Il termine “cyborg”
è stato coniato nel 1960 da Manfred E. Clynes, che
insieme a Nathan S. Kline cercava di definire un uomo “migliorato”
in grado di sopravvivere in un’atmosfera extraterrestre:
“I viaggi spaziali sfidano l’umanità non
solo sul piano tecnologico ma anche su quello spirituale,
poiché invitano l’uomo a partecipare attivamente
alla propria evoluzione biologica”. Clynes e Kline hanno
individuato una serie di problemi fisiologici e psicologici
suscettibili di danneggiare gli astronauti, ideando possibili
soluzioni cyborghiane; ecco alcuni esempi.
Stato di allerta e stato vigile: in un viaggio spaziale
sarebbe desiderabile che l’astronauta potesse rimanere
sveglio per settimane o mesi. È possibile raggiungere
questo obiettivo con la somministrazione di farmaci.
Conseguenze delle radiazioni: l’astronauta
potrebbe disporre di un sensore in grado di rilevare livelli
pericolosi di radiazione; con una pompa osmotica adattata
all’organismo potrebbe ricevere iniezioni di sostanze
chimiche in dosi appropriate per combattere le conseguenze
delle radiazioni.
Problemi di metabolismo e controlli ipotermici: sarebbe
auspicabile ridurre il normale consumo di combustibile di
10 libbre al giorno (2 di ossigeno, 4 di fluidi e 4 di cibo)
mediante l’ibernazione, ovvero diminuendo la temperatura
corporea per contenere al minimo il metabolismo.
Ossigenazione e riduzione del carbonio: la respirazione
polmonare consuma ossigeno e produce biossido di carbonio,
oltre a comportare una perdita di calore e di acqua. Nello
spazio mancherebbe un sistema di respirazione in grado di
ridurre il biossido di carbonio, eliminando così il
carbonio e rimettendo in circolo l’ossigeno.
Entrata e uscita di fluidi: l’equilibrio dei
fluidi potrebbe essere mantenuto collegando l’uscita
dell’uretra con le vene attraverso un filtro per le
tossine. Il dotto gastrointestinale verrebbe sterilizzato,
e l’astronauta sarebbe nutrito per via endovenosa così
da limitare la necessità di sbarazzarsi degli escrementi,
che potrebbero a loro volta essere riutilizzati.
Sistema enzimatico: in condizioni di bassa temperatura
alcuni enzimi resterebbero più attivi di altri. Occorrerà
studiare l’effetto di questi enzimi e il modo di adattare
il corpo ai loro cambiamenti.
Controllo cardiovascolare: è possibile modificare
le funzioni cardiovascolari per adattarle ad ambienti differenti
mediante amfetamine, epinefrina, reserpina, digitale, ecc.
Mantenimento muscolare: il sonno prolungato o un’attività
limitata possono avere effetti nocivi sui muscoli; il tono
muscolare potrebbe essere mantenuto con dei farmaci.
Problemi di percezione: bisognerà creare un
ambiente che imiti le alterazioni e il quadro di riferimento
cui è abituato il corpo per evitare la sensazione di
disorientamento.
Pressione: a pressioni inferiori a 60 millimetri
di mercurio, il sangue presente nel corpo umano comincia a
bollire alla sua normale temperatura. Per questa ragione l’uomo
non potrebbe sopravvivere nello spazio senza una tuta pressurizzata,
a meno di non riuscire a ridurre notevolmente la temperatura
corporea.
Variazioni della temperatura esterna: bisognerà
tenere sotto controllo la riflessione e l’assorbimento
termico del corpo attraverso indumenti speciali e sostanze
chimiche suscettibili di produrre variazioni nella pigmentazione.
Sarà necessario un sistema di autoregolamentazione
in grado di mantenere la temperatura desiderata.
Psicosi: pur adottando ogni precauzione, l’astronauta
potrebbe soffrire episodi di psicosi; prevenirli è
impossibile, e per causa loro il comportamento dell’astronauta
può diventare imprevedibile e pericoloso. Sarebbe dunque
opportuno poter contare su qualche dispositivo che consenta
ai suoi compagni di curarlo, oppure, nel caso fosse solo,
bisognerebbe poterlo sedare da Terra, anche contro la sua
volontà se fosse necessario.
Negli anni Sessanta si aveva l’impressione che la sfida
tecnologica dell’umanità fosse l’imminente
conquista dello spazio, e proprio pensando a questo obiettivo
Clynes e Kline hanno concepito il cyborg. Eppure, è
degno di nota che le caratteristiche da loro attribuite al
cyborg sembrino destinate anche alla creazione di individui
in grado di sopravvivere a una guerra nucleare e al successivo
inverno atomico. In ogni caso, finora i cyborg per fortuna
non sono stati protagonisti né di deliri cosmici né
di sogni di sterminio del nemico comunista. A partire dagli
anni Sessanta, invece, il termine “cyborg” è
passato nel linguaggio e nella cultura popolari. Invece di
colonizzare le galassie, il cyborg ha conquistato lo spazio
domestico, è diventato l’eroe e il “cattivo”
di avventure di ogni tipo ambientate nel futuro, influenzando
numerosi scienziati militari e civili, che hanno cominciato
a plasmare un futuro postindustriale e transumano. Il cyborg,
però, non è solamente un uomo con qualche accessorio
tecnologico inserito nella carne e nelle ossa: tutti noi,
che siamo stati plasmati e modellati dalla cultura tecnologica,
possiamo essere cyborg.
(…).
Chi è il cyborg?
Da secoli gli esseri umani utilizzano ogni sorta di dispositivi,
estensioni e protesi tecnologiche corporee: dai manufatti
passivi (come gli abiti o le scarpe) ai dispositivi mobili
che servono per registrare dati (come i termometri, gli orologi
e altri sensori), fino agli apparecchi destinati a compensare
funzioni biologiche deficitarie o a correggere in qualche
misura certi difetti fisici (come i bastoni da passeggio,
le lenti, gli arti artificiali, gli apparecchi acustici e
le giunture metalliche).
L’efficienza di questi strumenti si giudica in base
alla loro capacità di integrarsi nell’organismo,
diventare invisibili e imitare discretamente e silenziosamente
nel miglior modo possibile il funzionamento di ciò
che sostituiscono o completano.
La seconda guerra mondiale ha portato con sé un’esplosione
di innovazioni scientifiche e un’autentica rivoluzione
in alcuni campi della medicina.
La comparsa di diversi antibiotici, i progressi della strumentazione
medica e l’uso su larga scala della penicillina hanno
permesso di trasformare complicati interventi chirurgici in
operazioni di routine. Inoltre, l’immensa quantità
di mutilazioni e lesioni sui campi di battaglia offriva opportunità
senza precedenti alla sperimentazione e all’innovazione.
Gli insegnamenti della guerra nei campi allora nuovi dell’ingegneria
biomedica, della bionica e della tecnologia dei materiali
sono stati trasferiti in ambito civile, e si è cominciato
a fabbricare e impiegare nuove generazioni di protesi, organi
artificiali e sistemi di supporto biomedico.
Ogni anno, a centinaia di migliaia di persone viene applicato
qualche tipo di impianto artificiale, ma questi apparecchi
non sono stati concepiti per estendere le capacità
del corpo umano al di là di quella che si considera
la norma.
Ciò significa che, dalle gambe di legno ai dispositivi
per controllare l’incontinenza, questi apparecchi cercano
di modellare il corpo, sia dal punto di vista funzionale sia
da quello estetico, affinché soddisfi nel miglior modo
possibile gli standard di ciò che si considera socialmente
accettabile. La loro funzione è di migliorare il livello
di vita dell’individuo, cercando di farlo “ritornare”
alla sua condizione originaria e aiutandolo a reintegrarsi
nella società. Un caso curioso è costituito
dagli atleti privi di gambe che utilizzano protesi rivoluzionarie
come il flex foot (un piede a forma di “C”,
fatto di fibra di carbonio e suola da scarpe da tennis) e
ginocchia idrauliche regolabili, che offrono un rendimento
ideale e la massima velocità per qualsiasi tipo di
corsa.
Benché questi atleti riconoscano che nessuna di queste
protesi è migliore di una gamba vera, questi apparecchi
sono autentiche meraviglie della tecnologia, che fanno di
colui che ha subìto un’amputazione un cyborg
capace di correre più rapidamente della maggior parte
delle persone provviste di tutte e due le gambe. Grazie alla
tecnologia digitale, in qualche caso i sordi possono udire,
i muti parlare e i ciechi vedere. Si tratta di casi significativi
in cui la tecnologia corregge gravi difetti fisici; tuttavia,
in un certo senso, anche un individuo che è stato vaccinato
è un cyborg, poiché il suo organismo è
stato riprogrammato per rigettare certi tipi di infezione.
In realtà, il divenire cyborg ha una finalità
sociale (la reintegrazione e la sopravvivenza dell’individuo
nel gruppo), mentre nelle avventure fantascientifiche il cyborg
è un paria, una creatura che a causa della sua “differenza”
è diventata un fenomeno ed è stata esclusa dalla
comunità.
L’emarginazione del cyborg lo trasforma in una figura
con cui possono facilmente identificarsi gli emarginati e
molte persone che soffrono discriminazioni o che non si sentono
integrate nella società.
Comunque, non tutti gli esseri umani che portano gli occhiali
o che girano in bicicletta sono – o sono sempre stati
– cyborg. Il termine “cyborg” si riferisce
sia alla creatura in cui confluiscono il vivente e l’artificiale,
sia alla relazione stessa fra l’organico e il macchinico.
Clynes e Kline hanno definito il cyborg come il complesso
organizzativo esogeno esteso che funziona come un sistema
omeostatico. Si tratta cioè di un organismo capace
di integrare componenti esterne per espandere le funzioni
che autoregolano il corpo, adattandosi in tal modo a nuovi
ambienti.
Nel vasto campionario di protesi offerto dalla scienza contemporanea,
gli unici apparecchi e modifiche che hanno la funzione di
“migliorare” gli attributi fisici originari, a
parte le droghe che ottimizzano gli sforzi fisici o intellettuali,
sono forse quelli meramente cosmetici – come le sacche
di soluzione salina o di silicone per aumentare il volume
del seno, o gli anabolizzanti per sviluppare determinati muscoli
– che hanno l’unico obiettivo di far somigliare
le persone ai modelli di bellezza più in voga, per
aumentare così la loro autostima o l’influenza
che esercitano sugli altri. (…).
La possibilità di rimpiazzare parti del nostro fisico
con apparecchi tecnologici solleva una serie di domande. La
nostra identità risiede in qualche parte specifica
del corpo? Di quale percentuale di corpo possiamo disfarci
senza smettere di essere ciò che siamo? È sufficiente
scambiare un cervello per trapiantare un essere? Se riusciremo
a installare la nostra mente in un “contenitore”
più robusto, continueremo a essere noi stessi?
Forse l’unico modo per rispondere a questa domanda è
sperimentare sulla propria carne il trasferimento della mente
in un altro supporto; però, dato che l’uomo si
definisce per il modo in cui apprende il mondo attraverso
i sensi, se arrivassimo alle estreme conseguenze difficilmente
potremmo sapere se le risposte trovate corrispondono alle
domande originarie. Come sapremo che siamo sempre gli stessi
se i nostri parametri sensoriali saranno mutati in maniera
definitiva e radicale?
(…).
Warwick, l’uomo bionico
Parecchi scienziati nella vita reale hanno seguito l’esempio
del dottor Jekyll, usando se stessi come soggetti dei loro
esperimenti. Fortunatamente, non tutti questi intrepidi avventurieri
della scienza hanno subìto conseguenze gravi come quelle
patite dal celebre dottore del romanzo di Robert Louis Stevenson.
Un buon numero di coloro che si sono iniettati sostanze tossiche
o hanno ingerito batteri per sperimentare rimedi di loro invenzione,
parecchi di coloro che si sono sottoposti ad alte dosi di
radiazioni per dimostrare qualche bizzarra teoria, e molti
degli innumerevoli aspiranti all’illuminazione che si
sono fatti perforare il cranio per aumentare il volume di
sangue che irriga il cervello sono usciti illesi, o quasi,
dal laboratorio e hanno arricchito le nostre conoscenze del
corpo umano con le loro scoperte.
Kevin Warwick, professore di cibernetica all’università
di Reading, Inghilterra, si è unito a questa schiera
di esploratori delle viscere umane impiantandosi nel braccio
sinistro, fra il muscolo e la pelle, un chip incapsulato nel
vetro. La funzione di questo microprocessore è relativamente
semplice: permette che la presenza di Warwick sia rilevata
via onde radio da una serie di antenne collocate all’interno
del dipartimento di Cibernetica dell’università.
Quando entra, il computer lo riceve con un “Ciao”
e, mentre lui si sposta nell’edificio, accende le luci
del laboratorio ed esegue qualche altro trucchetto.
Il successo di questo primo esperimento ha dimostrato che
gli impianti bionici potranno diventare accessori utili per
la vita quotidiana, e in particolare potranno semplificare
le cose ai disabili. Si possono immaginare centinaia di applicazioni
per questo tipo di tecnologia, una volta che le dimensioni
degli impianti vengano considerevolmente ridotte (quello di
Warwick misura circa 25 millimetri): da sistemi che aiutino
i ciechi a spostarsi, fino a complessi dispositivi di sicurezza.
E soprattutto, l’esperimento stabilisce un precedente
dell’uomo in quanto parte di un megacyborg composto
da un insieme di individui, computer, edifici e macchine diverse
interconnessi fra loro e funzionanti in sincrono.
Nell’esperimento successivo di Warwick, l’impianto
nel braccio, oltre a emettere semplici segnali per essere
localizzato, è anche in grado di leggere gli impulsi
nervosi che passano dalla mano al cervello mediante un piccolo
filamento collegato alle fibre nervose dell’avambraccio,
una zona in cui si registra un intenso traffico di impulsi
e quindi di informazioni.
I segnali letti dall’impianto non verranno alterati,
bensì trasmessi a un computer perché li archivi.
In seguito si cercherà di riprodurre i segnali memorizzati
(come quelli prodotti quando si muove un dito, si sente una
puntura di spillo o si ruota un polso) per inviarli di ritorno
all’impianto e verificare se il sistema nervoso può
essere “ingannato” da stimoli esterni, “artificiali”
o “fantasma”, di movimento o sensazione. Se si
potesse manipolare il sistema nervoso, forse sarebbe possibile
anche ripristinare i sensi danneggiati di ciechi e sordi,
o controllare le protesi artificiali con estrema precisione.
Inoltre, potremmo forse ampliare i normali limiti sensoriali
in modo da alterare il nostro corpo per riuscire a elaborare
segnali – uditivi, visivi o di altro tipo – che
sono sempre stati al di fuori della nostra gamma di percezioni.
D’altra parte, potremmo anche controllare il dolore
o la depressione e stimolare il nostro sistema immunitario
senza dover assumere sostanze chimiche, bensì semplicemente
riprogrammando elettronicamente il nostro sistema nervoso
o l’attività dei neuroni.
Si può immaginare un mondo in cui alcune persone avranno
delle interfacce installate nel midollo spinale fin dalla
nascita o dall’infanzia, che cresceranno con
loro e potranno collegarsi a qualsiasi tipo di macchine e
database. Questo genere di integrazioni farebbe di noi dei
degni rivali dei computer superintelligenti che compariranno
nei primi decenni del ventunesimo secolo.
Tutto ciò segnerebbe la fine delle scuole come le conosciamo
e dei metodi educativi. Se questo esperimento avrà
successo, Warwick prevede di installare un impianto alla moglie
Irena e di trasmettere sensazioni fra i due impianti –
magari via Internet – da migliaia di chilometri di distanza.
Si sa che ogni persona ha reazioni emotive diverse dinanzi
al medesimo stimolo, ma forse questo esperimento contribuirà
a stabilire se esiste qualcosa come un linguaggio universale
dei nervi riconoscibile da tutti i corpi, oppure se ciascuno
ha il proprio.
Ciò sarebbe importante, nella misura in cui permetterebbe
alla lunga di eliminare l’uso del linguaggio, lo strumento
fondamentale della cultura umana, per sostituirlo con la trasmissione
diretta di emozioni e idee fra le persone (e forse persino
con altre specie) a qualsiasi distanza.
(…).
Una sessualità migliore
grazie alla chimica
Durante gli anni Sessanta, parallelamente ai progressi in
materia di protesi, si è scoperto che al pene occorreva
in media un flusso sanguigno di circa 90 millilitri al minuto
per avere un’erezione. In una persona sana ciò
avviene perché le arterie, nei momenti di eccitazione
sessuale, si dilatano provocando questo flusso di sangue.
Nel 1973 si è scoperto accidentalmente, durante un’operazione
chirurgica, che una sostanza vasodilatatrice poteva indurre
un’erezione prolungata in un uomo che soffriva di impotenza.
Nel 1977 un altro texano, Álvaro Latorre, ha inventato
un procedimento per cui l’individuo affetto da impotenza
doveva iniettarsi da solo il farmaco vasodilatatore con una
siringa doppia. Gli aghi dovevano penetrare per un centimetro
circa nei due lati del corpo cavernoso del pene poco prima
del rapporto sessuale.
La tecnologia sessuale ha compiuto un grande balzo nell’aprile
del 1998 quando è comparso il Viagra, la piccola pastiglia
di Sildenafil che deve probabilmente il suo nome alla fusione
delle parole “vitale” e “Niagara”.
Il Viagra aumenta l’afflusso sanguigno ai genitali maschili
e femminili per un periodo fra le tre e le cinque ore, bloccando
l’enzima che si incarica di diminuirne il flusso. Quando
la ditta farmaceutica Pfizer ha lanciato il Viagra sul mercato,
non lo ha fatto con le solite campagne promozionali fra i
medici e gli specialisti, ma si è rivolta direttamente
ai consumatori, scatenando un autentico bombardamento di euforia
sui media.
Si trattava inoltre di cancellare il marchio associato all’impotenza
chiamandola con il suo nome medico: disfunzione erettile.
All’inizio, la campagna si è incentrata sugli
ultrasessantenni desiderosi di allungare la vita utile del
loro sistema idraulico genitale e di recuperare parte della
funzionalità sessuale perduta a causa dell’età
o degli acciacchi.
Ma il Viagra promette una nuova rivoluzione sessuale, nella
quale il sesso non sarà solo meraviglioso ma anche
sempre disponibile, abbondante e alla portata di quasi tutti.
E infatti poco dopo la campagna pubblicitaria si è
ampliata, rivolgendosi a tutti quelli che pativano di una
qualsiasi disfunzione erettile, e nel giro di pochi mesi la
pastiglia azzurra a forma di diamante è diventata un’icona
pop mondiale di fine secolo.
Si stima che solo negli Stati Uniti circa 30 milioni di uomini
soffrano di impotenza, e non è esagerato supporre che
circa la metà degli uomini fra i quaranta e i settant’anni
soffra in qualche misura di disfunzioni erettili, concetto
estremamente ambiguo. Benché la ditta farmaceutica
produttrice non lo abbia mai sostenuto, e anche se per ricorrere
al Viagra occorre una ricetta medica, secondo la percezione
popolare questo farmaco è una specie di afrodisiaco
infallibile, un ausilio per migliorare il rendimento e superare
il livello di quella che si considera la “normalità”
sessuale.
L’enorme e sproporzionata domanda di questa droga rivela
non tanto un’ossessione per la (ri)conquista dell’erezione
perfetta, quanto piuttosto un interesse per la sessualità
in sé, dal momento che non si tratta di una ricerca
reale di soluzioni ai problemi dell’intimità,
ma di un rimedio portentoso che non richiede sforzi né
sacrifici. Di fatto il Viagra, così come una serie
di farmaci analoghi apparsi più tardi, non cura un
aspetto vitale, dato che non si muore per il fatto di non
avere erezioni; perciò il suo uso si situa in un’area
grigia della medicina.
Medicalizzare la sessualità, oltre a implicare che
questa sia standardizzata, allo stesso tempo si rivela come
un metodo per ignorare le possibili cause psicologiche o emotive
del problema, che possono andare dalla semplice mancanza di
desiderio alla fatica. In molte occasioni, ottenendo erezioni
automatiche si elimina il sintomo e non l’origine del
problema. Indipendentemente dalla sua efficienza, il Viagra
programma la sessualità della coppia costringendola
a sincronizzarsi con il ritmo della sua chimica.
Il Viagra è la droga perfetta per l’era della
cultura dell’impazienza, delle soluzioni istantanee
e dell’eccesso. È la tecnologia cibernetica sotto
forma di una pastiglia magica capace di far funzionare con
efficienza e in maniera automatica la sessualità umana.
Il Viagra promette certezze in un territorio in cui generalmente
domina l’inatteso e l’intangibile. La cosa più
importante, però, è che il Viagra, come la pornografia,
è la promessa di una sessualità migliore di
quella che pratichiamo. Per questo motivo migliaia di uomini
perfettamente in grado di avere un’erezione lo stanno
utilizzando per garantirsi la loro funzionalità o per
aumentare il loro rendimento in maniera soprannaturale.
Pur trovandoci ancora in un campo sconosciuto, e pur non essendo
trascorso abbastanza tempo per valutare eventuali postumi,
ripercussioni ed effetti collaterali del Viagra, possiamo
facilmente immaginare un futuro in cui le relazioni sessuali
senza questo tipo di farmaci saranno considerate mediocri,
di qualità inferiore o del tutto inaccettabili. Il
Viagra è poi diventato indispensabile ad alcuni culturisti
per combattere l’effetto degli steroidi e delle sostanze
anabolizzanti, oltre che nell’industria del porno e
nei circuiti underground di club che organizzano feste orgiastiche
e raves sessuali.
L’enorme popolarità ottenuta dal Viagra ha introdotto
di colpo le forze del mercato nell’intimità delle
relazioni sessuali (uno dei pochi ambiti di intrattenimento
rimasti gratuiti), scatenando una vertiginosa gara tecnologica
e commerciale con l’obiettivo della conquista della
sessualità.
Negli Stati Uniti si compilano 40.000 prescrizioni di Viagra
al giorno, tanto più che le pastiglie, che all’inizio
costavano circa 10 dollari, sono diminuite di prezzo e sono
estremamente facili da ottenere attraverso centinaia di siti
che le vendono via Internet. Inoltre, a parte la diffusione
legale esistono vari canali clandestini di distribuzione e
vendita che rendono milioni di dollari.
L’uso indiscriminato del Viagra e il divenire cyborg
della sessualità non sembrano sorprendenti in un’epoca
in cui è diventato normale prescrivere ai bambini,
dai quattro anni in su, calmanti, amfetamine e droghe psicotrope
come Ritalin, Dexedrina e Clonidina al minimo indizio di problemi
di concentrazione e iperattività, o per curare la famosa
sindrome da deficit di attenzione.
Invece di indagare le cause dell’inquietudine di tanti
bambini, invece di indirizzarla su vie diverse, invece di
migliorare un sistema educativo mortalmente noioso, si stabilisce
che la loro attitudine è un sintomo e si applica loro
un trattamento che consiste quasi sempre nell’assunzione
di farmaci che, come il Viagra, offrono risultati istantanei
e sono molto meno cari e complicati delle interminabili sedute
di psicoterapia.
La prescrizione ai bambini di sostanze psicoattive per adulti
è stata compiuta su scala quasi industriale, risparmiando
così costose valutazioni personali, liberando lo Stato
dall’obbligo di estendere o modernizzare il sistema
educativo mirato per bambini con problemi, e sollevando i
genitori dalla difficile responsabilità di occuparsi
di un figlio con problemi emotivi.
Il desiderio di mantenere i bambini narcotizzati, o comunque
di riprogrammarli chimicamente, è tale che è
stato prodotto un cerotto di Ritalin che somministra il medicinale
in maniera costante attraverso la cute per molte ore. L’uso
di droghe ha dimostrato una notevole efficacia sia per le
scuole sia per i genitori iperstressati, ma soprattutto per
l’industria farmaceutica: solo il Ritalin ha visto aumentare
la sua produzione del 700 per cento a partire dal 1990.
Nel marzo 2000 si stimava che oltre 4 milioni di bambini negli
Stati Uniti fossero trattati con Ritalin, e 2 milioni e mezzo
con antidepressivi. Ma il ricorso a questo tipo di farmaci
(Ritalin, Strattera, Adderall e Concerta, fra gli altri) è
aumentato in modo drammatico a partire dal 2000, secondo l’indagine
annuale sulla tendenza all’uso di farmaci effettuata
dalla Medical Health Solutions nel 2004. Il 23 per cento di
questo incremento riguarda bambini che hanno meno di cinque
anni cui è stata diagnosticata una sindrome da deficit
di attenzione.
Se gli anni Novanta sono iniziati con la trasformazione delle
società opulente in una sorta di gigantesca “nazione
Prozac”, a causa della massiccia assunzione di questo
celebre antidepressivo, il ventunesimo secolo minaccia di
distinguersi, fra l’altro, come l’era dell’ingegneria
dell’irrequietezza infantile e del desiderio erotico.
Nayef Yehya
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Naief
Yehya
Homo
cyborg
Il
corpo postumano tra realtà e fantascienza
traduzione di Raul Schenardi e Carlo Milani
2005
/ 160 pp. / € 14,00
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