Rivista Anarchica Online


Chiapas

Che tremi nei suoi centri la terra

di Gaia Raimondi


Le dichiarazioni degli ultimi mesi dal fronte zapatista, per una campagna congiunta con il Congresso Nazionale Indigeno che porti una donna indigena indipendente a candidarsi alle elezioni presidenziali del 2018 in Messico, hanno suscitato polemiche e dibattiti. Una riflessione sulle strategie di resistenza al femminile, sui processi evolutivi e sulle metodologie indigene, soprattutto delle donne.


Le mattine di questi giorni sono piene di luce, cariche di sole e profumi di primavera alle porte; in questo clima mite, qualche giorno fa all'imbrunire, scorre - ed io con esso - il corteo del Lottomarzo, (per citarne lo slogan) manifestazione in cui migliaia di donne e uomini si dichiarano marea riversandosi per le strade milanesi con entusiasmo, creatività e sentita partecipazione. L'energia femminea, supportata oltre i generi e le provenienze, l'atmosfera frizzante e chiassosa della piazza stimolano l'ispirazione per l'attacco del contributo sul Chiapas che sto pensando da tempo per la rivista. Il trait d'union che stavo cercando, fatto di donne, autogestione per una lotta al dominio e al patriarcato. Quella sensazione di far parte quasi di una cosmogonia ribelle intergalattica1 pronta ad agire per cambiare e migliorarsi, con tutte le sue intrinseche differenze, le sue bellezze e le relative contraddizioni.

Caracol de la Garrucha, Chiapas (Messico), 29 dicembre 2007/3 gennaio 2008 -
Incontro internazionale delle donne indigene zapatiste con le donne del mondo.
Incontro di 3 giorni dedicato alla memoria della comandanta Ramona.
In questa foto di Gaia Raimondi: l'assemblea plenaria

A fine dicembre 2016 ho avuto modo di conoscere Orsetta Bellani, collaboratrice assidua di “A”, quasi una corrispondente estera per la questione zapatista dalla sua ormai “base d'appoggio” di San Cristobal de las Casas, in Messico e di leggere il suo recente libro Indios senza Re (La Fiaccola, 2016) e promosso da una gira - come direbbero gli zapatisti - di charlas2, ovvero presentazioni e dibattiti in diversi luoghi resistenti d'Italia, che già avevano riacceso la voglia di aggiornarmi e tornare a parlare di un luogo e una realtà così speciale.
Tempismo perfetto quello di incontrare una testimonianza diretta di chi vive sul territorio, visto che proprio a fine 2016 gli zapatisti avevano riconfermato la volontà, espressa qualche mese prima durante una serie di incontri e seminari, di appoggiare il CNI (Congresso Nazionale Indigeno) nella scelta di presentare alle prossime presidenziali del 2018 una donna indigena come portavoce di questa organizzazione politica, che racchiude una quarantina di etnie indigene sulle oltre 60 che vivono nel paese. Non sono riuscita a risparmiare ad Orsetta una richiesta di parere sulla questione, durante quella presentazione.
Siamo convenute, e del resto la sua posizione già si evince dal libro, che sarebbe troppo facile e scontato limitarsi a puntare il dito e a criticare aspramente una scelta così forte per un esercito rivoluzionario indigeno che occupa da ventitré anni una buona fetta dei territori chiapanechi, posizione che tanto ha fatto e fa discutere. Possiamo piuttosto limitarci ad osservare, dall'alto delle nostre agevolate condizioni oltreoceaniche dell'Europa Fortezza, con i nostri modelli culturali di riferimento - seppur e sebbene libertari - da dietro i nostri schermi e reti internet in cui peschiamo informazioni, dalle nostre ricche case comode e moderne e dalle nostre vite frenetiche e cercare di comprendere, di ascoltare e di discuterne insieme.
Sarebbe limitante osservare il diverso approccio o le contraddizioni di un mondo così differente dal nostro - soprattutto nelle pratiche - salvando solo le ideologie, rivendicando le nostre modalità come le uniche possibili, giuste, eticamente valide.
Chiaro é che comunque avere a che fare con il potere coercitivo della politica istituzionale - o per meglio definirlo con il suo nome con il dominio - è sempre molto pericoloso, in qualunque modalità ci si approcci; il rischio di cadere nelle sue tentazioni, contraddizioni e abusi è sempre a un passo dal confine e può essere limitato soltanto se alla comunità viene garantita la partecipazione effettiva alla res publica, unita a una revocabilità sempre immediata di chi gestisce in quel momento il potere decisionale, da una collettività agente che possa in qualunque momento intervenire per decretarne la rinegoziazione o la fine. Gli zapatisti sembrano esserne consapevoli, come da sempre asseriscono con il loro modo di vedere il potere politico: “mandar obedeciendo”.

Caracol de la Garrucha, Chiapas (Messico), 29 dicembre 2007/3 gennaio 2008 -
All'uscita di una delle tante assemblee. Sullo sfondo attivisti stranieri e locali.
Foto: Gaia Raimondi

“Servire le nostre comunità”

Si legge in un comunicato dell'EZLN del 17 Novembre 20163:
“No, né l'EZLN come organizzazione, né nessuna, nessuno dei suoi membri, parteciperà a un “incarico di elezione popolare” nel processo elettorale del 2018. No, l'EZLN non si convertirà in un partito politico.
No, l'EZLN non presenterà una donna indigena zapatista come candidata alla presidenza della Repubblica nell'anno 2018. No, l'EZLN non “ha svoltato” dei gradi che siano, né continuerà la sua lotta attraverso la via elettorale istituzionale. Allora, l'EZLN non presenterà un'indigena zapatista come presidenta della Repubblica? Non parteciperà direttamente alle elezioni del 2018? No. [...]
Perché l'EZLN non lotta per prendere il Potere.
Credete che in precedenza non ci abbiano offerto questo e anche di più? Che non ci abbiano offerto incarichi, prebende, ambasciate, consolati, viaggi all'estero “tutto incluso”, oltre ai presupposti che portano con sé? Credete che non ci abbiano offerto di convertirci in un partito politico istituzionale, o entrare in qualcuno dei già esistenti, o in quelli che si formeranno, e “godere delle prerogative di legge” (così dicono)?
Abbiamo accettato? No. E non ci offendiamo, capiamo che l'ambizione, o l'assenza d'immaginazione, o la ristrettezza di vedute, o l'assenza di conoscenze (e, ovvio, il non saper leggere), portino più d'uno a sentire l'impellenza di entrare in un partito politico istituzionale, poi uscirne e passare a un altro, poi uscirne e formarne un altro, e quel che ne segue. Capiamo che con più d'uno, una, funzioni l'alibi di “cambiare il sistema dall'interno”. Con noi no.
Ma, nel caso della direzione e della truppa zapatista, non è soltanto dinanzi al Potere istituzionale il nostro rifiuto, ma anche dinanzi alle forme e processi autonomi che le comunità creano e approfondiscono giorno dopo giorno. Per esempio, nessun insurgente o insurgenta, sia della comandancia sia della truppa, né nessuna comandanta o comandante del CCRI può neppure essere autorità nelle comunità, né nel municipio autonomo, né nelle differenti istanze organizzative autonome. Non possono far parte dei consigli autonomi, né delle giunte di buon governo, né di commissioni, né di alcuna delle responsabilità che si designano per via assembleare, create o da creare nella costruzione della nostra autonomia, cioè della nostra libertà.
Il nostro lavoro, il nostro compito come EZLN è servire le nostre comunità, accompagnarle, sostenerle, non comandarle. Sostenerle, sì. A volte ci riusciamo. E sì, certo, a volte disturbiamo, ma allora sono i popoli zapatisti a darci uno scapaccione (o vari, a seconda) affinché ci correggiamo.
Tutto ciò non avrebbe dovuto essere chiarito e riaffermato se si fosse fatta una lettura attenta del testo intitolato “Che tremi nei suoi centri la terra”, reso pubblico la mattina del 14 ottobre 20164”.

Caracol autonomo de Morelia, Chiapas (Messico), gennaio 2008 -
Murales sulle pareti dell'escuelita (scuola) per i bambini zapatisti, foto scattata
durante una tre giorni di formazione autogestita con gli zapatisti sull'uso della tecnologia.
Foto: Gaia Raimondi

Una notizia sensazionalistica?

Eppure, il polverone si è sollevato subito; è una costante dell'EZLN quella di parlare per metafore, creare paradossi, inventare immaginari quasi surreali, considerare e accettare le contraddizioni per trovare il modo di superarle o imparare a conviverci; tanto che dall'esterno qualcuno, non cogliendo la raffinatezza dei lunghi cuentos5 allegorici che animano le dichiarazioni dell'EZLN, ha pensato che fosse solo una notizia sensazionalistica, sostituendo tra l'altro erroneamente la sigla del CNI con quella dell'EZLN, leggendo in esso una tattica atta a riportare i riflettori un po' in disuso sulla realtà chiapaneca; una strategia mediatica insomma. L'introduzione stessa del libro della Bellani, in maniera sottile accenna retoricamente al fatto che oggigiorno si parli meno di ciò che avviene in Chiapas; ma il fatto che i media mainstream abbiano calato la guardia su quella realtà non significa affatto, come il libro poi dimostra, che in essa non sussistano e anzi non crescano sempre di più gli stimoli e le esperienze ad essa connesse.
Forse si è smesso di parlarne ufficialmente proprio perché questo incredibile otromundo non accennava a cedere e il continuare a discuterne troppo avrebbe potuto agevolarne il consolidamento o peggio ancora l'innescarsi di altre micce insorgenti, ispirate dall'esempio zapatista, che d'altro canto invece fornisce strumenti per la lettura del contemporaneo, analisi e riflessioni sui temi più disparati, dalla politica alla scienza, dalla cultura alla pratica con continui dibattiti, assemblee plenarie, congressi e formazioni. I quaderni dell'Escuelita Zapatista per esempio sono ricchi di spunti interessanti e attuali, a dimostrazione del fatto che anche le posizioni teoriche dell'EZLN sono in continua evoluzione ed entrano sempre più nel merito della complessità critica di una lotta anti capitalista radicale, che pone proprio nell'educazione i semi per i germi resistenti e nell'autonomia la resistenza.
Non solo; sui canali web indipendenti, gestiti dal basso, alcuni dagli stessi zapatisti, atri da comitati di appoggio del Messico e del mondi, è possibile restare aggiornati in maniera semplice e quasi sempre in italiano - grazie a diverse situazioni solidali nazionali ed internazionali che si prendono la briga di tradurre quantità copiosissime di documenti, dichiarazioni, discorsi e testi con tutto ciò che avviene, almeno a livello assembleare e collettivo - negli spazi dedicati alle discussioni, nei Caracoles, all'Università della Terra, (il CIDECI a San Cristobal de Las Casas), centro di culture stupendo già 10 anni fa e attualmente teatro di giornate intense di dibattito, discussione e tanti interrogativi posti alle scienze e alle coscienze6, nel consueto incontro di fine anno. È sorprendente il grado di approfondimento delle tematiche discusse, degli interrogativi posti, degli obiettivi formativi sempre più ambiziosi.

Selva Lacandona, Chiapas (Messico), 2006 - Una foto della comandanta
Ramona, scomparsa per un cancro nel 2006, qui in abito tradizionale
dell'etnia tzotzil. A lei è stato dedicato l'incontro di fine/inizio anno
nel 2007/2008 al Caracol de la Garrucha

Tanto, anche se vincesse...

Per scoprire così che gli zapatisti non fanno poi tanto mistero del processo che li ha condotti a proporre al Congresso Nazionale Indigeno di promuovere la ricerca di una donna indigena, candidata indipendente sostenuta da una sorta di Giunta del Buon Governo, rinominato per l'occasione Consiglio Indigeno di Governo, in un'azione di dignità ribelle che superi - a detta loro - il levantamiento del 19947; anzi raccontano dettagliatamente le riflessioni precedenti la proposta, le condizioni, le finalità che si sono posti nel scegliere di fare una mossa eclatante come questa. Affermano apertamente ciò che si aspettano da questa decisione, senza false illusioni e utopie istituzionali, come si legge dalle delucidazioni scritte dopo la controversa dichiarazione:
“[...] Che non vinceranno (il soggetto è il CNI nelle riflessioni dell'EZLN, nda) perché il sistema elettorale in Messico è fatto per beneficiare i partiti politici, non per la cittadinanza. Che se vincessero, non glielo riconoscerebbero, perché la frode non è un'anomalia del sistema elettorale messicano, è la sua colonna vertebrale, la sua essenza. Che se vincessero e glielo riconoscessero, non avrebbero potuto far nulla di trascendentale, perché là sopra non c'è nulla da fare. Le questioni fondamentali della malridotta nazione messicana non si decidono né nel potere esecutivo, né nelle camere legislative, né nel potere giudiziario. Chi comanda non ha un incarico visibile e si aggira nelle catacombe del Potere finanziario internazionale. E che, nonostante tutto ciò, bensì precisamente per tutto ciò, potevano e dovevano farlo. Perché la loro azione avrebbe significato non soltanto una testimonianza di chi non si adegua, ma una sfida che sicuramente avrebbe trovato eco nei molti bassi che ci sono in Messico e nel mondo; che avrebbe potuto generarsi un processo di riorganizzazione combattiva non solo dei popoli originari, ma anche di operai, contadini, impiegati, coloni, maestri, studenti, insomma di tutta quella gente il cui silenzio e la cui immobilità non è sinonimo di apatia, bensì di assenza di convocazione. In risposta a quel che si era detto sul fatto che era impossibile, che c'erano molti contro, che non si sarebbe vinto, rispondemmo che, se ci fossimo incontrati il 31 dicembre del 1993 e avessimo detto loro che, in alcune ore, ci saremmo sollevati in armi, dichiarando guerra al malgoverno e attaccando le guarnigioni della polizia e dell'esercito, ci avrebbero detto ugualmente che era impossibile, che c'erano molti contro, che non si sarebbe vinto. Dicemmo loro che non importava se avessero vinto o no la presidenza della Repubblica, che ciò che sarebbe importato era la sfida, l'irriverenza, l'insubordinazione, la rottura totale dell'immagine dell'indigeno oggetto di elemosina e di pietà (immagine tanto radicata nella destra e, chi lo avrebbe mai detto, anche nella sinistra istituzionale del “cambiamento vero” e nei suoi intellettuali organici addetti all'oppio delle reti sociali), che la loro audacia avrebbe scosso il sistema politico intero e che avrebbe avuto echi di speranza non in uno, ma in molti dei Messichi di sotto... e del mondo.
Dicemmo loro che l'iniziativa era in tempo affinché, in totale libertà e responsabilità, decidessero fin dove l'avrebbero portata, quanto lontano sarebbero andati. Un movimento dove confluissero tutti i sotto. Un movimento che avrebbe fatto tremare nei suoi centri la terra. Dicemmo loro che, come zapatisti, saremmo stati una forza di più tra quelle che sicuramente si sarebbero dovute sentire convocate dalla loro sfida. E dicemmo loro la cosa più importante che avevamo da dire: che eravamo disposti a sostenerli con tutta la nostra forza.
Che avremmo dato appoggio con tutto ciò che abbiamo che, sebbene poco, è ciò che siamo8”.

Caracol de la Garrucha, Chiapas (Messico), 29 dicembre 2007/3 gennaio 2008 -
La notevole partecipazione delle attiviste internazionali all'assemblea plenaria
foto: Gaia Raimondi

Resistenza e ribellione, dal basso e a sinistra

Affinché questa donna indigena, delegata del CNI, sia riconosciuta come candidata dalle leggi messicane, bisognerà raccogliere quasi un milione di firme di persone con diritto di voto. Se si raggiungerà la quota, allora verrà riconosciuta la candidata indipendente come presidentessa del Messico, e si metterà il suo nome perché, nell'anno 2018, la gente voti o no, secondo il pensiero di ciascuno.
Perciò si tratterà poi di far percorrere il Messico al Consiglio Indigeno di Governo e alla portavoce indigena, laddove ci siano persone messicane per ottenere le firme per registrarsi. E ancora un altro giro, un po' come come la Otra campaña, perché la appoggino e votino per l'indigena del CNI. Gli zapatisti sanno che, quando faranno questo giro il Consiglio Indigeno di Governo e la sua portavoce conosceranno molti dolori e rabbie che ci sono in Messico e nel mondo. Dolori e rabbie di persone indigene, ma anche di persone che non sono indigene, che anch'esse soffrono resistendo. Perciò questo è ciò che si vuole. Non si richiede che una donna indigena del CNI sia presidentessa, quanto piuttosto che si diffonda un messaggio di lotta e organizzazione ai poveri della campagna e della città del Messico e del mondo.
Non si considera che, se si raccolgono le firme o si vincono le elezioni, sia un successo. È un successo se si può parlare e ascoltare chi non non viene ascoltato da nessuno. Lì si vedrà se sarà un successo o no, se davvero molta gente prenderà forza e speranza per organizzarsi, resistere e ribellarsi.
Si arriverà fin dove lo deciderà il Congresso Nazionale Indigeno. È dunque si una strategia per dar voce agli oppressi e agli sfruttati di tutto il mondo, indigeni e non.
“[...] La cura della vita e della dignità, ovvero la resistenza e ribellione dal basso a sinistra, è un nostro obbligo a cui possiamo rispondere solo in forma collettiva. La ribellione la costruiamo dalle nostre piccole assemblee in località che si uniscono in grandi assemblee comunali, di ejidos, in giunte di buon governo e in accordi come popoli uniti sotto un'identità. [...] Questo è il potere dal basso che ci ha mantenuti vivi ed è perciò che commemorare la resistenza e ribellione è anche ratificare la nostra decisione di continuare a vivere costruendo la speranza di un futuro possibile unicamente sopra le rovine del capitalismo.
Considerando che l'offensiva contro i popoli non cesserà, ma che vorrebbero farla crescere fino a cancellare ogni traccia di ciò che siamo come popoli della campagna e della città, portatori di profondi malcontenti che fanno sorgere anche nuove, diverse e creative forme di resistenza e di ribellione, il Quinto Congresso Nazionale Indigeno ha deciso di iniziare una consultazione in ognuno dei nostri popoli per smantellare dal basso il potere che ci impongono dall'alto e che ci offre un panorama di morte, violenza, spoliazione e distruzione. In base a quanto detto sopra, ci dichiariamo in assemblea permanente e consulteremo in ognuna delle nostre geografie, territori e direzioni l'accordo di questo Quinto CNI, per nominare un consiglio indigeno di governo la cui parola sia incarnata da una donna indigena, delegata del CNI come candidata indipendente che partecipi a nome del Congresso Nazionale Indigeno e dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale nel processo elettorale dell'anno 2018 per la presidenza di questo paese.
Ratifichiamo che la nostra lotta non è per il potere, non lo cerchiamo, bensì che chiameremo i popoli originari e la società civile a organizzarsi per bloccare questa distruzione, rafforzarci nelle nostre resistenze e ribellioni, ovvero nella difesa della vita di ogni persona, ogni famiglia, collettivo, comunità o quartiere. Costruire la pace e la giustizia dal basso, da dove siamo ciò che siamo. È il tempo della dignità ribelle, di costruire una nuova nazione per tutte e tutti, di rafforzare il potere dal basso e alla sinistra anti capitalista, e che paghino i colpevoli per il dolore di questo Messico multicolore9”.

Caracol de la Garrucha, Chiapas (Messico), 29 dicembre 2007/3 gennaio 2008 -
I tanti striscioni che sventolavano all'esterno degli edifici del Caracol
foto: Gaia Raimondi

Raul Zibechi: “Pratiche in divenire”

Sono passati più di vent'anni da quando, nel 1994, l'EZLN irruppe nello scenario politico internazionale come un' esperienza di organizzazione che, rivendicando i diritti alla diversità ed all'eguaglianza, mise e mette continuamente in discussione le tradizionali forme di lotta. Vent'anni durante i quali gli zapatisti hanno costruito nei propri territori una proposta di società alternativa ed autonoma, in cui “il popolo comanda ed il governo obbedisce”. In tutto questo tempo non hanno mai smesso di portare avanti il loro ambizioso progetto di mutamento radicale delle proprie condizioni di vita, in autonomia e rifiutando il malgoverno di uno stato che li vorrebbe seppellire per speculare su quelle terre, strappandone e sfruttando le risorse con infrastrutture e turismo selvaggio, incurante del patrimonio indigeno millenario di persone che hanno scelto di non piegarsi di fronte all'Idra capitalista10 che resiste in quei luoghi meravigliosi del sud del Messico. Uno stato che cerca di annientare una sacca di resistenza reale con una guerra di logoramento, di bassa intensità, fatta di incursioni paramilitari, di insidie quotidiane e di corruzione, di una guerra fra poveri al fine di portare gli indigeni in lotta ad arrendersi o peggio ancora ad annientarsi l'un l'altro. Ventitré anni di lotta, di trasformazione tangibile e sempre in evoluzione costante. In appendice al libro di Orsetta Raul Zibecchi dialoga con l'autrice, sostenendo che “lo zapatismo si sia reinventato,sviluppato, evoluto. E che nel guardare le società in movimento si possono osservare due aspetti: le istituzioni o le loro pratiche; generalmente le seconde sono i fattori interessanti in grado di costruire e alimentare il movimento.
Nel caso chiapaneco le comunità zapatiste sono allora pratiche in divenire e la creazione della Giunta del Buon Governo zapatista invece un'istituzione, ricca però al suo interno di pratiche in grado di trasformare realmente le persone.”

Un'opera di Beatriz Aurora, artista originaria di Santiago del Chile
che ha poi preso la cittadinanza messicana e che dal 1994 dà voce
con le sue opere, le sue “storie dipinte” come lei le definisce,
all'immaginario e alle attività zapatiste

Disuguaglianze di genere

Sono passati ormai quasi 10 anni da quando ebbi la fortuna di assistere ad un incontro mondiale al Caracol de la Garrucha, in Chiapas, di donne zapatiste che incontravano le donne del mondo, nel consueto appuntamento di fine anno dedicato in quell'occasione alle donne; la prima fine dell'anno sui generis nell'esperienza pubblica zapatista, un enorme lavoro dedicato alla Comandanta Ramona y a las mujeres zapatistas, che per quei giorni furono le uniche con diritto di parola e intervento, in assemblee di giornate intere, laboratori, spettacoli teatrali, canti e condivisione mondiale. Gli uomini potevano ascoltare e dedicarsi ad altre attività utili allo svolgimento di un incontro con migliaia di persone provenienti da tutto il mondo, nel bel mezzo della Selva Lacandona, alla logistica, alle questioni tecniche e organizzative di una vera e propria invasione pacifica e interessata di attiviste e attivisti in un punticino di mondo nascosto nella natura rigogliosa del sudest messicano.
Fu una sensazione alquanto paradossale quella di sentirsi nel mezzo della Selva, in un luogo raggiungibile solo con giorni di viaggio e mezzi improbabili, a confrontarsi con le donne di tutto il mondo, a partire dalle voci zapatiste e con modalità veramente orizzontali, almeno per quelle occasioni. In quelle giornate indimenticabili le donne si raccontavano, nel loro processo di liberazione da una situazione di schiavitù e oppressione assoluta, in quanto donne, in quanto indigene e in quanto povere e la necessità di studiare, di apprendere, di liberarsi dalla schiavitù dell'ignoranza e della sottomissione domestica e familiare, per abbattere la triplice oppressione che le affliggeva.
In meno di 30 anni le zapatiste, attraverso la loro pratica di resistenza e di trasformazione quotidiana, hanno creato una crisi nel discorso egemonico e portato nelle assemblee i problemi causati dalle diseguaglianze di genere, prima non riconosciuti e dunque considerati parte della vita. Le zapatiste hanno imparato a resistere dentro la resistenza, clandestine fra clandestini. Si stanno facendo carico dei cambiamenti di cui hanno bisogno, e come recitano spesso le pitture murali nei caracoles raffigurando lumache incappucciate: “Lent@s, pero avanzamos!”. Potranno sicuramente apportare consigli sapienti alla futura candidata indigena, che non sarà zapatista, questo lo abbiamo capito, ma che necessiterà del supporto e del tesoro esperienziale delle donne insurgentas.

San Cristóbal de las Casas, Chiapas (Messico), novembre 2016 -
Un oratore zapatista durante la conferenza “Che tremi
nei suoi centri la terra” tenutasi al CIDECI, Università
popolare autonoma e autogestita della Terra

Contro il patriarcato, il femminismo comunitario

A distanza di tempo e spazio, mentre sorreggo lo striscione per il corteo dell'otto marzo milanese, in mezzo a tutte quelle donne con cui condivido la strada e la necessità di urlare ciò che pensiamo, viviamo e vogliamo cambiare, la memoria corre a di quell'incontro di donne incappucciate, con sguardi vivi e così caparbie, fiere, che nei loro abiti tradizionali col volto coperto dal passamontagna animarono le tende affollate e caldissime di quel lontano vivido ricordo, nel cuore della Selva Lacandona, consapevole che di strada ce n'è ancora da fare, per tutte, ma con la certezza che dei reali risultati siano stati ottenuti in un processo ancora lungo ma necessario, di liberazione, consapevolezza e autodeterminazione delle donne indigene. Molte delle rivendicazioni zapatiste promuovono un femminismo comunitario che combatte il patriarcato a partire dal modo di pensare indigeno e decolonizza il termine stesso, femminismo, figlio del pensiero filosofico occidentale pur rispettando le lotte delle donne europee e nordamericane.11

“Sorelle, fratelli, compagne, compagni, scienziate, scienziati, cosa pensate delle donne sfruttate, manipolate, marginalizzate, assassinate, torturate, sequestrate, discriminate per il colore della pelle, ci usano come oggetti per fare promozione alle mercanzie del capitalista, ci usano come pubblicità, per la propaganda e il traffico di droghe, ci usano per ottenere soddisfazioni sessuali, ci prostituiscono per ottenere vendite di articoli per arricchirsi? Perché vediamo con dolore la violenza e la morte che di giorno in giorno subiscono migliaia di donne nel mondo, e non solo sentiamo dolore, ma rabbia e coraggio.
Ad esempio, noi, come donne zapatiste, stiamo esercitando il nostro diritto e la nostra libertà di partecipare al nostro governo autonomo del comandare ubbidendo, abbiamo visto che si tratta per noi di uno spazio per costruire una nuova società. Cosa pensate, come scienziate, di potervi liberare di tutte queste sofferenze e queste malvagità, alle quali ci sottopone il sistema capitalista, cosa possiamo fare noi e voi? Perché senza noi donne il mondo non vive, per quanto tempo dobbiamo aspettare, come donne, di essere libere, è ora o mai più? Noi, come donne zapatiste, vediamo che è possibile organizzarsi, lottare e lavorare, e vediamo che voi e noi abbiamo bisogno le une delle altre.”12

Gaia Raimondi

Il titolo di questo articolo è lo stesso della conferenza tenuta dall'EZLN per sostenere la promozione di una candidata indigena del CNI alle presidenziali del 2018 in Messico.

  1. Tanto per usare un termine tanto caro alle geografie narrative zapatiste.
  2. Giro di presentazioni.
  3. http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/11/19/una-storia-per-cercare-di-capire/
  4. http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/11/19/una-storia-per-cercare-di-capire/
  5. Racconti, storie.
  6. http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/12/27/alcune-prime-domande-alle-scienze-e-alle-loro-coscienze/
  7. http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/11/19/una-storia-per-cercare-di-capire/
  8. Ibidem.
  9. http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/10/15/che-tremi-nei-suoi-centri-la-terra/
  10. Il volume Il pensiero critico di fronte all'Idra Capitalista, edito in Italia da Ienne edizioni, racchiude gli interventi dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) presentati in “Homenaje a los compañeros Luis Villoro Toranzo y Maestro Zapatista Galeano”, evento realizzato nel Caracol di Oventic il 2 maggio 2015, e durante il Seminario “El Pensamiento Critico frente a la Hidra Capitalista” che si è svolto dal 3 al 9 maggio 2015 presso il CIDECI (Centro Indígena de Capacitación Integral) a San Cristóbal de las Casas, Chiapas – Messico, con la partecipazione di numerose organizzazioni, realtà di base, attivisti e studiosi dal Messico e dal mondo. Gli interventi, racchiusi nel volume, uniscono la riflessione e l'esperienza, secondo il principio zapatista “né teoria senza pratica, né pratica senza teoria”. Sono frutto della discussione avvenuta nelle comunità zapatiste sulla necessità, a fronte delle mutazioni in atto del capitalismo, dentro la sua incessante azione di saccheggio e depredazione del pianeta e della vita con le conseguenze drammatiche che si vivono in ogni dove, di aprire un dibattito globale. L'idra, mostro mitologico dalle cento teste, é la metafora usata per raffigurare il sistema che attualmente governa il mondo: se una testa viene mozzata, al suo posto ne spuntano due, si adatta, muta ed è capace di rigenerarsi completamente a partire da una sola delle sue parti. Le riflessioni che provengono dalla lotta indigena del sud-est messicano si impongono per la grande forza evocativa e l'urgente attualità, caratteristiche che fanno di questo libro una lettura ricca di suggestioni per capire il presente e le alternative possibili nella costruzione di “un mondo che contenga molti mondi”.
  11. Orsetta Bellani, Indios senza re. Conversazioni con gli zapatisti su autonomia e resistenza, La Fiaccola, Ragusa, giugno 2016.
  12. “Alcune Prime Domande alle Scienze e alle vostre Coscienze” giornate di dibattito, 26 dicembre 2016, presso CIDECI-Unitierra, Chiapas, Messico, America Latina, Pianeta Terra, Sistema Solare, eccetera. SupGaleano.