Rivista Anarchica Online




Botta.../ Non basta eliminare il manicomio, bisogna distruggerne gli elementi costitutivi

Sui numeri 408 e 411 di “A” - rivista anarchica, sono state pubblicate due interviste sulla psichiatria, una fatta a Giorgio Antonucci da Moreno Paulon (Psichiatria e potere), l'altra fatta a Piero Cipriano da Daniela Mallardi (La dignità dei devianti).
Ringrazio per questo la redazione della rivista che pone sul tappeto la controversa e annosa questione “psichiatrica”, attraverso la diretta rappresentazione del pensiero di chi opera in quei contesti. Leggendo le due interviste sono rimasta, però, a dir poco perplessa dal gratuito, violento e immotivato “attacco” che Piero Cipriano, lo psichiatra che si autodefinisce “anarchico-riluttante”, ha sferrato nei confronti di Giorgio Antonucci, uno dei protagonisti della lotta per la liberazione dei degenti psichiatrizzati condotta negli anni settanta in Italia e uno degli ultimi rimasto sulla scena internazionale a testimoniare e lottare per la liberazione dal “pregiudizio psichiatrico”.
Premetto di aver letto tutti e tre i libri di Cipriano e di averli trovati (eccezion fatta, forse, per l'ultimo) testi interessanti, perché in questi viene ben descritta sia la realtà “manicomiale” dei reparti degli ospedali italiani ancora destinati ai “malati di mente”, sia la pratica dell'annichilimento farmacologico dei pazienti da parte degli stessi psichiatri.
Ma quale colpa ha commesso Antonucci, per attirarsi tale veemente aggressione, proprio lui che slegava insieme a Cotti e Basaglia i degenti e ai quali proprio a Cividale quest'ultimo inviava i casi più difficili? Quella di aver sostenuto (allora come ora) la necessità di abolire il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), ovvero il ricovero coatto, il dispositivo medico-giuridico ancora presente nella legge 180/78, che, pure, ha determinato la morte violenta di Francesco Mastrogiovanni, Mauro Guerra, Massimiliano Malzone, Andrea Soldi (solo per citare gli ultimi casi), deceduti proprio a causa del TSO. Il manicomio non è solo un edificio, è un criterio.
“Fintanto che lo Stato si potrà permettere di sequestrare un cittadino per il suo pensiero, i manicomi saranno dappertutto” dice Antonucci, affermando che questo ha segnato da sempre un punto di distanza con Basaglia, il quale non si è mai espresso contro il trattamento sanitario obbligatorio. Ma procediamo con ordine.

L'Antonucci “demagogo”

Cipriano definisce Antonucci “demagogico”, ma non dovrebbe sfuggirgli che il significato originario del termine è “arte di guidare il popolo” e, in realtà, Antonucci, dal 1970 al 1972 (dopo l'esperienza di Cividale, dunque), ha diretto il Centro di Igiene Mentale di Castelnuovo Ne' Monti (sull'Appennino reggiano), mobilitando la popolazione contro il manicomio di Reggio Emilia e Modena e utilizzando proprio l'arte di guidare il popolo per scardinare l'istituzione manicomiale, non certo per ingannare il popolo con facili promesse o facili discorsi.
Non ci sembra però che lo psichiatra “anarchico-riluttante” utilizzi l'aggettivo in tal senso, quando afferma “Quello di Antonucci è un discorso demagogico. La malattia mentale certo che non esiste in quanto malattia, siamo d'accordo, ma la sofferenza psichica, o il disagio, o chiamiamolo come vogliamo, quello c'è, lo vediamo, e una persona così sofferente la libertà l'ha già perduta prima ancora che intervenga la psichiatria con le sue armi di precisione e repressione. Quindi non si tratta solo di liberare le persone sofferenti dalla psichiatria, ma liberarle da quella sofferenza [...] non contesto lo strumento del TSO”.
Lo psichiatra “anarchico-riluttante”, dunque, sostiene che coloro che incappano nel TSO sono persone “sofferenti” che vengono internate nei reparti psichiatrici di diagnosi e cura per essere “liberate” da una sofferenza che gli ha fatto perdere la libertà. Purtroppo non possiamo più chiedere a Francesco Mastrogiovanni, maestro e anarchico, la sua opinione in merito a questa teoria della “liberazione” dalla sofferenza, sostenuta e praticata dagli psichiatri attraverso il ricovero coatto, visto che è morto dopo quattro giorni di torture perpetrate sul suo corpo di condannato, nel reparto di diagnosi e cura dell'ospedale di Vallo della Lucania; né purtroppo possiamo chiederlo ai tanti altri come lui deceduti a causa del TSO.

L'Antonucci di Cividale

Il tentativo di demolizione della figura di Antonucci continua a a pag. 30 (“A” 411), quando Cipriano, sostenendo che le premesse teoriche avvicinavano tra di loro Basaglia, Antonucci e Szas, sottolinea che era la pratica a dividerli: il primo dedito al suo impegno sisifico di liberare interi manicomi, il secondo dedito alla sua “marginale e irrilevante” esperienza di Cividale conclusasi dopo solo sei mesi, il terzo dedito al lieve esercizio di psicoterapia.
E qui si capisce che dietro l'attacco ad Antonucci c'è lo psichiatra che vede messo in discussione il proprio ruolo, visto che Antonucci, proprio a proposito di Cividale, senza cedere alle lusinghe di chi vedeva in quell'azione l'inizio del movimento di riforma della psichiatria, ribadì già allora, senza alcuna ambiguità, il punto di vista fondamentale che aveva guidato l'azione del gruppo di Cividale: “Noi non riteniamo possibile separare la negazione delle istituzioni psichiatriche dalla negazione della psichiatria come scienza, perché è per l'appunto la psichiatria che ha costruito i manicomi, che li costruirebbe ancora, e che continua a giustificarne l'esistenza”.
“Sul piano politico si potrebbe fare un parallelo molto significativo. Non è possibile apprestarsi a distruggere i lager e i ghetti senza negare e distruggere l'ideologia della razza, di cui i lager e i ghetti sono una logica e inevitabile conseguenza”. Peraltro quello di Cividale è stato solo il primo (seppur importantissimo) dei numerosi incarichi ricoperti da Antonucci nella sua lunga vita di medico (svolta tutta negli ospedali pubblici e, fuori da questi, prestata solo gratuitamente nei confronti di tutti e tutte coloro che ne hanno richiesto l'intervento) che solo quando si conclude, per la repressione poliziesca che porta alla chiusura del reparto, aveva 12 pazienti.
Ma dopo quell'esperienza, Antonucci, l'anno successivo, viene invitato a Gorizia, a lavorare nello stesso ospedale di Basaglia e poi a Reggio Emilia, chiamato da Jervis, come responsabile del Centro di igiene mentale nel 1970, dove matura la definitiva distanza tra una pratica tesa a ragionare in termini di tutela dell'ordine pubblico (Jervis) e una tesa a ragionare in termini di conflitto tra individuo e società e di diritto dell'individuo ad essere rispettato nella sua libertà (Antonucci).
Terminata l'esperienza a Reggio Emilia, Antonucci si dedica, dal 1973 al 1997, allo smantellamento dei reparti manicomiali di lungodegenti negli istituti di Imola e dal 1997 continua a dedicarsi (gratuitamente) alla sua battaglia per lo smantellamento dei residui manicomiali, i reparti psichiatrici dei servizi di diagnosi e cura, proprio dove lavora Cipriano, che non a caso dedica il terzo attacco ad Antonucci proprio in difesa di questi reparti.

L'Antonucci “eretico” smantellatore del TSO

Afferma Cipriano: “Si può lavorare da manicomiale in un CSM e da territoriale in un SPDC. Facendo, in fondo, ciò che Antonucci dice di fare: revocare i TSO o non convalidarli, sciogliere i legati o non legarli, ridurre il carico dei farmaci, dimettere qualche paziente”.
C'è da rimanere sbalorditi, ma cosa significa “facendo, in fondo, ciò che Antonucci dice di fare”? Antonucci non dice di farlo, lo ha fatto (e questo appartiene oramai alla storia) attuando concretamente e incessantemente tale pratica dal 1968 al 1997, ben oltre la data dell'approvazione di una legge che, se non avesse avuto medici e infermieri ad applicarla, sarebbe rimasta semplicemente lettera morta.
Ma Antonucci non si è fermato a quello, è andato oltre tale pratica, evidenziando ancor prima che fosse approvata la legge 180, i limiti di un'azione tesa ad abolire i manicomi, senza preoccuparsi di demolire il vero elemento su cui si basa il potere psichiatrico, “l'arresto psichiatrico”. D'altra parte lo dice già Foucault quando inquadra gli spostamenti da lui operati, nel Corso al Collegè de France del 1973, rispetto alla Storia della follia, sostenendo che uno di questi spostamenti riguarda proprio la nozione di istituzione, poiché la cosa essenziale non è tanto l'istituzione quanto piuttosto il potere psichiatrico che ne consente il funzionamento. “L'aspetto importante – sostiene Foucault – non è dunque costituito dalle regolarità istituzionali, bensì, e in misura molto maggiore, dalle disposizioni di potere, dalle correlazioni, dalle reti, dalle correnti, dagli scambi, dai punti di appoggio, dalle differenze di potenziale che caratterizzano una forma di potere [...]. Detto in altri termini, prima di riferirci alle istituzioni, dobbiamo preoccuparci dei rapporti di forza sottesi alle disposizioni tattiche che attraversano le istituzioni.” (Michel Foucault Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France 1973-74, Feltrinelli, pagg. 24-28).
È esattamente questo che sostiene Antonucci quando parla di abolire il TSO: se si elimina il manicomio, ma se ne lasciano intatti gli elementi costitutivi, l'istituzione manicomiale tende a riprodursi, con i suoi meccanismi, i suoi reticoli di potere, appoggi e rapporti di forze che lo riperpetuano eternamente.

Anna Grazia Stammati
(presidente Telefono Viola)
Roma

Il Telefono Viola è un'associazione di volontariato senza fine di lucro, fondata a Roma nel 1991 da Alessio Coppola, presidente del Centro di Ecologia Umana, e da Giorgio Antonucci, protagonista della lotta per la liberazione dei pazienti “psichiatrizzati” negli anni Settanta.
Attuale presidente è Anna Grazia Stammati, docente nelle istituzioni penitenziarie e presidente del Centro Studi Scuola Pubblica.
L'associazione si dichiara e si batte per la solidarietà sociale e contro gli abusi, le coercizioni e le violenze della psichiatria, comunque e dovunque si manifestino.

sede operativa: viale Manzoni 55 - 00185 Roma / tel. 06 59 60 66 30 / fax 06 77 20 60 60 / e-mail telefonoviola@libero.it / sito: www.telefonoviola.it.



...e risposta/ Ma il TSO, usato con etica, è uno strumento di tutela

Tanto per sottolineare l'importanza delle parole: non mi sono mai definito anarchico-riluttante. Mi sono definito psichiatra riluttante, e mi sono definito anarchico, non è la stessa cosa ripetere, a ogni frase, che sarei “anarchico-riluttante”. Quando si dice del potere della parola, in cui gli psichiatri sarebbero maestri, l'arte della prestidigitazione semantica con cui imbrigliare esistenze in etichette diagnostiche: ebbene, mi pare che non occorra essere psichiatri per adoperarsi in quest'arte.
Sarò breve, perché servirebbe un intero libro per affrontare l'annosa questione tra psichiatria e antipsichiatria da una parte, e psichiatria anti-istituzionale dall'altra. La mia polemica con Antonucci non è affatto violenta. Segnalo, semplicemente, un'evidente differenza di peso, e di ricadute concrete, anche sul piano legislativo, tra le pratiche dei due (Antonucci e Basaglia). Ho sempre trovato debole, effimera, la proposta antipsichiatrica di cui si fa portavoce, come trovo debole la proposta del suo ideologo di riferimento più noto, Thomas Szasz. Ma questo l'ho scritto in un capitolo de Il manicomio chimico, dal titolo Basaglia, Szasz e l'antipsichiatria, e non mi voglio ripetere. Chi vuole si vada a leggere là come la penso.
Infine, ribadisco ciò che già dico nell'intervista: non penso che il problema sia il TSO, né la psichiatria: non è il TSO che ha ucciso Mastrogiovanni e Casu e Soldi e Guerra e Malzone e centinaia di altri che non raggiungono le cronache, sono le pratiche psichiatriche repressive, manicomiali, poliziesche ad averli uccisi. Ed è queste che io contesto. Il TSO, usato con etica, è uno strumento di tutela, è più violento, a mio parere, l'abbandono di una persona che ha una sofferenza psichica grave e non accetta aiuto alcuno. E chi ha avuto esperienza con persone in tale difficoltà sa di cosa parlo.
Abbandonare una persona con un grave delirio, o una grave depressione, in nome della sua libertà, è più violento che porlo in TSO. Dunque: sì a eliminare le fasce, sì a eliminare l'elettrochoc, sì a ridimensionare il dominio del farmaco, sì a eliminare i SPDC, in presenza di CSM fortissimi, sempre aperti, accoglienti, popolati da operatori etici e dalla società cosiddetta civile, no ad abolire il TSO, perché questo è un falso problema: in assenza di TSO significa consegnare una persona, con una sofferenza psichica grave (mettiamo che ha un pensiero delirante per cui si chiude in casa col gas aperto), alle forze dell'ordine. Invece dell'arresto sanitario (come viene definito talvolta il TSO) ci sarebbe l'arresto tout court. Che non sarebbe meglio.

Piero Cipriano
Roma


“A”/Mi hai spalancato la mente e il cuore

Eccomi a rinnovare l'abbonamento alla nostra Rivista. Pur non riuscendo ad entrare nella ambita (per me) categoria dei “Sostenitori”, sono riuscito ad aggiungere qualche decina di euro alla quota di abbonamento.
Non è per questo però che vi scrivo. Questo messaggio è un messaggio di ringraziamento.
Da quando vi ho incontrato è cambiata radicalmente la mia percezione della realtà che mi circonda e, credetemi, per chi vive in un contesto come il mio, un piccolo paese del profondo nord ottuso e gretto, non è cosa da poco. La Rivista mi ha spalancato la mente e il cuore facendomi scoprire (o riscoprire) quello che sono davvero, un uomo libero.
Quindi grazie compagni e viva A.

Federico Taroni
Menaggio (Co)


Racconto/ Un giorno, la parola anarchia...

Un giorno, era una radiosa mattina di primavera, la parola anarchia, nonostante il suo ottimismo ed il suo carattere decisamente solare, si incazzò così tanto da oscurare l'intero pianeta.
Alcuni pensarono alla solita eclissi, altri ad una nuvola sintattica che usciva da facebook per illudere ancora una volta sulla sua onnipotenza. Ma, alla fine, ascoltando con attenzione lo scandirsi chiaro ed inequivocabile dei pensieri che schizzavano vivaci nell'infosfera, fu evidente a tutti che la responsabile poteva essere solo lei, la parola anarchia.
In molti cercarono di bombardarla con i soliti squallidi aggettivi violenti, qualunquisti, irrealizzabili e via dicendo con tutta l'immondizia grammaticale che le avevano scodellato sin dagli albori. Ma non c'era nulla da fare, la luce non ricompariva. Quando si comprese che quella parola stava facendo sul serio, ma veramente sul serio, allora, in tanti, cominciarono con il blandirla e con il coccolarla tirando in ballo grammatiche innovative e poetici linguaggi ad alta tecnologia che, nell'insieme del martellante ritmo post-spettacolare, avrebbero potuto instradarla verso una sicura posizione nei loro circoli super-letterari che controllavano l'evolversi e l'involversi della comunicazione tutta.
Ma lei, la parola anarchia, non dava udienza se non per qualche sporadico sberleffo che ghigliottinava audacemente ogni pedante tentativo di inglobarla nei quaderni squadrati, come nei registri regali, come nei file affiliati NEl filo spinato del loro parlare. Trascorsero pagine e pagine e periodici e intere annate rilegate nel buio di una tristezza senza fine, senza spazio per l'alterità e l'immaginazione di mondi luminosi senza regole grammaticali e numeri di pagina sequenziali.
L'impero letterario stava scoppiando, l'intero apparato multi-media-poetico-scrivente stava ammalandosi, deprimendosi, annichilendosi senza più nulla che accendesse la scintilla, che desse il la alla fiaccola, che illuminasse il paesaggio delle parole nuove.
Poi, senza spiegazioni, senza un senso inquadrabile in una semplice sequela di parole, la parola anarchia riportò la luce con il semplice sprigionare un briciolino di energia che gli ballava nelle tasche. Da quel giorno, nessuno si permise di usare la parola anarchia per significare un mondo infelice dove la violenza e la sopraffazione regnavano indisturbate. Da quel giorno, la parola anarchia, ispirò i nuovi mondi che conteneva e i nuovi luoghi da esplorare che indicava. Da quel giorno, sul vocabolario della vita quotidiana, alla parola anarchia, trovavi libere espressioni che fiorivano su tutte le righe, incontenibili sperimentazioni sintattiche farcite da neologismi senza ideologismi, gerghi libertari lanciati a pioggia da strilloni ubriachi di libertà.
Da quel giorno la parola anarchia si fece verbo, aggettivo, pronome, soggetto, complemento, virgola, punto, due punti... senza mai andare a Capo, a padrone, a stato.
Da quel giorno la parola anarchia esplose nelle menti squarciando finalmente le boiate cosmiche che avevano sempre regnato.

Troglodita Tribe
Monteprandone (Mc)


Solidarietà/Le sfide del nuovo millennio

Il mondo vive continui e nuovi processi storici che stanno trasformando il nostro macrosistema. Le donne e gli uomini sono connessi e interdipendenti e rafforzano in tal modo una coscienza planetaria che unisce i cittadini della terra in un' unica comunità di origine e di destino, in quanto appartenenti al genere umano e abitanti globali, nell'opportunità condivisa di creare nuovi spazi e ricche forme di incentivazione al pensiero riflessivo, al dibattito democratico e partecipativo, con la formulazione di proposte alternative, nello scambio di esperienze e nell'azione congiunta.
Negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza che l'attuale modello di sviluppo risulta insostenibile perché l'umanità vive al di sopra delle proprie possibilità: le capacità del pianeta e dell'ecosistema non sono più in grado di fornirci il necessario. Il modello di sviluppo dei paesi ricchi del nord impone il radicamento dell'impoverimento e della dipendenza dei paesi del sud, perché la ripartizione del benessere, delle risorse, del potere è esponenzialmente disuguale.
Le povertà e l'emarginazione sociale incidono anche sulle economie in transizione e sui paesi industrializzati e non sono esclusivamente fattori appartenenti ai tanti sud del mondo. Nel mondo attuale tutto viene globalizzato, in particolare la comunicazione e il mercato, con gravi rischi per la politica partecipativa, le economie e le culture locali. Il modello di sviluppo della globalizzazione, ingiusto e insostenibile, favorisce il processo della concentrazione del capitale e delle ricchezze nelle mani di pochi, piegandosi alle logiche di mercato, obbedendo ai dettami del neoliberismo, che sono basati sull'individualismo solipsistico, sulla precarietà a oltranza, sulla competitività esacerbata, generando un aumento smisurato delle povertà, dell'esclusione, dell'emarginazione sociale e l'incremento sempre più massiccio delle migrazioni forzate. Tuttavia siamo coscienti che non esiste una lettura univoca della globalizzazione. È necessario discernere tra una pluralità di punti di vista, alcuni dei quali evidenziano anche “le enormi potenzialità dei processi globali in chiave di partecipazione, azione comune, solidarietà”.
La comparsa di tecnologie dell'informazione e della comunicazione può incrementare l'esclusione sociale. “I massmedia e i nuovi media sono sempre più cruciali e costituiscono una delle più importanti chiavi di accesso al dibattito pubblico nella moderna agorà globale”. Dunque occorre interrogarsi sulle regole che governano il sistema mondiale della comunicazione e promuovere forme di informazione più accessibili, democratiche e plurali, che necessitano di cittadine e cittadini non solo competenti, ma anche critici, responsabili, riflessivi.
Contro l'idea dell'assimilazione, fortemente perseguita da alcuni settori sociali e politici, è necessario costruire regole di un'etica pubblica, un ethos civile condiviso, partendo dal dialogo tra culture, in una società al contempo plurale e coesa, rispettando le necessità e le identità di genti, popoli e minoranze. “Le società 'glocali' sono sempre più plurali e eterogenee e coabitate da diverse identità, culture e religioni”. Le diversità culturali sono una ricchezza e costituiscono contemporaneamente sfide educative, sociali, politiche, rispetto al modello di inte(g)razione e coesione sociale in prospettive interculturali.
Il tessuto ecologico si sta lacerando per la perdita di biodiversità, causata da processi di deforestazione e dallo sfruttamento incontrollato dei mari, con l'impatto dei nostri stili di consumo e spreco che devastano l'ambiente e mettono a repentaglio la nostra salute, tramite la tendenza alla privatizzazione e alla liberalizzazione dei beni comuni dell'umanità, tra cui l'acqua e le sementi. “Non esiste futuro per l'uomo se non nel rispetto e nella tutela del sistema ambientale: per questo ogni progetto capace di futuro deve essere necessariamente ecocompatibile.”
L'attivismo e l'impegno contro il degrado ambientale, contro le cause dei cambiamenti climatici, contro la riduzione della biodiversità e per il diritto all'acqua e agli altri beni comuni essenziali comportano così il coinvolgimento di tutti gli attori sociali e politici a costruire un nuovo contesto culturale che comprenda la prospettiva della decrescita e altri stili di vita personali e comunitari più sobri e responsabili.
Le donne sono più colpite dalla povertà e faticano a accedere alle opportunità, all'istruzione, subendo disparità di genere. In diversi paesi di tutti i continenti, le donne sono le vittime più frequenti della violenza e si continua a favorire la discriminazione tramite la diffusione di ruoli e stereotipi che non promuovono il cambiamento nelle relazioni tradizionali, tipiche del patriarcalismo, tra donne e uomini. Per questo occorre favorire le relazioni di genere egualitarie che facilitino le pari opportunità, l'opposizione ai sistemi di conoscenza androcentrici, il superamento del sistema patriarcale, la corresponsabilità.
La guerra e la violenza irrompono tra persone e società con interventi armati umanitari, guerre preventive contro il fondamentalismo e il terrorismo fondamentalista, guerra chirurgica, interventi che si giustificano con il pretesto di esportare democrazia, scontro di civiltà: sono fattori sempre diffusi dai poteri forti, politici e economici e che penetrano nell'opinione pubblica mondiale. Le spese militari per gli armamenti continuano a crescere, provocando miseria, guerre e pericoli per l'umanità come il rischio dell'apocalisse nucleare. Interi popoli vivono situazioni disumane di conflitto armato e di genocidi perpetrati in funzione dell'interesse di pochi potenti (...)

Fabrizio Cracolici
Laura Tussi
Nova Milanese (Mb)

 



I nostri fondi neri

Sottoscrizioni. Domenico Cinquepalmi (Borgagne – Le) 30,00; Carlo Ottone (Gattinara – Vc) 20,00; a/m Graziano Gamba (Rezzato – Bs) gli anarchici bresciani ricordando Agostino Perrini, 250,00; Filippo Sottile (Orbassano - To) 40,00; Elisa Braibanti e Giuseppe Loche (Cortemaggiore – Pc) in ricordo di Aldo Braibanti, 120,00; Mariella Bernardini e Massimo Varengo (Milano) 20,00; Santi Rosa (Novara) 10,00; Renato Foschi (Roma) “per il funzionamento della rivista”, 50,00; Salvo Vaccaro (Palermo) 10,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Amedeo Bertolo, 500,00; Monica Giorgi (Bellinzona – Svizzera) 233,00; Massimo Pesce (Arezzo) 10,00; Rocco Tannoia (Settimo Milanese – Mi) ricordando Cesare Vurchio, 20,00; Maria Teresa Giorgi Pierdiluca (Senigallia – An) 10,00; Luigi Vivan (San Bonifacio – Vr) 10,00: Pino Jeusig (Gorizia) 32,00. Totale € 1.355,00.

Ricordiamo che tra le sottoscrizioni registriamo anche le quote eccedenti il normale costo dell'abbonamento. Per esempio, chi ci manda € 50,00 per un abbonamento normale in Italia (che costa € 40,00) vede registrata tra le sottoscrizioni la somma di € 10,00.

Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti specificato, si tratta dell'importo di cento euro). Maurizio Guastini (Carrara) 150,00; Michele Piccolrovazzi (Rovereto – Tn); Luigi Natali (Donnas – Ao); Fabio Palombo (Chieti) 250,00; Massimo Fiori (Cremona); Selva Varengo e Davide Bianco (Lugano – Svizzera); Alberto Ramazzotti (Muggiò – Mb) 150,00; Fiorella Mastrandrea e Amedeo Pedrini (Brindisi); Liana Borghi (Firenze); Muro Reghellin (Cassola – Vi); Stefano Quinto (Maserada sul Piave – Tv; Alfonso Amendola (Salerno); Giacomo Ajmone (Milano); Verena De Monte Zanguol (Bolzano/Bozen). Totale € 1.650,00.