Rivista Anarchica Online





Babele 56
sguardi su una città che cambia

Che cos'è una città? È le sue storie, le persone che le vivono, gli attraversamenti dei confini linguistici, geografici e culturali. Ci sono molti modi di raccontare le storie dell'umanità in transito, una grande possibilità è data dai metodi di ricerca sociale e quelli letterari che si meticciano con l'antropologia e la sua pratica; l'osservazione partecipante.
Grazie a questi incontri si possono produrre ottimi affreschi del cambiamento sociale contemporaneo. Come scrive il noto James Clifford si è esaurita la certezza dell'identità; non possiamo più pensare - forse non avremmo mai dovuto farlo - ad una netta separazione tra l'uomo civilizzato da una parte e quello primitivo dall'altra. Nel mondo contemporaneo si è compromessa l'intangibilità dei luoghi, l'oggetto della ricerca antropologica oggi cerca di capovolgere la classica dinamica osservatore-osservati, l'antropologo stesso è dentro il suo racconto, diventa anche lui oggetto della ricerca che conduce.
Clifford privilegia nell'antropologia, quindi, quella parte, a lungo trascurata, della scrittura e della costruzione del testo attuata dal ricercatore. È lo studioso che costruisce l'Altro, mettendo in atto le strategie retoriche della scrittura etnografica. Clifford definisce “finzioni etnografiche” i testi prodotti dall'antropologo: essi non sono falsi, ma certamente parziali, perché basati sulla selezione delle informazioni e delle osservazioni. Il suo pensiero è espresso compiutamente nell'opera Writing culture: The Poetics and Politics of Etnography (1986; “Scrivere le culture: la poetica e la politica dell'etnografia”) in cui Clifford attua la critica del primitivo e dell'esotico, oggetto di studio classico dell'antropologia, e individua nella scrittura ciò che è veramente rilevante, definendo la cultura una “finzione reale”, una costruzione dell'antropologo.
Leggendo il libro di Giorgio Fontana (Babele 56, Terre di mezzo, Milano, I ed. 2008, II ed. 2014, pp. 128, € 12,00) ho pensato che il suo lavoro di scrittore in questo caso si sia ibridato con la disciplina antropologica, con il suo metodo. Un ottimo libro che ci racconta, attraverso varie fermate di un bus cittadino e non solo, come sta cambiando Milano. L'autore lo fa mettendosi all'ascolto di donne e uomini che stanno vivendo sulla loro pelle una dinamica transculturale, di cambiamento e rinegoziazione. Fontana ha conosciuto e passato il suo tempo con i protagonisti delle storie che ci racconta nel suo testo, personaggi che considero quasi dei coautori di Babele 56.
Un libro non scontato dove non troviamo esattamente quello che una sinistra ben pensante vorrebbe trovare, leggiamo di storie di difficile interazione tra culture differenti, di scontri e di incontri, ragazzi che per sopravvivere scelgono o si trovano costretti a lavorare nel mondo della micro criminalità, cinesi con difficoltà linguistiche e boliviane che si danno a un giornalismo ispanico per i nuovi milanesi che come prima lingua in città utilizzano il castigliano.
Un libro avvincente, capace di fare una foto in movimento che ci inserisce dentro il mare in tempesta del cambiamento culturale con la consapevolezza che, comunque la si pensi, una cosa è certa: il nostro divenire è meticcio!

Andrea Staid