Rivista Anarchica Online


la rivoluzione russa

Soviet sì Lenin no

di Franco Bertolucci


Gli avvenimenti russi, dalla rivoluzione di febbraio a quella di ottobre, e la loro eco in Italia. Il ruolo di Lenin, dal quasi libertario delle “Tesi di aprile” e “Stato e Rivoluzione” al bolscevico della repressione contro gli anarchici e altri dissidenti politici.
Le posizioni degli anarchici italiani, tra solidarietà indistinta ai soviet russi e le prime notizie della repressione rossa. “Non possiamo accettare il potere e la mancanza di libertà”.


La notizia della detronizzazione dei Romanov e della fine della tirannide russa giunse in Italia nei primi giorni del marzo del 1917 accolta positivamente da quasi tutte le forze politiche, a parte il re e il suo seguito sempre preoccupati che qualche mano o un moto rivoluzionario mettessero fine al regno di Casa Savoia. Alla Camera dei deputati, il 16 marzo tutti gli schieramenti politici e i ministri del governo applaudirono e inneggiarono alla Russia e il ministro degli esteri, Sidney Sonnino, espresse la propria fiducia nel movimento rivoluzionario russo, fiducioso che questo potesse facilitare non certo un «rallentamento» ma una «più intensa e più energica prosecuzione delle operazioni belliche». I nazionalisti videro nelle dichiarazioni del nuovo governo guidato dal principe Georgij E. L'vov, e dal ministro degli esteri Pavel N. Miljukov, un mantenimento degli impegni presi con l'alleanza militare contro gli Imperi centrali, seguiti in questo dai radicali interventisti e dai riformisti che speravano in un più ampio coinvolgimento del popolo per garantire la continuità della guerra. Gli interventisti di sinistra (repubblicani, ex socialisti, rivoluzionari e sindacalisti) accolsero la notizia dell'abdicazione dello zar con giubilo, vedendovi la conferma della loro interpretazione politica del conflitto mondiale che stava inevitabilmente portando verso uno sbocco rivoluzionario l'intera Europa.
I socialisti – riuniti a Milano il 9 e 10 aprile 1917 la direzione del Partito, il Gruppo parlamentare e il Consiglio direttivo della Confederazione del lavoro per un esame della situazione politica internazionale – stilarono un documento nel quale interpretarono le vicende russe, come il recente intervento militare americano in guerra, come eventi destinati ad affrettare un processo di giustizia e libertà e a segnare necessariamente anche la rinascita di un'intesa internazionale tra i popoli. Per i socialisti era dovere del proletariato d'ogni paese riunire le forze e imporre in maniera decisiva la cessazione del conflitto.
«Fare come in Russia» diventò in breve il leitmotiv della propaganda dei giornali sovversivi e libertari. Gli anarchici e i propri organi tra i quali «L'Avvenire anarchico» e «Guerra di classe», periodico dell'USI, seguirono con trepidazione e crescente simpatia l'evolversi della situazione. Ragioni politiche e storiche – considerando anche il diffuso “mito” delle donne e degli uomini del movimento rivoluzionario russo in Italia – determinarono questa spontanea ed entusiasta attenzione verso la Russia rivoluzionaria da parte degli anarchici italiani, che con una visione messianica attesero la rivoluzione sociale come risposta alla guerra imperialista.

Virgilio S. Mazzoni

Le differenze scomparvero, le diffidenze no

Le notizie che, tra l'aprile e il maggio, arrivarono via via in Italia parlavano della crisi del governo provvisorio russo e dell'opposizione delle frange più estreme, tra cui i bolscevichi, e sembrarono soddisfare in pieno le aspettative degli anarchici e dei socialisti.
Gran parte delle informazioni che gli anarchici italiani poterono avere in quel periodo, in assenza di rapporti diretti con la Russia, erano filtrate dalle agenzie di stampa internazionali e nazionali o, ad esempio, dai quotidiani liberali come il «Corriere della sera» di Milano, «La Stampa» di Torino – che in un articolo del 21 aprile definì Lenin come un «anarchico russo» – e il socialista «Avanti!». Quest'ultimo si distinse però dagli altri giornali, soprattutto di estrazione liberale, per il privilegio di avere tra i suoi editorialisti un giovane socialista rivoluzionario russo, Vasilij V. Suchomlin, che da subito fornì una lettura originale e vivacissima della rivoluzione in atto. Di fatto, l'«Avanti!» fu l'unico giornale italiano che fin dalle prime notizie non interpretò gli eventi russi, come invece fecero i maggiori quotidiani occidentali, come un semplice colpo di Stato per una più efficiente condotta della guerra, un pronunciamento militare organizzato dagli elementi liberali dell'esercito e della maggioranza della Duma contro la debole e corrotta politica della corte zarista.

Fu sul numero del periodico pisano «L'Avvenire anarchico» del 23 marzo 1917 che Virgilio S. Mazzoni pubblicò uno dei primi articoli dal suggestivo titolo Aurore boreali nel cielo di Russia. Il militante libertario, non senza un tocco di enfasi e retorica, salutò la rivoluzione auspicando il diffondersi del moto rivoluzionario negli altri paesi europei:

La Comune di Parigi non poteva essere commemorata in miglior modo, a Pietrogrado e in tutta la Russia, ormai incamminantesi a sua volta sulla via della propria redenzione.

concludendo con:

Intanto la Russia, ch'era in arretrato di un secolo ed un quarto, sul quadrante della storia, raggiunge le altre nazioni, per quando suonerà la grande ora. Quell'ora però, non può scoccare in Russia, se non scocca contemporaneamente in Germania, in Austria ed in tutta la (Mittel o non Mittel) Europa.

Tutti gli organismi libertari si prodigarono immediatamente e lanciarono appelli alla solidarietà e proclami di ammirazione che il settimanale pisano pubblicò con regolarità: ricordiamo, ad esempio, il manifesto dell'Unione sindacale italiana dal titolo Ai proletari rivoluzionari russi pubblicato da «L'Avvenire anarchico», sul numero del 13 aprile 1917. Il 15 aprile, si svolse a Firenze una riunione ristretta fra i membri del Comitato d'azione internazionalista anarchica (CdAIA) e la direzione dell'USI per redigere un manifesto in solidarietà al popolo russo e stringere accordi nell'eventualità di un'azione insurrezionale contro la guerra. All'incontro parteciparono i principali anarchici ancora in libertà tra i quali il segretario dell'USI, Armando Borghi, Pasquale Binazzi, V.S. Mazzoni e Temistocle Monticelli. Il CdAIA al termine della riunione inviò un messaggio di solidarietà agli anarchici russi e a coloro che si erano battuti per sconfiggere il militarismo e il dispotismo zarista.
La simpatia degli anarchici per la rivoluzione in Russia, dove essi, assieme a socialisti rivoluzionari di sinistra e bolscevichi erano affratellati in un unico fronte rivoluzionario, fecero in breve scomparire le differenze ma non le diffidenze verso gli antichi avversari. Va ricordato che all'epoca in Italia erano pochi a poter vantare non solo una conoscenza approfondita delle basi teoriche del bolscevismo e del socialismo rivoluzionario ma anche una chiara visione della mappa geopolitica delle forze della sinistra, e non solo, che componevano il variegato panorama del fronte politico che aveva preso il controllo del destino delle grande paese euroasiatico. Non a caso gli anarchici italiani erano anche impegnati nel rivendicare il ruolo dell'anarchismo nella rivoluzione russa, messo in secondo ordine o ignorato per motivi politici dai redattori del quotidiano socialista «Avanti!». Camillo Berneri a tale proposito su «Guerra di classe» del 22 aprile 1917 scriveva:

Avvenire Anarchico ha protestato con un articolo di fondo contro questo esclusivismo socialista e molti compagni hanno notato che né nell'Avanti! né, in generale, in altri giornali è stata messa in evidenza l'azione svolta dagli anarchici russi, azione che conta diversi anni di attività ed un martirologio tra i più sanguinanti ed i più luminosi. Io credo che gli articolisti socialisti abbiano taciuta la parte presa dagli anarchici nel movimento rivoluzionario russo perché presi tutti da vivo desiderio di rivendicare innanzi al proletariato ed al partito tutta l'azione svolta dai loro compagni di Russia.

Il 15 aprile 1917 a Torino venne stampato e diffuso un numero unico clandestino «Eppur si muove!», foglio edito da un «Circolo operaio» sotto il cui nome si nascondeva in realtà un gruppo ben preciso di libertari che facevano riferimento a Luigi Fabbri. Il giornale riportò la prima posizione articolata degli anarchici italiani sulla Rivoluzione russa.

Camillo Berneri

”È la luce di un sublime incendio”

L'editoriale anonimo del foglio è attribuibile con certezza a Fabbri, che in questo articolo espresse con entusiasmo la propria soddisfazione per l'evolversi della storia dalla Russia:
Finalmente un fascio di luce viva e sfolgorante ha rotto all'improvviso la fitta e buia nebbia di dolore e di sangue, di menzogna e di morte, che da ormai tre anni avvolge e uccide l'umanità. È la luce d'un sublime incendio, che fa tremare sui troni tutti i potenti e infonde il desiderio della rivolta in tutti gli oppressi; un fuoco di purificazione e di liberazione, che illumina le menti assetate di verità e riscalda i cuori anelanti giustizia. È la rivoluzione! La rivoluzione è scoppiata e ha trionfato in Russia. Ecco la grande notizia, che ci ha inebriati di gioia ed ha rianimato tutte le nostre speranze. Esultiamo, o amici, o compagni, o lavoratori! Mentre ci credevamo ovunque sconfitti, mentre la tirannide militaresca pareva ovunque trionfante, ecco che in una nazione vasta quanto la rimanente Europa il popolo vince i suoi tiranni, salvando l'onore della specie umana che stava per essere sommerso da una realtà sempre più opprimente e vergognosa.

Venne, inoltre, espressa la convinzione che la rivoluzione era ormai un processo inarrestabile per due fondamentali ragioni: in primo luogo perché il popolo si era armato e vigilava insieme coi soldati ribelli e in secondo luogo perché la massa dei contadini aveva aderito al movimento insurrezionale. Anche se la rivoluzione russa non era «l'anarchia», gli anarchici pensarono che essa era riuscita «a screditare e sgretolare nella coscienza del popolo lo spirito di sottomissione al governo» e aprire le porte dell'avvenire «a tutte le audacie e a tutte le iniziative».
Del resto bastava il fatto della liberazione dei detenuti politici, fra i quali molti anarchici, e la conquista della libertà di propaganda di tutte le idee, e quindi anche delle idee libertarie, «perché le bandiere degli anarchici si levassero al vento e al sole in segno di profonda e incondizionata solidarietà». Il giornale contestava poi l'interpretazione che davano gli interventisti della rivoluzione russa, vista come una diretta conseguenza della guerra, osservando che «certamente la rivoluzione russa è stata una conseguenza della guerra, ma solo come l'eccesso di un male può provocare per reazione il suo contrario» e che «la condizione principale della riuscita del movimento era quindi che i rivoluzionari non si fossero prima resi solidali col governo per la guerra».
L'analisi del numero unico torinese descriveva con efficacia il conflitto tra le forze che stavano operando all'interno delle rivoluzione democratica che aveva causato la caduta dello zarismo: coloro che volevano spingere in avanti il movimento «per fare una rivoluzione sociale», disintegrando fino alle fondamenta il vecchio regime zarista, e coloro che perseguivano lo scopo dell'affermazione di una democrazia liberale borghese. Per il foglio torinese il banco di prova di queste due forze era la guerra. I primi desideravano liquidare l'eredità dell'imperialismo guerrafondaio zarista, i secondi intendevano continuare la guerra anche per distogliere l'attenzione delle moltitudini dalle questioni interne. Gli anarchici italiani ritenevano che gli ostacoli che dovevano affrontare i sinceri rivoluzionari in Russia erano enormi, in considerazione delle difficoltà materiali e dei tanti nemici sia interni che esterni che insidiavano la rivoluzione. L'analisi dei redattori del periodico torinese e di Fabbri si chiudeva con una considerazione estremamente lucida sulla necessità di aiutare i fratelli russi, mobilitando il proletariato occidentale a cominciare da quello tedesco e dal suo principale partito, quello socialdemocratico:

Tentar la rivoluzione in Germania è il meno che possan fare, per diminuire alquanto la propria terribile responsabilità, quei socialdemocratici che nel 1914 ingannarono il popolo tedesco e tradirono per primi l'internazionalismo, facendosi complici del Kaiser, col pretesto dello czarismo. Questo pretesto oggi non c'è più. Una rivoluzione in Germania o dei moti seri che paralizzassero almeno l'azione militare dei suoi eserciti, sarebbe anzi un coefficiente dei più validi, perché divenga del tutto impossibile in Russia un ritorno del regime czarista ...
Il momento storico che attraversiamo è critico e solenne insieme. L'umanità può uscirne salva e libera, solo a patto che ogni popolo, come il popolo russo, separi la sua causa da quella dei propri oppressori e scenda sul terreno della lotta contro di questi per e con la bandiera soltanto – la rossa bandiera della rivoluzione e della libertà.

Immagini tratte da Funeral of P.A. Kropotkin in Moscow, february 13, 1921, Berlin, 1922. I due
striscioni recitano: «Domandiamo il rilascio degli anarchici incarcerati che stanno lottando per
le stesse idee di Kropotkin – Per l'anarchia» e «L'emancipazione dei lavoratori sarà opera dei
lavoratori stessi. Come ha detto Karl Marx. Confederazione russa degli anarco-sindacalisti»

“Abbasso Kerenskij, evviva Lenin!”

Nel frattempo, in aprile, un comitato olandese-scandinavo, composto da rappresentanti di partiti socialisti di paesi neutrali e di alcuni dirigenti dell'Internazionale, avanzava la proposta di una grande conferenza internazionale da convocarsi a Stoccolma, aperta a tutte le correnti socialiste, vecchie e nuove, con lo scopo di elaborare un nuovo piano di pace che avrebbe dovuto imporsi, con tutta l'autorità morale del socialismo internazionale nuovamente riunitosi, al complesso delle nazioni in guerra. L'idea venne subito raccolta e fatta propria, nel luglio, dal Comitato esecutivo del Soviet panrusso che inviava nella capitale svedese alcuni suoi delegati. Anche gli zimmerwaldiani convocarono una conferenza sempre a Stoccolma, la terza dopo quelle svolte in Svizzera.
Stoccolma in quel contesto diventava rapidamente il crocevia della «diplomazia socialista»: nella città si incontrarono, oltre che delegazioni ufficiali, profughi ed esuli russi provenienti da ogni parte del mondo che cercavano di tornare in patria. L'unica strada accessibile, all'epoca, per raggiungere la Russia era quella via nave dall'Inghilterra alla Norvegia e poi in Svezia verso la Finlandia per imbarcarsi direttamente per un porto russo.
Il Comitato socialista internazionale, costituitosi dopo Zimmerwald (1915) e Kiental (1916), all'annuncio della conferenza si era immediatamente mobilitato per evitare che quest'ultima diventasse un'occasione di riabilitazione per coloro che, tra le forze socialiste, si erano macchiate del marchio infame di «traditori» al momento delle votazione dei crediti di guerra.
Di conseguenza, a Stoccolma si giocava un'importante partita a scacchi per definire alleanze e strategie del socialismo internazionale, al fine di trovare una soluzione accettabile per la fine della guerra e il sostegno delle aspettative dei lavoratori per un futuro di pace e solidarietà.
All'interno della sinistra italiana si aprì un ampio dibattito, in considerazione del fatto che l'occasione della conferenza internazionale poteva mettere per la prima volta a confronto le forze socialiste occidentali con quelle che erano impegnate in Russia.
Gli anarchici italiani erano favorevoli in larga maggioranza a una partecipazione alla Conferenza e chiesero che l'appuntamento fosse aperto a tutte le componenti rivoluzionarie che si erano opposte alla guerra. Il CdAIA aveva deciso, in una riunione svoltasi a Firenze il 3 giugno 1917, che a rappresentare i libertari italiani fossero Errico Malatesta, Luigi Molinari, Pasquale Binazzi, Luigi Bertoni direttore de «Il Risveglio» di Ginevra e V.S. Mazzoni. Mentre però i due principali giornali anarchici italiani, «Il Libertario» della Spezia e «L'Avvenire anarchico» di Pisa, erano d'accordo sulla partecipazione alla conferenza internazionale, critiche vennero espresse proprio da Bertoni e dalla redazione de «Il Risveglio». Negli stessi giorni a Firenze si svolse il congresso annuale dell'USI, che registrò una buona partecipazione di delegazioni delle Camere del lavoro e del sindacato metallurgici, e che si chiuse con una dichiarazione nella quale si manifestava la propria disponibilità a partecipare alla conferenza internazionale di Stoccolma; tra le altre cose, l'incontro discusse ampiamente la questione delle alleanze a livello sia nazionale che internazionale, con un'apertura alle forze socialiste rivoluzionarie e ai sindacati contrari alla guerra.
Qualche settimana dopo il CdAIA, rispondendo all'appello lanciato dal quotidiano socialista «Avanti!» pubblicato il 18 luglio, ribadì la partecipazione al progetto, precisando che l'adesione degli anarchici italiani era subordinata al rispetto dell'obiettivo principale della riunione e cioè «l'unione di tutte le forze del proletariato internazionale per ottenere una pace senza annessioni e senza contribuzioni, fondata sul diritto dei popoli a decidere di sé stessi» («L'Avvenire anarchico», 27 luglio 1917).
Il Convegno di Stoccolma, convocato dalla Commissione socialista internazionale, si svolgerà dal 5 al 12 settembre 1917, nonostante il boicottaggio dei governi dell'Intesa che non rilasceranno alle varie delegazioni i passaporti, ma riscuoterà scarso interesse, poche furono le adesioni, anche per l'assenza del movimento libertario volontariamente escluso dagli organizzatori e il boicottaggio del movimento zimmerwaldiano che nella capitale svedese aveva inviato, la rivoluzionaria russa Angelica Balabanova, segretaria del Comitato socialista internazionale, decisamente contraria a qualsiasi compromesso con il socialismo patriottico. In quel contesto, l'influenza degli avvenimenti russi fu determinante nello svalutare d'importanza la portata dell'incontro internazionale dal momento che, anche in Russia, il movimento socialista era fortemente diviso tra chi era favorevole alla continuazione della guerra e chi era invece per una pace immediata. Bisogna inoltre considerare un elemento tattico importante: le componenti internazionaliste erano contrarie a un'iniziativa planetaria nella quale avrebbero potuto rimanere minoranza rispetto alle componenti «socialpatriottiche», senza raggiungere l'obiettivo di una pace proletaria non diplomatica.
Nel frattempo, in luglio la situazione politica in Russia si modificò velocemente: il malcontento per l'andamento della guerra e le difficoltà economiche delle classi subalterne provocarono forti agitazioni spontanee – sostenute dai bolscevichi, dagli anarchici e dagli altri gruppi radicali – che coinvolsero le principali città ed in particolare Pietrogrado. Una nuova coalizione politica guidata dal socialista Aleksandr F. Kerenskij si affermò alla guida del paese mettendo fuori legge i «massimalisti», mentre Lenin dovette fuggire in Finlandia. In Italia tali avvenimenti vennero interpretati dalla stampa socialista e libertaria, in modo più o meno omogeneo, come una testimonianza dell'avanzamento della controrivoluzione borghese a danno delle istanze rivoluzionarie.
D'altra parte, le prime dichiarazioni del nuovo governo non lasciarono dubbi sulle reali intenzioni: per i nuovi dirigenti il «primo problema capitale» consisteva nell'impegnarsi con ogni energia nel contrastare il «nemico esterno» e nel difendere il «nuovo regime di governo contro tutti gli attacchi anarchici e rivoluzionari, senza fermarsi dinanzi alle misure più rigorose» («Avanti!», 24 luglio 1917).
Alla fine di luglio, una delegazione dei Soviet di Pietrogrado e Mosca partirono alla volta di Inghilterra, Francia e Italia, con lo scopo di confrontarsi sia con i governi dell'Intesa, al fine di stabilire accordi per la prosecuzione della guerra, sia con le forze socialiste, nella speranza di trovare consenso alla proposta avanzata dal Consiglio degli operai e dei soldati di Pietrogrado per una più ampia partecipazione alla conferenza internazionale di Stoccolma. La delegazione russa riconosceva la necessità della continuazione della guerra a fianco degli alleati e si pronunciò contro le tesi di Lenin e dei bolscevichi ma anche degli anarchici per un immediato ritiro dal conflitto, e quindi contro la pace separata.
La delegazione dei Soviet di Pietrogrado e di Mosca, rappresentante del nuovo governo provvisorio di Kerenskij, raggiunta l'Inghilterra, dopo una sosta a Stoccolma, espresse una linea politica che può essere riassunta dalla formula: «lotta per la pace generale simultaneamente alla guerra sul fronte». Gli «argonauti della pace», il 25 luglio arrivarono a Londra e il 4 agosto a Parigi.
La delegazione era composta da noti militanti socialisti rivoluzionari e menscevichi, con un lungo curriculum vitae e con una buona conoscenza del mondo occidentale, essendo alcuni di loro emigrati in Europa per sfuggire alla repressione della polizia politica zarista negli anni precedenti la Prima guerra mondiale: Iosif P. Gol'denberg e Alexander N. Smirnov erano delegati del soviet di Pietrogrado mentre Nikolai S. Rusanov e Henryk Ehrlich rappresentavano il soviet di Mosca.
Gol'denberg, accompagnato dagli altri membri della delegazione, raggiunse Torino da Parigi il 5 agosto e iniziò un viaggio diplomatico in Italia che, in campo storiografico, viene definito come una delle storie più paradossali nelle relazioni tra Stati durante la Prima guerra mondiale. Il Governo italiano, dopo una prima esitazione legata soprattutto a questioni di politica interna, permise ai rappresentanti dei soviet di entrare nel paese, in considerazione del fatto che il governo russo al momento non prevedeva la cessazione delle ostilità con la Germania e l'Austria.

«Eppur si muove!» numero unico, edito a cura del Circolo operaio, Torino, aprile 1917
(grazie all'Archivio storico della Biblioteca F. Serantini di Pisa per la gentile concessione)

“Viva Lenin e gli anarchici russi”

Vittorio Emanuele Orlando, liberale moderato, ministro dell'Interno del governo presieduto da Paolo Boselli, acconsentì che il viaggio della delegazione russa fosse ampiamente pubblicizzato dalla stampa periodica e autorizzò le riunioni pubbliche organizzate dai socialisti. Quest'ultimi approfitteranno dell'occasione per promuovere grandi manifestazioni di piazza a favore della Russia che spesso si trasformavano in veri e propri plebisciti per la rivoluzione e soprattutto per Lenin. La delegazione, che incontrò i rappresentanti di tutte le forze politiche del movimento operaio italiano, rispettando in questo la linea politica intesa a sollecitare il maggior numero possibile di adesioni al progetto di Stoccolma, il 5 agosto fu a Torino, il giorno successivo a Roma, il 10 a Firenze e a Bologna, l'11 a Milano e il 13 nuovamente a Torino, ovunque accompagnata da entusiastiche manifestazioni di piazza nelle quali era accolta dal grido «Viva la Rivoluzione dei soviet, viva Lenin». Fu paradossale questa situazione in cui gli esponenti di un governo, per quanto rivoluzionario, vennero accolti da acclamazioni che inneggiavano all'opposizione politica di quello stesso governo.
Gli anarchici parteciparono attivamente a queste manifestazioni e agli incontri politici con i delegati del governo russo e si unirono alle altre forze politiche nelle manifestazioni euforiche di piazza, indirizzando al leader bolscevico il saluto sincero e l'ammirazione per un uomo che era in quel momento il simbolo dell'ala più radicale del movimento rivoluzionario, sostenitore determinato della necessità di una cessazione immediata della guerra e dell'avvio di un profondo rivolgimento sociale. L'anarchico Anselmo Acutis nella manifestazione di Torino del 13 agosto 1917 concluse il suo intervento, dopo quelli dei rappresentanti del Partito socialista, salutando i rappresentanti russi con queste parole:

I compagni del Soviet sono stati accolti a Roma da un gruppo di interventisti imboscati al grido di abbasso Lenin. A questo grido infame dobbiamo contrapporre un altro che esprima la nostra solidarietà verso quegli arditi compagni: salutiamo i delegati al grido di Viva Lenin!

Le parole dell'anarchico torinese vennero immediatamente riprese dalla redazione del periodico «L'Avvenire anarchico» che nel numero del 17 agosto rivendicò il ruolo degli anarchici nelle manifestazioni di solidarietà con la Russia, nelle quali i sinceri rivoluzionari – a coloro che esaltavano il dittatore Kerenskij – hanno risposto: «Viva Lenine e gli anarchici russi».
Al periodico pisano fece eco la redazione di «Cronaca libertaria» di Milano il 23 dello stesso mese:

Siccome anche noi, anzi noi più di tutti, abbiamo gridato Evviva Lenin, vogliamo far sapere che noi eravamo pienamente consapevoli del valore e del significato di quel grido. Consapevoli al punto che l'abbiamo anche accoppiato con quello di Abbasso Kerenskij.

Anche «Guerra di classe», il giornale dell'USI, nel numero dell'11 agosto condivise l'applauso a Lenin e ai bolscevichi, sottolineando che l'umore delle masse proletarie che avevano partecipato alle manifestazioni di solidarietà con la delegazione russa era ben riassunto dal quello slogan, «Viva Lenin», che si contrapponeva alla propaganda della stampa reazionaria e moderata che dipingeva il leader russo come un nemico del progresso. Il giornale sindacale inneggiava al «leninismo», neologismo nel panorama del linguaggio politico di allora, come naturale prosecutore degli ideali e delle speranze della Comune di Parigi.
Sempre in quel periodo, e sullo stesso organo di stampa, Berneri ribadì la critica alle posizioni ambigue dei dirigenti del PSI e della CGdL, scrivendo che è sempre meglio stare con Lenin, cioè con chi voleva la «pace immediata», rispetto a Kerenskij che voleva la prosecuzione della guerra.
Non deve meravigliare questo atteggiamento da parte degli anarchici italiani verso Lenin e il bolscevismo. In quel momento, la stragrande maggioranza dei libertari provava una forte attrazione e simpatia per i bolscevichi, di cui, come già accennato, pochissimi conoscevano la vera essenza politica fedele all'ortodossia marxista. Questa attrazione nasceva dalla comune condivisione della radicale condanna del primo conflitto mondiale, e dalla sfiducia completa nella socialdemocrazia, considerata complice dell'imperialismo guerrafondaio. Le poche notizie su Lenin vennero sempre filtrate dal quotidiano socialista «Avanti!» che, tramite Gustavo Sacerdote, suo corrispondente da Zurigo, fornì le prime indicazioni sul programma e sulla tattica del dirigente bolscevico, che il giornalista aveva potuto conoscere in Svizzera prima della sua partenza per la Russia.
«L'Avvenire anarchico», alla notizia dei tumulti e della mancata insurrezione in Russia del luglio 1917, descrisse l'azione comune dei bolscevichi e degli anarchici come la vera forza politica massimalista che voleva spingere il processo rivoluzionario fino alle estreme conseguenze, con l'abolizione del sistema capitalista e dello Stato e con la proclamazione della comune rivoluzionaria.

Errico Malatesta

“Le tesi di aprile” e “Stato e rivoluzione”: il Lenin (quasi) anarchico

Al di là della scarsità di notizie e di conoscenze della Russia dell'epoca, va di fatto considerato che anarchici e bolscevichi, tra il febbraio e l'autunno del 1917, si trovarono oggettivamente a operare congiuntamente contro il governo provvisorio di Kerenskij. Inoltre, le posizioni politiche espresse da Lenin, dopo il suo ritorno in Russia, con le «Tesi di aprile», la critica radicale alle posizioni socialdemocratiche, l'impostazione «volontaristica» dell'azione rivoluzionaria, l'accantonamento delle teorie evoluzioniste tipiche del socialismo della Seconda internazionale, la proposta di abbandonare qualsiasi ipotesi di un processo a tappe della rivoluzione e di conseguenza la sfiducia completa nel modello rappresentativo democratico, tutto ciò, aggiunto alle parole d'ordine di abolizione dell'esercito di leva, dell'azzeramento della burocrazia statale, dell'eguaglianza salariale, della trasformazione della guerra imperialista in lotta rivoluzionaria rappresentarono questioni che accomunarono il primo bolscevismo alla cultura e alle aspettative dei libertari. Le «Tesi di aprile» sconcertarono non solo i menscevichi ma anche una buona parte dei bolscevichi.
La parola d'ordine «tutto il potere ai soviet», lanciata dal leader bolscevico nella primavera del 1917, venne interpretata non solo come la base di una progressiva radicalizzazione della rivoluzione in atto, ma anche come il riconoscimento di un'idea della costruzione della società socialista basata sul decentramento e sulle forme autogestite delle strutture sociali, fondamento dell'idea federalista libertaria e della società senza Stato che gli anarchici agognavano. Nessuno tra i libertari russi, né tra gli italiani, sollevò dubbi sulle posizioni teoriche leniniste. Nei mesi che trascorsero tra la Rivoluzione di febbraio e quella di ottobre molti ignorarono che le tesi leniniste si riferivano a un trasferimento del potere politico dal governo provvisorio alla direzione del partito bolscevico.
Anche Stato e rivoluzione, testo elaborato da Lenin nel breve periodo di esilio forzato in Finlandia tra l'agosto e il settembre 1917, riprendendo e sviluppando le idee di Marx sulla dittatura del proletariato e sulla trasformazione rivoluzionaria dello Stato nell'autogoverno dei produttori, sembrò agli occhi degli anarchici confermare le posizioni di vicinanza con colui, che pur guidando una minoranza rivoluzionaria, anche se non dichiarava l'abolizione assoluta di una qualsiasi forma di Stato, ne auspicava la graduale estinzione.
Scrive Paul Avrich (Gli anarchici nella rivoluzione russa, Milano, La Salamandra 1976. pp. 15-16) che, in ottobre, anarchici e bolscevichi lavorarono di concerto per spostare la locomotiva della storia su un nuovo binario, senza però al momento prevedere – aggiungo – in quale stazione il convoglio della rivoluzione potesse terminare il suo viaggio.

Luigi Fabbri

Aspettando il sol dell'avvenire

Un anarchico italiano autorevole come Luigi Galleani testimonierà su «Cronaca sovversiva» del marzo 1919 lo stato d'animo con cui i libertari guardarono alla Russia e ai bolscevichi guidati da Lenin a quel tempo:
Il linguaggio che parlavano era nuovo, inaspettata l'audacia, trionfale la rivincita; il nome esotico, soffuso di mistero, corrusco di ricordi impetuosi, soggiogava tutte le simpatie: bolsheviki!
Nessuno sapeva di preciso che cosa volesse dire, ma poiché nessuno sapeva disgiungerlo dalle prime vittorie della insurrezione che aveva dell'anarchico al socialista coscritte le più fervide energie d'avanguardia, tutti furono bolsheviki!
Niente di male in fondo; tanto più che tutti del comune denominatore volevano, per iscarico di coscienza, l'etimologia. Il male che tutti volevano – mentre a traverso le maglie della censura non filtrava una notizia e la stampa indigena vi sopperiva delle sue lojolesche fantasie salariate – la cronaca, le vicende, i caratteri della nuova rivoluzione.

La speranza messianica che la Rivoluzione russa potesse tramutarsi nel motore del riscatto dei popoli contro le politiche guerrafondaie dei governi europei – nell'anno più lungo del Primo conflitto mondiale, che per l'Italia si concluderà con la disfatta militare di Caporetto – alimentò l'aspettativa nelle masse, stremate dalla guerra e dalla fame, e agì come un potente detonatore nella coscienza dei proletari italiani in attesa di un momento escatologico che facesse sorgere il sol dell'avvenire.
L'occasione si presentò una decina di giorni dopo la partenza della delegazione russa dall'Italia, quando a Torino una sommossa spontanea contro il caroviveri, iniziata dalle donne, si trasformerà ben presto in uno sciopero generale contro la guerra. Anarchici e socialisti collaborarono nel sostenere la rivolta che, in alcuni momenti, prese l'aspetto di un moto insurrezionale con innalzamento di barricate, saccheggi di negozi di generi alimentari, scontri a fuoco con le forze dell'ordine e assalti ai commissariati di polizia; le truppe governative riuscirono ad avere la meglio dopo una settimana di scontri che lasciarono sul terreno numerosi morti e feriti.

Luigi Bertoni

Lenin al governo

La notizia che il governo di Kerenskij era stato abbattuto da un colpo di mano rivoluzionario, e che ora la Russia era guidata dai «massimalisti» di Lenin, arrivò in Italia filtrata dalla censura militare. Il Paese era ancora sotto shock per la disfatta militare di Caporetto, e le autorità avevano promosso un'ulteriore stretta repressiva nei confronti delle opposizioni politiche. Gran parte dei giornali erano stati soppressi o imbiancati dalla censura. Non è lontano dal vero il fatto che la presa del potere da parte di Lenin e dei bolschevichi fosse accolta positivamente dalla stragrande maggioranza del movimento socialista e anarchico, pochi erano coloro che espressero delle critiche. Il superamento della forma democratico-borghese dell'Assemblea costituente verrà giudicata positivamente dalla stampa anarchica italiana, anche dopo che i contrasti e gli scontri insanabili tra bolscevichi e anarchici verranno alla luce. In fondo, ciò che accomunava tatticamente le due fazioni rivali era la totale sfiducia nei metodi parlamentari e rappresentativi tipici dell'ordinamento liberale.
I socialisti italiani, nella loro stragrande maggioranza, condivisero le scelte bolsceviche anche se queste contraddicevano la teoria e prassi del marxismo classico.
«L'Avvenire anarchico», confortato dall'indirizzo del «Risveglio» di Ginevra, fu il primo giornale in Italia che avanzò delle perplessità, dubbi e qualche critica, dopo le prime scarne notizie dalle quali ancora non si percepiva la dimensione “storica” della presa del Palazzo d'Inverno. Il giornale, che parlava di un «Comitato esecutivo della rivoluzione» e di «Governo massimalista», avvertì il pericolo di una svolta autoritaria. Il numero del 30 novembre riportava un articolo di spalla dal titolo Lenine al governo, firmato con lo pseudonimo Welfare (probabilmente scritto da V.S. Mazzoni), che però sarà interamente censurato.
L'avvenuto ritrovamento del testo originale dell'articolo ci permette di cogliere gli elementi essenziali del dibattito e delle critiche che la redazione, per la prima volta esplicitamente, espresse al nascente dispotismo comunista. L'articolista de «L'Avvenire anarchico», dopo aver salutato

l'uomo, sul capo del quale intrecciavansi le più strane leggende, cacciato finora con la sua frazione massimalista come si cacciano le fiere, inseguito dalla polizia e dai cosacchi attraverso tutta la Russia, è riapparso ad un tratto alla testa dei suoi, ha sconfitti i partigiani di Kerenski ed ha vinto.

apriva la riflessione sul pericolo del nuovo potere:

Senza tante ambagi – ora che Lenine non è più il cospiratore rivoluzionario, ma è l'uomo di governo – lo riteniamo perduto per la rivoluzione, come tutti i più o meno illustri esponenti delle dittature rivoluzionarie del passato, del presente e sarei per dire anche dell'avvenire.

Le critiche libertarie al coups d'état di Lenin derivavano dalla diffidenza sul carattere autoritario dei marxisti che nasceva da una contrapposizione di campo risalente ai tempi di Bakunin e della Prima internazionale. Si riapriva una vecchia disputa e polemica anti-autoritaria e anti-marxista che da sempre divideva gli anarchici dai socialisti delle diverse scuole. Gli anarchici, al contrario dei marxisti, negavano risolutamente la forma dello Stato, in quanto strumento d'oppressione nelle mani delle classi dirigenti, negavano ogni teorizzazione del periodo di transizione fra Stato capitalistico e società socialista e consideravano ugualmente tirannico anche quello Stato che, sorto da una rivoluzione, si fosse basato sul potere della «classe operaia».

La lucidità di Luigi Fabbri e Luigi Bertoni

Anche Fabbri, qualche tempo dopo, con alcuni articoli proprio sul periodico pisano, manifestò le sue preoccupazioni e perplessità in merito all'avvento al potere dei bolscevichi. L'approccio di Fabbri alla questione della presa del potere da parte di Lenin era prudente per la scarsità di notizie a disposizione. L'intellettuale libertario non voleva certamente cadere in una critica «palesemente ingiusta e maligna», ma sollevava alcuni dubbi che nei mesi successivi saranno ripresi con maggiore decisione e chiarezza da Malatesta. Fabbri scriveva sulle colonne de «L'Avvenire anarchico» del 25 gennaio 1918:

Noi ci guardiamo bene dall'emettere un giudizio qualsiasi sulle loro intenzioni, che crediamo oneste. Ma constatiamo ancora una volta la contraddizione insanabile fra i principii ideali del socialismo e la conquista del potere politico.
Allo stesso modo, constatiamo ancora una volta, malgrado che il governo di Pietrogrado tenti alcune realizzazioni più audaci del socialismo, la contraddizione fra i principii di libertà (senza di cui il socialismo sarebbe un non senso) e le necessità pratiche di un governo, anche rivoluzionario, per mantenersi al potere. Se le notizie dei giornali non sono completa menzogna, si ripete a Pietrogrado l'errore della Comune di Parigi con la libertà di stampa, e l'errore della prima rivoluzione francese, della persecuzione dei rivoluzionari non del tutto d'accordo col governo [...].

Come è stato giustamente osservato in campo storico, l'articolo di Fabbri rappresentò un momento importante della riflessione libertaria a poche settimane dagli eventi russi e dopo i mesi dell'euforia e degli entusiasmi. Fabbri colse con chiarezza due punti essenziali della critica che man mano il movimento anarchico italiano, e poi quello internazionale, farà propri negli anni successivi: l'indivisibile binomio della libertà politica/rivoluzione sociale e l'inesorabile avvio di un processo autoritario, di un partito al potere che si faceva Stato, negatore delle ragioni stesse che aveva ispirato la rivoluzione di febbraio.
Alle parole di Fabbri fece eco la redazione de «Il Risveglio» che, sempre nel gennaio 1918, ribadì che gli anarchici erano avversari di ogni forma di potere e che, se anche in un caso eccezionale un governo provvisorio avesse trovato l'appoggio dei libertari nel combattere i reazionari, questo non poteva essere considerato come ineluttabile:

Conquista del potere e dittatura del proletariato sono formule da noi sempre combattute, come quelle che preconizzano gli stessi mezzi della tirannia e del privilegio per realizzare la libertà e l'uguaglianza.

Bertoni, e con lui la redazione del periodico ginevrino, erano ben consapevoli dei rischi che la rivoluzione in Russia stava correndo e di come la contraddizione tra l'aspirazione a un pace immediata, attesa dalle masse contadine e proletarie, e la necessità di difendersi dalle armate degli imperi centrali era una spada di Damocle sulla testa di tutti i sinceri rivoluzionari e che questo nodo gordiano poteva essere spezzato solo da un'immediata sollevazione del proletariato tedesco. Concetti che verranno ribaditi nelle settimane seguenti da Francesco Porcelli («Il Risveglio», 16 febbraio 1918), quando la notizia delle trattative di armistizio tra il governo rivoluzionario russo e i rappresentanti del Kaiser si diffonderanno, e il giudizio del periodico ginevrino sarà durissimo, considerando l'armistizio non come una pace rivoluzionaria tra i popoli ma una pace statale tra governi.

Un canone fondamentale della dottrina anarchica è l'avversione assoluta a qualsiasi forma di governo.
La nostra diffidenza al governo di Lenine e di Trockij è inerente dunque alla posizione mentale che noi anarchici istintivamente prendiamo verso un'autorità, comunque istituita e costituita.
Cotesta diffidenza, impostaci dalle dette premesse teoriche, che potrebbe essere attenuata dalle contingenze di una situazione eccezionale, viene ad essere avvalorata, invece dalla mossa politica dei russi: le trattative impegnate dai rappresentanti della nuova Russia con i più vecchi e più vieti esponenti del dispotismo teutonico.

La successiva notizia del trattato di pace di Brest-Litovsk, firmato il 3 marzo 1918 in Bielorussia fra le potenze centrali e la Russia guidata da Lenin, che sanzionava l'uscita di quest'ultima dalla Prima guerra mondiale con durissime condizioni, inclusa la perdita di circa un quarto dei territori europei, riaccese le polemiche e le critiche degli anarchici nei confronti delle scelte dei bolscevichi.
I libertari si interrogarono sulle ragioni che avevano portato i dirigenti del partito bolscevico a questa scelta. L'accettazione delle durissime condizioni di pace tedesche era forse dovuta, come era sembrato inizialmente, alle sfavorevoli circostanze materiali che impedivano ogni forma di resistenza russa oppure era dipesa da ragioni di principio? Si trattava, dunque, di stabilire se un governo rivoluzionario avesse ceduto senza combattere a un governo imperialista, o se questa «ritirata» era solo un aspetto di una strategia necessaria per preparare una riscossa militare contro gli Imperi Centrali.
Ad esempio, le posizioni del giornale svizzero di lingua italiana non erano immediatamente fatte proprie dai pochi giornali anarchici che ancora uscivano in Italia. «L'Avvenire anarchico», di Pisa come «La Favilla» di Roma, espressero posizioni più accondiscendenti e di solidarietà alle scelte operate dal governo bolscevico russo, anche se, come abbiamo visto precedentemente, in particolare l'organo pisano aveva esternato critiche assai convinte nei confronti del nuovo corso governativo russo. È probabile che i giornali italiani, rispetto a quelli svizzeri, non avessero un quadro complessivamente sufficiente delle dinamiche politiche che avevano portato alla stipula dell'armistizio, e non avevano notizie riguardanti l'opposizione al trattato di pace, non solo interna allo stesso partito di Lenin, ma anche di quella dei menscevichi e dei socialisti rivoluzionari.
Gli appelli all'unità rivoluzionaria vennero anche dal Partito socialista, nonostante le sue divisioni interne tra massimalisti e riformisti, per la difesa della Russia e del socialismo internazionale. In Russia, non a caso, l'abbandono della coalizione di governo da parte dei socialisti rivoluzionari di sinistra per protesta contro la pace di Brest-Litowsk, non venne rilanciata con il giusto rilievo da parte degli organi socialisti e libertari italiani. La segreteria del Partito socialista, in mano ai massimalisti guidati da Serrati, era nettamente su posizioni di difesa intransigente delle scelte bolsceviche delle quali condividevano la critica alla guerra, alla Seconda internazionale e alla politica rigorosamente intransigente verso ogni governo borghese. La minoranza riformista, guidata da Turati, avvertì il pericolo del modello bolscevico, ne criticò gli aspetti più “eversivi”, “illiberali”, “anarcoidi” e “utopistici” rispetto alla dottrina marxista.

Questo articolo è tratto dal volume, fresco di stampa,
di F. Bertolucci, A Oriente sorge il sol dell'avvenire.
Gli anarchici italiani e la rivoluzione russa 1917-1922
,
BFS, Pisa 2017. Per info e altre notizie sulle attività
editoriali della casa editrice della Biblioteca
F. Serantini, leggetevi la quarta di copertina
di questo numero di “A”

La prima repressione degli anarchici

I socialisti e gli anarchici italiani ancora non immaginavano che Lenin e il gruppo dirigente del partito bolscevico, dopo il trattato di pace, indirizzeranno le proprie attenzioni al fronte interno con la decisione di azzerare le opposizioni politiche e in particolare quelle di sinistra.
Nella tarda primavera, il governo bolscevico dichiarò guerra ai gruppi anarchici che a Pietrogrado e a Mosca controllavano alcuni quartieri e caseggiati. Lo scontro fu durissimo, con vittime in entrambi gli schieramenti, ma gli anarchici ebbero la peggio e diverse centinaia di loro vennero rinchiusi nelle carceri.
Le notizie, seppur frammentarie, che giunsero in Europa e in Italia, scatenarono subito la reazione dei principali organi libertari. A guidare la protesta del mondo libertario europeo contro l'eccidio degli anarchici fu «Il Risveglio» di Ginevra, che nel numero del 22 giugno 1918 denunciò l'azione dei «nuovi despoti», e rivendicò il diritto alla rivolta contro la cosiddetta «dittatura del proletariato». «L'Avvenire anarchico», in un articolo pubblicato sul numero del 24 maggio, dal titolo significativo Gli Anarchici di Russia alla riscossa, riportò gli ultimi tragici eventi dello scontro fra i libertari e i seguaci di Lenin: «La battaglia è divampata da Mosca e Pietrogrado in tutta la Russia, ove poté raccogliersi ed armarsi un pugno di anarchici e spiegarsi una bandiera, contro l'ormai insopportabile giogo dei bolsceviki, che hanno preso il posto del governo più esigente, più esoso ed inetto».
Mazzoni ribadì, in un articolo del 28 giugno 1918, che il potere corrompe l'uomo e che come gli anarchici in precedenza hanno combattuto il vecchio regime, ora si opponevano a quello di Lenin, concludendo con un accorato messaggio di solidarietà e simpatia agli anarchici russi vittime del «terrore rosso».
È la fine di un'illusione, quella che la rivoluzione unisca tutti i sinceri rivoluzionari sotto la bandiera della libertà, della fratellanza e dell'uguaglianza; la delusione per gli anarchici fu amara e violenta ma, il mito di Lenin e quello prima della rivoluzione russa rimarranno ancora a lungo fortemente radicati, non solo nel movimento operaio ma finanche in quelle componenti del movimento libertario fortemente influenzate dal bolscevismo.

Franco Bertolucci



Un libro (in tedesco) sulla rivoluzione russa

Recentemente le edizioni Dietz di Berlino hanno dato alle stampe il volume Anarchismus und Russische Revolution curato da Philippe Kellermann (Berlin, Dietz, 2017). Si tratta di un importante lavoro storiografico collettaneo di messa a punto, a cent'anni dalla rivoluzione russa, sul ruolo che vi hanno avuto gli anarchici, le idee libertarie e l'incontro/scontro con i bolscevichi guidati da Lenin.
Fino al 1917 l'anarchismo, come movimento politico e di idee, si era confrontato con le diverse anime del marxismo manifestando tutti i propri dubbi e le proprie critiche sull'impostazione autoritaria delle soluzioni all'idea di rivoluzione e società socialista che venivano proposte, sul piano sia teorico che pratico. I due avversari, anarchici e marxisti, si erano sostanzialmente confrontati nel coacervo di idee e di esperienze maturate durante lo sviluppo del movimento operaio ma, al di là degli scontri verbali nei congressi internazionali e nelle dispute sociali, di fatto non si erano quasi mai affrontati durante una vera e propria esperienza rivoluzionaria. La Comune di Parigi del 1871 rimaneva una meteora ormai lontana nel tempo, quando la sua storia e le sue interpretazioni avevano contribuito a disegnare, in qualche maniera, il DNA delle due grandi corrente dell'internazionale: quella antiautoritaria e quella autoritaria.
Il 1917 è il vero spartiacque in cui l'anarchismo e il marxismo divaricano ancora di più le proprie strade, anche se poi nei decenni successivi torneranno a intrecciarsi in altre drammatiche vicende. In particolare, questa divaricazione si accentuerà con l'emergere all'interno delle componenti del marxismo russo della corrente bolscevica, che si affermerà come modello teorico e pratico, dando vita alla lunga stagione terzointernazionalista.
Il libro curato da Kellermann, tenta una disanima dei diversi problemi sollevati dalla rivoluzione di febbraio e da quella di ottobre del 1917 in Russia, e di come quegli eventi abbiamo influito sulle fortune e sfortune dell'anarchismo. Il volume descrive e analizza da un lato il ruolo svolto dal movimento anarchico in Russia nel contesto della rivoluzione russa; dall'altro, come i movimenti anarchici nei vari paesi (Italia, Svizzera, Francia e Germania) hanno reagito di fronte alla concreta esperienza di quella rivoluzione, e quali discussioni e controversie hanno animato la vita dei libertari negli immediati anni successivi.

F.B.





Gli anarchici e la rivoluzione russa

Reggio Emilia, 1 - 2 dicembre 2017
Università di Modena e di Reggio Emilia
via Allegri 9, Reggio Emilia


Seminario promosso da Biblioteca Panizzi e
Archivio Famiglia Berneri-Aurelio Chessa


Prima sessione (venerdì 1, ore 15):
intervengono Giampietro Berti, Marcello Flores,
Ettore Cinnella, Giuseppe Aiello.

Seconda sessione (sabato 2, ore 9.30): Misha Tsovma, Selva Varengo,
Pietro Adamo, Roberto Carocci.

Terza sessione (sabato 2, ore 15): Antonio Senta, Lorenzo Pezzica, David Bernardini,
Massimo Ortalli. A seguire interventi dal pubblico e dibattito.
info: Archivio Famiglia Berneri-Aurelio Chessa • 0522 45 60 84 • archivioberneri@gmail.com