Rivista Anarchica Online






Mani Matter, il cantore di Berna


1. La strada che porta al cimitero

Brava gente, io abito su una strada
(e non lo dico simbolicamente)
io abito proprio su quella strada
che porta al cimitero.

Dalla finestra vedo le processioni
con le corone e i mazzi di fiori
quando qualcuno passa di là
con i piedi davanti.

Altri sarebbero forse ossessionati dal pensare
continuamente che, un giorno o l'altro,
il falegname verrà a prendere le misure
per fabbricare il loro ultimo abito di legno.

Ma io trovo in fondo bello che il mio letto
per il momento non abbia un coperchio
e il fatto che possa ancora guardare il cielo
mi rallegra il cuore.

La strada dove abito, in effetti,
è proprio un vicolo cieco
d'altronde, per quel che mi riguarda, gioisco
che non sia ancora a senso unico.
(Die Strass Won I Dran Wohne)

Il cimitero di Berna è un luogo incantato della “Svizzera verde”, sembra un parco parigino: uno spazio frondoso e disteso al centro della bella cittadina storica, fissata nei suoi costumi, nella sua bellezza monumentale, in quella pigrizia mentale conservatrice... che però viene rosa ogni tanto da un piccolo tarlo di surrealistica follia.
Scortati dal compagno e amico Andrea Tognina - che ci ospitava per un concerto - io e Guido Baldoni ci siamo stati un annetto fa... avevamo messo in chiaro dai primi contatti che, per noi, è sempre un onore andare a suonare per tutti i compagni del mondo intiero, ma che non potevamo passare da Berna senza visitare la Tomba di Bakunin. Dunque al mattino ci rechiamo lì, e cediamo alla tentazione di fotografarci sulle immortali spoglie, quando Guido scorge, appena dissimulata dietro la lapide, una bottiglia sigillata di vodka... e non una vodka qualunque, una “Beluga”, una delle marche più costose.
Proprio vicina alla tomba di questa “celebrità” internazionalista, c'è una lapide decisamente più recente che appartiene a quello che forse è il principale “genius loci” del luogo, l'avvocato Mani Matter, morto a soli trentasei anni, una notte nevosa del novembre 1972 quando, tornando a casa da un concerto, la sua macchina sbandò. Quella morte così improvvisa troncò un discorso sotterraneo e profondo che da una decina d'anni il cantore - che quasi si faceva vanto della sua condizione non-professionale - portava avanti con la sua gente, un discorso di versi e strofette, monologhi impastati di sogno, canzoni a volte brevissime, scioglilingua quasi infantili, allitterazioni non-sense su orologi (gli eterni orologi svizzeri!) e riflessioni fenomenologiche sull'essenza dei panini al prosciutto:

Che cos'è un sandwich senza prosciutto? è solo pane
Che cos'è un sandwich senza pane? solo prosciutto
è solo quando infili nel pane il prosciutto
è solo quando circondi il prosciutto di pane
che diventa un sandwich pane e prosciutto, non scordarlo!
È c'è una cosa assai importante, fai attenzione
non basta solo mettere pane e prosciutto a caso:
ci vuole una fetta di pane da piazzare sopra
ed una da piazzare sotto
ed è solo quando ti impegni così
che ottieni un sandwich pane e prosciutto!
Certo, si pone anche il problema del burro
che bisogna spalmare dal lato opportuno
e tu che mangi come un barbaro
ti riempi la pancia ma non tieni conto
che quel sandwich sulla tua tavola
comporta tutta una dialettica!
(Betrachtige über nes Sandwitsch)


2. Vita, morte e poesia di un avvocato canterino

La sua morte fu un vero lutto nazionale non del tutto rimarginato, a giudicare dalla quantità di pubblicazioni, tributi postumi, spettacoli teatrali per bambini e per adulti, riletture delle sue canzoni nelle più varie forme, che vanno dal cabaret-minimalista al jazz-manouche (un celebre cantante Svizzero di lingua francese, Stephane Eicher, ha avuto uno dei suoi più franchi successi con la canzone di Mani “Hemmige”, ovvero “Complessi/Timori”), per arrivare alla pubblicazione di interi dischi di riletture rock, nei quali una scena di musicisti nata più di un decennio dopo la sua scomparsa, continua incessantemente a omaggiarlo. Possiamo dire che fu proprio lo shock della sua scomparsa a far emergere una sorta di malinconia e di cupo presentimento della morte che, più o meno in filigrana, permeava la sua poesia.

Nel treno gli uni si siedono
per poter vedere prima ciò che ti viene incontro
e girano la schiena al contrario del verso
da cui viene il treno.

Gli altri si siedono sul sedile di fronte
per poter guardare ancora dove il treno è passato
e danno la schiena al verso
in cui va il treno.

E dunque è chiaro che ciascuno pretende
che il verso in cui prende le cose sia il solo giusto
e di colpo s'insultano e si prendono a botte
mentre il treno avanza.

E seppure il controllore arriva
non gli importa di dire la sua sulla questione
dice solo qual è la prossima stazione
è Rorschach...
(Ir Ysebahn)

[La stazione di Rorschach - oltre ad avere il suono sinistro delle famose macchie del test psicologico - è una località della Svizzera prossima al confine con l'Austria, quindi presumibilmente un capolinea].

Mani Matter, che come abbiamo detto era un giurista, un brillante avvocato che aveva fatto carriera nel Consiglio di Berna, passava le notti nei cabaret underground della città, dove partecipava a spettacoli collettivi di comicità improvvisata: una versione dolce e un po' più fricchettona anni '60 dei vecchi “cugini” del dadaismo zurighese dell'avanguardia degli anni '20. Un po' da quella nobile tradizione letteraria e tanto dall'amore per Georges Brassens (è evidente la filiazione di Matter da lui, nell'assunzione di alcune melodie come nel modo di stare in scena e financo nei baffoni) traeva una sorta di irriverenza anarchica.

Una notte, mentre sul tardi attraversavo
a piedi il Terrazzo Federale, verso casa,
ho incontrato un tipo barbuto,
e santamadònna, non ti vedo che questo,
all'ora in cui la gente dorme,
vuole far saltare in aria il Parlamento con la dinamite!

Mi sono atterrito e gli ho detto: “Mi scusi,
però mi sembra, come dire, che proprio
lei stia meditando con ogni intenzione
di far saltare in aria il Parlamento.”
“Eh sì”, mi ha detto quello, infuocato, “proprio così,
via dalle palle 'sta baracca, io sono per l'Anarchia.”

Da cittadino, che altro avrei potuto fare
se non provare a dissuaderlo?
E ho cominciato a parlargli di tutti i vantaggi
del nostro Stato, così alla bell'e meglio,
e poi della federazione, della libertà e della democrazia,
e l'ho scongiurato di lasciar perdere.

L'angoscia mi ha sviluppato un talento d'oratore,
attorno a noi il vento freddo della notte.
Mentre gli facevo un discorso da Festa Nazionale
che avrebbe reso patriota persino un cavallo,
quel tipo si è tanto commosso alle mie parole
da ricacciare via dagli occhi una làgrima.

E così alla fine ho potuto salvare lo Stato,
e quello se n'è tornato a casa con la sua dinamite;
e io, quella sera, quando sono andato a letto
mi son decretato da solo una decorazione.
Però, strana cosa: già il giorno dopo
mi è preso qualche dubbio sul mio stesso discorso.

Ma gli avrò, a quello, lodato la Svizzera
a buon diritto? Me lo sto ancora chiedendo.
E, insomma, quel tizio mi ha dato una dritta:
da allora, quando passerò davanti al Parlamento,
penserò che sta in piedi solo provvisoriamente,
e che per farlo saltare bastano un paio di sacchi di dinamite.
(Dynamit)

Berna (Svizzera) - Un murale che ritrae Mani Matter
in una via a lui intestata

3. Fini e confini: la lingua di Mani

Le sue melodie erano semplici ma di una dolcezza un po' imprevedibile, i suoi racconti costruiti con cura, la sua morale chiara, ricca, piena di spunti e non aggressiva. Il personaggio, simpaticissimo, sapeva inalberare in scena un'aria un po' stolida e recitava il ruolo dello svizzero sempliciotto, ma all'improvviso, con un ghigno ironico, rovesciava le parti e faceva intravvedere quel barlume di follia che offre una via d'uscita al burocratico grigiore elvetico. Perché allora un tale portento, per di più reso mitico dalla morte prematura, è rimasto confinato nelle mura della sua città e di pochi sobborghi?
Perché una delle massime ricchezze di Mani Matter è anche il suo grande limite: la lingua. Tutte le sue canzoni sono scritte nell'ostico dialetto bernese, una lingua del tutto oscura anche ai madrelingua tedeschi. La forza però con cui la lingua di Matter si è radicata nel suo piccolissimo contesto è proporzionale al valore che rappresenta: Matter ha raccolto una parlata pomposa e grottescamente autoreferenziale, per liberarla dalle scorie, dandole al contempo valore letterario e levità popolare. Lui ha reso la sua lingua una lingua letteraria, ma l'ha anche vaccinata contro chi, con quella lingua, si vuol prendere troppo sul serio.
Matter è filastrocca, è teatro, è filosofia. Una linguista, dando testimonianza in un bel documentario video sulla sua vita, ne sintetizza in un'immagine la poetica: “Mani Matter vedeva e spiegava il mondo come lo spiegherebbe un bambino al suo orso di peluches”.

Sono seduto dal barbiere davanti allo specchio, guardo dentro
e dentro vedo lo specchio sulla parete di fronte
e dentro si specchia lo specchio davanti a me
e lì dentro di nuovo lo specchio dietro di me
e così via, come un lungo corridoio

in cui la mia testa, almeno cento volte,
vista da dietro e da davanti è allineata in colonna
in fondo la mia testa - non l'ho più riconosciuta -
è piccola come la capocchia di uno spillo.

La mia testa, lì molto lontano, immaginatevi,
si è persa nell'infinito del lungo corridoio
ho visto me stesso sparire lì dietro
in piena luce al mattino come se nulla fosse.

Inorridito ho spalancato la bocca e nel corridoio
si sono aperte, nello stesso tempo, cento mie bocche
come in un coro maschile solo di me stesso, che cosa grottesca,
sono stato colto da un brivido metafisico sulla sedia del barbiere

mi sono strappato l'asciugamano e, mal rasato,
ho subito lasciato il negozio del barbiere blaterando una scusa.
E se voi pensate che dovrei andare un po' più spesso dal barbiere,
ora potete capire perché ho degli scrupoli.
(Bim Coiffeur)


4. La memoria dell'uomo

La memoria dell'avvocato Mani Matter - della sua corta vita e di quel pugno di canzoni dolcemente ribelli e brevi come i sogni - è viva nella sua città e i suoi ammiratori tentano di “contagiare”, per quel che è possibile, coloro con cui vengono in contatto. La moglie, le due figlie - che sembrano essersi divise l'”eredità”, dal momento che una è avvocato mentre l'altra è regista teatrale -, gli amici ancora viventi, ci tramandano l'immagine di un uomo gentile e disponibile, nella sua professione come nella sua arte, ma anche di un ragazzo con le sue disattenzioni, le sue piccole arroganze, i suoi imprevedibili scoppi d'ira. Allevato nella mitologia della “vita sana” nella Svizzera neutrale, mentre negli anni della sua infanzia l'Europa esplodeva fra nazismo e guerra, Mani “era incapace di affrontare le tragedie, come la morte della nostra madre, la cui malattia era stata celata a noi bambini per non turbarci”, confida la sorella maggiore.
Privati, dalla morte improvvisa, della sua presenza fisica tutti – familiari, amici, ammiratori - si interrogano su come si sarebbe evoluto il talento di questo poeta, intimo e surreale, ma che sapeva guardare con garbo alla malinconia del vivere.

Sulla foto a colori si vede un calesse
che passa una sera davanti al mare
con uno splendido manichino di signora seduto dentro
e al suo fianco la abbraccia un signore.
Le stelle brillano nel cielo profondo
e sotto la foto c'è scritto “questa è la felicità”.
C'è un bicchiere di liquore ma non mi ricordo la marca.

Finora sono stato raramente la sera
in calesse a passeggiare sul mare
e non frequento manichini e non amo i liquori
ma da quando ho visto la foto e letto la didascalia
ho capito cos'è che manca alla mia triste esistenza.

Chi di voi conoscesse un manichino
corra ad affittare un calesse
vada a passeggiare sulla riva del mare
e prenda un bicchiere di quel liquore
perché la nostra vita umana,
tocca dirlo, è proprio brutta
e quando si intravede com'è fatta la felicità
bisogna prenderla a tutti i costi.
(Farbfoto)


5. Ringraziamenti e buon vicinato

Fare quest'articolo è stato possibile grazie allo straordinario lavoro di diffusione culturale di Riccardo Venturi e del sito “Canzoni contro la guerra” e soprattutto di Andrea Tognina che ci ha non solo fatto conoscere Mani Matter, ma che ci ha dato delle chiavi per entrare nel cuore di quel particolare modo di essere svizzeri (oltre ad averci fatto assaggiare della vera gruviera). Se Mani Matter riposa lì, a due passi da Michail Bakunin, è forse un caso, ma non certo una disdetta.

Alessio Lega