femminismo
Un'esperienza interessante
di Patrizia Nesti
Dalle prime uscite allo sciopero dello scorso 8 marzo: la rete Non Una Di Meno rappresenta un percorso e un ciclo di mobilitazioni che chiedono riflessione e posizionamento. Tantopiù da parte anarchica. E poi in due anni non ha espresso nessuna leader riconoscibile. Non è poco.
Quasi due anni di vita rendono
possibile tentare alcune valutazioni sull'esperienza italiana
della rete Non Una Di Meno.Innegabile prima di tutto la capacità
di riempire le piazze con numeri che negli ultimi anni sono
sconosciuti ad altri soggetti promotori di mobilitazioni. C'è
poi la caratteristica di aver provocato un dibattito e aver
tentato di trasformarlo in proposta.
Non va dimenticato che fino a non molto tempo fa il terreno
prevalente del dibattito sulle questioni di genere - almeno
quello mediaticamente visibile - si concentrava attorno al nodo
del riconoscimento legale delle unioni civili, delle famiglie
arcobaleno etc. Insomma, la scena italiana era dominata da una
richiesta di soluzioni legali, da una volontà di equiparazione
delle varie forme di unione ad un modello familiare standard,
con una riproposizione generale del modello familistico. Una
campagna confluita nell'emanazione della legge Cirinnà
sulle unioni civili, che metteva sbrigativamente una fede al
dito delle complesse questioni di genere, cercando di placare
con alcune concessioni le reazioni comunque scomposte di Sentinellle
in piedi, Manif, Popolo del family day e tutta la varia galleria
degli orrori di matrice omofobo fascista.
Un'ubriacatura legalitaria di tale fatta avrebbe difficilmente
lasciato presagire che da lì a qualche mese si andasse
a formare un movimento che, pure con molti limiti, ingenuità
ed approssimazioni, avrebbe rilanciato un dibattito su nodi
reali.
La rete NonUnadiMeno ha una fisonomia molto particolare, che
si è andata modificando nei suoi quasi due anni di vita.
Nonostante il richiamo alla potente esperienza argentina, la
rete italiana sorge in sordina, ma nel giro di pochi mesi la
situazione evolve per numeri, composizione e consistenza, come
dimostrano le manifestazioni del novembre 2016 e dell'otto marzo
2017. Prende vita un'articolazione per realtà territoriali
e una struttura di coordinamento costituita dalle assemblee
nazionali. Nell'ambito di queste assemblee si creano i tavoli
di lavoro che procedono alla scrittura delle varie parti di
quello che poi diventerà il Piano femminista contro la
violenza maschile sulle donne e la violenza di genere, documento
che sarà diffuso a partire dalla manifestazione nazionale
del novembre 2017. Nove le aree tematiche individuate per contrastare
processi di una violenza che viene definita sistemica per la
molteplicità e trasversalità delle forme che assume
e dei contesti in cui si manifesta.
Una progressiva radicalizzazione
In questi due anni il movimento NonUnadiMeno attraversa varie
fasi e vari momenti critici. Fin dall'inizio la fisionomia della
rete è territorialmente molto diversa. Ci sono località
in cui la connotazione è fortemente istituzionale, con
una chiara egemonia CGIL o addirittura con agganci agli assessorati
sociali; in altre zone NonUnadiMeno assume caratteristiche “tecniche”,
con la presenza di addette ai lavori, operatrici sociali, professioniste
dei centri antiviolenza etc. Ci sono invece nodi locali in cui
confluiscono collettivi già caratterizzati per radicalità.
È un po' la stessa composizione eterogenea che si riscontra
a livello nazionale, con una situazione non certo semplice.
Nelle assemblee nazionali si patisce questa suddivisione tra
componente istituzionale/tecnica/radicale; analogamente si patisce
il tentativo egemonico di alcune località su altre, elemento
che falsa la ricerca di orizzontalità spostandola in
senso dirigista.
In questo contesto molto vivace e fecondo ma anche problematico e rischioso ci si dà l'obiettivo della scrittura del Piano, che viene iniziata tra la fine del 2016 e i primi mesi del 2017. Il Piano risponde ad esigenze molteplici e per certi versi dissonanti. È innegabile che alcuni settori, soprattutto legati al tavolo “percorsi di fuoriuscita dalla violenza”, abbiano marcate interlocuzioni istituzionali. Ci sono associazioni come UDI, DIRE, “Maschile plurale”, già in relazione con l'osservatorio ministeriale delle Pari Opportunità, che si caratterizzano per pragmatismo politico, così come fanno molte operatrici dei centri antiviolenza: l'obiettivo sembra essere quello di entrare in modo più autorevole nella partita della gestione delle risorse per gli interventi antiviolenza.
Siamo nella tarda primavera del 2017 e c'è il reale rischio che il movimento serva a dare “peso contrattuale” a gruppi di addette ai lavori. La situazione però cambia nuovamente. Innanzitutto i settori più radicali fanno una serrata critica nei confronti di alcune derive egemoniche e pretendono che le decisioni siano assunte nelle assemblee nazionali plenarie; i tavoli di lavoro producono elaborazioni interessanti, ragionando in termini “avanzati” su alcuni nodi sociali; ci si pronuncia in modo secco sul piano antiviolenza, stabilendo che il frutto del lavoro collettivo non dovrà essere sottoposto a nessuna modifica o trattativa quando sarà presentato al ministero. Nel mese di aprile viene lanciata la campagna contro la violenza nei tribunali, che vede presìdi in molte città e la denuncia chiara di un potere istituzionale.
A settembre avvengono altre cose importanti: la giornata internazionale per la libertà d'aborto viene apertamente boicottata dalla CGIL che indice, a distanza di un giorno, un'assai più rassicurante e meno compromettente giornata contro la violenza; tra NonUnadimeno e CGIL si determina una spaccatura che non si risolverà.
Il governo infine, per opera della Boschi, presenta un proprio piano degli interventi antiviolenza chiudendo qualsiasi interlocuzione con NUDM, conservando qualche canale aperto solo con le associazioni accreditate, che comunque rappresentano sé stesse e non il movimento, il quale evidentemente, guadagnando in radicalità, sta perdendo interesse per chi vorrebbe addomesticarlo.
NonUnadiMeno procede nel suo percorso in modo più libero, senza troppe zavorre istituzionali. Nel percorso verso la manifestazione nazionale del 25 novembre 2017 vengono lanciate campagne qualificanti, come quella del 4 novembre contro il sessismo del militarismo.
I tavoli portano avanti il loro lavoro e definiscono il Piano, che sta prendendo forma in modo interessante.
Non mancano nel Piano ingenuità né inconguenze
Nato per una finalità interlocutoria con le istituzioni,
il documento diventa qualcosa di diverso. La grande attenzione
riservata all'elemento pragmatico tradisce sicuramente la destinazione
iniziale; si parla di finanziamenti, di formazione per operatori,
di organizzazione dei centri antiviolenza, di agevolazioni abitative.
Ma il “come” se ne parla dà atto del percorso
che il movimento ha fatto scollandosi progressivamente dalle
istituzioni. Le richieste assumono il significato di rivendicazioni.
La visione che le sostiene è femminista. Esemplare la
questione del welfare e della critica alla misura governativa
del reddito di inserimento, il REI. Il tipo di welfare prospettato
non è quello pensato sul modello sessista-patriarcale-capitalista,
che fa leva sul presunto ruolo biologico delle donne nelle attività
di cura e alla necessità di sostenerle all'interno della
struttura familiare.
È piuttosto pensato sulle esigenze di autodeterminazione
economica di tutte le soggettività in quanto tali. E
quello che viene richiesto in termini di reddito e servizi non
è semplicemente una richiesta di più stato e più
assistenza; è piuttosto una pretesa di restituzione del
reddito che ci viene estorto attraverso precarietà, sfruttamento,
mancato rinnovo contrattuale, differimento delle pensioni, ma
anche spese militari e speculazioni sul territorio. Non mancano
nel Piano alcune ingenuità e incongruenze, una fiducia
nella soluzione a portata di mano o nella possibilità
di pressione risolutiva sulle istituzioni (l'ambito relativo
a educazione e formazione è quello, a mio avviso, che
più risente di questo). Ma alcuni punti fermi sono espressi
con vigore, e soprattutto il Piano viene avvertito come uno
strumento di mobilitazione e di lotta, un punto di partenza,
un documento aperto che chiede non aiuto, ma schieramento, presa
di posizione.
Il Piano viene diffuso nel corso della manifestazione del 25
novembre 2017, una manifestazione che vede grandi numeri e una
bella piazza, come poche se ne vedono di questi tempi. In un
contesto sociale caratterizzato dalla cronaca quotidiana di
episodi di violenza sessuale numerosi e feroci, la piazza riesce
ad essere straordinariamente lucida. Nessuna richiesta punitivo-legalitaria,
nessun tintinnio di manette, perché risulta chiaro che
il sistema che genera e alimenta violenza non può sanzionare
se stesso; nessuna richiesta di sicurezza e di tutela, ma anzi,
tra le altre cose, la denuncia della violenza in divisa. Ciò
che la piazza esprime con determinazione è un'opposizione
radicale verso sessismo, patriarcato, militarismo, potere medico,
potere religioso, logiche securitarie e razziste, istituzioni
in genere.
L'appuntamento successivo è quello dell'otto marzo. Una
scadenza ad alto rischio, collocata appena quattro giorni dopo
le elezioni, con una campagna che coincide cronologicamente
con la campagna elettorale. NonUnadiMeno riesce in modo encomiabile
ad affrontare la situazione: nell'assemblea nazionale del 3
febbraio viene approvato all'unanimità un documento,
proposto dalle compagne di Torino, in cui si prende posizione
contro ogni strumentalizzazione o utilizzo elettoralistico del
movimento, rivendicando piena autonomia politica. Viene mantenuto
l'appello allo sciopero globale, elemento qualificante a livello
simbolico e funzionale alla “tenuta” internazionale
della giornata, ma difficilissimo da praticare in Italia, per
la scarsa tradizione nostrana di scioperi sociali, nonchè
condizionato, quest'anno, dalle franchigie elettorali. L'8 marzo
le piazze di oltre 50 città italiane si riempiono dopo
appena 4 giorni dai risultati elettorali. La presenza femminista
si fa sentire, incurante dello shock elettorale e della spettralità
politica imposta dall'affermazione dei fascisti; porta la propria
voce in modo chiaro ed inequivocabile, prima risposta in Italia
al tentativo di desertificazione postelettorale.
Nessuna leader, proprio nessuna
Il movimento insomma c'è, pure tra le contraddizioni, e finora ha superato non poche difficoltà, non ultima quella elettorale. Ed è un movimento che non può essere liquidato sommariamente, perché accanto ad alcune innegabili contraddizioni presenta punti di forza interessanti. Innanzitutto agita la parola d'ordine di libertà, non quella di parità. La logica familistica viene nettamente rifiutata in favore dell'autodeterminazione. Il militarismo viene respinto non in nome di una presunta vocazione biologica delle donne al pacifismo, ma come elemento strategico della cultura sessista e gerarchica, oltre che come nodo importante delle lotte sociali. Le esperienze di autogestione e il metodo di lavoro collettivo vengono valorizzati. La posizione contro le logiche securitarie è netta.
Sono questioni che meritano interesse da parte del movimento anarchico. Senza contare il fatto che NonUnadiMeno in due anni di vita non ha espresso nessuna leader riconoscibile come tale, che si sia candidata alle elezioni o che abbia diffuso personali pillole di saggezza nei più svariati consessi. Non è poca cosa.
Patrizia Nesti
Abbiamo un piano
I precedenti interventi sul piano di Non Una Di Meno, intitolato
“Abbiamo un piano” sono stati di Lucia
Bertell e Francesca
Palazzi Arduini (“A” 423, marzo), Silvia
Papi (“A” 424, aprile), Monia
Ravazzini (“A” 425, maggio). Il dibattito
resta aperto: sarebbe anche inutile dirlo, dato che la rivista
nel suo insieme è sempre aperta alla collaborazione di
tutte/i. Chiunque intenda intervenire ci mandi il proprio scritto,
indicativamente di 7.000 battute spazi compresi, ma c'è
chi si è “allargata” (senza subirne conseguenze...).
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