ricordando Amedeo
Bertolo
Lasciamo il pessimismo
per tempi migliori
di Paolo Finzi
con due scritti di Amedeo Bertolo
foto Centro Studi Libertari/AFA (Archivi Fotografici
Autogestiti)
Amedeo Bertolo
All'età
di 75 anni è morto Amedeo Bertolo, militante anarchico,
uno dei fondatori di questa rivista, membro del nostro
collettivo redazionale nei primi 4 anni (1971-1974). Lo
ricordiamo qui con uno scritto di un nostro redattore
che fece parte di quel primo collettivo redazionale. Riproponiamo
due scritti di Amedeo, sulla nascita della “A”
cerchiata e sulla nascita di questa rivista, che scelse
la “A” cerchiata come proprio logo.
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ricordando Amedeo Bertolo
Il Galletto di Amedeo
di Paolo Finzi
La morte di Amedeo Bertolo, uno dei fondatori di “A”. L'impegno militante, dalla giovanile solidarietà con la lotta antifranchista del popolo spagnolo alla campagna di contro-informazione sulla strage di Stato. Le molte iniziative realizzate. La scelta di un impegno editorial-culturale, senza trascurare quello politico-militante. Una mente lucida, che tanto ha dato nei termini di un'apertura mentale e culturale dell'anarchismo. E un carattere non-facile, con la socialità di un orso. Ci lascia un patrimonio di interrogativi.
Nei film del neo-realismo italiano, dalla fine della Resistenza agli anni '60, era spesso presente. Molti la consideravano “la moto dei preti di campagna”, ma nel nostro caso uso e utilizzatore furono ben diversi. Quella moto un po' “protetta”, il Galletto della Moto Guzzi, utilizzabile anche per lunghi viaggi, nel caso di Amedeo servì per raggiungere più volte la Spagna, da Milano, portando agli anarchici impegnati nella lotta clandestina anti-franchista, una volta, un intero ciclostile (smontato) che poi sarebbe servito per produrre volantini.
La diffusione della parola, della parola anarchica, da quei giovanili viaggi solidali e non privi di rischi alla fondazione e gestione (con Rossella, compagna di una vita) – vent'anni dopo – di una casa editrice (Elèuthera) che ha segnato finora il più riuscito tentativo di diffusione delle idee anarchiche e libertarie al di fuori dei consueti “giri” del movimento anarchico e dintorni, senza mai perderne contatti e relazioni. Come si evince dal catalogo della casa editrice.
I primi 4 anni dentro ad “A”
Amedeo Bertolo (Milano, 1941-2016) è stato una figura
significativa del movimento anarchico e del pensiero libertario
dalla seconda metà del Novecento.
È stato anche l'ideatore di “A”. Lui la racconta
un po' diversa, in un piccolo scritto inserito nel nostro n.
358, quello con cui abbiamo degnamente celebrato i primi 40
anni “A”. Scritto da noi ripubblicato in coda a
questo numero.
Comunque in un bel giro di compagne e compagni, in quegli anni
a cavallo tra i '60 e '70, soprattutto a cavallo della strage
di piazza Fontana (12 dicembre 1969) e tre giorni dopo l'assassinio
in questura di Giuseppe Pinelli, la figura intellettuale e militante
di Amedeo si stagliava per uno spirito organizzativo particolare.
Il carattere non era facile, un orso a volte molto disponibile
altre appartato, discontinuo. Eppure ha spesso esercitato un'influenza
forte, quasi magnetica a volte. Nella sua lucidità, a
volte nella sua durezza, ci coglievano una credibilità,
un chiedere molto a sé e agli altri, che tendevano a
farne un “leader” naturale. Questione delicata,
sopratutto tra gli anarchici, che rifiutano il potere ma poi...
spesso non sanno tener alta la sensibilità e trovare
soluzioni concrete e relazionali per andare in controtendenza.
E sarà poi un compito di Amedeo, negli anni '80, scrivere
un saggio illuminante su potere, dominio, autorità.
Quando muore uno – un compagno, tra noi anarchici –
capita di sentir ripetere che “un altro prenderà
il suo posto”. Retoricamente, forse, bello. Con Amedeo
non succederà di sicuro, a mio avviso. Troppo specifico
il suo ruolo. Amedeo era fortemente connotato nel pensiero,
nelle relazioni.
In queste settimane, per ora in modo collettivo e non ancora
ben coordinato, abbiamo cominciato a raccoglierne gli scritti,
identificandoli anche per sigla, nome de plume, ecc.
Sulla rivista “A” una quarantina, non tanti. Eppure
nei primi 4 anni di “A” Rossella e Amedeo erano
stati membri del collettivo redazionale di “A”,
intensamente, uscendone a fine dicembre 1974, per dedicarsi
ad altri progetti editoriali e militanti. Dunque, da 42 anni
Amedeo era fuori dalla redazione, eppure il dialogo tra noi
due non si è mai interrotto. Quando c'erano scelte importanti
da fare, decisioni da prendere, mi rivolgevo anche a lui. A
volte mi aiutava a riflettere e concordavo con lui. A volte
no, non mi trovavo d'accordo con lui, ma il ragionamento che
sapeva sviluppare era, anche nel dissenso, sempre utile. Perchè
il suo rigore logico, la sua capacità di vedere le cose
come stavano (senza “prosciutto sugli occhi”), la
sua lucidità che a volte sembrava sconfinare nel cinismo,
erano una costante e una certezza.
Davvero insostituibile uno come Amedeo. E il suo carissimo amico
Roberto Ambrosoli, suo compagno al liceo classico Berchet a
Milano negli anni '50, ne coglie lo spirito.
“Arrangiatevi” sarebbe probabilmente la sua risposta
al nostro sconforto. E queste note in memoria non le avrebbe
apprezzate. Troppo, per uno schivo come lui.
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Varese, 1962 - I tre imputati al processo per il rapimento del vice-console spagnolo a Milano Isu Elias. Il settimanale anarchico Umanità Nova seguì il processo tramite l'inviato Alfonso Failla, militante antifascista,13 anni tra confino e carcere |
Più di mezzo secolo di anarchia
Ripercorriamo in breve alcune tappe della sua vita. Nato in
piena Seconda guerra mondiale (1941) si avvicina all'anarchismo
dopo aver letto un comunicato sul settimanale Umanità
Nova appeso nell'Università Statale. Prende contatti
con il movimento anarchico spagnolo impegnato nella lotta clandestina
contro il regime franchista, si reca in Spagna.
Al ritorno in Italia giunge notizia che uno di questi, Jorge
Conill Valls, è stato condannato a morte in seguito ad
alcuni attentati dimostrativi contro luoghi simbolo del regime.
In segno di protesta Amedeo, insieme ad altri giovani anarchici
e socialisti, decide di sequestrare il vice-console spagnolo
Isu Elías. È il primo rapimento politico in Italia:
il fatto ha una certa eco nell'opinione pubblica, la pena di
morte viene commutata in ergastolo e il vice-console è
rilasciato. Il giorno del processo il ventunenne Bertolo, fino
ad allora latitante, si costituisce in tribunale; il giudice
riconosce i motivi di valore morale alla base del gesto e ordina
la sospensione della pena, mentre fuori, a Milano e a Roma,
si tengono manifestazioni contro la dittatura di Franco.
Redattore del foglio “Materialismo e Libertà”
nel 1963, tre anni più tardi è tra gli organizzatori
del convegno giovanile internazionale che si svolge a Milano,
ospiti, tra gli altri, i provos olandesi e i contestatari francesi.
Alla fine del convegno viene improvvisata una manifestazione
nel corso della quale un garrote (lo strumento di morte utilizzato
dal regime franchista) viene portato a spalle davanti al Duomo,
prima che arrivi la polizia a compiere i soliti arresti. In
questo contesto si rafforzano quei legami con la gioventù
contestatrice europea che continueranno negli anni successivi
e che contribuiranno a portare in Italia lo spirito e le pratiche
del maggio francese.
Animatore del gruppo Gioventù Libertaria di Milano e
poi del gruppo Bandiera nera, aderenti ai Gruppi Giovanili Anarchici
Federati (GGAF, poi GAF) fonda insieme a Giuseppe Pinelli la
Croce nera anarchica sull'esempio dell'Anarchist Black Cross
di Stuart Christie. Obiettivo principale è portare solidarietà
attiva ai militanti vittime della repressione franchista.
L'apertura del circolo “Sacco e Vanzetti” in viale
Murillo (1966), poi del circolo “Ponte della Ghisolfa”
(1968) in piazza Lugano, poi circolo “Scaldasole”
nell'omonima via al quartiere Ticinese (1969), poi della sede
di viale Monza (1976) in condivisione con la Federazione Anarchica
Milanese, poi della sede di Elèuthera in via Rovetta
27 fino al trasferimento (lo scorso anno) in via Jean Jaures.
Se li è fatti tutti i traslochi delle sedi politiche
ed editoriali.
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Carrara, Teatro degli Animosi, 31 agosto/5 settembre 1968 - Amedeo Bertolo e Antonella Frediani in un palco durante il Congresso dell'Internazionale delle Federazioni Anarchiche (IFA) |
Un vero snodo della “politica culturale” anarchica
La strage di Stato del 12 dicembre 1969 cambia la storia d'Italia,
la vita dei compagni e l'attività della Croce nera che
si concentra ora sulla necessaria attività di difesa
e di controinformazione. Amedeo appena saputo della morte di
Pinelli telefona ai suo compagni: “Hanno ucciso Pino.
Andiamo in questura, per farci tacere dovranno ammazzarci tutti”.
Comincia quindi una intensa stagione. Celebre la conferenza
stampa al Circolo Ponte della Ghisolfa del 17 dicembre 1969,
in cui i giovani milanesi affermano a chiare lettere: “Valpreda
è innocente, Pinelli è stato assassinato, la strage
è di Stato”. Per il “Corriere della Sera”
si tratta di “farneticazioni”, mentre il questore
di Milano da subito infanga la memoria di Pinelli, accusandolo
di essersi suicidato a dimostrazione della sua colpevolezza.
Amedeo, che già stava lavorando a fondo sulle bombe scoppiate
nei mesi predenti su e giù per l'Italia, ascrivendole
a un piano ordito dallo Stato per fermare la spinta della contestazione
del '68/'69, è tra coloro i quali delineano lucidamente
i contorni della strategia della tensione. Il libro Le bombe
dei padroni (Processo popolare allo stato italiano nelle persone
degli inquirenti per la strage di Milano), centinaia di
migliaia di giornali e volantini, sono solo alcuni dei segni
rimasti visibili di una stagione in cui il movimento riesce
a ribaltare il tavolo, dall'iniziale caccia alle streghe contro
i libertari fino all'affermazione della verità: gli anarchici
sono innocenti, la strage è di Stato, Pinelli assassinato,
Calabresi assassino.
La redazione di “A Rivista Anarchica” dal 1971;
l'attività dei Gruppi anarchici federati (dalla fondazione
nel 1972 fino all'autoscioglimento nel 1978) e quella del Comitato
Spagna libertaria; i convegni (su Bakunin, sui Nuovi padroni
– in cui si analizza una nuova classe di dominatori, i
tecnoburocrati – sull'Autogestione – vista come
pratica continua di destrutturazione del potere); gli incontri
internazionali come quello del 1984 a Venezia dove si ritrovano
circa tremila compagni da varie parti del mondo; il lavoro redazionale
nella rivista “Interrogations” fondata nel 1974
da Louis Mercier Vega, già combattente nella guerra civile
spagnola con la Colonna Durruti; la creazione del Centro studi
libertari (1976) che si affianca all'archivio Pinelli, luogo
dove viene organizzato quel ricco materiale “ereditato”
dalle generazioni precedenti grazie al supporto generoso di
compagni come Pio Turroni; la riattivazione della casa editrice
Antistato che grande ruolo ha nel portare in Italia autori da
riscoprire (Bakunin, Kropotkin, Malatesta, Landauer, Armand)
o che rinnovano profondamente l'orizzonte culturale del movimento
(Bookchin, Ward, Goodman, Castoriadis, Mercier Vega, Lourau,
Clastres, Colombo e altri, e la nuova serie della rivista “Volontà”
dal 1978); ancora, nel 1986, la nascita della case editrice
Elèuthera, erede dell'Antistato, che ha sempre in Amedeo
uno degli animatori e che con le sue pubblicazioni continua
a fornire nuovi stimoli e ad aprire vie impreviste all'anarchismo.
E questo per restare solo ai progetti “grossi”,
cui si è affiancata un'intensa e costante attività
di incontri, seminari, iniziative varie che, insieme con una
rete davvero estesa, a livello internazionale, di relazioni
personali, ha fatto di Rossella e Amedeo un vero snodo della
“politica culturale” (possiamo chiamarla così?)
di buona parte dell'anarchismo, decine, centinaia di contatti,
una parte dei quali diventati “autori Elèuthera”,
presenti in un crescente catalogo che ora si aggira intorno
a 250 libri pubblicati.
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Milano, 20 dicembre 1969 - Amedeo Bertolo ai funerali del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli. Amedeo e Pino militavano entrambi nel gruppo anarchico “Bandiera Nera” e nella Croce nera Anarchica |
Realizzazioni tante, progetti ancora di più
Personalmente, ho avuto con Amedeo un rapporto speciale. È stato con Gianni (suo fratello), Antonella Frediani, Pino Pinelli, Umberto Del Grande, Enrico Maltini, Fausta Bizzozzero, Luciano Lanza e altri pochi, tra i primi anarchici che conobbi all'inizio del 1968. Tutti più vecchi di me, e per questa ragione miei “esempi”. Ma Amedeo lo vissi nei miei primi anni di militanza come una figura paterna, ricordo che in alcune lettere lo definivo “papà A.B.”. Ricordo anche lunghe chiacchierate, quel suo ragionare lucido e molto determinato nell'azione: oggi lo ricordiamo per le sue doti intellettuali, ma in quegli anni '60 e '70 il “sacro fuoco” della militanza dura era patrimonio comune, ordinariamente comune, e Amedeo – per un insieme di ragioni – esercitava naturalmente un suo carisma. Era naturalmente un leader, ma gli mancava – fortunatamente – qualcosa per esserlo appieno. Non era portato al “comando”.
Non era un “continuista”, di quelli (come il sottoscritto) che una volta coinvolto in un'iniziativa, non la molla più (per mille ragioni, anche sensate). Amedeo era troppo curioso. Gli piaceva sognare, pensare, realizzare nuove “cose”, cercava di forgiarle secondo la propria sensibilità. Una volta realizzato un progetto, in molti casi subito pensava ad altro.
E se lunga è la lista delle cose da lui realizzate, altrettanto lo sarebbe quella dei progetti cui pensava, sempre in modo organico. Punto 1., poi sottopunti 1.1 e 1.2, uno fa questo, l'altro fa quello, assemblea generale ogni tot, parte teorica, parte operativa. Si inizia il... . I fondi possono derivare da questo. Se no...
Non so lui o Rossella abbiano conservato le molte idee che gli sono frullate per la testa, i molti progetti cui ha lavorato. In un mondo come quello anarchico in cui moltissimo si è sempre discusso in merito all'organizzazione, ma non sempre si è agito in conseguenza, Amedeo era affidabile e credibile. Se si imbarcava in un progetto, barra al centro e ce la metteva tutta.
Poco o niente ho detto, qui, del suo pensiero. Dei suoi scritti, alcuni dei quali a mio avviso fondamentali per un ammodernamento (diciamo così) dell'anarchismo, o meglio del nostro anarchismo (ivi compreso quello di “A”) visto che di anarchismi ce ne sono vari in circolazione.
Ci saranno altre, prossime occasioni. Compagne e compagni ben più ferrati di me, di noi, so che si apprestano alla raccolta, edizione, riflessione dei suoi scritti. Lo merita Amedeo, lo merita il movimento anarchico, di cui come quasi tutti i suoi esponenti Amedeo diceva ogni male possibile, con quella esacerbazione dell'animo che è propria degli amanti traditi.
È dentro questo amore teorico e pratico per la libertà individuale e collettiva che riconosco in Amedeo un punto di riferimento imprescindibile. Non un capo da venerare né un pensatore cui adeguarsi. Come individuo non c'è più, ma ci ha lasciato una cassetta degli attrezzi ricca ed aggiornata. Sta a noi non lasciarla invecchiare e tenerla aggiornata.
Amedeo, orso Amedeo, il tuo “arrangiatevi” lo sento benissimo. E non mi incazzo, non ti mando a quel paese (ci sei già). Prima che tu ricominci a menarmela perchè non capisci che cosa c'entri quel collaboratore su “A”, perché diamo tanto spazio a quella tematica, perchè non intervistiamo quella, ecc. lascia che ti abbracci come, tra la tua indole riservata e la tua patologia che ti presentava fragile, credo di non aver fatto da lungo tempo.
Se avessimo una bandiera, la inchineremmo al tuo passaggio, alla tua dipartita. Non avendola, ci arrangiamo e tiriamo avanti – per quanto possibile – con questa rivista che ti ha nel suo DNA. E con il tuo carisma (e la tua lucida intelligenza) so che continuerai ad esserci. Burbero e coinvolto.
Ciao Amedeo. È appena passato in redazione un compagno. Mi ha parlato di te come un “padre” che lo ha formato e cui è grato. Gli ho fatto leggere questo testo. Mi ha detto “bello” e ha aggiunto che dovrei sottolineare di più la tua contemporanea figura di militante instancabile, di fine intellettuale e di grande organizzatore. “Non ho mai conosciuto compagni che fossero tutte queste tre cose insieme”, mi ha detto.
Paolo Finzi
Così
nacque “A”
di Amedeo Bertolo
Eravamo
giovani, decisamente. Il più vecchio ero io: avevo ventinove
anni. Il più giovane, Paolo Finzi, ne aveva diciannove.
Gli altri (Luciano Lanza, Fausta Bizzozzero, Nico Berti, Roberto
Ambrosoli) avevano tra i venticinque e i ventotto anni. Sto
parlando del nucleo centrale dei fondatori di “A”
nell'autunno del 1970, quando nasce il progetto della rivista.
Giovani e avventati: saggiamente avventati, visti i risultati.
Il progetto nasce in modo singolare, su sollecitazione esterna
a quelli che saranno – che saremo – i suoi effettivi
promotori. Un piccolo editore romano ci propone, tramite un
suo collaboratore (Guido Montana), di dare vita a una nuova
pubblicazione anarchica. Nuova, diversa. Il Montana ci suggerisce
anche il titolo: “A”, graficamente una A cerchiata.
Perplessità nostra iniziale sul progetto e sul titolo,
poi accettazione. Mentre prepariamo il primo numero, inventandoci
grafici e giornalisti, l'editore ha un ripensamento (probabilmente
trovandoci troppo anarchici e dilettanteschi per i suoi gusti)
e lascia il progetto. Che fare? Rinunciare? Continuare? Con
quali capacità, con quali soldi? Avventatamente e saggiamente
decidiamo di esserne capaci e di proseguire da soli. E decidiamo
di utilizzare un gruzzolo accantonato nel corso degli ultimi
due anni per un progetto – arenatosi – di comune
libertaria, sufficiente a malapena a coprire i costi tipografici
dei primi tre numeri della rivista. Poi si vedrà; che
Bakunin ce la mandi buona.
Il vecchio Bak ce la manda buona. Tirata a diecimila copie,
“A” vende da subito sette-ottomila copie, diventando
di gran lunga la più diffusa pubblicazione anarchica.
La formula che a tentoni, un po' programmaticamente un po' sperimentalmente,
avevamo adottato funzionava, era adeguata ai tempi, tempi di
rivolta giovanile e di intensa conflittualità sociale
(eravamo a ridosso del '68 studentesco e del '69 operaio) e
di inaspettata riscoperta dell'anarchismo (effetto paradossale
anche dell'affaire Piazza Fontana).
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Milano, 1974. Amedeo Bertolo durante un comizio |
La formula? Una veste grafica attuale (attuale allora,
evidentemente), un linguaggio attuale, contenuti attuali
(o attualizzati). Un po' specchio delle lotte e un po' riflessione
critica, con un po' di pensiero di più ampio respiro,
un po' di proposte teoriche innovative (quelle dei Gruppi Anarchici
Federati – G.A.F. – cui la rivista faceva riferimento,
pur non volendone essere espressione ufficiale) e un po' di
riproposizione orgogliosa di identità anarchica...
Eravamo giovani e un tantino presuntuosi. Quel tanto di presunzione
necessaria forse a farci credere capaci di ridare giovinezza
a un anarchismo che percepivamo come senile, ripetitivo, stancamente
e inutilmente retorico, una vulgata che tradiva le potenzialità
dell'anarchismo classico...
Ho lasciato la redazione di “A” alla fine del 1974,
dopo avere pensato e realizzato il suo passaggio grafico e redazionale
al nuovo format magazine, per impegnarmi in altre iniziative
editoriali e culturali: la rivista internazionale di ricerche
anarchiche “Interrogations”, il Centro Studi Libertari
G. Pinelli, le Edizioni Antistato..., perseguendo in altre forme
più o meno lo stesso progetto identitario e insieme apertamente
innovativo che aveva fatto nascere “A”.
Amedeo
Bertolo
La veridica storia della A cerchiata
di Amedeo Bertolo
È
ormai talmente diffusa la A cerchiata, e generalmente conosciuta
e riconosciuta, che ha finito con l'essere considerata un simbolo
anarchico tradizionale, con il dare l'impressione di esserci
“da sempre”. Così ad esempio, la rivista
americana “Fifth Estate” (1997) crede di vedere
una A cerchiata sull'elmetto di un miliziano anarchico della
rivoluzione spagnola. Addirittura qualcuno la vuol fare risalire
a Proudhon (cfr. N. Baillargeon, L'ordre moins le pouvoir,
Marseille 2001)...
In realtà essa è poco più di una parvenue
dell'iconografia libertaria: la A cerchiata nasce nel 1964 a
Parigi e nel 1966 a Milano. Due date e due luoghi di nascita?
Sì, e vedremo come.
È nell'aprile del 1964, infatti, che sul bollettino interno
delle Jeunesses Libertaires (cioè dei giovani anarchici
francesi: quattro gatti, allora, i giovani anarchici in Francia
come in Italia come dappertutto) compare la proposta di un segno
grafico per l'insieme del movimento anarchico, al di là
delle differenti tendenze e dei diversi gruppi e federazioni.
Perché questa proposta? “Due motivazioni principali
ci hanno spinto: innanzitutto facilitare e rendere più
efficaci le scritture e i manifesti murali, e poi assicurare
una presenza più ampia del movimento anarchico agli occhi
della gente e un carattere comune a tutte le espressioni dell'anarchismo
nelle sue pubbliche manifestazioni. Più precisamente,
si trattava, secondo noi, di trovare un mezzo pratico che consentisse
da un lato di ridurre al minimo il tempo impiegato per firmare
i nostri slogan sui muri e dall'altro di scegliere un segno
sufficientemente generale da poter essere adottato da tutti
gli anarchici. La sigla da noi proposta ci sembra rispondere
a questi criteri. Associandola costantemente alle espressioni
verbali anarchiche finirà, per un noto automatismo mentale,
con l'evocare da sola nella gente l'idea dell'anarchismo”.
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Amedeo Bertolo visto da Pietro Spica |
Il segno grafico proposto è proprio una A maiuscola inscritta
in un cerchio. Perché? Forse per derivazione dal già
diffuso simbolo antimilitarista, in cui la “zampa di gallina”
viene sostituita con la lettera iniziale della parola anarchia
in tutte le lingue europee. Forse per altre suggestioni. Ad
esempio, il segretario della Alliance Ouvrière Anarchiste
(una minuscola federazione anarchica di lingua francese), Raymond
Beaulaton, mi ha scritto, nel 1984, che fin dal 1956-57, i primi
membri dell'AOA usavano nella loro corrispondenza, dopo la firma,
una sigla che era dapprima una A inscritta in un cerchio a sua
volta inscritto in un'altra A (per l'appunto AOA), diventata
poi una doppia A inscritta in una O e poi semplificata in una
A inscritta in una O.
Di certo vi è però che il primo uso “pubblico”
della A cerchiata da parte di tale Alliance compare nel giugno
1968 sul loro bollettino ciclostilato “L'Anarchie”.
Ma torniamo al 1964. La proposta delle JL non dà, lì
per lì, alcun frutto. Nel dicembre dello stesso anno
la A cerchiata ricompare nel titolo di un articolo, a firma
Tomás [Ibañez], sul giornale “Action libertaire”,
edito da alcuni giovani anarchici perlopiù spagnoli,
tra cui anche alcuni di quelli che, sul citato bollettino di
otto mesi prima, avevano proposto quel segno identitario. Ma,
di nuovo, nessuna rispondenza nel movimento anarchico francese
(né, tanto meno, internazionale).
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In una foto recente Amedeo con Rossella Di Leo, compagna di
una vita e di tante iniziative comunemente portate avanti nei
decenni, dal Centro Studi Libertari/Archivio Pinelli alla casa
editrice Elèuthera |
Bisogna aspettare fino all'inizio del 1966 perché il
simbolo della A cerchiata, proposto dal bollettino delle JL,
venga ripreso e utilizzato, in modo dapprima “sperimentale”
poi regolare, dalla Gioventù Libertaria di Milano, un
gruppo di giovani anarchici (di cui facevo parte), che era in
fraterni rapporti con i giovani parigini, con cui aveva costituito
una effimera ma altisonante Fédération Internationale
des Jeunesses Libertaires. È da allora che il segno comincia
la sua vita pubblica.
Dapprima, per l'appunto, a Milano, dove diventa firma usuale
sui volantini e manifesti dei giovani anarchici, e in Italia,
per tornare poi in Francia e diffondersi piuttosto rapidamente
nel resto del mondo. Marianne Enckell, [responsabile del CIRA
di Lausanne] dice di non aver prova di un uso della A cerchiata
nel maggio parigino e di aver trovato scarse tracce della sua
presenza fuori dall'Italia fino al 1972-73.
È, comunque, a mia memoria, dall'inizio degli anni Settanta
che la A cerchiata “esplode” con una spontanea appropriazione
mimetica da parte dei giovani anarchici, un po' in tutto il
mondo: un successo strepitoso che ha fatto dire a qualcuno che,
se il suo inventore avesse brevettato la A cerchiata, sarebbe
oggi miliardario!
Le cause della rapida e intensa fortuna? Più o meno le
motivazioni espresse dalle JL. Cioè, da un lato, la grande
semplicità che fa della A cerchiata uno dei segni grafici
più immediati come la croce, la falce-martello, la svasticaÂ
Dall'altro lato un movimento “nuovo”, giovane, in
rapido sviluppo, che cercava un segno unificante. Così,
in assenza a livello internazionale di un simbolo grafico degli
anarchici e in presenza talora, a livello nazionale o locale,
di una simbologia tradizionale inadeguata (in Italia, ad esempio,
era molto utilizzata la fiaccola), s'è di fatto imposta
la A cerchiata, senza che nessun gruppo o federazione mai si
sognasse di decretarne l'applicazione.
Questa è la veridica storia della A cerchiata, che è
fatta insieme di volontà consapevole e di spontaneità.
Un cocktail tipicamente libertario.
Amedeo
Bertolo
(dal bollettino del Centro Studi Libertari - Milano)
P.S. Tutta
la documentazione relativa a questa storia delle origini della
A cerchiata si trova presso il Centro Studi Libertari / Archivio
G. Pinelli di Milano e il Centre International de Recherches
sur l'Anarchisme (CIRA) di Lausanne.
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