Rivista Anarchica Online


culture

Anche noi “barbari”

di Francesco Codello


Il difficile rapporto e i possibili cortocircuiti tra pensiero occidentale e Islam. Risentimenti, pregiudizi e paura dell'altro.


Pur con le inevitabili semplificazioni, spesso anche pericolose, lo scenario politico internazionale è sempre più condensato e focalizzato nell'area mediterranea e, soprattutto, in quell'eurasia che è stata, fin dagli albori della storia umana, uno dei punti strategici dell'intero processo evolutivo. Naturalmente, ecco qui una schematizazione; in questa parte del pianeta si concentrano e risultano evidenti le contraddizioni, le manifestazioni, le illusioni che i media occidentali e di tutto il mondo asiatico e africano emblematizzano come cruciali per le analisi geo-politiche. Ma, ovviamente, attorno a tutto questo, si muovono altre realtà che, non sempre direttamente ma sostanzialmente, propongono alla nostra attenzione altre questioni e altri scenari critici.
Possiamo, però, raccogliere l'interessante semplificazione (ma non è una schematizzazione) propostaci da Tzvetan Todorov (La paura dei barbari. Oltre lo scontro delle civiltà, 2009) secondo la quale il mondo non sarebbe più diviso tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud, ma piuttosto stravolto e diviso tra paesi dominati dal risentimento e paesi dominati dalla paura. Vale a dire che, alla base di questa suddivisione interpretativa delle dinamiche globali, si evidenzia in modo esplicito e chiaro il problema della convivenza con il diverso. L'altro, scrive Todorov, proveniente da una cultura differente, lo classifichiamo semplicemente come “barbaro”, cioè lo carichiamo di una serie di immaginari negativi e dispregiativi che lo caratterizzano, di fatto, come un più che possibile nemico da cui difendersi.
In particolar modo, in questa stanca e sempre più barricata Europa, tutto questo si concentra nel conflitto (anzi sempre più in una vera e propria guerra) tra occidente e Islam.
Sfogliando i giornali, ascoltando le trasmissioni radiotelevisive, ma anche passeggiando lungo le vie di un paese o una città, socializzando in un bar o in una palestra, facendo la spesa al supermercato o viaggiando in autobus o in treno, capita sistematicamente di sentire, talvolta partecipare, a discussioni o a battute che si concentrano sulla questione. Ma, essendo qui impossibile sviscerare questa problematica in modo generale, vale la pena soffermarsi su alcune più specifiche questioni, come quelle relative proprio a questi due sentimenti-atteggiamenti del risentimento e della paura.
La prima considerazione intanto è quella di pensare che ci sia una parte che si nutre di risentimento nei confronti dell'altra: l'Islam (altra schematizzazione), il mondo islamico, esprime, a causa della storia della colonizzazione, dello sfruttamento, dell'imposizione di un modello economico e culturale, un risentimento profondo nei confronti dell'altra parte, l'occidente (ulteriore schematizzazione), reo di aver dominato e sfruttato milioni di uomini e donne, bambini e bambine, attraverso le più svariate forme e con l'esercizio della violenza e della sopraffazione. Ma, probabilmente, questo risentimento, che troverebbe in questo modo una spiegazione (ma non una giustificazione), se caratterizza quella parte di mondo che si vive, giustamente, come violentata e dominata, finisce per innescare, attraverso le azioni conseguenti, un uguale (ancor meno giustificato) rancore nell'altra parte.

Angoscia diffusa, preoccupazione

Lo stesso dicasi della paura, che sarebbe propria dell'occidente, che si scopre così vulnerabile subendo azioni terroristiche indiscriminate che colpiscono ormai migliaia di persone e quindi vive spesso con vero e proprio terrore momenti diversi della vita quotidiana, muoversi, incontrarsi, divertirsi, ecc., dentro una sorta di condizione angosciante. Ma possiamo forse pensare che anche questo sentimento di paura non si riproduca e si diffonda anche dentro l'altra parte, tra una popolazione sempre più afflitta da violenze, guerre, fanatismi, insicurezze, mancanza di prospettive concrete di sopravvivenza?
Queste due reazioni, risentimento e paura, attraversano le due “civiltà”, anche se possono essere collocate, schematicamente, una da una parte e una dall'altra, ma una volta originate, come abbiamo visto, si trasferiscono indifferentemente, di qua e di là. Il risentimento gioca un ruolo essenziale in una serie di paesi che hanno una popolazione a maggioranza di religione mussulmana, non solo mediorientali, ma anche asiatici e africani e si nutre della convinzione (spesso fondata) di aver subito e di subire un'umiliazione e uno sfruttamento perpetuato loro da paesi più ricchi e più potenti. I paesi che costituiscono l'occidente hanno dominato per secoli e continuano a farlo producendo inevitabilmente reazioni e rivolte che si traducono in atti terroristici e violenze (pensiamo ad esempio a quanto successo recentemente in Germania alle donne vittime di veri e propri abusi di massa).
Tutto ciò genera una paura estesa, un sentimento di angoscia diffusa, di preoccupazione, di insicurezza. Sembra proprio di trovarci di fronte a una situazione che produce continuamente rimbalzi di sentimenti e di atteggiamenti reciprocamente speculari e funzionali a una sistematica e continua perpetuazione infinita degli stessi comportamenti. Ciascuno resta barricato dentro le proprie sicurezze e si aggrappa a forme di esclusiva e continua differenziazione trovando in forme di autoreferenzialità culturale la giustificazione ai propri comportamenti. Ma dentro questo (schematico) quadro, è indispensabile dar voce a quanti si collocano fuori da questi recinti, a coloro che concretamente offrono, se non ponti almeno passerelle, a chi si batte, nei fatti e nei comportamenti quotidiani, per togliere almeno un mattone ai vari muri che vengono eretti per dividere i buoni dai cattivi, i privilegiati dagli sfruttati, i deboli dai forti.
Per fare ciò è indispensabile, a mio giudizio, affiancare ad azioni e comportamenti concreti di solidarietà (facile a dirsi difficile da attuarsi), ma esempi ce ne sono tanti (pensiamo agli abitanti di Lampedusa, alle famiglie che hanno accolto uno o più rifugiati, a gruppi di volontari che assistono e sostengono migranti e sbandati, ecc.), una comune elaborazione più profonda in grado di offrire una chiave di lettura generale di quanto sta accadendo. Il primo tassello di questa analisi potrebbe essere quello di considerare come, nel consolidamento di questi sentimenti (risentimento e paura), che pure nascono talvolta spontaneamente e ovviamente, questi vengano poi alimentati e potenziati da Stati più o meno democratici o da califfati più o meno islamici. Capire che, dentro un processo e una migrazione così biblica, inevitabile ed estesa, si stanno giocando interessi economici e politici straordinariamente potenti, è fondamentale.

Per dimostrarne l'inconsistenza

Se il risentimento, che nasce dal constatare come le persone che mi stanno vicino e sono parte della mia comunità e della mia storia, sono state vittime di soprusi e sfruttamenti, viene utilizzato, strumentalmente e politicamente, per sostenere una nuova dominazione, magari fondamentalista e fondata su una visione religiosa del mondo e della vita, allora una nuova forma di dominio si sta affermando in modo forse più sottile, ma non per questo meno violentemente.
Lo stesso dicasi per la paura. Se a una normale reazione di timore io aggiungo un cocktail di angosce, scenari apocalittici, faccio leva sulle più profonde e brutali sensazioni che si producono dentro di noi, per invocare nuovi muri, fili spinati e reticolati diffusi, diffidenza e vero e proprio odio per il “barbaro”, ecco che un nuovo dominio trova la sua giustificazione, facendo leva proprio sui sentimenti profondi di ciascuno di noi.
Ma, sempre secondo un mio personale punto di vista, dobbiamo allo stesso tempo, questo sì tocca a noi “occidentali”, non trascurare questi fenomeni, non sottovalutare questi sentimenti, non sfuggire da queste realtà. La paura che sta montando sempre più diffusamente tra di noi (come dicevamo basta salire su un autobus o andare in qualche osteria) non può essere smantellata con frasi fatte, con dichiarazioni di principio, con mistici richiami a valori universali, con una sorta di antica supponenza di essere sempre i migliori (una élite progressista), ma occorre più concretezza, più disponibilità a cogliere queste paure e non a negarne la legittimità, quanto piuttosto a dimostrarne concretamente l'inconsistenza.
Pensiamo sempre comunque che è la paura dei “barbari” che rischia di renderci barbari, anzi per certi aspetti lo siamo già. Da qui occorre partire se si desidera veramente non nasconderci il problema della possibile barbarie che può essere anche dentro di noi.

Francesco Codello