Rivista Anarchica Online


società

Dietro il populismo

di Francesco Codello


Nuove leadership carismatiche e crisi dei partiti tradizionali.
Proseguendo la sua analisi, iniziata nel penultimo numero di “A”, il nostro collaboratore ritorna sulla natura complessa del fenomeno “populista”. Constatando anche che....


Gran Bretagna, Stati Uniti, Olanda, Spagna, Francia, ma prossimamente anche Germania e Italia: paesi che si stanno misurando con elezioni politiche e referendum, crisi socio-culturali ed economiche allarmanti. Naturalmente dal voto non si possono ricavare attendibili e certe indicazioni, ma sarebbe superficiale e sbagliato non tenerne conto. Proviamo allora a sintetizzare alcune tendenze che sembrerebbero emergere da questi e altri paesi, cercando di interpretare in senso libertario la situazione che si va delineando.
Penso si possa riconoscere intanto che esistono due chiare evidenze: il consolidarsi sempre più generalmente dell'affermazione di leadership personali e, parimenti, la crisi profonda dei partiti politici tradizionali.
Queste due realtà si sono ormai consolidate, dopo un percorso storico che dura ormai da diverso tempo e che ha accentuato il ruolo del “capo”, dell'esposizione mediatica accentuata di leader che hanno costruito il consenso elettorale sulla loro figura, anche senza avere dietro le spalle un partito organizzato ritenuto spesso addirittura ingombrante. Tutto ciò, seppur con sfumature diverse, è comune a destra, centro e sinistra e si impone ormai come un modello politico vincente. Ovviamente ciò comporta diverse novità sia sul piano politico che relazionale, su quello della centralità di un certo tipo di comunicazione e propaganda, su strategie organizzative, ma anche su di un piano più squisitamente culturale.
Possiamo osservare con chiara evidenza che la disputa culturale e il conflitto giuridico tra rappresentatività partecipativa e governabilità decisionista (vero inconciliabile dilemma della democrazia occidentale) si stanno risolvendo sempre più a favore del secondo elemento, vale a dire che nell'elettorato è vincente chi propone leader decisionisti e formule di governo a basso tasso di partecipazione diretta.
Non sfugge a questa logica neppure il movimento di Beppe Grillo, quei 5 stelle che hanno il “merito” di aver proposto una caricatura della democrazia diretta contribuendo in maniera decisiva a svuotarne il suo significato più autenticamente innovativo.

Due situazioni emergenti e autoritarie

Ma ci sono altri elementi che si impongono alla nostra attenzione e che disturbano la nostra sensibilità libertaria.
Due sono le situazioni che stanno emergendo ma che vanno però analizzate con prudenza e onestà intellettuale ma anche approfondite ulteriormente: chi vota a destra e chi vota a sinistra e la rottura-contrapposizione tra città e campagna. Dalle varie analisi e dati che si possono leggere sui vari media sembrerebbe (usiamo prudentemente il condizionale) che stia sempre più emergendo una insolita realtà: i poveri votano a destra i ricchi a sinistra, la destra vince in campagna la sinistra nelle grandi città. Ovviamente bisognerebbe anche subito specificare che si tratta di una destra non tradizionale e di una sinistra centrista, per usare categorie comuni, cioè prendere atto di una lievitante confusione e precarietà di riferimenti di appartenenza che per molti aspetti non possono più essere letti in senso storico-tradizionale. Ma per restare sui due fatti principali è indispensabile capire perché tutto questo stia accadendo e perché ci troviamo di fronte a un rimescolamento apparente delle carte nel delinearsi degli schieramenti politici.
La mia preoccupazione è rivolta soprattutto a questi due aspetti, chi vota chi e questa contrapposizione forte tra città e campagna, tra centro e periferia. Le cause di tutto questo sconvolgimento sarebbero riconducibili, sempre secondo molti analisti di destra e sinistra, al processo devastante della globalizzazione, alle paure dello straniero, al bisogno montante di sicurezza, ecc. Tutti elementi che sicuramente sono presenti ma che non ci dicono ancora abbastanza su quello che sta accadendo e, soprattutto, che non ci indicano facili strategie libertarie da proporre alternativamente alle ricette “populiste” e demagogiche da un lato e alle soluzioni istituzionali e tecnocratiche di carattere europeo dall'altro. Intanto un primo sforzo che dovremmo fare è quello di non farci chiudere tra queste due alternative ma sforzarci di cercare altre vie e altre proposte quantomeno di prospettiva.
La situazione che si sta imponendo, al di là dell'esito del voto, nei suoi elementi caratterizzanti, configura l'emergere di due soluzioni fortemente caratterizzate in senso autoritario: la deriva demagogica (nazional-socialismo in potenza?) o quella di un governo tecnocratico sovranazionale. Ambedue si presentano come sostanzialmente rigide e drammatiche per poter intravedere soluzioni libertarie facilmente spendibili.
Mentre mi pare di poter osservare che, anche in ambito anarchico e libertario, le critiche e le analisi circa il volto tecnocratico-finanziario del potere politico sono abbondantemente presenti e vivaci; un po' più di difficoltà la si riscontra nel capire a fondo ciò che sta sotto al montante “populismo” demagogico e, soprattutto, perché questi partiti di destra riescano a calamitare attorno a sé un così specifico consenso.

Paure sociali create e diffuse ad arte

Da questo punto di vista credo sia utile, seppur nelle inevitabili differenze, pensare e riflettere su come il modello demagogico, nazionalista, si sia imposto in Europa a cavallo delle due guerre mondiali. Esiste una discreta seria letteratura che indaga in modo preciso sul retroterra culturale e sociale che ha fatto da levatrice alla nascita del nazional-socialismo in Italia, dapprima, e in Germania dopo.
Ciò che sorprende è come un certo clima, certe ascendenze culturali, aspetti tragici della situazione economica, paure sociali diffuse e create ad arte, ma anche riferimenti mistico-identitari, scarso senso di comunità ma forte aggregazionismo corporativo, emergenza di figure autoritarie e leaderistiche, insomma parecchie cose che ci obbligano a riflettere, possano ripresentarsi nei nostri tempi ed essere comparabili con un tempo che fu. Le classi sociali impoverite e minacciate nella loro stabilità di un certo benessere, una volta attive nel processo di trasformazione e di lotta in direzione socialista e riformista, possono essere attratte da prospettive protezioniste e stare quindi sulla difensiva rispetto a nuove povertà e miserie che si palesano ormai quotidianamente nelle nostre società, subendo un'attrazione fatale.
Purtroppo l'evoluzione del sistema globale ha accelerato la trasformazione profonda di antiche identità sociali e culturali trasformando sempre più in “folla” quello che era prima classe sociale. Quello che è avvenuto in maniera profonda è stata la depauperazione di una specificità culturale (fatta di relazioni, simboli, ideali, ecc.) propria di un popolo a favore di un nuovo sistema di valori e soprattutto di competitive aspirazioni a diventare come i padroni del mondo, come quelli che ce l'hanno fatta.
Di questa drogata propaganda e di questo strisciante lavorio che ha penetrato il “popolo di sinistra”, accompagnato da un crescente e illimitato “progresso”, da una fiducia a-critica circa un'idea di sviluppo senza fine, da un senso di onnipotenza individualistica, oggi le medesime persone si trovano ad avvertirne una probabile scomparsa o attenuazione, perché non più in grado, spesso, di analizzare tutto ciò in modo autenticamente critico e profondo. Questo senso di disorientamento, accompagnato da una crescente ossessione e fobia sociale, da una montante paura che diviene sempre più panico, domina la folla (concetto ben diverso da popolo).

Un suggerimento di Paul Goodman

Ma ad accentuare questa tendenza, a spingere settori sociali impoveriti o semplicemente minacciati, a spingersi nelle braccia di questa nuova (ma anche vecchia) destra xenofoba, omofoba, reazionaria, nazionalista, contribuisce anche una fastidiosa e veramente privilegiata casta di uomini e donne “politicamente corretti”, che pontificano dall'alto dei loro consolidati privilegi.
Siamo di fronte a un momento storico veramente difficile soprattutto per chi, come noi, rema contro corrente e lavora per segnare una netta differenza nei confronti dei protagonisti del panorama politico diffuso. Paradossalmente, accanto a queste evidenti realtà così minacciose, esistono una moltitudine di micro esperienze, di realtà vere e legate alla vita quotidiana, che nei fatti propongono e attuano esperienze significativamente alternative di relazioni sociali e di azioni dirette.
Nostro compito è non solo raccontarle, ma soprattutto divenire attori e protagonisti di un'azione sociale tendente a fondare, qui e ora, una nuova società. Come abbiamo già detto, abbiamo il dovere di collegare le nostre mete alle nostre visioni, i nostri obiettivi concreti e immediati a una prospettiva più grande e ricca, raccogliendo un monito che mi pare quanto mai pertinente lasciatoci da Paul Goodman: «Supponi di aver fatto la rivoluzione di cui stai parlando e che sogni. Supponi che la tua parte abbia vinto, e che tu abbia quel genere di società che volevi. Personalmente, come vivresti in quella società? Comincia a vivere in quel modo adesso! Qualunque cosa faresti allora, falla adesso».

Francesco Codello