere rincorsi dalle forze dell'ordine. Quelli del sindacato, ben
coordinati dai telefonini e dai walkie-talkie, riuscivano a sottrarsi alla
caccia passando dal di dietro e fermandosi proprio alle spalle di una fila di
poliziotti ignari. Uno dei sindacati canadesi che stava in piedi accanto a me
scuoteva la testa e diceva di non riuscire a credere che questo succedeva proprio
negli Stati Uniti. L'indonesiana, veterana di tante manifestazioni violente nel
suo paese, mi ha chiesto dove poteva comprare dei jeans Levi's da portare ai suoi
amici. In quel mentre non avevo dubbi che i conferenzieri stessero ancora discutendo
tranquillamente le proposte di riforma del WTO. In quanto anarchica, mi sentivo
di dover dare un senso a quello che stava succedendo, di capire dove stavamo andando
e a che cosa puntiamo, allora come adesso.
Contro il capitalismo
globale
I mass media hanno detto che gli anarchici erano padroni delle strade di Seattle,
ma io non ne sono tanto sicura. Avevo sperato di vedere più attività
anarchica, non fosse altro perché il tutto era pensato come un attacco
al capitalismo globale. Di anarchici ce n'erano molti a Seattle, anche se sui
giornali e alla televisione si parlava soprattutto di un gruppo che veniva dall'Oregon.
Altri gruppi che rispecchiano le idee anarchiche, come quelli della Direct Action
Network, avevano parole d'ordine sulla fine delle gerarchie e per una nuova società
senza oppressione. A parte questi incontri occasionali, non ho visto nessun'altra
attività che si possa definire specificatamente anarchica: gli anarchici
non erano presenti in tutti i comitati, non avevano organizzato un incontro per
illustrare una critica autonoma al WTO e, anzi, per quanto ne so, una critica
anarchica non è mai stata presentata.
Anarchismo e WTO rappresentano due mondi perfettamente contrapposti e il primo
ha tutto da guadagnare da questo confronto. L'Organizzazione Mondiale per il Commercio
rappresenta praticamente l'epitome della struttura di potere autoritaria contro
cui combattere. La gente è venuta a Seattle perché sapeva quanto
fosse sbagliato permettere che un gruppo di funzionari facesse in segreto scelte
politiche rovinose per tutti tranne che per loro stessi. Il WTO, che è
un organismo non eletto, cerca di acquistare un potere superiore a quello di qualsiasi
governo nazionale. In altri termini esso ha sollevato un problema politico capace
di galvanizzare un pubblico che si credeva addormentato. Per gli anarchici non
può esserci un ideale migliore di quello che mette al centro delle critiche
il capitalismo globale. Eppure, mentre la riunione del WTO ha mobilitato decine
di migliaia di persone, la massima espressione della presenza anarchica è
stata qualche vetrina spaccata. Dopo Seattle l'attività anarchica si è
fatta più organizzata e più attenta a tutti gli aspetti, ricorrendo
alle strutture dei gruppi di affinità e dei consigli (Milstein 2000), e
anche sulla stampa più letta, per esempio sul New York Times, c'è
stato un atteggiamento meno ostile. Oserei dire che l'anarchia è di moda:
un breve articolo di Fred Woodworth, il direttore di The Match, che illustrava
le caratteristiche del movimento anarchico, è uscito addirittura sul numero
di ottobre di Playboy!
Certo, la lotta contro il WTO, come quella successiva contro il FMI (Fondo Monetario
Internazionale) e la Banca Mondiale, ha ridato vigore all'anarchismo, ma fino
a che punto? Dopo Seattle, nonostante le ultime manifestazioni, il movimento ha
davanti a sé ancora tre trabocchetti: un vacuo moralismo, una prassi orfana
di teoria e un involontario regalo di energie fresche alle politiche riformiste.
Gli anarchici devono saper evitare queste trappole ed elaborare strumenti teorici
che siano di sostegno al movimento politico.
Anarchismo come
vacuo moralismo
L'anarchismo è sentire l'ingiustizia che c'è nel mondo, è
fiducia nelle capacità degli esseri umani di travalicare le strutture sociali
che provocano questa ingiustizia, è impegno a fare qualcosa per questo
fine. In un certo senso è un prodotto della nostra società: finché
esisterà l'ingiustizia ci saranno anarchici. L'anarchismo è anche
il rifiuto di qualsiasi gerarchia politica, sociale ed economica. È contro
lo stato perché esso rappresenta una burocrazia di specialisti staccati
dal popolo; è contro il capitalismo perché è un sistema economico
oppressivo. Queste idee sopravvivono anche se non c'è un movimento politico
che le sostiene.
Possiamo proiettare l'anarchismo come un ideale, ma non dobbiamo dimenticarci
che ogni ideale corre sempre il rischio di diventare tanto elevato da perdere
ogni rapporto con i problemi reali e con le lotte sociali.
Uno dei più grossi ostacoli che si trovano davanti gli anarchici riguarda
l'opinione prevalente secondo la quale l'anarchismo sarebbe fallito come movimento
politico e che quindi si tratterebbe di un'idea utopistica e irrealizzabile. Il
buffo è che sono gli anarchici che spesso perpetuano questa convinzione,
non riuscendo a pensare l'anarchismo al di là di un vacuo moralismo. Il
modo in cui lo concepiamo incide direttamente sul nostro agire.
La maggior parte dei libri sulla storia dell'anarchia si concludono bruscamente
alla fine degli anni trenta, dopo la guerra civile spagnola. Il volume di George
Woodcock termina con il 1939, perché l'autore è convinto che il
movimento non abbia più rappresentato alcunché di credibile dopo
quella data. Forse non era riuscito a prevedere o non aveva tenuto conto delle
attività mai cessate da parte di militanti di base nei movimenti antifascista,
femminista, contro la guerra, antinucleare, ecologista, ma le aveva sempre considerate
nient'altro che fatti occasionali e isolati. Se gli anarchici hanno registrato
qualche successo politico, è solo in casi che riflettono condizioni storiche
superate e non sono di primaria importanza politica. Woodcock, inoltre, distingue
l'anarchismo come movimento politico dall'idea di anarchismo. Quest'ultimo, secondo
lui, è presente tra noi da molto tempo prima di qualsiasi movimento anarchico
e non cesserà mai di ripresentarsi. Per questo la forza dell'anarchia sta
nelle idee e non nel suo rilievo politico, perché la storia ci ha regalato
più sconfitte che successi. L'idea anarchica, secondo Woodcock, è
quella di una sempiterna resistenza alla tendenza di ogni società verso
un centralismo e un'omologazione sempre più forti. Questa resistenza diventa
come un imperativo etico che noi seguiamo ponendoci contro le strutture di potere.
Se l'anarchismo riesce sempre a sopravvivere come idea, possiamo benissimo essere
anarchici senza tenere conto delle vittorie o delle sconfitte. Se resta un'idea,
però, l'imperativo etico ha la tendenza a travalicare l'anarchismo. Se
questo deve essere considerato solo un'idea e non un movimento politico praticabile,
è possibile utilizzare la forza delle idee anarchiche solo come una specie
di bussola per orientarsi. Riusciamo a proiettare l'anarchismo come ideale, ma
non dobbiamo dimenticare che un ideale rischia di diventare talmente etereo da
perdere ogni relazione con i problemi concreti e con le lotte sociali. Troppo
sovente "non si scende vivi dalla croce" (Cortazar 1984). Il vero interrogativo
allora è questo: vogliamo o no che l'anarchia sia più di un'idea
e che diventi un movimento politico? Vogliamo che la frase "abbattere il
capitalismo e lo stato" significhi qualcosa di più della momentanea
esaltazione di una manifestazione?
Come e perché l'anarchismo rappresenti un'alternativa è qualcosa
che dobbiamo saper spiegare, per agire poi di conseguenza. Le azioni dichiaratamente
anarchiche di Seattle sono atti di distruzione della proprietà. Spaccare
le vetrine dei grandi magazzini può dare una certa emozione ma è
anche un esempio di come una politica anarchica possa trasformarsi in vacuo moralismo.
Le botteghe a gestione familiare sono state di proposito risparmiate, ma questo
ha semplicemente portato a una vaga distinzione tra attività commerciali
buone e attività commerciali cattive. Queste categorie non offrono gran
ché per l'educazione della gente nei confronti del capitalismo in generale.
Prendersela con la Nike come una delle principali responsabili dei mali del capitalismo
è necessario, ma per quali ragioni sia così non lo si spiega con
qualche vetrina rotta.

L'anarchismo in
azione
Il decentramento è al centro dell'anarchismo ed è il modo più
diffuso di metterlo in pratica, anche se questo fa perdere peso politico. L'anarchismo,
nella maggior parte dei casi, diventa prassi grazie a gruppi che hanno una struttura
di leadership decentrata. Questa struttura è un elemento della teoria anarchica
ma spesso la si considera, confondendo i livelli, una diretta costituente del
movimento politico, solo perché è presente un'attività decentrata.
La Rete di Azione Diretta (Direct Action Network - DAN), cui va il merito delle
proteste più aggressive che hanno provocato il blocco della riunione del
WTO per quasi l'intera giornata dello scorso 30 novembre, ha al suo interno molti
anarchici. Sul sito web della rete si legge: "Immaginatevi di sostituire
l'attuale ordine sociale con uno giusto, libero ed ecologico, basato sull'aiuto
reciproco e sulla cooperazione volontaria. UN NUOVO MONDO È POSSIBILE e
noi siamo parte di un movimento globale che sta sorgendo per renderlo tale".
La maggior parte delle attività della DAN è considerata anarchica
proprio in ragione del fatto che si tratta di azioni decentrate. Il ragionamento
che si fa è questo: per creare una società non gerarchica, gli anarchici,
per raggiungere i propri obiettivi, devono ricorrere a tattiche non gerarchiche.
Non c'era una leadership di tipo tradizionale e si formavano invece gruppi di
affinità che operavano le proprie scelte sulla base del consenso.
Le attività della DAN hanno prodotto risultati positivi ben oltre le aspettative
di chiunque. Il 30 novembre, prima che la polizia si rendesse conto di quanto
stava succedendo, i quattro incroci intorno all'albergo che ospitava i delegati
del WTO sono stati occupati da esponenti della rete e alcuni manifestanti si sono
incatenati proprio davanti all'ingresso dell'albergo. All'ora in cui i venti o
trentamila partecipanti al grande corteo dei sindacati sfilavano nel centro della
città, la polizia aveva cominciato a lanciare i lacrimogeni e la confusione
era generale, ma i militanti della DAN riuscivano a mantenere il blocco agli incroci
per un bel po' di tempo. Era stata proprio questa prima azione della rete a chiudere
il centro di Seattle per una giornata e la polizia aveva in sostanza perso il
controllo della situazione. Ogni volta che venivano dispersi i manifestanti si
raggruppavano nuovamente e alla fine della settimana le azioni di protesta erano
ancora molto decise. Il WTO è stato costretto ad annullare definitivamente
la riunione, non riuscendo a programmare un nuovo giro di colloqui. È stata
questa la vittoria più grossa per tutti.
La discussione continua
La cosa buffa è che la DAN non si definisce anarchica, nonostante i
metodi adottati, mentre il Black Bloc, (il gruppo dichiaratamente anarchico che
si ritiene responsabile dei danneggiamenti) procedeva in formazione militare e
i comandi impartiti ai vari plotoni erano accompagnati dal sibilo del fischietto.
Allora, dov'erano i veri anarchici? La discussione continua, ma bisogna stare
soprattutto attenti a evitare interpretazioni semplicistiche delle idee anarchiche.
La convinzione che il decentramento o la rottura delle vetrine della Nike come
bersaglio surrogato dello stato faccia avanzare una politica anarchica è
ingenua nella migliore delle ipotesi e nella peggiore dice che abbiamo già
fatto quanto era da fare. Evidentemente, se i mezzi coincidono con il fine, allora
tutto è già bello e concluso. Non voglio certo denigrare le buone
intenzioni dei manifestanti che cercavano di tradurre in prassi le idee anarchiche,
ma è fondamentale mettere in luce ciò che è mancato: appunto
quello che sta tra i mezzi e il fine.
A parte lo sdegno morale, al momento gli anarchici non hanno in mano nient'altro
che la possibilità di manifestare. Protestiamo contro le ingiustizie, ci
agitiamo per questa o quella questione. Farlo in modo decentrato non è
sufficiente. Passeremo da una protesta all'altra fino a stancarci e a esserne
distolti da altri impegni. Possiamo anche cadere in preda della delusione davanti
all'esito certo non rivoluzionario di tante lotte. Ecco alcuni dei risultati di
Seattle: Ralf Nader che partecipa alle presidenziali americane, i sindacati che
puntano su Al Gore per vedere soddisfatte le loro rivendicazioni, mentre la questione
all'ordine del giorno è la riduzione del debito dei paesi del Sud del mondo.
Per giunta, il dibattito sull'anarchia è stato orientato da gruppi non
anarchici. A causa di qualche vetrina spaccata, siamo stati costretti a discutere
del ruolo della violenza per il fatto che altri gruppi accusavano gli anarchici
di vandalismo e di saccheggi. Ma non è questa la direzione verso la quale
vogliamo incanalare le nostre energie. Riusciremo a evitare di fare da truppe
di fanteria a vantaggio di organizzazioni più forti, portando la discussione
sul terreno che vogliamo noi? Noi anarchici dobbiamo sviluppare una teoria di
una società libera, nell'intento di essere di guida a noi stessi nel percorso
dai mezzi al fine, altrimenti non saremo in grado di fare quel passo decisivo
dall'idea al movimento politico e finiremo col batterci per cose in cui non crediamo
o che non saremo in grado di sostenere.
Seattle: riforma
o rivoluzione
È necessario mettere in evidenza il prevalente carattere riformista
delle proteste, se vogliamo definire un criterio da seguire quando ci si batte
o si pensa che genere di movimento politico vogliamo costruire. Siccome non era
mai stata presentata un'analisi anarchica, a Seattle sono passate le proposte
riformiste.
Dato che il WTO rappresenta gli interessi del capitalismo globale, qualsiasi
atto di resistenza va pensato a livello di un cambiamento del sistema che abbia
una diffusa incidenza sul piano internazionale.
In uno dei tanti cortei di protesta mi è capitato di sentire una donna
che urlava ai manifestanti di pagare per quello che facevano o di tornarsene a
casa. Quella donna urlante aveva ragione: dobbiamo pagare per la libertà
di parola. Ci sono gruppi, come Global Exchange, che vogliono che le grandi catene
di distribuzione del caffè, come la Starbuck, paghino di più i contadini
che coltivano il caffè in Centro America e minacciano il boicottaggio dei
consumatori se non lo faranno. Questi attivisti accettano una prospettiva consumistica,
lasciano intendere che sia possibile controllare il capitalismo con il capitalismo,
lasciano al singolo l'onere del cambiamento, quali che siano le circostanze.
Cercando alternative non ho trovato nient'altro che proposte che dipendono dalla
buona volontà dello stato o che presumono che il WTO esisterà per
sempre. Consideriamo questa presa di posizione di Public Citizen: "Adesso
il nostro compito è di lottare per un sistema di commercio globale che
sia democraticamente responsabile e che miri a soddisfare i bisogni della gente
e non solo quelli delle grandi multinazionali" (dichiarazione di Lori Wallach
di Public Citizen). Si dà acriticamente per scontato che un sistema di
commercio globale, purché sia democratico, possa soddisfare i bisogni della
gente. Il che presuppone l'accettazione di una democrazia così com'è
oggi: una struttura centralistica e burocratica, lontana dalla volontà
popolare. La maggioranza della gente, quando pensa alla democrazia, ha in mente
un organismo professionale come quello statale che, in pratica, opera da intermediario
per la libertà. Quando rivendichiamo la democrazia in forme che non siano
dichiaratamente contro lo stato, richiediamo la stessa cosa che serve al WTO per
portare avanti le sue politiche commerciali, perché il controllo politico
non è mai affidato in prima istanza al popolo. La possibilità di
incidere sul sistema è così seriamente compromessa e rende impossibile
un cambiamento rivoluzionario.
In contrasto con la superficialità dei metodi riformisti appena illustrati,
gli anarchici partono da un rifiuto delle riforme, nella convinzione che la nostra
società debba essere divelta dalle radici e ripiantata avendo in mente
una società ideale. Dato che il WTO rappresenta gli interessi del capitalismo
globale, qualsiasi atto di resistenza va pensato a livello di un cambiamento del
sistema che abbia una diffusa incidenza sul piano internazionale. Per gli anarchici,
un cambiamento politico reale è impossibile se manca una visione utopica.
Un movimento politico che raggiunge risultati effimeri riformando parti isolate
del sistema non è un movimento rivoluzionario. Questi risultati possono
sopravvivere per mezzo secolo o più, ma spesso aprono la strada a un'oppressione
ancora peggiore di quella precedente. Il rifiuto delle riforme da parte dell'anarchismo
offre la possibilità di trascendere dal ciclo perpetuo di riforme senza
rivoluzione.
Una teoria politica
per la rivoluzione
Gli anarchici sono bravissimi a mettere in luce quello che non funziona nella
nostra società e dei diversi metodi politici, ma sarà necessario
offrire qualcosa di più delle critiche all'attivismo altrui. Dovremo entrare
nel dibattito, essere presenti alle discussioni la prossima volta e offrire una
tribuna alla critica anarchica (dopo Seattle qualche tentativo in questo senso
è stato fatto). La cosa più importante da considerare è che,
a meno che l'anarchismo non prenda un'altra direzione, i nostri limiti renderanno
molto difficoltoso il sostegno delle scelte anarchiche in un nuovo movimento.
Gli anarchici spesso si limitano a ricorrere ad atti simbolici, come la rottura
delle vetrine, che portano a un vacuo moralismo, o limitano le potenzialità
dell'anarchia a certe pratiche come quella del decentramento. Se vogliamo osservare
le cose più da vicino, gran parte dell'attivismo a Seattle ruotava intorno
all'attivismo basato sui consumatori e all'accettazione dello status quo, a cui
gli anarchici hanno profuso tante energie. Evitare queste trappole significa cominciare
a farsi carico di un compito gigantesco, quello di capire in che mondo viviamo
e di proiettarvi una visione per il futuro.
Vuol dire anche che dobbiamo avere una teoria politica che s'ispiri ai nostri
ideali, ma che affondi anche le sue basi nell'esperienza del mondo in cui siamo.
Se sta davvero emergendo un nuovo movimento politico anticapitalista, agli anarchici
si offre una possibilità straordinaria per spiegare legittimamente che
cosa significhi una "società giusta, libera, ecologica e basata sull'aiuto
reciproco e la cooperazione volontaria". Il modo in cui è fatto questo
mondo, quelli che sono i nostri principi, la nostra capacità di sviluppare
il nostro pensiero: tutto questo determinerà una teoria politica. L'attivismo
ci offre l'occasione di vedere per un po' il nostro pensiero tradotto in azione,
ma può anche restringere la prospettiva su aspetti pragmatici limitati.
La teoria politica ci permette di operare al meglio partendo dagli ideali anarchici
e dalla forza di un movimento popolare. Questo, però, dipende dalla nostra
capacità di spiegare razionalmente i nostri ideali e il mondo di oggi.
Straordinaria coalizione
Diceva George Orwell: "Il linguaggio politico (e questo vale, con le debite
differenze, per tutti i partiti politici, dai conservatori agli anarchici) è
fatto apposta per fare sembrare vere le bugie e rispettabile l'assassinio, come
per dare un'apparenza di solidità all'aria mossa dal vento". Anche
quando la menzogna e l'assassinio non sono all'ordine del giorno, certe volte
nemmeno noi riusciamo a evitare di "dare un'apparenza di solidità
all'aria mossa dal vento". Penso che questo sia vero soprattutto riguardo
al lavoro teorico. Certe parole d'ordine come "abbasso il capitalismo"
o "abbattere lo stato" possono apparire vuote se non sappiamo che tipo
di capitalismo vogliamo distruggere e quali sono i meccanismi che fanno funzionare
lo stato come fonte del potere. Gli anarchici, poi, parlano di libertà
sociale e di cooperazione, ma per dare senso a termini come questi dobbiamo saperli
inserire in un contesto politico e teorico reale. E questi sono solo alcuni esempi
dei compiti che ci aspettano per dare un senso alle nostre convinzioni e metterle
in relazione con la società reale.
La straordinaria coalizione internazionale che ha riunito a Seattle sindacati,
ambientalisti, agricoltori, studenti e intellettuali è un primo passo incoraggiante
per la nascita di un nuovo movimento. In quanto anarchici, noi dobbiamo impegnarci
all'interno di questo movimento emergente con la coscienza di quello che possiamo
offrirgli e del ruolo che possiamo svolgervi. Woodcock si smentisce da solo quando
sostiene: "Riconoscere l'esistenza e la forza preponderante del movimento
che va nel senso dell'accentramento che ancora attanaglia il mondo, non vuole
dire accettarlo. Se i valori dell'uomo sono destinati a sopravvivere è
necessario opporre un contro-ideale all'obiettivo totalitario di un mondo omologato".
Trasformare l'ideale anarchico in un contro-ideale è molto diverso dal
fare languire l'anarchia considerandola un imperativo etico ammirabile ma proibitivo
o una pratica semplicistica: è un'idea ed è un movimento politico.
Affermare questo contro-ideale significa sottrarsi alla stretta dei limiti dell'anarchismo
e proiettare una visione di una società libera in cui possiamo credere
e per la quale possiamo operare.
Rebecca DeWitt
(traduzione di Guido Lagomarsino dal numero 29 della rivista statunitense Social
Anarchism)
|