Rivista Anarchica Online


femminismo

Abbiamo un dibattito

scritti di Lucia Bertell e di Francesca Palazzi Aduini

“Abbiamo un piano” è il titolo del denso documento che “Non una di meno” ha elaborato e proposto alla riflessione generale. Un documento a nostro avviso interessante, sul quale ci piacerebbe ospitare interventi di segno libertario.
Eccone i primi due, tra di loro assai dissimili. Il dibattito è già aperto.


Una ritrovata capacità di sintesi

di Lucia Bertell

Il Piano non è un punto d'arrivo, ma uno strumento per avviare una costruzione collettiva.

Nei giorni che precedevano il 25 novembre scorso (Giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne celebrata ogni anno dal 1999) gli incontri e le comunicazioni nei e tra i gruppi locali di Non Una Di Meno (NUDM) in Italia sono stati contraddistinti da “un'alta febbre del fare” e del pensare. Tra mail, social e - certamente - dal vivo sono andate definendosi le pagine del “Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e violenza di genere” (scaricabile dal sito di Non Una Di Meno) che è stato diffuso e promosso dalla manifestazione nazionale svoltasi a Roma.
Dopo la ottima riuscita, anche in Italia, dello sciopero internazionale e delle manifestazioni dell'8 marzo, l'appuntamento del 25 novembre avrebbe potuto mostrare il fiato corto del neonato movimento transfemminista; questo timore si percepiva tra le donne (e non solo) che da tutta Italia arrivavano a Roma e cominciavano a riempire la piazza e a costruire il corteo. Dall'interno non si poteva avere l'idea del numero di chi partecipava ma più il tempo passava e più c'è stata la certezza: ci siamo! È in questo clima che è stato diffuso il Piano e tutto lo sforzo per arrivare lì con un documento condiviso è stato immediatamente ripagato. La conferma è venuta il giorno dopo con l'assemblea nazionale molto partecipata e i commenti sulla riuscita. Il Piano ha cominciato a camminare pubblicamente da quel momento con discussioni nei gruppi locali, recensioni, articoli di commento, mailing list molto attive.
Nel riprenderlo in mano dopo poco più di un mese ne colgo immediatamente un nuovo, per me, messaggio: il Piano non è un punto d'arrivo ma uno strumento per avviare una costruzione collettiva.
Nel documento sono forti due istanze, contemporaneamente vive e in conflitto, esplicitate nella premessa: “Questo Piano non chiede aiuto, è uno strumento di lotta e di rivendicazione, un documento di proposta e di azione” (p. 5). È con queste due istanze che si dispiegano da un lato le idee e dall'altro le richieste, da un lato le esperienze e dall'altro le denunce, da una parte l'affidarsi ai cambiamenti legislativi e dall'altra l'essere oltre la legge; una critica radicale alle istituzioni che muove verso nuovi e liberi immaginari e una pratica del relazionarsi che impone fiducia e ricerca di un cambiamento delle istituzioni.
Alla base di questa tensione è la comune visione (che definisce e sostanzia NUDM) della violenza come forma sistemica che non riguarda il singolo uomo ma l'insieme delle regole, delle istituzioni, delle leggi, dei modi del sistema patriarcale e capitalista, della violenza, insomma, come “espressione diretta dell'oppressione che risponde al nome di patriarcato (...). Patriarcato che nel sistema capitalistico ha trovato nuova linfa vitale” (p. 6, p. 11).
Da qui il Piano dà voce a urgenze e interessi di singole, gruppi, associazioni, collettivi e anche movimenti - femministi o di ispirazione e affinità con il femminismo - enucleando 12 tematiche che impegneranno il movimento nei prossimi mesi con ulteriori approfondimenti: a) la necessità di liberarsi dal sessismo attraverso un taglio femminista di lettura del mondo; b) l'educazione femminista nelle scuole e nelle università per contrastare le violenze di genere; c) la centralità dell'autoformazione come pratica di scambio di saperi e di costruzione di nuovi presupposti culturali, e l'importanza della formazione multidisciplinare e permanente per migliorare i servizi a sostegno delle donne che subiscono violenza; d) un pieno diritto alla salute che non può assolutamente prescindere dalla libertà di decidere consapevolmente sul proprio corpo; e) le riflessioni e le pratiche condivise su le violenze economiche, gli sfruttamenti e la precarietà nel lavoro; f) forme di narrazione non sessista, capaci di raccontare che la violenza è sistemica e nasce dalla disparità; g) una critica al regime globale dei confini geopolitici mediante il femminismo intersezionale e la presa di libertà di movimento e autodeterminazione; h) la fine dell'antropocentrismo e la rimessa al centro di un pensiero decolonizzato dal dominio e dal possesso anche per quanto riguarda l'ambiente e i luoghi di vita delle donne; i) la creazione di spazi e tempi di vita sani e sicuri rigenerando quartieri e migliorando i luoghi autonomi gestiti da donne (compresi i Centri anti violenza); l) l'autonomia e la fuoriuscita dalla violenza delle donne e delle soggettività che la subiscono; m) il contrasto, a tutti i livelli, della violenza maschile che interessa le donne e una pluralità di soggettività discriminate per identità e/o scelta di genere; e infine, per ora, n) la mappatura, l'organizzazione delle banche dati, il monitoraggio di tutte le informazioni, le leggi, i servizi, i progetti che consentano una conoscenza qualitativa e quantitativa di ciò che esiste ed è a disposizione sulla violenza di genere.
Di tanta ricca e iniziale sistematizzazione va raccolto in primis un cambio di passo, un allargamento dello sguardo, almeno per quanto riguarda il femminismo italiano, dalla violenza sulle donne come altro sesso/genere differente, a una violenza sistemica che - a partire dalla violenza maschile sulle donne - viola, possiede, sfrutta, cannibalizza altre soggettività differenti e altre forme viventi (la terra, l'aria, l'acqua, i suoli, i sottosuoli, gli animali, le piante, e via).
Non è un caso che molte parti (giovani donne ma anche uomini) dei movimenti per la terra e delle cosiddette economie diverse - che per come sono stati studiati finora hanno tratti femministi e libertari - sono confluite in NUDM portandovi le proprie istanze di autodeterminazione e le proprie pratiche ecoautonome, ambientaliste e mutualistiche. Non è un caso che una concettualizzazione forte del movimento femminista transfemminista sia fondata sull'idea di transizione: da un modello economico basato sullo sfruttamento del pianeta a uno radicato sulle pratiche quotidiane di orizzontalità e rispetto tra e con gli altri viventi del pianeta, modello ispiratore dei movimenti per la terra e delle economie diverse. È possibile, credo, parlare di incontro e fusione di movimenti storici che oggi portano in NUDM pensieri e pratiche, qualità e criticità, idealità e immaginari che, in virtù di una ritrovata capacità di sintesi, propria di NUDM, si liberano dall'individualismo consumistico imposto dal capitalismo e danno forma a un individualismo comunitario di genitura femminista, libertaria ed ecologista, ovvero transfemminista.

Legami di solidarietà e sorellanza

Questa è la caratteristica che, a mio parere, connota quella parte di NUDM che tende a lavorare oltre la legge e fuori dalle istituzioni e che ha, sempre a mio parere, una capacità di immaginare il futuro: nel linguaggio, nelle forme, nelle relazioni, nelle creazioni sociali e politiche. In questa tensione mi sembra si iscriva la dimensione dell'autodifesa femminista promossa dal Piano (p. 41), che ha catturato la mia attenzione. “L'autodifesa, infatti, è una pratica collettiva che pone al centro l'autodeterminazione delle donne, creando legami di solidarietà e sorellanza e superando pertanto il paradigma eteropatriarcale che vuole le donne deboli e fragili vittime. Le forme di autodifesa possono essere fisiche, verbali e psicologiche, adattandole alla propria fisicità, storia personale e alle proprie caratteristiche. Differentemente dall'autodifesa classica e dall'autodifesa femminile, l'autodifesa femminista si basa sull'orizzontalità - in questione non è l'insegnamento ma la trasmissione - e sull'autorganizzazione (scambi di stage, allenamenti e simili)”. In questa nuova pratica femminista (da approfondire sicuramente perché mette in evidenza il desiderio di aprire un conflitto) leggo la possibilità di far emergere e significare politicamente le tante esperienze già presenti in NUDM in virtù dell'incontro e della fusione con le altre esperienze di resistenza e lotta al dominio sistemico; penso a Genuino clandestino, Fuori mercato, Gruppi e circoli libertari, Collettivi femministi, Centri di sperimentazione auto sviluppo, gruppi in cui la presenza delle donne e di altri soggetti formidabili ha già espresso orizzontalità e discussione delle (anche piccole) forme di potere.
Cruciali e centrali a tutta l'elaborazione teorica e pratica del transfemminismo di NUDM sono la critica e il superamento delle regole delle opposizioni binarie: binarismo di genere, binarismo sessuale, binarismo su base teologica fondante antropocentrismo, gerarchia e dominio sull'esistente.

Lucia Bertell




Non una di meno e non una di più

di Francesca Palazzi Arduini

Il Piano segnala una fretta di autodefinirsi per punti che può portarlo ad essere... Non una di più.

In un'epoca nella quale lo strumento dello sciopero viene del tutto depotenziato dal precariato globale, investire sullo “sciopero delle donne”, intendendo con questo lo sciopero non solo di esse ma di tutta una serie di soggetti co-oppressi, può sembrare una strategia poco credibile.
Viviamo altri tempi rispetto allo sciopero femminista del 1961 contro la guerra, o a quello del 1970 “per la pace e l'uguaglianza”, la situazione è mutata rispetto allo sciopero delle donne del 1975 in Islanda per il riconoscimento del lavoro femminile, ed anche alla grande manifestazione Usa del 1986 “pro Choice”, o alle trasversali manifestazioni italiane per il divorzio e la libertà femminile del 1972 e del 1974.
Oggi, diversamente da allora, i maggiori sindacati fanno di tutto, dal patronato agli sponsor musicali... riservando lo strumento dello sciopero a pochi momenti festivi. Eppure dovremmo usare, secondo NUDM, la parola “sciopero” come potessimo bloccare il sistema Paese; si tratta a tutti gli effetti di un invito ad investire nella rielaborazione dello “sciopero” non come strumento di contrattazione, ma per pressione politica.
Si pensava che fosse realistico lo sfociare del prossimo 8 marzo, data poi disinnescata dalle elezioni politiche, in uno sciopero delle donne più massiccio di quello del 2017. Ma all'indizione di un reale sciopero generale serve un'ampia convergenza di obiettivi oltre allo stratagemma di una ricorrenza. Al momento in cui scrivo lo sciopero “generale” per l'otto marzo 2018 è stato proclamato da Slai Cobas e Usi.
L'aggregazione precedente di Se Non Ora quando (2011), che aveva già tentato la carta femminista per influire sul Parlamento, e le assemblee femministe di Paestum del 2012 e 2013 hanno vissuto l'influenza di un attivismo femminista più esteso a causa delle forze politiche al potere. Berlusconi cade a fine 2011, lo segue Monti sino all'aprile 2013 e poi Letta, che viene destituito da Renzi nel 2014, con al seguito le giovani ministre rampanti del suo staff.
Gli attacchi alla libertà femminile nell'area dell'est Europa e l'elezione di Trump riattivano invece un attivismo femminista dal quale finalmente emergono le donne tra i 20 ed i 50 anni, “figlie” di un movimento femminista che non hanno vissuto se non marginalmente o che non hanno vissuto affatto. Per questo gli obiettivi, il linguaggio, i fondamenti teorici e l'approccio mediatico sono diversi, e su questa diversità andrebbe fatta una riflessione che io ho solo modo di accennare.
Chiunque legga il Piano antiviolenza di NUDM noterà che è stato assemblato come programma politico organico. La mobilitazione di massa, per la quale è necessario cercare l'inclusione e non l'esclusione in base all'ideologia, ai principi etici peculiari di questo o quel femminismo, alla classe sociale di ognun*, diviene quindi un obiettivo svolto con criteri non semplicemente movimentisti.
Definire il suo femminismo come “intersezionale”, come fa anche NUDM, implica il fatto che nella nostra società non esiste un solo tipo di Femminismo ma vari femminismi, per definizione anti-patriarcali ma non sempre, ad esempio, essenzialisti, e al contrario non sempre “queer”. Così come il “queer”, labile definizione, non è di per sé anticapitalista, definendo semmai strategie di adattamento alle società e certo anche al neoliberismo.
Perciò, a mio parere, se il vivace movimento NUDM segna la liberatoria entrata in scena nel contesto italiano di un femminismo delle generazioni post '80, ed era ora, da un altro punto di vista il suo testo segnala una fretta di autodefinirsi per punti che può portarlo ad essere... Non una di più.
Se questa sia una buona scelta non so, visto che come in passato altre donne ed altri soggetti possono essere interessati a ribadire la loro autorevolezza ed il loro potere, ed a farsi “interpreti” nel punto di crisi, cioè nel salto tra piazza e parlamento. Non è possibile quindi predire una durata di questa scommessa.
D'altro canto il Piano stesso segnala un surplus di pragmatismo. Se infatti esso viene definito come risultato dell'intersezione di “migliaia di percorsi”, viene steso includendo indicazioni di metodo rigide, pure se si dichiara “punto di partenza”. Basta dare un'occhiata alla copiosa presenza di pedagogiche definizioni nelle note al testo (LGBT*QIA+, cisgender, intersezionale, empowerment ecc., Centro antiviolenza - CAV, “operatrice del CAV” ecc.), e notare le definizioni che prendono tanto più spazio di altre, come ad esempio quella del problema dell'assegnazione del sesso alla nascita, descritta con dovizia di particolari, al contrario di altre questioni e termini ben più corposi, ad esempio quella di “badante” o quella di “caregiver”, oggi centrali ma che vengono incluse senza troppa attenzione.

Le modalità del femminismo

Considererei anche come il Piano, se punto di partenza credibile, avrebbe dovuto accennare al confronto svolto, e proprio a causa invece della “marea” o moltitudine che vuole rappresentare sinteticamente risulti invece un libretto riassuntivo per punti in cui vengono abbastanza frettolosamente “prescritte” delle modalità di intervento con intento “enciclopedico”(sessismo, educazione, formazione, biopolitica, capitalismo, lavoro, linguaggio, migrazione, ambiente, antispecismo, separatismo, autodeterminazione, osservatorio). Una summa che, si specifica, “non è un testo chiuso”... cosa che si fa fatica a pensare visto che non viene dato conto di alcuna contraddizione. E pure che di questi tempi, vedi ad esempio il dibattito sulla GPA (Gestazione per altri/e), a prescindere dalle manipolazioni omofobiche, stupisce.
È così che un nuovo femminismo mediatico e pragmatico fa riconoscere in sé la fatica della sintesi, la complessità irrisolvibile dell'organizzazione politica nella società dell'insiemistica, una società nella quale darsi una identità e un programma generale è più importante che porsi e porre delle domande e provare a darsi dei traguardi minimi, precisi e inclusivi, quale potrebbe essere ad esempio il discorso principe di NUDM, la difesa e il sostegno ai centri antiviolenza come associazioni femministe non istituzionalizzate. Insomma dei minimi comuni denominatori.
Le modalità del femminismo quindi cambiano per entrare, nonostante la parvenza liberatoria e multicolore, in una postmodernità che pur parcellizzata cerca di rielaborare una identità collettiva e globalizzata. Con quella sensazione di essere in guerra per la quale il femminicidio è lo scenario simbolico.
Scrive Lorenzo Rustighi su Euronomade1: “la lotta femminista è forse una delle poche lotte che oggi siano in grado di costituire e organizzare politicamente quella parte che non possiamo astenerci dal prendere dentro una guerra”. Sarà... Scriveva Antonio Negri2 qualche anno fa che le eccezioni, le rotture fondamentali nella storia della filosofia italiana... nella struttura politico-linguistica della società italiana sono state (secondo lui) l'anticapitalismo di Antonio Gramsci prima, e poi l'operaismo di Mario Tronti, infine “quasi nascosto eppure profondissimamente agente” il pensiero del femminismo della differenza di Luisa Muraro.
Proprio quel pensiero al quale molte si sono ribellate per il suo estendersi in forma matriarcale, uniformante, nonostante l'originaria pretesa anti-istituzionale. Quel pensiero che esultava tanti anni fa con “salti di gioia” per la fine del patriarcato3, salti sgambettati dal backlash, già analizzato dalle statunitensi4. C'è la ricerca pragmatica di un “punto di leva” tipico di una certa analisi marxista che riecheggia anche nell'ultima Muraro e, guarda caso, predice NUDM. “Il desiderio di protagonismo potrebbe essere il nostro punto di leva”, scriveva Muraro pochi anni fa5 (rispolverando le solite, e discutibili, critiche alla non violenza) in un impeto anti-Silvio.
Ora il femminismo della differenza ha esaurito la sua produzione filosofica, ma la ricerca di identità di NUDM ripropone gli interrogativi su visioni, linguaggi, prassi che vorrebbero essere moltitudine.

Francesca Palazzi Arduini

  1. Euronomade.info, Per una teoria femminista dello sciopero, 31 ottobre 2016.
  2. Antonio Negri, La differenza italiana, ed. Nottetempo, Roma, 2005.
  3. Via Dogana, rivista di politica, n.23, Milano 1995. “La cosa è fatta. È finita. Non è una crisi, è una fine. In questo mondo unificato, un evento simile non è che qui accade e là non può accadere. La Conferenza del Cairo 1994, del resto, lo ha dimostrato e lo dimostrerà anche, ho fiducia, quella imminente di Pechino.”
  4. Susan Faludi, Backlash: The Undeclared War Against American Women, ed. Crown 1991.
  5. Luisa Muraro, Dio è violent, ed. Nottetempo, Roma, 2012.