bambine/i
Un mondo libero e pulito
di Nicolò Budini Gattai
La rappresentazione del mondo nelle
parole dei ragazzi e delle ragazze di origine non italiana,
raccolte da un facilitatore linguistico che lavora al Centro
di alfabetizzazione in italiano L2 del Comune di Firenze “Giufà“.
Attivo anche nel gruppo fiorentino del Movimento di Cooperazione
Educativa (MCE).
Nel 1961 usciva un testo che
ha influenzato moltissimi insegnanti della scuola, Le nuove
tecniche didattiche di Bruno Ciari. Nell'ultimo capitolo
il maestro Ciari scriveva: «Il ragazzo che ha vissuto
cinque anni di scuola vera, di genuina educazione, non solo
affronta il mondo senza il pericolo di subire passivamente le
influenze negative, ma porta nel proprio ambiente uno spirito
attivo, e si pone come agente trasformatore dell'ambiente stesso
[...]». La geografia aiuta a comprendere le relazioni
che gli esseri umani instaurano con l'ambiente, a osservare
come è organizzato e utilizzato il territorio, a guardarsi
intorno per coglierne le tracce storiche e culturali. Serve
anche per riflettere sui grandi fenomeni mondiali come la migrazione,
il cambiamento climatico, la distribuzione della ricchezza,
i conflitti, l'ecologia. Se ben insegnata può formare
davvero personalità capaci di analizzare da molteplici
punti di vista il mondo e di trasformarlo.
In queste pagine riporto alcune riflessioni geografiche di alunni
e alunne di origine non italiana. La maggior parte delle voci
vengono da un interessante libro del maestro Giuseppe Caliceti,
Italiani per esempio. L'Italia vista dai bambini immigrati
(Milano 2010), che riporta testi scritti e conversazioni delle
sue classi elementari di Reggio Emilia, e da quelle dei ragazzi
e ragazze con i quali lavoro nei laboratori linguistici di italiano
lingua seconda nelle scuole elementari e medie di Firenze.
Vera viene dall'Albania, ha 9 anni e ricorda: «da piccola
pensavo che l'Albania fosse l'unico paese che esisteva, invece
non è così perché quando ho studiato il
mondo a scuola ho scoperto molti altri paesi». Lili, una
bambina cinese di 9 anni nata in Italia, racconta invece che
«da piccola pensavo che tutto il mondo fosse l'Italia,
perché io sono nata in Italia. Non sapevo del Marocco,
della Cina, della Francia e di tutti gli altri posti. Pensavo
che era tutto lo stesso mondo». Poi a scuola scoprì
«che non era così, che c'erano delle differenze»
(Caliceti, 2010). Lo stesso pensava Demba prima di trasferirsi
dal Senegal quando, per le strade di Firenze, rimase quasi incredulo
«perché non avevo mai visto le case lunghe».
Vera, Lili e Demba, attraverso l'osservazione indiretta (la
lezione scolastica) e diretta (la strada, le case, il paesaggio),
hanno iniziato a osservare la complessa realtà del mondo.
L'illustre geografo Lucio Gambi apriva il primo volume della
Storia d'Italia (Torino 1972) con queste parole: «i
paesi della inarcatura alpina, la pianura del Po e la stretta
penisola, corsa da una lunga catena di monti, che si profila
a mezzogiorno di essi nel cuore del mar Mediterraneo, dovevano
apparire -visti da una altitudine di qualche decina di chilometri-
sostanzialmente uguali nel loro disegno, agli sguardi mitici
di Phaethon e agli sguardi di Aleksej Leonov quando il 18 marzo
1965 fornì dal cosmo la prima descrizione di essi».
Potremmo sostituire la descrizione del cosmonauta sovietico
con quella di Samir, un bambino di 8 anni originario del Marocco:
«in alto dell'Italia, a nord, ci sono le montagne più
alte. Loro si chiamano Alpi e sono altissime. Invece a sud,
nel basso, non possono stare le montagne alte ma quelle più
basse: loro si chiamano Appennini. Però in Italia ci
sono anche delle pianure che vuol dire un campo dove non c'è
neanche una montagna, neppure piccolina». Damian, un ragazzo
romeno di 11 anni, descrive l'Italia come un paese ricco d'acqua:
«l'Italia è un paese molto bagnato e questa è
una fortuna. È bagnata perché tutto intorno (tranne
una parte in alto), lei è circondata dall'acqua del mare.
Poi ha molti fiumi che sono sempre pieni d'acqua (però
non salata come quella del mare). Poi ci sono tanti laghi che
sono fatti sempre d'acqua (non salata)». Tasneem, una
ragazza di 10 anni pakistana, utilizza invece una similitudine:
«l'Italia per me è come una casa, ha un clima abbastanza
caldo, solo che sulle Alpi non ha messo il riscaldamento. È
una casa pulita, ma in alcune stanze e in cantina c'è
disordine e sporcizia. I pavimenti di questa casa li lava il
mare» (Caliceti, 2010).
Sono andato con le barche...
Samir, Damian e Tasneem colgono alcuni aspetti caratterizzanti
il nostro paese come il paesaggio, l'idrografia, il clima -in
genere temperato, ma più freddo nei rilievi montuosi-
i problemi riguardanti i rifiuti urbani e la criminalità
organizzata, la vastità delle coste che circondano la
penisola. Ci auguriamo che la casa, seppure un po' sporca e
disordinata, possa comunque essere la metafora di un luogo accogliente.
La casa -o l'automobile- è anche la similitudine utilizzata
da Barbara Spinelli in un articolo su La Stampa il 6 dicembre
2009, il giorno prima del vertice sul clima di Copenhagen, per
metterci all'erta contro la distruzione del pianeta:
«Dobbiamo imparare a trattare la Terra come la casa,
l'automobile. Non è sicuro ma plausibile che l'incendio
le distruggerà, e la paura che ne abbiamo ci spinge
a sottoscrivere una polizza d'assicurazione. Lo stesso urge
fare con la terra, l'acqua, i mari, le foreste di cui è
fatto il pianeta. Nell'immediato potremmo proteggerci asserragliandoci,
ma alla lunga perderemo ancor più perché i sacrifici
cresceranno. Alla lunga, solo le sabbie mobili della pittura
nera saranno vincitrici».
A proposito del clima e del paesaggio Andreaa, una ragazza
romena di 13 anni, confronta la sua città natale con
Firenze dove oggi vive:
«la mia città natale si chiama Valcea, è
una città abbastanza grande. Si trova a sud della Romania
[....]. C'è anche un fiume ma più piccolo dell'Arno.
[...] La temperatura della città d'estate è
quasi 40°-48°, ma non fa tanto caldo come a Firenze.
Da metà novembre comincia a nevicare e le temperature
scendono fino a -15° invece a Firenze non nevica tanto.
Ci sono delle montagne e d'inverno è bellissimo perché
la neve è sulle montagne e si vede tutto bianco».
Come ben sappiamo il turismo rappresenta una ricchezza per l'Italia
e Venezia è certamente una delle città più
amate al mondo. Kevin, un bambino peruviano di 8 anni, racconta
nel giornalino di classe una vacanza con i suoi genitori:
«sono andato a Venezia Santa Lucia. Sono andato con
le barche, abbiamo fatto un giro: siamo scesi a san Marco.
Ho visto tanti uccelli, poi ho visto un uomo e una donna che
si sono sposati. Siamo andati a mangiare. Poi abbiamo preso
il treno Argento. Si è fermato a Venezia Mestre, poi
è partito. Dopo un po' si è fermato a Padova,
poi è partito. Poi ci siamo fermati a Bologna Centrale,
poi è di nuovo partito. Infine siamo arrivati a Firenze
Santa Maria Novella».
Kevin descrive il trasporto urbano veneziano, la bellezza
di Piazza san Marco che spinge molte coppie da tutto il mondo
a sposarsi in quella città, inoltre ci dà un'idea
sul sistema del trasporto ferroviario ad alta velocità.
Dalla scuola primaria alla secondaria si passa dai dati percettivi
all'astrazione dello spazio geografico: la lettura approfondita
del territorio, delle carte, la comprensione delle relazioni
tra gli esseri umani e l'ambiente. Lo studio della geografia
invita a vedere oltre i dati visibili, a riflettere sui grandi
problemi dell'umanità come la migrazione, la guerra,
i diritti umani, l'inquinamento e i cambiamenti climatici.
«[...] Il bambino e l'adulto [...] possono adattarsi
passivamente a norme etiche, sociali, a idee politiche e religiose,
senza una comprensione razionale e una profonda adesione ulteriore;
questo non può non generare conformismo, pigrizia intellettuale,
grettezza d'orizzonti etico-sociali. Noi vogliamo invece che
il ragazzo comprenda la civiltà in cui vive, che egli
veda i fenomeni nei loro rapporto d'interazione, nel loro
nascere, svilupparsi e perire sia che si tratti di fatti cosiddetti
“naturali“, sia che si tratti di eventi storici
[...]» (Ciari. 1961)
La necessità di trovare un lavoro, di migliorare le
proprie condizioni di vita ha spinto molte persone a spostarsi.
Lo sa bene Hassan, 7 anni di origine egiziana: «ci sono
anche tanti immigrati che non vanno in un paese diverso. Per
esempio, se uno abita in Italia del Sud e va a abitare e lavorare
nell'Italia del Nord, anche lui è immigrato. Ma anche
se lui è italiano può andare anche in un paese
che non è l'Italia». Sheela, una ragazza di 13
anni emigrata dallo Sri Lanka ha imparato da sua madre che «quando
l'Italia era povera, molti uomini, donne e bambini italiani
andavano in Francia, Germania, America. Ci andavano perché
erano paesi più ricchi. Anche loro volevano fare successo,
guadagnare soldi, stare meglio. È sempre così.
La gente va dove c'è più lavoro, è naturale».
Con notevole intelligenza Sheela descrive i motivi delle migrazioni
a partire proprio dalla sua esperienza:
«Per me le persone e i bambini non italiani arrivano
in Italia per farsi una vita o fare successo [...]. Oppure
perché hanno parenti in Italia. O perché i loro
primi genitori sono morti e sono adottati da genitori italiani.
O i genitori sono andati in Italia e allora sono venuti anche
loro, come me. Perché sono i figli, non possono stare
soli. Noi veniamo qui perché l'Italia è un paese
bello, ospitale. Soprattutto è ricco per lavorare e
guadagnare da mangiare, perché da noi non c'è
lavoro, manca il necessario per vivere. Oppure vengono in
Italia perché da loro c'è la guerra o il razzismo
e hanno paura di morire».
Come è forte il desiderio di vivere
Sheela ci parla con grande consapevolezza e umanità
dei motivi che spingono molte persone a emigrare: la necessità
di trovare un lavoro, di garantirsi migliori condizioni di vita,
per fuggire dalle guerre, dal razzismo, per la paura di morire,
per ricercare la libertà. Ci parla anche di adozioni
e ricongiungimenti. Sheela e Hasan riescono a comprendere gli
altri, siano essi i migranti italiani o «le persone e
i bambini non italiani». In un'altra pagina Sheela cerca
di spiegare perché si fanno le guerre «Per me ogni
Dio dice cose uguali anche se hanno nomi diversi. Buddha dice
di stare in pace. E anche Gesù. Stare in pace vuol dire
non fare la guerra. Buddha e Gesù ripetono sempre di
non fare la guerra, ma tutti fanno sempre la guerra perché
tanta gente non ascolta mai nessuno».
Non si può parlare delle guerre e delle migrazioni senza
tener conto del problema dei diritti umani. Raja, una ragazza
egiziana canta la sua libertà: «Libera di giocare,
ballare. Libera di andare a passeggiare da sola. Libera di desiderare,
di avere, di essere. Libera di scegliere, di vedere, di prendermi
delle responsabilità, di dire la mia opinione»
(Caliceti, 2010). L'anno scolastico scorso, su suggerimento
di un bambino russo di quarta, abbiamo affrontato il tema della
guerra. Tra le attività svolte abbiamo guardato Il
grande dittatore di Charlie Chaplin (USA 1940). Quando il
dittatore Hynkel urla alla folla «la democrazia fa schifo.
La libertà fa schifo. La Tomania ha il più grande
esercito del mondo, ma per restare grandi dobbiamo sacrificarci
[...]», ci ha stimolato a rispondere con le nostre grida
di libertà, nel modo che mi aveva suggerito il testo
di Raja. Così Alessia, una bambina giordana di 10 anni,
urla: «Libera di fare quel che voglio, di cantare. Libera
di amare quello che voglio. Libera di essere una principessa.
Libera di ballare, di andare in piscina. Libera di immaginare.
Libera di fare amicizia, libera di studiare con i miei amici».
Raja e Alessia richiamano alcuni punti fondamentali della Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani: tutti gli esseri umani nascono
liberi e uguali in dignità e diritti; il diritto alla
vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona;
la libertà di movimento; la libertà di pensiero,
di coscienza; la libertà di immaginare e desiderare.
Sana, una bambina di 9 anni albanese, si mette nei panni del
pianeta Terra:
«il mondo ha qualche problema quando gli uomini lo
inquinano perché si sente sporco. Il mondo è
felice quando nascono nuovi bambini perché così
la vita va avanti. Il mondo è felice quando è
pulito perché si sente più sano e anche più
bello. Il mondo è felice quando gli uomini, le donne
e i bambini non hanno problemi perché così anche
lui è più spensierato. [...] Il mondo ha qualche
problema quando ci sono gli incendi perché si sente
scottare. Il mondo ha qualche problema se gli uomini costruiscono
troppe case perché si sente prudere e gli viene da
grattarsi. Il mondo ha qualche problema quando ci sono troppe
guerre perché muore tanta gente e lui ha paura di rimanere
solo e disabitato» (Caliceti, 2010).
Sana lancia forte un appello in difesa dell'ambiente, della
bellezza, della vita, della felicità, contro ogni abuso
sulla natura e l'umanità.
Le parole che abbiamo letto ci invitano a pensare una scuola
come un luogo di formazione di persone libere capaci non solo
di guardare il mondo, ma di farne parte. Ci mostrano quale profondità
di lettura e analisi possano avere i ragazzi e le ragazze che
abbiano la possibilità di ragionare insieme, di ascoltarsi
e di approfondire argomenti importanti. Colpisce come su certi
temi riescano, con intelligenza, a decostruire molti degli stereotipi
aggressivi e razzisti da cui continuamente siamo bombardati
e come sia forte il desiderio già da piccoli di vivere
in un mondo libero e pulito da ogni sopraffazione politica,
economica, sociale e ambientale.
Nicolò Budini Gattai
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