L'imbroglio libertarian
Ecco l'ultima puntata di approfondimento sul concetto di libertarianesimo legato alle tecnologie digitali. Qui finisce (per ora) la presentazione di alcune pratiche e di alcuni concetti libertarian che niente hanno a che vedere con un una presenza sovversiva e anarchica nella rete. Ippolita tornerà, ovviamente senza rete.
Dallo spazio pubblico al libero accesso
Che fine farebbe lo spazio pubblico garantito dalle istituzioni
in una società che si fosse sbarazzata di uno Stato ritenuto
nocivo per il libero mercato? I libertariani hanno formulato
risposte molto diverse a questa domanda. Non sorprenderà
che i più anti-statalisti sono stati anche i più
radicali in merito alla fine dello spazio pubblico. Hayek è
arrivato al punto di rifiutare la nozione stessa di spazio pubblico,
argomentando che non si tratta di un vero bene pubblico, quanto
di una fonte comune di problemi. La privatizzazione di ogni
bene consentirebbe a suo parere la risoluzione definitiva di
questo tipo di inconvenienti. Per esempio: se tutti i corsi
d'acqua avessero un proprietario, invece di rimanere inquadrati
come bene pubblico, la fabbrica poco attenta all'ambiente che
scarica liquami inquinanti sarebbe probabilmente chiamata a
risponderne in tribunale dai proprietari dell'acqua, impazienti
di ottenere risarcimento per la loro risorsa rovinata.
In questa prospettiva i problemi di pianificazione urbana, vicinato,
gestione dello spazio troverebbero vie d'uscita analoghe. Ciò
significa che diventerebbe impossibile passeggiare per strada
o accedere a un'opera d'arte qualsiasi? Persino gli anarco-capitalisti
più radicali ritengono che non sia il caso. Considerato
che gli esseri umani non sono mossi “solamente“
dal loro interesse personale, invocano pratiche come il mecenatismo
o la carità, elevandoli a modelli per rispondere a obiezioni
del genere. I proprietari sono liberi di lasciare un accesso
alle loro proprietà, se ci guadagnano qualcosa che sia
riconoscimento e approvazione sociale, l'impressione di fare
una cosa buona o del denaro. Attraverso esempi simili, a volte
tematizzati nei termini di uno «sfruttamento del forte
da parte del debole» ovvero bene naturale, i libertariani
hanno sostenuto anche che molti beni privati si trovano già
in condizioni di libero accesso. Se ben sfruttato (lo “sfruttamento“,
nelle idee e pratiche libertariane, è sempre presente),
un sistema di questo tipo potrebbe persino apportare ai proprietari
notevoli benefici, anche introiti economici.
La teoria dei sotto-prodotti commerciali, ben nota nel mondo
dei media, pretende esattamente questo: la pubblicità
può finanziare una trasmissione o un giornale di cui
noi utenti possiamo approfittare gratuitamente. Ci troviamo
di fronte al precursore analogico della data economy.
L'esplosione dell'economia dei dati ha avuto come conseguenza
di offrire, alle argomentazioni dei teorici libertariani di
un tempo, un sovrappiù di consistenza pratica che essi
non erano nemmeno in grado di immaginare.
Proprietà intellettuale e diritto d'autore
Si potrebbe pensare, per via della sua insistenza sulla proprietà,
che il libertarianesimo tenda a difendere la proprietà
intellettuale con le unghie e con i denti. Ma un atteggiamento
simile renderebbe i suoi propositi del tutto incompatibili con
i cosiddetti movimenti nati dalla Rete, soprattutto con quelli
che lottano per una totale libertà di scambio di ogni
tipo di file, compresi quelli sottoposti al diritto d'autore.
Per esempio, alienerebbe le simpatie dei Partiti Pirata favorevoli
allo scambio di contenuti in maniera decentrata - come consente
l'architettura stessa della Rete p2p1.
Per il sostegno alla circolazione e condivisione delle informazioni
questi movimenti sono stati automaticamente assegnati a sinistra.
Ma si tratta di un errore grossolano. Certo, l'anarco-capitalista
Rothbard ha difeso il copyright, attaccando d'altra parte i
brevetti, che considerava un'estensione monopolista, rea di
falsificare il libero gioco della concorrenza. Per parte sua,
l'oggettivista Ayn Rand (cui si ispira fra gli altri il convinto
libertariano Jimmy Wales, fondatore di Wikipedia), ha tessuto
l'elogio dei brevetti. Opinioni
e posizioni diverse, che non hanno impedito a una parte considerevole
e in crescita costante dei libertariani di criticare i dispositivi
della proprietà intellettuale e di sposare appieno la
causa dell'open source o persino del software libero. Il pragmatico
O'Reilly è un esempio lampante, insieme al guerrafondaio
e suprematista hacker Eric S. Raymond.
Quando i libertariani attaccano con veemenza il sistema dei
brevetti o il copyright lo fanno alla luce delle stesse assurdità
che possono essere denunciate dal punto di vista della sinistra.
Ma invece di denunciare l'iniquità del mercato, lamentano
piuttosto la concorrenza falsata da queste pratiche.
La rivoluzione dell'ordine, la banalità dell'obbedienza e altri paradossi
Tutta la forza del pensiero libertariano proviene dallo stupefacente paradosso su cui si fonda cioè predicare un insieme di trasformazioni radicali che si dicono rivoluzionarie e sostenere al tempo stesso l'ordine del mondo. Man mano che le sue rappresentazioni hanno acquistato concretezza, le tecnologie su cui si appoggiano hanno trovato sempre più credito e spazio. Non abbiamo alcun interesse né desiderio di additare i cattivi libertariani responsabili della nostra situazione attuale. La questione del dominio ha sempre almeno due corni: di chi comanda è facile occuparsi, ben più difficile è affrontare chi obbedisce, e rende così possibile il comando. Infatti sono molto più numerosi i libertariani inconsapevoli che contribuiscono a realizzare questo progetto. Sono particolarmente numerosi nel mondo dell'informatica e persino fra gli hacker, fra quegli hacker per i quali la parola etica suona spesso vuota, quando addirittura non repellente. Avere una vaga idee delle tesi libertariane ci offre quanto meno una prospettiva per intravvedere dove ci stanno portando. Ma non abbiamo la minima intenzione di richiamare a un'unità d'intenti nostalgica, alla Classe o al Partito, né tanto meno ad altre tipologie di Identità, individuali o collettive. Dobbiamo fare i conti con la nostra frammentazione, ma è ora di finirla di chiedere alle macchine di ricomporre la mitica unità perduta. Rimettiamoci insieme per costruire mondi adeguati a noi, organizziamoci!
Ippolita
www.ippolita.net
1. Si veda in proposito il nostro articolo
Individui autonomi
e reti organizzate nel n. 415 di aprile 2017.
|