politica
Dalla funzione alla finzione
di Andrea Papi
La politica esiste ancora, ma è diminuita d'importanza e incisività.
Non è più il fulcro che controlla e s'impone a tutti i livelli sul territorio di sua competenza.
L'ultima campagna di propaganda elettorale per le europee ha ben evidenziato quanto l'essenza della politica politicante si sia ridotta alla spettacolarizzazione. Le forze in campo ormai tentano di mostrare quasi esclusivamente l'abilità scenografica delle loro capacità teatralizzanti. L'unico scopo sembra quello di estorcere consenso per raggiungere una forza maggioritaria da spendere nel palcoscenico parlamentare, sia esso nazionale o europeo o, quando ci sarà, mondiale. Spinti dall'illusione di diventare decisori del e nell'“interesse pubblico”, mirano a ottenere il massimo di visibilità per riuscire a muoversi agiatamente dentro il labirinto burocratico-istituzionale della decisionalità politica.
Già in modo anomalo il parlamento europeo ufficialmente non è detentore del potere legislativo, quindi ha poca capacità incisiva. In realtà è in linea con una tendenza di fatto: dovunque le strutture statali soffrono di un impoverimento di senso nell'operato dei ruoli istituzionali e mostrano un progressivo decadimento delle loro funzioni. I vari leader in lizza, ostentando una veste sempre più esclusiva d'imbonitori, sanno perfettamente che se raggiungeranno il potere in palio molto difficilmente riusciranno a mantenere le promesse elettorali. Troppi vincoli e miriadi di lacci procedural/burocratici costellano i molti rituali della decisionalità in voga per riuscire a renderle operative. Lor signori fanno finta di continuare a credere di poter agire per soddisfare il “bene collettivo”, che la mastodontica struttura di potere denominata “democrazia rappresentativa” possa essere un effettivo “strumento nelle mani del popolo”. Sicuramente un buon numero di sprovveduti “mandati lassù” probabilmente in buona fede ci crede, ma ciò non rende meno grave e gravida di conseguenze una tale imperdonabile ingenuità. La funzione sociale di facciata è sostituita dall'avanzamento di una finzione progressiva.
L'incapacità della politica
“Lo stato sono io”, pontificava il re sole nel settecento. Lui effettivamente aveva la facoltà di decidere per chiunque; per questo tutti tentavano d'ingraziarselo. Poi al re fu tagliata la testa e fu sostituito col parlamento, luogo per eccellenza del confronto parlato, in cui attraverso la discussione gli eletti si dovrebbero accordare per giungere a decisioni per il bene di tutti. Nel giro di circa due secoli invece, un po' alla volta, gli eletti sono stati fagocitati dentro un sistema sovrastante di condizionamenti, politici legislativi ed economici, tale che ogni decisione diventa sempre talmente complicata, accerchiata da miriadi di obblighi e restrizioni interni ed esterni, che se per caso una decisione viene veramente presa non può che risultare stravolta… in funzione di dipendenze superiori incombenti. Da quando poi globalizzazione e finanziarizzazione dell'economia hanno preso il sopravvento, in particolare la politica non riesce più ad espletare i propri compiti coerentemente con la funzione sociale che le dovrebbe essere propria: di essere cioè il luogo deputato a prendere le decisioni che servono al buon andamento della convivenza sociale e civile.
Sempre più spesso e da più parti si sente dire, a volte con fermezza a volte con enfasi, che siamo entrati nell'era “post-politica”, volendo intendere che la politica, per come finora è stata pensata e intesa, non è più il luogo dove si decide per condizionare e dirigere la vita associata e individuale delle persone e dei cittadini. Personalmente credo che più che di “post-politica”, che vorrebbe significare che è morta e siamo precipitati nel dopo, dovremmo acuire lo sguardo su una specie di “oltre-la-politica”, cioè su qualcosa che sovrastandola le ha tolto la supremazia. Molto semplicemente ciò significa che non è affatto morta, che quindi non può esserci un dopo. Continua infatti ad operare tranquillamente, superata e indirizzata però da qualcosa che la relega a una funzione secondaria, sostanzialmente subordinata.
La politica esiste ancora, ma è diminuita d'importanza e incisività. Non più fulcro che controlla e s'impone a tutti i livelli sul territorio di sua competenza, ora è circoscritta e non è più sovrana. Essendo per sua natura l'espressione decisionale di un determinato ambito territoriale, con l'avvento della modernità lo stato oggi ha perso l'esclusiva della sovranità innanzitutto perché ha smesso di essere autonomo il territorio in cui opera, colonizzato dall'imprinting della speculazione finanziaria globale e del potere delle multinazionali, autonomamente sovrane contemporaneamente in più stati. Pur continuando ad essere espressione di enti statuali erogatori e legislatori, assomiglia sempre più a una funzione amministrativa per conto di altri, entità e situazioni che s'impongono come una specie di imperativo categorico.
Originariamente luogo delle decisioni che riguardano la dimensione del pubblico, pur continuando ad esserlo la politica si trova ad agire in contesti dove la funzione decisionale è in via di decadimento, perché rappresenta sempre meno il momento decisivo capace di determinare lo stato d'essere d'un insieme sociale. In altre parole, continua a decidere pesantemente per tutti e su tutti, ma ha smesso di essere il momento determinante e decisivo, il sangue vitale che scorre nelle vene dell'andamento della società. La sua funzione in questa fase è subordinata, sempre più frequentemente asservita a sopradeterminazioni che impongono condizioni e situazioni cui non riesce a sottrarsi né lo può, totalmente condizionata nelle decisioni e nelle scelte. Siamo passati dalla fase della modernità, caratterizzata dalla sovranità della politica, a quella liquida/tecnologica, dove invece è subalterna, costretta sotto l'egida dispotica del flusso tecnologico/informatico collegato alla globalizzazione finanziaria.
Impostazioni solidali di aiuto reciproco
In generale oggi non può che limitarsi ad amministrare
condizioni pre/date, determinate da dati sopra/ordinati che
incombono. C'è sempre qualcosa di improrogabile da cui
i politicanti addetti non possono prescindere nel prendere le
decisioni, solo in ultima istanza prese per la soddisfazione
dei bisogni sociali. La società si è trasformata
forzatamente in un tramite funzionale a percorsi che dominano
i suoi gangli vitali. Si è metamorfizzata in ambito asservito
a diktat e interessi preponderanti e egemonici, perdendo autonomia
e sovranità. Così, invece di preoccuparsi prioritariamente
dei problemi e dei bisogni degli individui, come dovrebbe essere
compito basilare e primario della politica, le scelte istituzionali
si trovano a dover dirigere i propri sforzi e le proprie attenzioni
per non soccombere alle imposizioni del debito pubblico, dello
spread, degli interessi finanziari, degli impegni capestro presi
con gli organi internazionali di controllo, ecc. ecc.. Il palazzo
del vecchio “potere statuale nazionale” è
diventato la sede amministrativa periferica di entità
sopranazionali ed extraterritoriali, a cui siamo tutti inequivocabilmente
asserviti senza ricevere ordini diretti.
Di fronte a una tal immensa egemonia cosa possiamo fare noi
miseri mortali, resi impotenti da una tale rilevanza di sterminato
dominio? Le vecchie gabbie identitarie, che s'illudevano di
esprimere il senso e la possibilità della rivolta emancipatrice,
sono entrate in crisi e ormai inadeguate, per quel che mi riguarda
impresentabili.
Se vogliamo sperimentare qualcosa che acquisti un significato
valido nel farsi, non possiamo non entrare in una nuova visione
d'insieme, protesa alla costruzione di aree, luoghi, territori
e spazi che ricostruiscano un tessuto sociale diverso, dove
gli atti politici, autogestionari e non più autoritari,
riacquistino senso e valore perché i diversi contesti
sociali riprendano a decidere veramente, questa volta da sé
per sé sottraendosi ai diktat e agli imperativi globali.
Se non ci riappropriamo delle sovranità territoriali,
non come ora l'un contro l'altro attraverso logiche nazionaliste
e concorrenziali, ma con impostazioni solidali di aiuto reciproco
attraverso sistemi di relazioni federali, saremo assorbiti dal
gorgo vorace e spietato di una globalizzazione che ogni giorno
di più è antiumanista, avida e spietata. Come
un novello Minotauro continuerà a pretendere il suo tributo
di sangue, insensibile ad ogni sofferenza che procura.
Andrea Papi |