Rivista Anarchica Online


circoli

La Scighera

un circolo libertario tra le nebbie della Bovisa,
periferia nord-ovest di Milano


di Sara Guerriero, Andrea Perin, Gaia Silvestri a nome del collettivo



Dodici anni di nebbia

di Sara Guerriero, Andrea Perin, Gaia Silvestri


In milanese nebbia si dice “scighera”. E se andate nel vecchio quartiere popolare e periferico della Bovisa, in fondo a via Candiani, quasi alla stazione, trovate l'insegna della Scighera. Circolo Arci. Tre di loro ci raccontano qui delle prove di gestione di un circolo libertario inserito nel mercato.



Nell'Arci, con sofferenza

La Scighera è frutto di un lavoro collettivo, cominciato all'inizio del 2005, quando all'interno di un piccolo gruppo di amici si è iniziato a parlare di un luogo di socialità, relazione e produzione culturale in cui far confluire i tanti rivoli creativi che attraversavano le loro vite. Il progetto si poneva come naturale evoluzione di percorsi in parte legati al mondo dell'associazionismo di stampo libertario, dei centri sociali, della comunicazione indipendente e della progettualità hacker legata al mondo del software libero e dei liberi saperi.
La nostra sfida era e rimane quella di creare uno spazio in grado coniugare partecipazione, qualità della proposta (dal cibo agli eventi e alle relazioni) e sostenibilità economica.
L'adesione all'Arci è stato un passaggio deciso con sofferenza, che ha portato grandi vantaggi a livello gestionale e burocratico, ma che non ha mai inciso sulla gestione interna e ha visto una sostanziale autonomia dalle scelte dell'associazione.
Dodici anni sono un periodo lungo, durante il quale si sono dovuti coniugare l'aspetto culturale e politico con quello economico per garantire la sopravvivenza del progetto. Il gruppo fondatore, apparentemente al mondo del pensiero libertario e anarchico, si è modificato continuamente nel tempo, con numerose uscite spesso destinate all'apertura di altri progetti gemmati dalla Scighera, ma anche con l'arricchimento delle diverse esperienze delle persone che si sono aggiunte.
Se sul piano culturale attraverso migliaia di eventi organizzati la Scighera è stato un luogo di frontiera, dove accanto a tematiche squisitamente anarchiche si sono avvicendati e si sono confrontati artisti e attivisti dei diversi campi dell'antagonismo sociale e politico, nel campo organizzativo e politico la Scighera si è sempre mossa sul solco del pensiero anarchico.
Dopo tanti anni riteniamo che un valore aggiunto di questa esperienza sia stata la costante riflessione e azione sulle pratiche che in questi anni hanno permesso alla Scighera di funzionare.
Quelle che seguono non sono infatti pagine che raccontano l'esperienza storica della Scighera, ma brevi note in cui abbiamo provato, a nome del Collettivo, a esplicitare alcuni degli aspetti che per noi hanno avuto rilevanza. Un po' per mettere ordine in quelle che in tanti anni sono state discussioni e prove di soluzioni, ma anche per offrire spunti di riflessioni che, magari, potranno essere utili per altre esperienze.

Gestire il potere?

Come in ogni gruppo che deve affrontare decisioni, il tema della gestione del potere – ovvero di chi assume un ruolo preponderante – è strutturale e ricorrente, ben oltre il ruolo giocato dalle caratteristiche individuali (“leadership naturale”) e indipendente dai metodi decisionali adottati (consenso).
Se nei nostri intenti tutti gli appartenenti al Collettivo hanno le stesse responsabilità e le decisioni vengono affrontate collegialmente e sciolte con il metodo del consenso, nei fatti si verifica una differenza di fatto tra chi lavora quotidianamente all'interno della Scighera (militanti sostenuti) e chi invece vi dedica il proprio tempo libero. Rispetto ai secondi, i primi assumono inevitabilmente maggiori competenze e conoscenze dovute all'impegno giornaliero e alla reciproca continua frequentazione, e hanno anche la possibilità di affrontare con maggiore tempestività le decisioni più urgenti rispetto ai tempi più lunghi della convocazione della riunione del Collettivo.
Si tratta di una situazione strutturale e di fatto ineludibile, che comporta rischi di polarizzazione del potere, tensioni interne e pauperizzazione delle risorse. La consapevolezza di questa condizione si è palesata sin dai primi mesi di vita della Scighera, e gran parte delle nostre energie sono state spese nel tempo per gestire le problematica e individuare soluzioni per bilanciare i rapporti.
Per affrontare le questioni più urgenti e meno articolate, ad esempio, abbiamo sperimentato e tuttora utilizziamo metodologie di decisione, come ad esempio la comunicazione digitale con poche regole precise: impegno di tutti a esprimersi, oppure richiesta solo dei “contrari”. In presenza anche di una sola opposizione o nel caso di argomenti articolati che richiedono ampia discussione, ci facciamo carico dei tempi più lunghi che servono per un incontro del Collettivo.
Dall'altra abbiamo accettato la divisione di fatto dei due gruppi scindendo le responsabilità: da una parte le decisioni tecniche e logistiche affidate direttamente alle riunioni tra militanti sostenuti (attualmente GROG) e dall'altro quelle politiche e di metodo che rimangono di competenza del Collettivo.
Se questo ha fatto chiarezza nelle responsabilità e sgravato il Collettivo dall'affrontare troppi argomenti e soprattutto tematiche di cui spesso non aveva la competenza (dalle pulizie ai turni di lavoro), il nocciolo del problema si è polarizzato nel rapporto dialettico tra le due entità. In questi anni, inseguendo la quotidianità della gestione, abbiamo assistito a periodici accentramenti di una delle parti, seguiti dal ritorno al bilanciamento con l'individuazione di nuove formule organizzative. Di fronte a questa situazione in continuo divenire, la vera consapevolezza che abbiamo raggiunto in questi anni è l'inevitabile transitorietà delle formule organizzative: questo si coniuga con la necessità di una continua tensione e attenzione a evitare che si creino sacche di potere all'interno dell'organizzazione, adeguando ogni volta la struttura.
Un fattore che ci ha anche aiutato e ha alleggerito almeno in parte i rischi di potere, è la storica fluidità delle persone partecipanti al progetto, con uscite compensate da nuove entrate. Se da una parte i nuovi arrivati hanno inevitabilmente minore consapevolezza della situazione, dall'altra portano una freschezza e uno sguardo nuovo, contribuendo a ridurre il rischio che l'anzianità e l'esperienza costituiscano un nucleo di potere di fatto.

Melius, giornata del libro usato organizzata dai librai

Pratica del consenso (ci piace sviscerare)

La cooperazione tra le persone è uno dei nostri cardini e la partecipazione diretta le sta proprio accanto: entrambe prevedono una dialettica, che con il metodo del consenso si può esprimere al meglio. Non per maggioranza perché il voto, quando pratichi e cerchi la consensualità, si svela nel suo essere procedura e non spazio per il sentimento, l'emozione e il ragionamento; neanche all'unanimità, perché non crediamo in una omogeneità tranquillizzante.
Ci piace sviscerare, impastare, sguazzare nei dubbi e nella creatività delle soluzioni; darci il tempo di scoprire quanto è bello partire con una idea e finire con qualcosa che forse solo da lontano le assomiglia, ma che sentiamo appartenerci come soggetto collettivo.
Decidere per consenso, vuol dire anche scegliere di darsi il tempo di decidere. Cerchiamo di non usare la fretta come passo a cui andare o come scusa, sfatando il mito (e l'incubo) dell'urgenza e dedicando attenzione per creare relazioni importanti e fiduciarie.
Portiamo le questioni su cui ci interessa discutere (e se siamo stati proprio molto bravi, abbiamo anche condiviso prima materiali sul tema); le svisceriamo attraverso il confronto, ipotizziamo soluzioni e idee e scegliamo quella che ci soddisfa. Non sempre questo può avvenire in un solo incontro e la discussione continua in più riprese fino ad una decisione soddisfacente.
Non abbiamo paura del conflitto che si genera normalmente nell'incontro tra diversi esseri pensanti, eppure il metodo del consenso da solo non è garanzia di un risultato e a volte ci troviamo muti e spaesati. I tempi, gli argomenti e le dinamiche interne ci portano a riconoscere molto meglio “il sapere” altrui piuttosto che la peculiarità e l'intelligenza di cui siamo portatori, con il rischio di silenzi e di falsi assensi. Le relazioni si consolidano e si “fissano” ruoli e meccanismi a volte paralizzanti.
Nel provare soddisfazione quando il processo è andato come vorremmo, c'è anche chi non è interamente d'accordo con la soluzione adottata, oppure non è d'accordo ma ascolta e viene ascoltato, o ancora non è d'accordo ma responsabilmente su alcune questioni sente di poter fare dei passi indietro e fidarsi del gruppo.
Sappiamo che riprenderci il potere di decidere attraverso il consenso significa grande responsabilità e attenzione, ma sappiamo anche che i processi si camuffano anche contro la nostra volontà.
E quindi, eccoci tornati ancora dove credevamo di aver risolto, o anche solo capito qualcosa, troppo abituati a barcamenarci tra un sì e un no, a compiacere qualcuno o qualcun altro; ad essere maggioranza o minoranza, a sentirci tranquilli perché appartenenti a questo o quel gruppo.
Non ci sono soluzioni per i nostri passi indietro e le nostre incoerenze, perché nonostante siano tanti anni che cerchiamo di applicare il consenso alle nostre decisioni, non possiamo dare niente per acquisito: la tenuta di questa pratica è qualcosa per cui dobbiamo sempre rimetterci in discussione facendo attenzione ai processi che ci coinvolgono.

Sostenibilità economica, cioè...

La sostenibilità economica di un progetto autogestito di stampo libertario è stata, come già detto, la principale sfida che abbiamo voluto porci. Fino ad ora ci siamo riusciti? Difficile rispondere.
La Scighera ha iniziato con un finanziamento privato che indubbiamente ha reso l'inizio più facile di quanto lo fosse realmente e che ha dato l'agio di sperimentare e commettere errori.
In generale per un progetto come il nostro “restare sul mercato” significa esplicitare la nostra cultura politica e non può prescindere dalla partecipazione consapevole di chi l'attraversa, come pubblico, come militante, come artista. Questo è ciò che rende difficile vincere questa sfida.
Il fatto che esistiamo da 12 anni potrebbe portare a rispondere che è una sfida vinta, almeno per il momento, ma le difficoltà sono sempre maggiori e i rischi di alzare il livello di compromesso anche.
Cosa vuol dire “sostenibilità economica” in un progetto come il nostro? Tante sono state le sperimentazioni per rendere veramente accessibile il nostro progetto come il baratto o lo scambio di competenze per partecipare a un corso oppure prezzo libero per alcuni prodotti del bar, e altro ancora. La riflessione però, al netto delle dinamiche di entrata/uscita finanziaria, si è concentrata su due snodi centrali del progetto.

La fripperie, angolo di baratto permanente

Ma il cappello funziona?

Per noi la cultura dovrebbe essere libera, slegata dal mercato e sostenibile per chi la organizza, per chi la crea e per chi la fruisce. Questo implica un'interdipendenza tra le parti e un'assunzione collettiva di responsabilità perché tutti siano appagati. In questo senso la sperimentazione più interessante che abbiamo portato avanti è stata quella del “Cappello”.
La maggior parte degli eventi che prevedono un costo per i partecipanti è stata organizzata a sottoscrizione libera, invitando il nostro pubblico a sostenere economicamente il progetto artistico di cui stavano fruendo senza imporre loro un biglietto di ingresso. Esplicitando dal palco, ogni volta, che quello a cui stavano assistendo era frutto di un lavoro pregresso e di un assunzione di rischio da parte dell'organizzazione.
Ciò ha portato risultati molto diversi e ancora adesso abbastanza inspiegabili. Alcuni tipi di eventi, e quindi alcuni tipi di pubblico, hanno risposto molto bene facendo sì che questa pratica risultasse virtuosa, altri molto meno.
Purtroppo questa pratica resta relegata a progetti artistici piccoli e di nicchia, ma ancora non si può applicare con successo in situazioni di medio-grandi. Forse il percorso resta ancora lungo.

24 aprile 2017, cantata collettiva liberatoria

I prodotti

Essendo profondamente convinti che l'etica non sia un lusso per ricchi, la scelta dei prodotti è frutto di un continuo compromesso tra l'eticità e l'accessibilità economica. Purtroppo constatiamo che questo resta ancora un punto debole del progetto, tra introiti che a fatica coprono i costi e prezzi che rimangono comunque cospicui, su cui ancora si continua a lavorare per trovare una giusta mediazione.

Programmazione culturale, una spina dorsale

La programmazione degli eventi non è un corollario alla consumazione e alla frequentazione del circolo, ma una colonna strutturale del progetto: accanto alla scelta dei prodotti, è uno degli elementi che qualificano la Scighera in termini politici e culturali presso i frequentatori.
La scelta stabilita sin dall'inizio di non avere una direzione artistica che fornisse indirizzo e regolamentazione, ha portato alla creazione di una rete di commissioni autonome, aperte alla partecipazione di chiunque lo desideri, ognuna dedicata a un argomento scelto in autonomia dai componenti. Le commissioni, il cui numero e progetto sono molto cambiati nel tempo, si formano per aggregazione spontanea, non hanno portavoce ufficiale e si sciolgono quando nessuno più vuole occuparsi di questo tema. Solo occasionalmente il Collettivo ha dato indirizzi o richiesto attività specifiche, mentre si è sempre assunto la responsabilità nei rapporti con altri soggetti politici esterni.
La programmazione in questi anni perciò è risultata un equilibrio dinamico le cui variabili sono dipese dagli interessi e dalle conoscenze delle persone disponibili e coinvolte nelle Commissioni.
Questa totale libertà di azione deve però coordinarsi per evitare sbilanciamenti e per costruire un calendario degli eventi, permettendo inoltre alla struttura logistica di poter organizzare le necessità tecniche.
Nella pratica ci siamo mossi in due direzioni. Come prima cosa abbiamo creato un programma informatico accessibile alle commissioni e gestito da una Segreteria con ruolo solo organizzativo, che permette di conoscere in anticipo le proposte degli eventi e di prenotare le date. Non vale in assoluto la precedenza e le eventuali sovrapposizioni vengono sciolte da contatti tra le commissioni.
Accanto a questo abbiamo riunioni periodiche tra le commissioni per coordinare il calendario, condividere le tematiche, sciogliere i problemi e favorire o proporre le collaborazioni.
In Scighera non consideriamo tendenzialmente la programmazione culturale un fattore economico diretto. Solo in alcuni casi gli eventi sono a pagamento, e anche in questo caso le entrate servono sostanzialmente a coprire le spese tecniche e gli artisti (concerti musicali e teatro), sperimentando modalità alternative di coinvolgimento del pubblico e degli artisti (vd. “cappello”).
Ogni commissione ha la responsabilità di valutare la responsabilità economica degli eventi tra spese (rimborsi, etc.) ed entrate previste (bar, etc.), ma qualora l'evento si rilevi di importanza politica, in accordo con il Collettivo il bilanciamento diventa secondario.

Un concerto alla Scighera


Con soldi, senza soldi, con pochi soldi, gratis

La Scighera apre i battenti nel maggio del 2005. Fare funzionare un circolo è un'operazione complessa, e complessa è di conseguenza la sua organizzazione.
Per comodità sintetizziamo lo schema.
Collettivo: ambito primario del progetto, che ha il compito di dare le linee guida politiche. È formato da militanti volontari e retribuiti.
Commissioni: gruppi di interesse con il compito di organizzare la programmazione. Si partecipa a titolo volontario.
Gruppo di gestione: inizialmente composto militanti sostenuti, lavoratori e membri del collettivo che fossero in grado di esercitare una responsabilità complessiva sul progetto Scighera.
Ora è la sede organizzativa della gestione del lavoro quotidiano e il momento di incontro tra i militanti sostenuti, i lavoratori e i volontari.
Grog: gruppo ristretto di militanti sostenuti e non sostenuti, che si occupa con continuità nel tempo e responsabilmente della Scighera, in particolare decidendo l'organizzazione più funzionale riguardo a tematiche strutturali, quali l'amministrazione, i prodotti, la promozione, il lavoro.
Militanti sostenuti: membri del collettivo che percepiscono un reddito per svolgere le attività e le mansioni concordate in un “patto progettuale”.
Militanti: coloro che svolgono attività per la Scighera senza retribuzione e che fanno parte del collettivo.
Lavoratori: persone che, in cambio di un reddito stabilito, svolgono determinate mansioni, secondo modalità e orari concordati, per un periodo di tempo limitato e definito.
Braccianti: coloro che svolgono altre attività per la Scighera senza retribuzione e che non fanno parte del collettivo (tesseramento, banco, inserimento tessere, etc.).



La programmazione culturale

Lavorando alla Scighera

La Scighera è un progetto pensato come fonte di autoreddito. Questo ha comportato fin dall'inizio una continua riflessione sul tema del lavoro in un'ottica di autogestione anche in relazione ai valori di militanza, che continua tuttora e nulla fa pensare che abbia trovato una forma stabile. La sua evoluzione e sperimentazione sono strettamente legate alle evoluzioni stesse della Scighera e alla sua storia.

Prima fase: la gestazione

Al momento dell'apertura nel 2006 ci sono 4 persone retribuite in maniera egualitaria per la gestione e la responsabilità a tutto tondo del progetto, 1 persona retribuita per mansioni specifiche e circa 25 persone coinvolte nel progetto a titolo militante. Si pone da subito il problema di come inquadrare formalmente chi percepisce un reddito: la costituzione di una cooperativa viene scartata, sia perché costosa sia perché l'inserimento in una cornice legale avrebbe impedito la sperimentazione di forme alternative di reddito.
Questo comporta la mancanza di garanzie per i lavoratori non aderenti al progetto politico, la difficoltà a giustificare formalmente l'assenza di lavoratori retribuiti in un progetto così vasto; inoltre restare in una situazione di illegalità impedisce di comunicare alcune scelte importanti sul lavoro che stanno alla base di questo progetto.

Aperitivi in osteria...

Seconda fase: l'impegno incondizionato

Con il passare dei primi mesi si accentua la differenza tra i militanti sostenuti e gli altri aderenti al progetto. La grande concentrazione di responsabilità e mansioni sui militanti sostenuti accentua la distanza tra quest'ultimi e gli altri membri del collettivo, che pure si occupano di aspetti centrali del progetto.
Per cercare di fare chiarezza, si delineano quindi meglio i compiti dei sostenuti: il reddito non è erogato in cambio di un lavoro; priorità, svolgimento e divisione delle mansioni sono stabiliti consensualmente secondo i principi dell'autogestione, senza distinzione tra mansioni direttive o esecutive, tra lavoro intellettuale o manuale; ciascuno secondo le proprie attitudini e capacità dà il proprio contributo a ciascuna delle fasi della realizzazione degli obbiettivi dell'associazione; non esistono mansioni o responsabilità automaticamente affidate ai militanti in quanto sostenuti; si stabiliscono periodicamente e consensualmente le attività e le mansioni da assegnare prioritariamente a chi percepisce un reddito.
Dall'inizio del 2008 le forme di lavoro e retribuzione cominciano a farsi sempre più diversificate e le eccezioni sono più che la regola. Si sente quindi la necessità di rimettere in gioco il ruolo dei militanti sostenuti all'interno del progetto, anche per potersi dedicare ad altro.

Terza fase: nuove forme di vita

Nel gennaio del 2010 il collettivo apre una fase di ripensamento di tutta la struttura interna della Scighera. Si decide l'istituzione di un Gruppo di Gestione (GdG) con poteri e limiti più chiari e criteri di appartenenza ben definiti: potranno farne parte militanti sostenuti, lavoratori salariati e membri del collettivo che siano in grado di esercitare una responsabilità complessiva sul progetto Scighera.
In questa fase sono queste le caratteristiche dei militanti sostenuti:
- turni bianchi: accanto a un ammontare di ore da dedicare alla struttura, stabilito da ciascuno secondo le proprie possibilità, c'è anche un tempo da dedicare a mansioni che non prevedono la presenza in Scighera: ufficio stampa, segreteria, incombenze burocratiche, conti, organizzazione dei turni, supporto informatico, spesa ecc. Ciascuno quantifica e autogestisce questo tempo in maniera autonoma e indipendente;
- reddito/mansioni: all'inizio di ogni stagione (settembre) gli appartenenti al GdG decidono consensualmente la suddivisione di tutte le mansioni, esprimono il proprio bisogno economico e stabiliscono l'ammontare dei redditi incrociandoli con le disponibilità economiche dell'associazione.
Partecipano al percorso di elaborazione teorica legato al tema reddito/lavoro, eventualmente coinvolgendo anche gli altri lavoratori per le parti che li riguardano; hanno accesso alla cassa mutua, alla quale contribuiscono quando possibile con una parte del reddito; alcuni dei militanti sostenuti versano nelle casse della Scighera i compensi ricevuti per lavori svolti esternamente in ottica di condivisione di tutti i redditi.

Stage di danze popolari

Quarta fase: lo stallo

L'estate del 2012 vede il GdG/gruppo sostenuti impegnato in una nuova serie di discussioni originate da un senso di disagio crescente: condividere le risorse economiche in base al bisogno auto-dichiarato implica una grande fiducia reciproca e affinità nell'intendere il proprio ruolo, mentre la crescente atomizzazione delle mansioni rende sempre più difficile trovare il terreno comune.
Le visioni si dividono soprattutto sulla dimensione politica del proprio ruolo: da una parte chi rivendica una dimensione legata soprattutto alla quotidianità/socialità, dall'altra chi vorrebbe un investimento da parte di tutti anche nella fase di analisi ed elaborazione; per alcuni è inammissibile che i membri di questo gruppo non appartengano al collettivo, mentre per altri questo non rappresenta un problema.
Si decide quindi di sospendere la sperimentazione sui militanti sostenuti e di rimandare la questione al collettivo.
Nel 2013 il collettivo ridefinisce le figure:
Militante sostenuto: membro del collettivo della Scighera che percepisce un reddito per svolgere le attività e le mansioni concordate in un “patto progettuale”, ovvero un progetto personale in cui sono comunicate le attività che intende svolgere, il bisogno economico personale e la durata del proprio impegno.
Volontari e militanti: possiamo individuare tre figure di volontari/militanti non retribuiti: militanti (attività per la Scighera senza retribuzione interni al Collettivo), militanti culturali (attività nelle commissioni della Scighera esterni al Collettivo) e volontari o braccianti (attività per la Scighera senza retribuzione ed esterni al collettivo).
Lavoratori retribuiti: persone che, in cambio di un reddito stabilito, svolgano determinate mansioni, secondo modalità e orari concordati, per un periodo di tempo limitato e definito.
Questa è la situazione che permane anche attualmente. L'introduzione del progetto personale si è estesa a tutti i partecipanti al collettivo, sostenuti economicamente e non. Nonostante ciò, alcuni pezzi si sono però persi per strada, soprattutto l'aspetto mutualistico e solidaristico del lavoro. Se si è effettivamente superato il concetto di pagamento orario, resta ancora lungo il percorso per arrivare a una reale condivisione dei redditi e delle risorse.
Infine le questioni che restavano aperte inizialmente rispetto all'inquadramento legale del lavoro, lo sono ancora. Unica differenza che come si può ben vedere abbiamo deciso negli ultimi anni di rivendicare questa scelta, esplicitandone la pratica anche al di fuori dello stretto collettivo.

Sara Guerriero, Andrea Perin, Gaia Silvestri
a nome del collettivo