Rivista Anarchica Online






Il carcere: il labile confine
tra la vendetta e la rieducazione

Questa volta Carmelo Musumeci cede il suo spazio a un giovane universitario, Daniel Monni, che sta preparando la sua tesi sul carcere. Dietro indicazione di Carmelo, Daniel ha intervistato Pierdonato Zito, ergastolano, detenuto nel carcere di Secondigliano (Na). Un'intervista ricca di umanità, che lascia anche intendere quanto l'intervistatore non faccia riferimento a quelle posizioni abolizioniste - sul carcere - che ispirano il pensiero libertario. Ma dove c'è senso umanitario c'è speranza...

Come ri(con)durre, in semplici pagine, il dolore e le passioni umane? Come si può, in particolare, parlare del dolore che si prova nel carcere dall'esterno?”: queste sono domande che, anche chi scrive, si è posto.
Tuttavia, per tentare di ampliare gli angusti spazi di una mente “libera”, ci si è avvalsi del dialogo con chi, forzatamente, è stato obbligato a vedersi ristretti gli spazi vitali: Carmelo Musumeci. Dall'incontro con la sua mente tremendamente viva e libera sono nate le idee per poter scrivere, anche, queste poche parole. Parlando di carcere, sembrerebbe opportuno riflettere, seppur per accenni, sul concetto stesso di pena. Appare, infatti, interessante, rammentare come, a livello semantico, il termine pena derivi dal greco, verbo che si traduce con: “punire, vendicare”. La greca poinè, in sostanza, sembrava obbedire all'idea di punire vendicando e, al contempo, di vendicare punendo. Poste queste premesse, ci si potrebbe chiedere: “a che logica risponde, oggi, la pena carceraria? La vendetta è ancora presente nelle pene che vengono inflitte, seppur sublimata?”
L'intervista che ha rilasciato Pierdonato Zito, detenuto a Secondigliano, sembra poter rispondere a tali domande.

D.M.

Daniel Monni - La vita ti ha concesso delle opportunità?
Pierdonato Zito - Ritengo di non aver avuto abbastanza opportunità. Sono della provincia di Matera. La Basilicata era ed è tuttora una regione povera di un paese diciamo ricco. Ancora oggi nonostante la crisi l'Italia si siede tra i 10 paesi più industrializzati al mondo, ma la Lucania resta ancora una regione ad alto tasso di disoccupazione.
A tutto questo vanno considerate tante altre concause che influenzano il comportamento dell'individuo nella società. Il contesto storico-ambientale-economico-sociale, la giovane età, il grado d'istruzione...Occorre scavare nelle storie delle persone per capire.

Racconta un giorno in carcere.
Attualmente le mie giornate si svolgono così: colazione alle 8:00 orientativamente. Faccio pulizia. Faccio gli esercizi ginnici. Studio. Ho un diploma di scuola superiore conseguito nel 1977. Adesso sono al 4 anno del liceo di scienze umane. Lo studio per me ha un senso non solo come riempimento di un tempo altrimenti perso inutilmente, ma soprattutto come arricchimento personale, come metodo per capire sempre più me stesso, gli altri e il mondo in cui viviamo. Alle 11:00 scendo al passeggio: consiste nel camminare da solo in un corridoio sottostante la mia sezione al chiuso. Alle 12:00 salgo, vado in doccia, poi rientro in cella e pranzo. Non esco più dalla cella. Poi scrivo, continuo a leggere, dipingo se ne ho voglia (olio su tela). Alle 17:00 ceno. La serata si conclude guardando un po' di tv, telegiornale o altro, così mi addormento.

Dignità e speranza negate

Il carcere secondo te è rieducativo?
Così come è concepito oggi no. La domanda è molto complessa e si rischia di semplificare un problema che è più articolato. Il carcere potrebbe essere rieducativo nella misura in cui deve contenere un essere umano che ha “perso” la sua umanità, che diventa pericolosissimo per altri suoi simili. Quindi c'è la necessità di trattenere, di frenare. Quando c'è la necessità di impedire, di limitare il carattere aggressivo, la violenza esercitata, la pericolosità sociale di questa persona. Il carcere però non deve essere abbandonato a se stesso come è accaduto in italia, ma occorrono lo studio, il lavoro, e tutte quelle figure professionali credibili e competenti in grado di aiutare progressivamente il condannato a comprendere le ragioni delle sue azioni. Quando il “frutto” diventerà “maturo” andrà raccolto dall'albero. Non avrebbe senso lasciar marcire un frutto buono... ma il problema è a monte, cioè impedire che arrivi in carcere il cittadino.

Secondo te, cosa non dovrebbe negare il carcere?
Non dovrebbe mai negare la dignità e la speranza. Negando questi due valori lo stato dimostra violenza nella stessa misura del reo che vorrebbe punire. La speranza deve alimentare sempre la vita dell'uomo. Occorre distinguere la persona dall'errore commesso. L'istituzione deve contenere, ma recuperando. Non si può infliggere una pena e poi non tener conto di cosa comporta in quella persona la pena. La nostra costituzione non dice questo all'art.27. Lo spirito dei padri costituenti era che il carcere avesse una funzione sociale, non che diventasse una discarica. Abbiamo una politica che non ha una progettualità sul carcere. Abbiamo la più bella costituzione del mondo, ma anche la più distorta. L'esecuzione delle pene deve avvenire secondo costituzione, così uno stato diventa credibile, autorevole. Oggi abbiamo uno stato che viola questi principi e pretende invece il rispetto dai cittadini di quelle norme che lui disattende per primo!

Cosa pensi del mondo esterno al carcere?
Le classi dominanti esercitano il loro potere anche sulle idee che circolano nella società, perché le classi dominanti dispongono di strumenti come l'istruzione, il monopolio della cultura, dei mezzi di comunicazione e la censura. Condivido l'orizzonte teorico in cui si muove lo studioso David Riesman, nella sua opera “La follia solitaria”, nella quale parla dell'individuo eterodiretto incapace di autodeterminarsi liberamente, perché massificato, spersonalizzato, bersaglio di messaggi di mezzi di comunicazione, inadatto a relazionarsi all'altro se non nella forma dell'agglomerazione delle pratiche di consumo. Tali uomini non hanno altro che quella cultura della società di massa che li ha modellati e li manipola per fini ad essi estranei, cullandoli nell'illusione di un benessere o di un prestigio sociale che essi in realtà non possiedono.

Il diritto di coltivare gli affetti

Cosa pensi del diritto?
A chi non piacerebbe vivere in uno stato di diritto? Siamo stati noi, con gli antichi romani a dar vita al diritto. Prova a riflettere... se alziamo il coperchio della sanità, dello sport... ad ogni livello della scala sociale troviamo il marcio. Nella classifica mondiale siamo ai primi posti per corruzione, per evasione fiscale. Siamo il paese in assoluto più condannato dalla c.e.d.u. Dobbiamo tendere a quel principio di equità, di uguaglianza a cui si ispira la nostra costituzione.

Il carcere è un ambiente criminogeno?
Che il carcere sia criminogeno come ambiente, non lo dico solo io ma anche il ministro della giustizia Orlando. Il crimine peggiore è non fare niente. Il carcere così com'è oggi costa alla collettività oltre 3 miliardi di euro. Il carcere deve reintegrare il cittadino detenuto.

Cosa andrebbe cambiato del carcere?
In primis la burocrazia. Più professionalità di chi opera, più educatori... altrimenti come fa il detenuto a dimostrare che è cambiato? Il denaro che stanziamo per il carcere è sempre meno. Andrebbero cambiati questi automatismi che impediscono di accedere ai benefici. Portare umanità all'interno di questo mondo obsoleto, anacrotico. Ridare il diritto di coltivare gli affetti, e limitare come è prescritto solo la libertà di movimento. Dare la possibilità di lavorare, di non essere un peso per la famiglia e la società, responsabilizzare il detenuto non infantilizzarlo.

Quali misure adotteresti per rieducare effettivamente chi ha sbagliato?
Cercherei di lavorare sulla persona, di farle prendere coscienza delle qualità che costituiscono la maturità di un individuo: bisogna compiere un buon lavoro di formazione su di sé. Istruirlo, farlo uscire dalle gabbie mentali. Democrazia è innanzitutto rispetto delle persone e dei loro diritti. Umiliare-svilire-vessare una persona piccola o adulta che sia, è il peggiore errore educativo che si possa commettere. Nulla deprime tanto una persona quanto il vedersi negare la stima: è come se si sentisse annullato. Scatta così un'istintiva ribellione e difesa dell'io e della propria dignità. Nessuno infatti è disposto a fare qualcosa per chi non ci ritiene capaci di niente di buono.
L'unico modo per far crescere una persona è di anticiparle la fiducia e responsabilizzarla. Il gusto maligno di umiliare qualcuno nasce da sentimenti negativi incompensabili quali l'invidia, l'insicurezza. Una persona interiormente sana e ricca sa riconoscere l'umano in coloro che gli sono vicini, nella loro stanchezza e nel loro dolore. Si può essere autorevoli senza esseri violenti.

Si potrebbe, dunque, concludere con una domanda: “cosa ci aspettiamo dalla pena carceraria? Vogliamo una pena rieducativa oppure vogliamo, semplicemente, soddisfare un impulso, seppur larvato, di vendetta?”

Daniel Monni