Rivista Anarchica Online


no global

Se Dio c’è
intervista di Gianni Sartori a Alessandro Zanotelli

 

... il suo volto è quello di Florence.” A colloquio con il missionario comboniano, ex direttore (defenestrato) di “Nigrizia”.

Dalle comuni battaglie contro l’apartheid (verso la metà degli anni ottanta) ad oggi, ho avuto modo di confrontarmi varie volte con padre Alessandro Zanotelli, prima direttore di “Nigrizia” (dal 1978 al 1987) in seguito, dopo essere stato defenestrato per le sue continue denunce dei traffici d’armi in cui era coinvolta l’Italia, missionario nelle baraccopoli di Nairobi, sempre combattivo e inviso ai potenti. Tornato in Italia, in questi ultimi mesi del 2002 Alex ha girato molto, anche dalle mie parti, nel “Veneto profondo” dove, insieme a rigurgiti neofascisti e deliri razzisti, si registra anche la presenza di movimenti pacifisti (qui sono nati i “Costruttori di Pace”…), di associazioni no-global e di centri sociali, sia “disobbedienti” che “antagonisti”.
In alcuni casi la sua presenza ha attirato più gente del previsto e si son dovuti fare i turni: due conferenze di seguito con centinaia di persone rimaste fuori ad aspettare, come è accaduto a Schio.
“La stessa cosa mi era successa a Torino – racconta Alex – è giusto che chi viene possa almeno ascoltare… È bello comunque vedere tanta gente, capire che c’è questa “fame”, questa voglia di reagire… Conosco bene la realtà del Veneto, soprattutto quello pedemontano, nel cuore del nord-est; comprendo quindi questa volontà di non-omologazione a certi modelli… In questi giorni ho incontrato anche alcuni sindaci, consiglieri comunali, amministratori… tutti preoccupati della deriva razzista, di questi venti di guerra. Naturalmente nessuno sa con certezza come muoversi, ma partendo dal piccolo, dal locale forse possiamo dare qualche indicazione valida anche per i problemi generali”.

Hai affermato in varie occasioni che il tuo punto di vista è quello dei perdenti, di chi vive nei “sotterranei della Storia”… Intendevi dire che non ti senti “imparziale”?

Sicuramente la mia non è una posizione neutrale, ma di parte. Viene dagli Inferi, dalle baraccopoli di Nairobi. Gli anni qui trascorsi mi hanno consegnato al Dio dei perdenti, che è il Dio degli immigrati, degli zingari, degli oppressi… In queste periferie infernali dell’impero ho trascorso dodici anni e ho dovuto confrontarmi con l’ingiustizia senza veli, senza mediazioni.

Dicevi che talvolta pensavi di non farcela…

In effetti certe volte avevo voglia di sbattere la testa contro il muro, ma capivo anche che quello era per me il posto giusto, l’unico luogo dove era giusto trovarsi.
Recentemente ho avuto un incontro con Pietro Ingrao e mi ha raccontato di aver vissuto un’esperienza analoga. Erano gli ultimi anni del fascismo e in quella situazione apparentemente senza vie d’uscita, senza sbocchi ha capito che doveva crearsi un suo “luogo”, organizzando con pochi altri (c’era anche un prete!) una cellula di resistenza.
Tornando alla tua domanda di prima, nella mia analisi del mondo attuale io cerco quindi di vedere le cose dal punto di vista dei baraccati, degli schiavi, delle vittime di questo sistema. In questi anni ho riletto l’Apocalisse e ho pensato che, diversamente da quello che si crede, non è un libro sulla fine del mondo, ma piuttosto un tentativo per spiegare l’impero di allora. Nella stessa epoca Virgilio sviolinava per la gloria di Roma e invece Giovanni la identifica con la “Bestia”, il “Drago”. Fa uso di metafore per non incappare nella repressione del potere. Usava una sorta di codice per dire che il potere politico dell’impero era intrinsecamente malvagio, demoniaco.
Chi dei due aveva ragione, Virgilio o Giovanni? Naturalmente dipende dai diversi punti di vista. A quell’epoca Roma contava circa un milione di abitanti, ma la stragrande maggioranza, quasi il novanta per cento, era costituita da schiavi. Ovviamente il punto di vista di questi ultimi, così come quello dei popoli oppressi da Roma, era molto diverso da quello di un poeta legato al potere. Giovanni leggeva l’impero stando dalla parte degli sconfitti, dei crocefissi (questa era solitamente la pena riservata agli schiavi ribelli e ai sobillatori). Al tempo in cui Giovanni scriveva, migliaia di Ebrei erano già stati crocefissi; soltanto venti anni prima un’intera città si era ribellata a Roma e la rivolta era stata domata con circa quattromila crocifissioni.

E in questo vedi qualche analogia con i nostri giorni?

Vedo una profonda analogia. Gli americani quando bombardano l’Afghanistan o l’Iraq si comportano esattamente come i Romani con le crocifissioni, ossia utilizzano una forma di terrorismo militare, di stato.
Se voi leggete il mondo dal Salvador, dal Nicaragua, dal Guatemala (pensiamo a tutte le guerre subite dai popoli del Centroamerica all’epoca di Reagan…) la lettura sarà assai diversa da quella di chi sta a Washington.

Naturalmente questo vale anche per le baraccopoli dell’Africa, Korogocho in particolare. Cosa ha rappresentato per te questa lunga permanenza in Kenia?

Sono partito per l’Europa nell’aprile del 2002 lasciando a Korogocho padre Daniele, così da spingere i Comboniani a adottare direttamente questa baraccopoli…
Per me Korogocho ha rappresentato il battesimo dei poveri, un’esperienza dura, traumatica. Talvolta mi sono sentito come quel giornalista tedesco (v. “Faccia da turco”) che girava per la Germania camuffato da turco, finendo continuamente in tribunale…
Nairobi è una grande metropoli con circa quattro milioni di abitanti, ma il 55% vive da baraccati occupando soltanto l’1% della terra. Almeno l’80% di questi diseredati deve anche pagare l’affitto della baracca.
Korogocho è soltanto una delle diverse baraccopoli. Qui più di centomila persone vivono accatastate come sardine, in media c’è un cesso ogni 30-40 famiglie.
In altre baraccopoli i cessi sono uno ogni mille persone, con tutte le immaginabili conseguenze sul piano igienico-sanitario.
Vorrei dire che in fondo è facile fare il prete in chiesa, spezzare le ostie, ma quando non ti appartieni più sono i poveri a “spezzarti” ed è allora che capisci veramente che “Lui” c’è, ma è all’inferno.

Vorresti parlarci di qualche episodio particolarmente significativo?

Sarebbero tanti, naturalmente. Come puoi intuire questa realtà è impregnata di violenza e quelli che pagano maggiormente sono le donne e i bambini, i soggetti più deboli.
Una notte all’improvviso sento sulla porta rumore di calci e pugni; un po’ incavolato (la giornata era stata piuttosto dura) apro e vedo questa ragazza, Joan, ubriaca che si precipita dentro. “Alex – mi dice – voglio pregare con te”. Acconsento, anche se sono parecchio stanco e cominciamo a pregare. Dopo un po’ comincia a spogliarsi. Io le chiedo cosa stia facendo ma lei piangendo mi costringe a guardare quel corpo martoriato, ferito, violentato. Due settimane dopo Joan è stata nuovamente violentata da cinque uomini e lei si è buttata da una rupe in un acquitrino vicino alla discarica, un luogo spaventoso. È riemersa dopo alcuni giorni; il cadavere con le braccia spalancate sembrava un crocefisso… Nelle baraccopoli ci sono bambine costrette a prostituirsi a undici anni, sieropositive a quattordici, morte a sedici. Questo è stato il destino di Florence che ad appena sedici anni è morta di AIDS. Ero con lei durante l’agonia; le ho chiesto chi fosse Dio per lei. E Florence, che era stata abbandonata dalla madre molti anni prima, mi ha risposto “Dio è mamma”. E poi, illuminandosi, ha aggiunto:” Sono io il volto di Dio”.
Ecco, io penso che se Dio c’è il suo volto è quello di Florence. È con questi volti che dobbiamo confrontarci; io credo che se c’è qualcosa in Dio deve essere un dolore immenso per questa umanità dilaniata. E questo per me è il “luogo teologico”, non altri.

Tu pensi che noi tutti, in quanto occidentali, benestanti (chi più chi meno, naturalmente) dovremmo sentirci colpevoli di queste tragedie?

Non sono qui per dirvi che voi “ricchi” occidentali dovete sentirvi in colpa. Naturalmente la realtà è più complessa. A soli quattro chilometri da Korogocho ci sono ville che neanche ve le sognate. Così come anche qui, nel ricco nord-est, ci sono poveri.
Questo è l’impero, con le sue contraddizioni. E vorrei aggiungere che oggi l’impero non si basa nemmeno più sull’economia, ma sulla finanza. Ogni giorno facciamo girare un flusso di migliaia di miliardi di dollari, di soldi che producono soldi ed è questa oggi la vera sostanza dell’impero. Su quattro parti di economia mondiale, una soltanto è reale (forse anche meno, si parla di un 20%), tre sono solo speculazione. Emblematico quanto è accaduto con le “tigri asiatiche” che poi si sono rivelate autentiche “tigri di carta”…

Dalla tragedia dell’11 settembre 2001 abbiamo assistito ad un crescendo di propositi bellicisti e ad un rilancio delle politiche guerrafondaie. Tu stesso hai definito l’Occidente “armato fino ai denti”. Un tuo commento dai “sotterranei della storia”…

Personalmente ritengo che l’11 settembre sia stato usato dal complesso militare americano per rilanciare l’economia in recessione.
Non mi stancherò di sottolineare che attualmente i paesi poveri sono indebitati per migliaia di miliardi di dollari, con cinquanta miliardi di dollari all’anno soltanto di interessi. Perfino la Banca Mondiale si è sentita costretta a far la “predica” ai paesi ricchi, chiedendogli almeno di togliere qualche barriera in modo che possano esportare. Va anche ribadito che attualmente il 20% dell’umanità si prende l’83% delle risorse e che ai più poveri (circa un miliardo di persone) tocca l’uno virgola qualcosa per cento…Questo è un sistema ingiusto che ammazza per fame milioni di persone.
Quindi è sacrosanto ricordarsi delle vittime dell’11 settembre (aggiungendo anche ogni persona uccisa in Afghanistan) ma senza dimenticare i trenta-quaranta milioni di persone che ogni anno muoiono di fame e i milioni di bambini che muoiono di diarrea, una “malattia” che in Africa uccide più dell’AIDS.
Nel frattempo, anche grazie all’11 settembre, è ripartito alla grande il riarmo atomico. Per il 2003 è prevista una consistente ripresa dei test nucleari e un aumento delle spese militari. I preventivi per la guerra contro l’Iraq parlavano di almeno 200 miliardi di dollari, quando basterebbero tredici miliardi di dollari per risolvere a livello planetario i problemi di fame e sanità per un anno.
E intanto D’Alema chiede la revisione dell’articolo 11…

Gianni Sartori