militarismo
Al centro della politica
di Andrea Licata
Non sono solo strumenti essenziali
per fare la guerra: le basi militari sono anche armi puntate
contro i civili e l’ambiente.
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Una serie di
fatti ed informazioni confermano che i progetti autoritari
come le basi militari, siano generalmente rivolti, qui e altrove,
in teoria e in pratica, innanzitutto contro i civili e l’ambiente
che abitano.
È ampiamente riconosciuto che la maggior parte delle
vittime dei conflitti armati in corso siano civili: tra questi
c’è un numero considerevole di bambini. A questo
proposito, i dati sulle centinaia di migliaia di morti civili
in Iraq in atto dal 2003 sono impressionanti, a fronte di
poche migliaia di soldati della coalizione occupante.
Le perdite (casualties) militari sono diventate le
vittime accidentali delle guerre totali contemporanee, finalizzate
all’annullamento della vita civile di interi territori.
Civili sono anche i profughi di guerra ed ambientali, a milioni,
a causa della potenza di fuoco a disposizione degli eserciti,
che hanno in dotazione armi di distruzione di massa. Le conferme
sono anche scritte, ad esempio nel nuovo concetto strategico
della NATO del 1999, che nel capitolo sulle Sfide ed i
rischi per la sicurezza (1)
prevede l’utilizzo della risposta armata nei confronti
di movimenti di popolazione in seguito, ad esempio, a situazioni
postbelliche.
Le nuove strategie militari sono attacchi deliberatamente
rivolti alla distruzione del territorio abitato, delle infrastrutture
(case, scuole, ospedali, ponti, reti stradali e ferroviarie…)
e dell’economia (fabbriche, porti, centrali per l’energia,
stazioni radio…) come tecnica di guerra. Guerre senza
limiti (2), è stato già
scritto. Si colpisce l’ambiente per vincere rapidamente
la guerra, come è avvenuto con l’attacco del
1999 della NATO alle industrie chimiche di Pascevo, in Serbia,
colpite per creare un danno totale definitivo al nemico.
Un sistema militarizzato di questo tipo non può non
basarsi su paure collettive, minacce militari e ricatti economici
continui (3). I costi economici
ricadono pesantemente sui civili, che paradossalmente finanziano
in maniera automatica questi progetti nei vari Stati: solo
così le macchine militari ad alta voracità possono
oggi funzionare e riorganizzarsi a nostro danno. La questione
economica pertanto è centrale ed è conditio
sine qua non per il mantenimento delle attività
militari: senza questi prelievi fiscali enormi, che mettono
in difficoltà i movimenti sociali, le basi di guerra
non potrebbero operare. Il tema dei benefici va affrontato
in quanto le basi militari vengono costruite anche con la
promessa di importanti ricadute economiche: il capitalismo
armato avanza ancora con la propaganda e con tecniche ben
collaudate.
I civili subiscono anche l’impatto ambientale causato
dalle attività militari che ovunque hanno bisogno per
poter operare di grandi quantitativi di energia ed acqua,
che sottraggono ad altre attività ponendole in una
situazione di subordinazione. Il continuo danneggiamento dell’
ambiente è un’altra conseguenza diretta, tanto
che possiamo affermare con certezza che, in vario modo, tutte
le basi militari inquinano pesantemente e sono spesso inquinate,
rendendo la bonifica sempre necessaria al momento della chiusura.
La vostra guerra, i nostri morti
Sulle malattie causate dalle attività militari (4)
ci sono poi intere pubblicazioni scientifiche, anche se manca
un serio approfondimento a livello istituzionale. Un particolare
approfondimento meriterebbe poi la questione degli incidenti
(5) o degli attacchi della guerra
asimmetrica in cui i civili sono ancora una volta le vittime
quasi esclusive (La vostra guerra, i nostri morti
si è già detto dopo il “ritorno di fiamma”
(6) di alcune azioni terroristiche
in Europa, Spagna, pochi anni fa).
Le molte implicazioni politiche delle basi militari costituiscono
un vero e proprio buco nero, molto sottovalutato e poco conosciuto,
ma la cui importanza sta ciononostante emergendo prepotentemente
in varie situazioni.
Di fronte al progressivo esaurimento ed inquinamento delle
risorse naturali, ai cambiamenti del clima, a questi progetti
di riarmo possiamo arrivare a chiederci: le basi militari
sono anche prove tecniche di piccole città militarizzate
per la sopravvivenza di pochi? Non è quanto già
succede in alcune aree dell’Iraq o dell’Afghanistan?
Sul legame non esclusivo tra il progetto di conquista armata
e controllo militare che avviene attraverso le basi e il carattere
aggressivo ed espansivo del capitalismo ci sono pochi dubbi.
Gli Stati Uniti, una delle principali basi del capitalismo,
non hanno nemici ai propri confini ma posseggono nel mondo
molte installazioni militari USA overseas (oltremare),
centinaia di postazioni avanzate, circa mille in tutto, un
network dove “il sole non tramonta mai”.
Lo stesso ragionamento vale oggi per l’Italia, che ha
truppe in molti paesi lontani in nome, secondo i governi,
della sicurezza.
La base prigione USA di Guantanamo a Cuba, le strutture segrete
della CIA in Europa, le nuove installazioni militari nell’Iraq
e Afghanistan occupati, la creazione di basi USA dichiaratamente
offensive in Italia, le nuove postazioni avanzate della NATO
nell’Europa Orientale rendono il tema della militarizzazione
dei territori di drammatica attualità.
Gli Stati Uniti, anche a causa di un forte complesso militar
industriale, stanno accelerando i loro sforzi militari nel
mondo in maniera automatica: l’attacco, la guerra, può
essere interpretata come un’accelerazione imposta dal
capitalismo.
Tutto accade, come in guerra, velocemente e la velocità
si conferma caratteristica dei nostri tempi, nella politica
e nell’economia. L’escalation militare
è confermata dalla frequenza degli attacchi Nord Sud,
quasi uno all’anno dal 1999, anno in cui la NATO ufficializza
un ruolo più interventista. Si delinea una dinamica
“Basi guerre basi guerre” il cui obiettivo è
il superamento del limite politico e militare, lo spostamento
del fronte, la conquista continua e il dominio delle aree
strategiche del globo.
Le basi militari occupano ed influenzano la politica e l’economia:
con esse si allarga il fronte esterno (del capitalismo) controllando
interi paesi. Il controllo del fronte interno è assicurato,
direi interpretando, principalmente dalla proprietà
e Governance (gestione dall’alto) dei mezzi
di informazione.
In luoghi occulti
Il sistema della “guerra permanente” non prevede
il rispetto delle regole democratiche (7),
neppure di quelle della democrazia parlamentare, ma la loro
progressiva distruzione e l’annullamento dei diritti
civili, “illegale ma legittimo” (8).
La base prigione di Guantanamo non ha significato nella cosiddetta
guerra al terrorismo, ma ne riveste invece uno molto più
rilevante in quanto monito, progetto autoritario, atto di
forza, potere e terrore e rottura. La base prigione di Guantanamo
ha l’obiettivo di portarci indietro nella storia e di
terrorizzare i potenziali nemici interni ed esterni.
Il progetto delle basi militari appare come un disegno separato
e deciso in luoghi occulti: in questo ambito la delega è
molto ampia, delega politica ma anche economica. Nonostante
sia un progetto separato, infatti, quello del riarmo non è
autonomo, ma vive grazie a ingenti prelievi di denaro dei
lavoratori.
Le basi USA sono oggi dichiaratamente basi di guerra, pistole
puntate contro i civili del Sud del mondo (Africa e Medio
Oriente) e si rafforzano in alcuni paesi tra cui l’Italia
per avvicinarsi al fronte di guerra. La penisola fa comodo
per diverse ragioni: la riduzione dei costi appunto, l’”ospitalità”
politica, gli scarsi controlli ambientali. Nel pacchetto promozionale
per le truppe che partono al fronte la possibilità
di un soggiorno in Italia è un ottimo biglietto da
visita per il reclutamento oggi più difficile. C’è
poi la posizione geopolitica favorevole ai militari: al centro
del Mediterraneo l’Italia vede rafforzato il ruolo di
piattaforma di lancio per nuovi interventi. Le basi militari
USA si concentrano inoltre nei paesi ricchi di risorse energetiche
e nelle potenze industriali, come appunto Italia, Giappone
e Germania. Dovrebbe farci riflettere anche il fatto che la
deroga ambientale, ossia la possibilità di inquinare
senza troppi controlli, è un altro dei criteri molto
congeniali al Pentagono.
Il recupero ad usi civili delle aree militari può essere
un obiettivo condiviso per i movimenti sociali. Dimostrare
la fattibilità della conversione è semplice:
“nel mondo circa 8.000 installazioni militari che coprivano
più di un milione di ettari sono state convertite ad
uso civile dalla svolta del secolo. Molti di questi siti chiusi
sono nei territori della NATO e dello smantellato Patto di
Varsavia […]. Le basi militari più vaste impiegavano
decine di migliaia di militari e personale civile.”
(9).
La conversione delle basi militari ha portato in molti casi
a benefici diffusi ed aumenti occupazionali: se la chiusura
di spazi è un danno economico, la loro liberazione
offre possibilità ed opportunità.
Accanto ai progetti di recupero e riqualificazione delle aree
militari, che debbono essere attivi e preventivi per mettere
in discussione il consenso delle strutture operative, occorre
porre l’attenzione sulle politiche dal basso in grado
di contrastare efficacemente la militarizzazione. Di fronte
ad ogni base in attività si potrebbero già avviare
le alternative civili pronte a ricollocarsi e preparare i
corsi di riqualificazione dei lavoratori spegnendo il ricatto
occupazionale. Controlli ambientali indipendenti potrebbero
essere richiesti così come lo stanziamento di fondi
per la conversione dal militare al civile.
Una grande alleanza civile internazionale può individuare
nella chiusura delle basi militari e nella loro conversione
un obiettivo urgente e strategico.
Per esempio, Vicenza
La bella città dell’UNESCO, va detto, è
già fortemente militarizzata, tanto da apparire quasi
circondata. Quello del Dal Molin, aerea aeroportuale, era
l’unico vero grande spazio non ancora occupato da insediamenti
militari e dalla zona industriale tutt’attorno alla
città. Ce n’è per tutti i gusti: la Caserma
Ederle, base di progettazione degli attacchi e di stazionamento
delle truppe d’assalto USA, un “villaggio”
militare americano, la base militare sotterranea Fontega,
la base sotterranea Pluto, i centri logistici di Quartesolo
e Pluto, il centro di addestramento COESPU, che è un
particolarissimo centro internazionale per la repressione
sociale facente capo al G8 e finanziato da Italia e USA (ma
i cui costi restano oscuri), la Gendarmeria Europea (polizia
militare), l’unica sede in Europa ad oggi…
A queste strutture però non andrebbe ad aggiungersi
solo l’aeroporto Dal Molin (operazione di raddoppio
in due fasi), ma altri due villaggi militari a Quinto e Torri
di Quartesolo, un ospedale per i reduci dal fronte per un
totale complessivo di oltre 3 milioni di metri quadrati stimati,
un’area superiore del 30% al centro cittadino…
Ci sono poi i lavori di rifacimento della Caserma Ederle,
mentre da tempo si scava nei siti della provincia. Le esercitazioni
di guerra, che attualmente avvengono in Germania, troveranno
spazio in futuro nella provincia di Vicenza?
Non si è ancora ben capito quante altre migliaia di
militari dovrebbero arrivare.
Ma alcune cose sono note: la prima è che si tratta
di basi d’attacco, la seconda è che siamo di
fronte ad un’operazione di progressivo insediamento
(basti pensare che dal 1955 ad oggi la Caserma Ederle ha triplicato
la sua presenza). Nessuno ha smentito la sostanza della questione:
la 173rd Brigade Combat Team sarà un’unità
d’assalto, con caratteristiche offensive e sarà
la più potente unità americana fuori dai confini
degli Stati Uniti. Nessuno ha smentito il fatto che la 173rd
Brigade Combat Team sarà l’unica unità
di intervento rapido americano in Medio Oriente (10).
La politica del sorriso e delle rassicurazioni degli uffici
per le pubbliche relazioni del Pentagono tendono a ridurre
la questione Dal Molin ad un dormitorio. Sui giornali locali
il generale ha molto spazio e parla come fosse il vero sindaco
della città.
Ci sono diversi elementi che portano a pensare che la mobilitazione
di Vicenza, una protesta che si pone come argine ed è
“protesta del limite”, sia in grado di fermare
il progetto di costruzione di una nuova base militare delle
Forze Armate degli Stati Uniti. Di mobilitazione complessa
si tratta quindi, non di semplice manifestazione isolata e
spettacolare: a Vicenza non si può perdere senza gravi
conseguenze per tutti.
Tante forme di protesta
La questione di Vicenza segna anche la crisi politica dei
governativi all’interno dei movimenti per la
pace e il ritorno allo schema che vede il governo come controparte
delle lotte sociali.
La protesta del 17 febbraio 2007, nonostante una campagna
organizzata che tendeva ad accomunare pacifisti con terroristi,
è cresciuta di cinque volte nel giro di due mesi rispetto
alla manifestazione precedente che già contava alcune
decine di migliaia di persone.
C’è poi la situazione sul campo, poco nota, ma
interessante: un comitato di cittadini per ogni quartiere,
nuovi comitati nei paesi della provincia, continue assemblee,
riunioni organizzative con centinaia di partecipanti, l’avvio
della protesta settimanale di fronte alla Caserma Ederle,
un picchetto quotidiano nei pressi della medesima struttura
con messaggi in inglese a favore della diserzione rivolti
ai soldati, un presidio permanente nei pressi dell’area
Dal Molin, partiti e sindacati attraversati dal dissenso,
radio impegnate, siti internet alternativi, pubblicazioni
in italiano ed inglese in cantiere, boicottaggi economici,
primi tentativi di scioperi dei lavoratori, il rafforzamento
dei collegamenti con i gruppi americani ed altre efficaci
tecniche combinate di politica dell’azione nonviolenta
…
Molto interessante è l’azione portata avanti
dal Comitato di cittadini e lavoratori di Vicenza Est: inviti
alla diserzione rivolti ai soldati davanti alla Caserma Ederle,
“pentolate rumorose” di disturbo, iniziative con
veterani contro la guerra in Iraq di fronte ai siti operativi,
iniziative pubbliche a favore della conversione ad usi civili…
La gente si incontra e si informa. Si sa già che gruppi
da tutta Italia sono pronti a tornare a Vicenza all’occorrenza
facendo scattare un “patto di mutuo soccorso”
ed è circolata insistentemente la volontà del
movimento contro la base militare di fermare fisicamente i
lavori se dovessero iniziare. Difficilmente un governo resiste
nel tempo a una popolazione contraria e lo abbiamo visto a
Scanzano, in Val di Susa per citare alcuni casi recenti molto
noti.
Ma gli elementi a favore della mobilitazione popolare non
finiscono qui. C’è infatti la crisi del Pentagono:
ci sono difficoltà nel costruire queste nuove enormi
basi che incontrano oggi maggiori resistenze locali. Si sa,
sono dichiaratamente offensive, causano inquinamento e problemi
gravi, di ogni tipo. Il discorso su presunti vantaggi economici
non ha convinto e da studioso di basi militari mi sento di
smentirlo, in quanto queste strutture vivono grazie a enormi
flussi di denaro pubblico e varie spese a carico dei civili,
anche quelli del paese “ospitante” che in Italia
pagano quasi la metà delle spese di stazionamento delle
truppe. Ma non è ancora tutto: c’è il
governo Bush, che di democratico non ha neanche il nome, che
non si può dire goda come prima di ampi consensi popolari
ed arranca nella fretta di concludere progetti di guerra che
hanno portato ovunque solo disastri. I soldati al fronte sono
stanchi e molti vorrebbero tornare a casa dalle proprie famiglie,
crescono dubbi, rifiuti, diserzioni.
La politica estera-militare condiziona pesantemente la vita
di ogni giorno qui e altrove. Più spese militari (11)
significa meno risorse per l’economia civile, anche
nella vita di ogni giorno per i civili. Il clima sta cambiando,
in tutti i sensi, e siamo passati dalla dimensione spettacolare
della protesta alle mobilitazioni consapevoli ed efficaci
dettate dalle emergenze politiche ed ecologiche. Mettere in
discussione ed interrompere il finanziamento automatico ai
progetti bellici è una delle improrogabili esigenze
dei movimenti per la pace.
A livello politico le conseguenze della costruzione di basi
così importanti determinerebbero di fatto, le scelte
del governo italiano dei prossimi anni.
Pericolosamente. Sembra infatti la richiesta, abbastanza esplicita,
di prepararsi a combattere, armandosi in maniera adeguata,
secondo direttive decise ai massimi livelli.
Nessuno pensi di poter costruire strutture del genere e poi
poterle controllare o porre veti sul loro utilizzo come postazione
d’attacco.
Sapremo resistere ed invertire questi processi?
Andrea Licata
Note
- Della Valle F. (a cura di) (2003), Ambiente e Guerra,
Odradek, Roma, p. 18; cfr. Il Concetto Strategico dell’Alleanza,
www.nato.int/docu/pr/1999/p99-065e.htm.
- Qiao Liang e Wang Xiangsui , Guerra senza limiti. L’arte
della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione,
Libreria Editrice Goriziana, Gorizia, 2001.
- Cfr. Noam Chomsky, Dopo l’11 settembre –
Potere e terrore, Marco Tropea Editore, 2003, Milano.
- Cfr. ad esempio Scienziate/i contro la Guerra, Il male
invisibile-la presenza militare come tumore sociale che genera
tumori reali, Odradek, Roma, 2005.
- Gli incidenti sono una costante delle attività militari
di una base, dato che queste implicano, tra l’altro, un’ampia
movimentazione di truppe, mezzi, armamenti.
- Su questi temi si vedano gli scritti di Chalmers Johnson,
esperto di politica estera e basi USA nel mondo. Un’intervista
compare su www.nonluoghi.info,
La voragine delle basi USA.
- Cfr. Noam Chomsky, Stati falliti, Il Saggiatore,
2006, Milano.
- Cfr. Noam Chomsky, Stati falliti, Il Saggiatore,
2006, Milano.
- BICC – Bonn International Centre for Conversion, Conversion
Survey, 1996.
- Il sito del reparto vanta il fatto che “We are Europe’s
quick response fighting team” (siamo la forza di risposta
rapida in Europa) www.173abnbde.setaf.army.mil/.
La 173rd Brigade Combat Team sarà secondo
i piani un unicum, proprio per questo suo ruolo speciale.
Nel piano di riforma delle forze armate americane si prevede
che la 173rd di Vicenza sarà l’unica
Brigade Combat Team a non essere inquadrata in una
divisione, l’unica di tutte le forze armate americane.
Questo perché dovrà essere un’unità
dotata di grande flessibilità e a seconda delle missioni
gli dovrà essere affiancata in tempi rapidi la massima
forza disponibile per raggiungere gli obiettivi. In pratica:
sfuggirà agli schemi perché dovrà garantire
il massimo della potenza nel minimo tempo.
- Come deciso nel 2006 dal governo Prodi, aumento del 13%. Le
spese militari risultano oggi ripartite in vari capitoli al
fine di rendere meno evidente le loro rilevanze.
Andrea
Licata presiede dal 2000 il Centro Studi e Ricerche
per la Pace dell’Università di Trieste. Collabora
con la rivista “Scienza e Pace” dell’Università
di Pisa, la “Rivista di Critica Scientifica”
(CKZ) di Lubiana, la Cattedra di Storia dei partiti e
movimenti politici dell’Università di Trieste
e varie sedi universitarie. Tiene conferenze in Italia
ed all’estero sul tema delle basi militari e del
recupero delle aree militari. Ha curato la pubblicazione
Dal militare al civile, la conversione preventiva
della base USAF di Aviano – Ricerche e progetti. |
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