Rivista Anarchica Online


ricordando Eduardo Colombo

Ma l'anarchismo è un'altra cosa

intervista di Mimmo Pucciarelli a Eduardo Colombo / foto Mimmo Pucciarelli


Argentino di nascita, poi emigrato in Francia, Eduardo Colombo - da poco scomparso - è stato un convinto rivoluzionario.
Pubblichiamo qui la parte finale di un'intervista (inedita in italiano) pubblicata nel 2006 che riassume la sua ricca visione anarchica.


Mimmo Pucciarelli - Nel corso della tua esperienza anarchica, dal 1945 a oggi, hai attraversato un'evoluzione personale?

Eduardo Colombo - Immagino che come sempre accade, ce ne sia stata una buona e una cattiva [ride]. Penso che in fondo le mie idee siano più o meno rimaste le stesse, a cambiare sono stati semmai il modo di formularle e di argomentarle. Durante tutti questi anni ho fatto molte esperienze, ho letto, scritto, discusso e quindi oggi posso difenderle o esprimerle in maniera diversa e più attenuata rispetto a quando avevo diciotto anni e veniva pubblicato 4 de Octubre oppure La Protesta quando ne avevo ventidue. Sono cambiato per forza, e poi sono anche più vecchio. Con il passare degli anni alcune cose cambiano in peggio, ad esempio, l'attività ha la stessa vivacità intellettuale ma non lo stesso entusiasmo. Prima andavo alla manifestazione del Primo maggio con l'idea di sfidare la borghesia, di lottare, oggi talvolta ho l'impressione di andare a messa!
Per quanto riguarda invece le idee, non saprei dire cos'è cambiato. Forse il fatto di privilegiare un punto di vista. C'è stato un periodo in cui i miei peggiori nemici erano, nell'ordine, prima i preti e poi i militari. In un altro momento era il contrario! Oggi, con uno sguardo più filosofico, direi che il pericolo maggiore sta nella religione, perché è sul piano della trascendenza divina che si costruisce la totalità del sistema di dominio simbolico e immaginario. Ma in quanto anarchico... in cosa sono cambiato?

Se sei cambiato...
È difficile dire che non si è cambiati, perché si rischia di esporsi all'accusa di dogmatismo e rigidità psicologica.

Quindi possiamo dire semplicemente che c'è stata un'evoluzione...
Sì, ma in meglio! [ride]

Quale sarebbe la specificità del pensiero anarchico nella cultura generale?
Direi, senza voler essere riduttivo, che esistono tre posizioni fondamentali che caratterizzano la natura dell'anarchismo. Innanzitutto, in quanto filosofia politica, l'anarchismo si libera da ogni legame con la trascendenza. Non esiste un punto di vista esterno all'uomo, a partire dal quale sia possibile affermare: «Questo è bene e questo è male». In pratica, l'anarchismo è la sola filosofia politica a sostenere questa posizione radicale, perché tutte le altre hanno cercato, seppur criticando la trascendenza, di trovarne una. Per esempio, il movimento liberale ha trovato il giusnaturalismo, il marxismo, invece, il determinismo storico, che ci porta dalla sfera della necessità a quella della libertà. Per l'anarchismo, invece, i valori creati dagli uomini e dalle donne che lottano trovano fondamento in loro stessi, nel processo della propria costruzione. La libertà, così come la schiavitù, sono costruzioni sociali. Sta a noi scegliere.
Un'altra caratteristica specifica dell'anarchismo è la creazione di una teoria della libertà che ha come condizione necessaria l'uguaglianza. Gli altri parlano di capi, di leader, di dirigenti. Noi siamo degli amanti passionali, o dei fanatici se si preferisce, della libertà; solo che la libertà anarchica è una sinergia di valori, non può esistere senza uguaglianza e senza solidarietà.
L'uguaglianza dei diritti, anche se solamente teorica, nella pratica è compatibile con una società gerarchica. Secondo l'anarchismo, l'uguaglianza deve essere un'uguaglianza di fatto: livellamento dei ranghi e delle ricchezze. Bakunin pensava che l'infinita differenza tra gli esseri umani fosse valido argomento in favore dell'uguaglianza. Senza l'uguaglianza la libertà è un privilegio.
Infine, ciò che segna il cambiamento di modello introdotto dall'anarchismo nella filosofia politica è la negazione di un «diritto di coercizione giusto», attribuito a un'istanza sopraindividuale – lo Stato – base della teoria tradizionale del potere politico. Conseguenza diretta della sua critica al principio di autorità.

Venezia-Marghera, Ateneo degli Imperfetti, 2000 -
(da sinistra) Elis Fraccaro, Giampietro “Nico” Berti e
Eduardo Colombo a un incontro culturale anarchico

La cultura anarchica è fatta di tante cose

Esiste oggi una «cultura anarchica» nel mondo e quali sono i suoi rappresentanti?
La cultura anarchica è rappresentata da ciò che gli anarchici fanno, è specifica alle loro pratiche. Tutti i gruppi umani hanno una specificità. Io comunque sono sempre stato contrario ai maîtres à penser. Certo, esistono i classici, ma l'anarchismo di Bakunin, ad esempio, è una conseguenza dell'esperienza della Prima Internazionale e, in maniera più generale, come diceva Castoriadis, Aristotele non avrebbe potuto pensare la politica se i greci non avessero inventato la polis. Non c'è un autore, scrittore, pensatore o militante che possa vantarsi di rappresentare l'anarchismo, anche se è vero che ci sono autori più noti di altri, militanti più attivi, pensatori più audaci. La cultura anarchica, tuttavia, è fatta da tante cose: l'azione diretta, le esperienze educative, lo sciopero solidale, il mutuo soccorso, la lotta contro le deportazioni, e così via.

La società odierna non solo è gerarchica ma anche verticale, mentre il pensiero anarchico è piuttosto identificato con l'orizzontalità. Questo rappresenta dunque un ostacolo maggiore alla sua crescita...
È vero che di solito la gerarchia è assimilata alla verticalità e l'uguaglianza all'orizzontalità. L'esistenza dello Stato presuppone la gerarchia, si parla di solito di piramide sociale: in cima le élite che detengono il potere, in quanto potestas, dominio e in basso il popolo, i soggetti sottoposti. In alto la ricchezza, in basso la miseria.
In effetti, se osserviamo la società nella sua globalità, deduciamo che le sue diverse parti si sostengono, si appoggiano le une alle altre e si nutrono a vicenda. Nessuna società gerarchica può funzionare senza un certo grado di «servitù volontaria», anche se l'ultima ratio del potere politico rimane la forza. René Lourau parlava di un principio di equivalenza. Nelle società fondate su uno Stato, ogni cosa viene fatta entrare nella norma: specializzata, legalizzata, inquadrata in una legittimità pretesa da questo principio di equivalenza generalizzata. Chi non si sottomette alla norma, a qualsiasi livello, si ritrova confrontato allo stesso problema: l'incomprensione o la repressione. Negare l'autorità per principio è già un grave scandalo, incompatibile con le norme di socializzazione di base. Perché nella famiglia, nella scuola, nel governo, nell'esercito, ci deve essere un capo.
L'autorità paterna e l'autorità statale si rafforzano nella loro unione sacra.
Esiste una dimensione inconscia in ciascuno di noi che fa da ostacolo alla critica radicale proposta dall'anarchismo.
Prendiamo come esempio una situazione reale ricorrente: un giornalista in cerca di informazioni arriva in un centro anarchico o alla CNT e chiede: «Chi è il responsabile qui?». Se gli viene risposto: «Oggi ci sono io, chieda pure a me», il giornalista è confuso, non riesce a capire che non ci sia una sola persona autorizzata a parlare a nome dell'organizzazione. Ha bisogno di un «rappresentante», di un porta-parola.

Lione (Francia) 2009 - Eduardo Colombo insieme
ai membri della redazione della rivista “Refractions”

L'idea di cambiamento radicale

Come possono fare allora gli anarchici per diffondere le proprie idee al maggior numero possibile di persone?
Per modificare la società è necessario in primo luogo modificare l'uomo, e per questo è necessario modificare la società. Se accettiamo questo dilemma le cose non cambieranno mai. Una società aperta, libera, paritaria, autonoma, per funzionare ha bisogno di individui liberi e autonomi. Con la lotta modifichiamo noi stessi, gli altri e di conseguenza la società.
È evidente che la società cambia continuamente: essere iscritto in una realtà sociale significa sempre produrre degli effetti, piccoli o grandi che siano. Il nostro lavoro quotidiano è cercare di capire i problemi della società e partecipare ad attività capaci, a un certo momento di produrre una rottura di tipo rivoluzionario.
Quando dico «rottura rivoluzionaria» non dobbiamo pensare alla “Serata di gala” o all'“Aurora della rivoluzione sociale”, quanto piuttosto a un processo storico che dura anni, se non secoli. Si tratta pur tuttavia di una rottura che produce un cambiamento profondo della società e del mondo a noi noto, e una tale «rottura» esige dei momenti di insurrezione. Questo vale sia per la società gerarchica che per quella non gerarchica, autonoma. È questo il senso che attribuisco all'idea di cambiamento radicale.

Un processo da attuarsi comunque in un tempo piuttosto lungo e che non può essere ridotto per ragioni mediatiche.
E non può neppure essere pensato come un progetto finito e pronto per essere applicato. Non possiamo costruire una società per i nostri nipoti senza che questi dicano la loro. Non possiamo sapere che cosa succederà tra dieci anni...

Avrei voluto chiederti se una società anarchica fosse possibile un giorno e, in tal caso, come funzionerebbe. Ma sembri dire che non possiamo saperlo oggi...
È vero, però posso dire che una società anarchica è organizzata su certi princìpi di base che conosciamo, e che gli anarchici hanno proposto e sviluppato finora. Come fare poi per istituzionalizzare la società non possiamo prevederlo! Possiamo immaginare le istituzioni che vorremmo e non dobbiamo lasciare da parte la faccenda, né evitare il dibattito. Dobbiamo proporre delle nuove forme, sapendo che quello che possiamo «progettare» per una società futura è sempre legato alla base reale della società nella quale viviamo. Immaginiamo una società diversa, ma in gran parte è in negativo e in opposizione rispetto a quella che conosciamo.
Non possiamo sapere a cosa andranno incontro gli uomini e le donne del futuro, ma non possiamo neppure sbarazzarci della domanda dicendo che sta a loro occuparsene!
Dobbiamo pensare alla situazione, perché in pratica questo progetto non può situarsi «al di fuori» della nostra situazione sociale. Le generazioni future costruiranno sempre su di un terreno già lavorato.

Hai delle idee su una società anarchica ideale del futuro da proporre?
Adesso non la vedo come una «società ideale». Una società aperta alla libertà umana deve avere delle istituzioni flessibili e mutevoli, suscettibili di essere modificate secondo le attività reali degli uomini e delle donne. Deve poter cambiare la sua forma politica. Le assemblee, a tutti i livelli di un'organizzazione non gerarchica, devono prendere in modo intelligente le decisioni che riguardano le istituzioni sovrapposte e intrecciate, e questo, senza un'autorità centrale che decida per tutti.
Ecco il metodo. Nella pratica so che un cambiamento così radicale non avverrà dall'oggi al domani. Avremo un giorno una società ideale? Non credo. Penso che parlare di «società ideale» equivalga o a decretare la fine della Storia o a dimenticare che ci saranno sempre delle persone inclini a immaginare un'altra società rispetto a quella nella quale vivono.

Se ho capito bene sembri dire che una società anarchica non può esistere. Mi sbaglio?
Non dico questo. In un articolo intitolato Anarchie et anarchisme pubblicato su «Réfractions» (n. 7), ho scritto che l'anarchia corrisponde a un'immagine ideale della società, non a una società ideale. Questa immagine esisterà sempre. È l'utopia. È la società come possiamo immaginarla, ma che non sarà mai attuata totalmente, perché quando lo sarà ce ne sarà un'altra che sarà più ideale e utopica. Da questo punto di vista, l'anarchia è un ideale irraggiungibile. Rappresenta, come si dice spesso, una linea d'orizzonte.
Ma l'anarchismo è un'altra cosa. È un progetto politico di organizzazione sociale, qualcosa che si può realizzare in qualunque momento. Anche oggi stesso! E sarà un anarchismo perfettibile perché presenta una quantità di difetti.

Mimmo Pucciarelli

traduzione di Gaia Cangioli


Quando si spegne una lanterna anarchica

Tra un paio di ore, non so se canteremo l'inno dei ribelli, se piangeremo un compagno quasi novantenne, o guarderemo con nostalgia questa Lanterna anarchica che sarà circondata da quelle fiamme che per un momento ci accecheranno.
Aspetto da solo, bevendo un caffè in un bistrot proprio di fronte al cimitero Le Père-Lachaise, in questo giorno invernale, anche se il calendario ci dice che la primavera arriva domani. Un gruppo di giovani ragazze sembra festeggiare un compleanno, brindano, le sento allegre, mi pare di essere a Napoli. Aspetto che arrivino Héloïsa, i suoi figli, i nipoti, Marianne, Rossella, Francesco, Claude, Daniel, Ronald, Jean-Jacques, Thomas, Vanina, Jean-Pierre e poi tutte quelle persone che hanno conosciuto Eduardo l'anarchico e lo psicoanalista, l'amico, l'argentino...
Colombo era nato nel 1929, in un piccolo paese vicino Buenos Aires, Quilmes. Suo padre medico, era figlio di italiani arrivati dalla Lombardia, sua madre, lei veniva da una famiglia francese partita dalla Catalogna. Fin da piccolo avrebbe voluto essere medico, forse per seguire le orme di suo padre, o perché aveva di suo questo bisogno di aiutare la gente. A quindici fondò con altri giovani liceali e studenti universitari il Circolo degli studenti democratici, prima di incontrare un compagno della FORA che “gli trasmise una storia vissuta dell'anarchismo in Argentina” e che lo spinse a interessarsi all'anarchia per poi aderire propio alla FORA, il sindacato rivoluzionario.
Da allora non ha più speso un solo giorno senza occuparsi dell'Idea, per la quale è stato un punto di riferimento importante in Argentina, sia nella FORA che per il giornale “La Protesta” per il quale sarà redattore e responsabile di pubblicazione per qualche anno.
Diventato medico nel 1962, iniziò a praticare la medicina in un ospedale per poi interessarsi alla psicoanalisi. Rimase in Argentina fino al 1969, poi decise di emigrare a Parigi insieme a Héloïsa Castellano con la quale viveva e con la quale avevano avuto due figli. Dal 1970 ad oggi, Eduardo è stato uno degli intellettuali anarchici più attivi in Europa, partecipando alla redazione di alcune riviste, come La Lanterne Noir, Interrogations, Volontà e da una ventina d'anni a questa parte Refractions. È stato anche uno dei promotori di convegni, seminari e discussioni, sia in Francia che in Italia insieme ai compagni e compagne nonché amici e amiche del Centro studi libertari, ma anche in Spagna, ecc.
Io lo ricordo come il compagno che tramite i propri testi ha cercato di precisare da una parte quello che gli sembrava potesse essere il pensiero anarchico e dall'altra l'immaginario rivoluzionario che difendeva a spada tratta. Devo dire che in diverse occasioni abbiamo avuto modo di confrontare il nostro approccio all'Idea che direi era “naturalmente” diverso, forse perché all'origine della nostra rispettiva immersione nel movimento eravamo stati influenzati da strade parallele. Comunque credo che si avesse lo stesso “obiettivo”, ma forse non i mezzi per arrivarci. Insomma a volte si discuteva molto.
Nel frattempo il gruppo di ragazze seduto ad un tavolo vicino brindano all'amore, alla gioia di ritrovarsi. Distratto dai miei pensieri, le guardo e accenno a un sorriso. Poi ripenso a questa sorta di “dialogo” che ne uscì quando lo intervistai.*
Nelle parole di Eduardo ho sempre trovato una certa sicurezza, a volte clinica e erudita, ma anche ideologica, e quindi potete immaginare la palpabile differenza che esiste con i miei dubbi che sono sempre più dei buchi neri che non riesco a colmare.
Pertanto questa sua voce, questa lanterna anarchica che fino all'ultimo ha cercato di apportare il suo contributo senza risparmiare energie, oggi mi manca, così come la sua partecipazione colorata da qualche buon bicchiere di vino rosso, al coro collettivo che intonava A las Barricadas, dopo lunghe e a volte estenuanti riunioni.
È ora di lasciare il bistrot. Mi alzo, pago la consumazione e prima di attraversare la porta e raggiungere la “famiglia” anarchica internazionale, passando vicino al tavolo dove le ragazze ora parlano pacatamente, ho capito che si erano ritrovate li per accompagnare un loro amico di 30 anni che aveva scelto di partire.
La primavera mi è sembrata lontanissima.

Mimmo Pucciarelli

* L'intervista è stata pubblicata in francese nel libro “L'anarchisme en personne“, dall'Atelier de création libertaire nel 2006. Conteneva cinque altre lunghe interviste a Amedeo Bertolo, Ronald Creagh, John Clark, Marianne Enckell e José Maria Carvalho Ferreira.