Rivista Anarchica Online


intervista impossibile

Quelle regole codarde e isteriche

una chiacchierata (immaginaria) con Woody Guthrie di Rino De Michele


Un cantautore (1912-1967) contro l'establishment statunitense, contro l'ipocrisia. Dalla parte della libertà, delle lotte operaie, di Sacco e Vanzetti. La rivista ApARTe° gli dedica un cd, con molte voci diverse.


Rino De Michele - Il tuo percorso poetico e musicale trova spunto da un immane disastro; una siccità durata sette anni che, nel 1931, inaridì l'area agricola di una zona pianeggiante compresa tra l'Oklahoma e il Texas, le Great Planes. Una terra che per anni era stata coltivata a grano in maniera intensiva senza la necessaria rotazione delle colture e che, col tempo, si era fortemente degradata e impoverita.
Woody Guthrie - Sì, quello fu un cataclisma quasi biblico, alla siccità si accompagnarono terribili tempeste di polvere che penetrava ovunque. Una sudicia polvere che era tenacemente nell'aria, sui mobili, nei capelli, sui vestiti, nel cibo che si mangiava e nell'acqua che si beveva. Coprì gli steccati e i fienili, i trattori. Erano proprio delle selvagge tempeste di polvere che arrivavano come un tuono e accecavano, bloccavano il traffico e oscuravano il sole. I contadini, assieme ai bambini che piangevano, stipati in piccole stanze con il vento che fischiava attraverso le fenditure delle case, pensavano che era giunta la fine del mondo. Persero ogni raccolto, si indebitarono sempre di più nei confronti dei commercianti e delle banche che, del resto, erano di proprietà di tipi come Tom Cranker, l'allegro banchiere che li tirava fuori dai guai, un vero protettore dei contadini, delle vedove e degli orfani.
Quando la siccità uccideva il raccolto, se i parassiti si mangiavano il grano e il tuo cotone, se non avevi di che dar da mangiare alla tua famiglia, ecco che l'allegro banchiere era pronto per ogni tuo bisogno e ti faceva firmare una bella ipoteca su quanto possedevi! Ti rassicurava che da quel momento in poi non dovevi più preoccuparti, tanto dopo gli avresti restituito il doppio di quanto ti aveva imprestato e, quando avessi avuto bisogno d'aiuto, l'allegro banchiere sarebbe stato lì pronto a rastrellare tutto quel che ancora avevi e a scotennarti! E se avessi creato dei problemi con i grossi proprietari, non dovevi preoccuparti: l'allegro banchiere avrebbe mandato la polizia per tirarlo fuori dai guai! Allora i contadini dovevano muoversi. Caricarono i loro macinini con sedie sfondate e materassi, ci ammassarono le loro famiglie e, sferragliando sulla strada, partirono per non tornare mai più. Tagliando grano nei campi, raccogliendo frutta e ammassando fieno in altri stati, cercarono di guadagnare almeno un dollaro al giorno.
Un vero esodo di fieri straccioni.

E tu andasti via da Okemah...
Allora ero una nuvola fatta di tuoni e lampi e Okemah, casa mia, era un cielo azzurro. E per me, i cieli azzurri, erano i cieli più vuoti. Mi rincalzai il cappello e m'incamminai a est di Redding, per le foreste di sequoie. Mi feci tutta la costa, città per città, con la chitarra in spalla e cantai nei ghetti di quarantadue stati. Ho viaggiato per tutta la nazione, viaggiando come e con i migranti. Venivamo con la polvere, ce ne andavamo via con il vento.

Woody Guthrie suona su un mezzo pubblico

Senza peli sulla lingua

Avversario di una democrazia di mercato che, con durezza e sempre in difesa dei potenti, si stava affermando negli Stati Uniti scrivesti canzoni di resistenza e emancipazione per ascoltatori che non avevano molto tempo per aspettare cambiamenti a lungo termine.
Strinsi gli occhi e iniziai a cantare. Quando li socchiusi, dalle piccole fessure vidi che un nuvolone di fumo nero aveva ricoperto i carri, stendendosi come una coperta quasi a proteggere gli uomini dalla tempesta. Del resto, iniziando a vagabondare, la mia chitarra divenne il mio buono pasto.
Cantavo canzoni per i sindacati e dovunque la gente si radunasse per parlare e cantare pensando che ciò che era giusto per un uomo, in qualsiasi luogo stava vivendo, era giusto anche per me, ovunque mi trovassi. Nei miei versi riflettevo la vita dei lavoratori migranti, le loro domande, la loro ricerca dolorosa per un lavoro, le loro malattie e i loro nemici. Raccontavo la vita dei lavoratori, le loro lotte, la fatica quotidiana per la sopravvivenza. Raccontavo i fatti dell'esistenza come li conoscevo, senza peli sulla lingua. Insomma, erano canzoni che ti facevano pensare e potevano anche essere scomode. Devo confessare che la cosa che mi divertiva di più era di trovare un modo nelle mie ballate e nelle mie canzoni di sputare il rospo, di dire francamente quello che mi frullava per la testa.
L'unica cosa che non andava bene in quello stato erano...

E sono...
...le persone che lo possedevano. Mi avrebbe fatto piacere sapere come avevano fatto a prenderselo. Veniva un'annata cattiva e il maltempo si prendeva i tuoi raccolti, un'annata buona e se li pigliava il tuo padrone. Il padrone diceva che gli dovevo dei soldi solo per il fatto di essere nato in questo mondo che mi aveva rubato. Per me soldi neanche a parlarne ma misi il naso in un sacco di posti, belli e brutti. Per alcuni ne valeva la pena, altri erano passabili, ma certi facevano proprio schifo.

Le tue radici musicali, sicuramente, si diramano anche verso il mondo della race music – oggi conosciuta col nome di black music – soprattutto verso figure di spicco come Blind Lemon Jefferson e Huddie William Ledbetter, alias Ledbelly, che aveva lavorato con lui.
Huddie aveva suonato con Blind Lemon e poi viaggiato con lui e io ho avuto la fortuna di studiare con Huddie. Autore di “Midnight Special” e di “Goodnight Irene” era un vagabondo attaccabrighe, un cantante delle paludi con una chitarra a dodici corde. Suonava in finger picking miscelando i valori della cultura nera con le ballate dei bianchi. Aveva scontato una condanna per tentato omicidio e un'altra, forse, per averlo realizzato ma fu graziato dopo che il governatore Pat Neff lo ascoltò cantare. Dicono che sia andata così e io ci credo.

Comunque avesti modo di cantare le tue canzoni non soltanto nei bar e negli angoli delle strade ma anche attraverso i microfoni di qualche radio.
Sì, iniziai nel 1937, a Los Angeles, per la stazione radio KFVD. Inizialmente con mio cugino Jack Oklahoma poi, guadagnavamo due dollari per ogni sei ore di trasmissione, assieme a una cantante dalla voce morbida, Lefty Lou. Proponevamo agli ascoltatori vecchie melodie, ballate da musicisti di campagna, inni familiari e mie composizioni originali che toccavano anche questioni locali e temi dell'attualità: “I Ain't Got No Home”, “Goin' Down the Road Feelin' Bad”, “Talking Dust Bowl Blues”, “Tom Joad” e “Hard Travellin'” nelle quali mettevo in parole emozioni che tutti potevano capire e sentire intimamente.
Durante quelle trasmissioni, aperte al confronto e al dibattito, sviluppai una notevole abilità nel commentare, con arguzia e senso critico, i conflitti sociali che vedevo attorno a me, la corruzione dilagante tra i politici e i loro sporchi traffici con gli uomini d'affari, i banchieri e i senatori. Propagandavo le istanze del movimento sindacale, i suoi principi radicali di solidarietà e umanità, schierandomi sempre a favore della verità, della giustizia e del rispetto reciproco. I nostri ascoltatori erano essenzialmente i senzatetto sulla Fifth Street lì a Los Angeles.
Raccontavamo la dura realtà che questi baraccati avevano incontrato all'arrivo in città e le promesse mai mantenute dei politicanti marci e corrotti. Scrivevo testi che facevano pensare, insomma, che potevano anche essere scomodi. Questo successo di ascolti, solo nel primo mese ricevemmo oltre 500 lettere di ammiratori, comunque non ci eviteranno crescenti problemi con la censura e con il padrone dell'emittente, l'ultra democratico J. Frank Burke. Così, doveva essere già il 1940, mi trasferii a New York.

Un disegno dello stesso Guthrie

Contro le gerarchie economiche e politiche

Fosti censurato proprio da un progressista...
Esatto, mi disgustavano quelle regole codarde e isteriche imposte dalla censura alle mie canzoni e alle mie ballate, che del resto erano già bandite da tutte le strade che attraversavano gli stati del Sud.

Sì, però non andiamo troppo avanti, parliamo ancora delle tempeste di polvere; hai citato la canzone “Tom Joad” che ti avvicina a John Steinbeck. Lui pensava che, per migliaia di persone, tu eri solo una voce e una chitarra ma, per chi voleva ascoltarti, rappresentavi fortemente la volontà del popolo americano di tirare avanti e di combattere contro ogni tipo di oppressione.
Io sono stato niente più di un tizio che camminava. A fatica potevate riconoscermi in mezzo ad una gran folla, ero perfettamente uguale a qualunque altro. Strade, parchi, fiumi, io viaggiavo! Non eravate contenti che io viaggiassi? Se mi fermavo, avreste dovuto alzarvi e lasciare il vostro impiego e mettervi a viaggiare, perché c'era dannatamente tanto che doveva essere fatto... mi misi le scarpe e attraversai il mondo disegnando quadri nella mia mente e ascoltando poesie e canzoni, parole che arrivavano e danzavano nelle mie orecchie così alla svelta che non ho mai potuto metterle giù per iscritto. Un'alluvione di sensazioni aperte, fresche come l'aria libera, chiare come il cielo, che ho provato camminando, parlando, guardando. Nessuno al mondo poteva fermarmi, nessuno poteva farmi tornare indietro.

Vorrei che mi parlassi ancora della tua canzone “Tom Joad”.
Le canzoni che maggiormente mi legarono a Steinbeck furono “Do Re Mi”, dove trasposi in musica un passaggio del romanzo “The Grapes of Wrath”, in cui la famiglia Joad incontra sul cammino un conoscente che li consiglia di tornare indietro perché la California, decantata come la terra del latte e miele, in realtà è solo fatica, sfruttamento, sofferenza, morte e la lunghissima ballata “Tom Joad”, che ripercorre la storia del romanzo stesso. Tagliai via il superfluo e misi in primo piano tutto ciò che di sovversivo ci può essere della vicenda dei Joad. La parte più rilevante mi sembrò essere contenuta nelle ultime strofe del testo, che si distaccano dal finale del romanzo. Narrai dell'addio da parte del figlio maggiore Tom Joad alla famiglia, una presa di coscienza rivoluzionaria della necessità della solidarietà umana, dell'unità di classe da costruire e da conquistare contro le ingiustizie.
Penso che lanciai un'aggressione alle gerarchie economiche e politiche degli Stati Uniti. I versi erano questi: “Tom correva da sua madre che dormiva / la svegliò dal letto / e diede un bacio d'addio alla madre che amava / ripetendo quello che ha detto il Predicatore Casey, Tom Joad / “Tutti potrebbero essere solo una grande anima” / beh mi sembra una cosa sensata / ovunque si guardi, nel corso della giornata o della notte / è dove io sarò, Mà, / ovunque i bambini siano affamati e gridino / ovunque la gente non sia libera / ovunque gli uomini si battano per i loro diritti / ecco dove io sarò, Mà”.

Dal romanzo di Steinbeck il regista John Ford trasse un film.
Allora non tutti avevano i soldi per andare al cinema per vedere il film di John Ford, ma tutti avevano orecchie per ascoltare. Quello fu il miglior dannato film che abbia mai visto, parlava di noi che ce ne andavamo dall'Oklahoma e dall'Arkansas e giù dal Sud alla deriva, verso lo stato della California, rovinati e amareggiati, a terra e in cerca di lavoro. Diceva che dovevamo radunare e fare incontri e stare uniti e fare un casino d'inferno finché non ci davano il lavoro e la terra e le case e le galline e il cibo e i vestiti e i soldi. La colonna sonora però non mi piacque. Non so dire bene che razza di mescola abbiano combinato ma, a cose fatte, era molto difficile riconoscerla.

Molte tue canzoni sono state composte per sostenere le lotte degli operai, ricordare episodi storici di scontro e gli ideali di solidarietà dei sindacati non corporativi.
Scrissi canzoni, affinché molti accadimenti non fossero dimenticati, che celebravano le lotte, le vittorie e i lutti dei lavoratori. Per esempio “The Ludlow Massacre” ricordava la feroce repressione seguita agli scioperi dei minatori della Colorado Fuel and Iron Company dove a Ludlow, in Colorado, il 20 aprile 1914, quando le guardie private della Baldwin Felts Detective Agency, guidate da Karl E. Lindenfelter, assassinarono col fuoco e i fucili quattordici tra uomini, donne e bambini di età compresa da 4 mesi a 11 anni. La risposta dei lavoratori non si fece attendere; la storia dice che alcune donne arrivarono con un piccolo carro per vendere patate agli scioperanti ma avevano anche fucili e li misero in ogni mano dei minatori e quando i soldati scavalcarono le barricate non sapevano che quelli avevano i fucili. Avresti dovuto vedere come correvano quei ragazzi in divisa. E poi “The Dying Miner”, “Union Burying Ground”, “1913 Massacre” per ricordare i 73 morti bruciati dagli scagnozzi delle compagnie minerarie di Calumet e dai crumiri.

Quadro di Bruno Zoppetti dal titolo “Woody & Leadbelly”,
2015 120x150, acrilico e collage su tavola

E le donne nel sindacato?

Joe Hill, poco prima di essere assassinato dallo stato dello Utah e dai proprietari mormoni delle miniere di rame, aveva scritto, nel 1915, “Rebel Girl” dedicandola alla militante dell'Industrial Workers of the World Elizabeth Gurley Flynn e tu hai scritto “The Union Maid”.
Ina Wood, femminista militante, rimproverava a me e a Pete Seeger di non aver mai cantato canzoni sulle donne nel sindacato, allora scrissi “The Union Maid” e la cantai per la prima volta a Oklahoma City, ad una riunione dell'Unione dei Coltivatori di Tenant Farmers. Pete la considerò subito troppo semplice e leggera ma le mie canzoni erano composte più per l'orecchio che per l'occhio. In seguito, tuttavia, “The Union Maid” fu una delle canzoni più cantate nei picchetti davanti alle fabbriche occupate, nelle manifestazioni operaie e invitava tutti a lottare per salari migliori e a organizzarsi, fianco a fianco. Poi, nella strofe finali, consigliavo alle ragazze di scegliere il proprio uomo tra i militanti sindacali e di aderire alla sezioni femminili.

Tra i tanti, hai citato Ledbelly, Lefty Lou e Pete Seeger, hai suonato con Sonny Terry, Bess Hawes, Cisco Houston...
...a un certo punto mi imbattei in un suonatore di chitarra, stava piantato in un angolo buio, e di nome faceva Cisco Kid. Cantava bene, anche in falsetto, e strimpellava non male, come me. Con la pioggia o il sole, il freddo o il caldo se ne andava sempre con la sua chitarra appesa con una cinghia di cuoio. Così incontrai Cisco, si faceva chiamare così ma il suo vero nome era Gilbert Vandine Houston. Quando gli Stati Uniti entrarono in guerra contro la Germania e l'Italia io incollai sulla mia chitarra un foglietto con sopra scritto “This machine kills fascists” e, con Cisco, mi imbarcai su una nave della marina mercantile. Fummo silurati e affondati due volte così, assieme a Jim Longhi, potemmo visitare Palermo e la Sicilia. Nel 1936 avevo composto la canzone, “All You Fascists” e la riproponevo spesso poiché intendevo informare quella gentaccia che avrebbero perso poiché gente di ogni colore marciava fianco a fianco, con la mitraglia spianata contro di loro, per farla finita con questo mondo di schiavitù.

La tua canzone più conosciuta è ancora “This Land Is Your Land” che componesti in risposta alla canzone nazionalistica e reazionaria “God Bless America”.
Composi “This Land Is Your Land” già nel 1940 ma la pubblicai solo dopo la fine della guerra, nel '45. Poi, ispirato dal New Deal, ne cambiai alcune strofe ad evocare la crisi degli anni '30: nelle piazze delle città avevo visto la gente fare la fila per il sussidio e, mentre loro stavano lì affamati, pensavo che avrei voluto che questa terra fosse fatta per te e per me. Composi quelle parole dirette contro gli agenti armati che impedivano il libero accesso alla terra che dovrebbe essere di tutti, tentando di fare capire che, nella Grande Depressione, il vero nemico della gente comune era il capitalismo, erano gli speculatori e i padroni. Diedi sfogo alla mia prorompente necessità di provare a rendere il nostro mondo e la nostra terra dei luoghi più giusti, in cui la gente potesse vivere liberamente nel rispetto, con dignità, uguaglianza e prosperità.

Scrivesti anche canzoni rivolte ai bambini e non smettesti di scriverne altre che riguardavano la storia delle classi subalterne americane e i suoi miti. Cantasti ballate tematiche di storie di fuorilegge come Jesse James o Pretty Boy Floyd presentandoli come vittime della loro classe sociale e rimarcando che, sebbene nessuno sapesse come funzionavano le cose lassù in cielo, di certo qui sulla terra solo a vagabondi e fuorilegge era concesso godere qualche attimo di sofferta libertà.
Quelle per i bambini, “Songs To Grow On”, erano composizioni sulla solidarietà e l'amicizia, sul vivere insieme in famiglia, sulle faccende quotidiane e sulle piccole responsabilità individuali. “Little Sugar”, “Goodnight Little Arlo (Goodnight Little Darlin')” che scrissi per mio figlio Arlo, “Car Song”, “Wake Up”, “Put Your Finger in a Hair”, “Clean O” e tutte le altre furono canzoni volte all'apprendimento o semplicemente dei vivaci giochi di parole, scioglilingua o filastrocche. E, tra le ballate tematiche, io includerei anche le “Ballads of Sacco and Vanzetti”. Tutto quel lavoro mi fu commissionato nel 1945 da Moses Asch, fondatore di Folkways Records, e registrai undici canzoni tra il 1946 e il 1947. Volevo ribadire l'innocenza del calzolaio pugliese Nicola Sacco e del pescivendolo piemontese Bartolomeo Vanzetti, quindi sviluppai quelle canzoni su linee melodiche semplici e piane raccontando i fatti e i retroscena che portarono alla sedia elettrica i due sfortunati italiani. Si trattava di un fatto che, benché accaduto vent'anni prima, rappresentava ancora per molti americani di sinistra un ricordo doloroso. Mi identificavo molto con il loro coerente e tenace ideale di fratellanza e giustizia e, per approfondire luoghi e atti che portarono a quella barbara esecuzione, andai a raccogliere materiale a Boston dove si era svolto il processo contro i due anarchici. Tuttavia non riuscii a completare tutta l'operazione per come l'avevo in mente e, nonostante il successivo parere positivo di mio figlio Arlo, ne fui parzialmente insoddisfatto.

Woody Guthrie illustrato da Jon Stich

La gente si scaldava e urlava

Dalla lettura della tua vita esce un ritratto complesso, ricco seppur a tratti impreciso, hai mai avuto incertezze nei momenti in cui dovevi scegliere quali fossero i sentieri migliori da battere?
Più importante di ogni cosa per me fu la libertà, così me la diedi a gambe dal sessantacinquesimo piano del Rockefeller's Center di New York prima di firmare un contratto con un'importante casa discografica, la CBS, e non entrai nemmeno nella villa di una mia ricca zia che poteva assicurarmi un avvenire di maggior benessere. Quando, in cima alla collina, sentii il cancello di ferro che si chiudeva alle mie spalle, guardai i tetti, i campanili delle chiese, i comignoli delle case arroccate di Sonora e respirando l'odore della resina di pino, mentre un fiocco di nuvola mi passava sopra la testa, mi sentii felice di essere ancora vivo.

Come vuoi concludere questa intervista?
Ripeterei ancora quali sono state le tematiche fondamentali della mia produzione poetica e musicale. Scrissi canzoni di un bel po' di razze e di tutti i colori. Canzoni che cantavano la storia, quella con la S maiuscola. E la storia è fatta per essere cantata.
Cantai canzoni per le strade, in centinaia di circoli e in altrettante riunioni del sindacato e non c'è stata una volta che non abbiano avuto successo. La gente applaudiva e urlava di approvazione. Si scaldava e sudava, si sbottonava il colletto della camicia e si metteva a cantare con me per ore.
Non importava chi eri o da dove venivi, non importava il colore della tua pelle o la lingua che parlavi perché tutti si accorgevano che, da qualche parte, in quelle canzoni c'era una scheggia che apparteneva proprio alla loro vita. Che erano un miscuglio del mondo.
Melodie e parole che erano state cantate su terre e mari e che, adesso, sono arrivate fino a voi dalle profondità oscure del passato.

Rino De Michele

Le risposte alle domande sono estrapolate da registrazioni di interviste a Woody Guthrie e da suoi dialoghi radiofonici; dai testi delle canzoni “Hard Travellin', “Jolly Banker”, “The Great Dust Storm”, “Tom Joad”, “Bits and Snatches”, “Ludlow Massacre”, “Skid Row Serenade”; dai libri “Bound for Glory”, “Seed of Man”, “Una casa di terra”; dall'opuscolo “Ten of Woody Guthrie's Songs 25 cents. Book One”; dall'articolo “Hobos, Okies & Woody Guthrie” di Rino De Michele pubblicato su ApARTe°10,32 (http://www.aparterivista.it/rivista-32.html). (RDM)

Un CD per ricordare Woody

Per ricordare Woody Guthrie (Okemah, 14 luglio 1912 – New York, 3 ottobre 1967), il progetto “ApARTe°: materiali irregolari di cultura libertaria” ha pubblicato un CD, “With Woody Guthrie On Our Side”, con gli interventi liberi e solidali degli artisti internazionali Bucky Halker (“Who Took My Sister Away?”, “I Ain't Got No Home”, “Woody And Mary, 1933”, “Woody Guthrie Union”), Swanz The Lonely Cat (“21 Years”), Massimo Liberatori (“This Land Is”), Salvo Ruolo & Michele Gazich (“California Stars”), Thomas Guiducci (“Hobo's Lullaby”), Grimoon & Paolo Brusò (“Ship In The Sky”), Yuki In The Basket (“My Little Seed), Andrea Wob Facchin (“Vanzetti's Letters”), Storie Storte (“Voglio Cantare Solo Di Te/I Just Want To Sing Your Name”), Alessio Lega (“Andando Per La Via/Bound For Glory).

Per richieste o info: aparte@virgilio.it oppure rino@rinodemichele.org