storia
L'esperienza dei GAAP
intervista della redazione a Franco Bertolucci, recensione di Gianni Carrozza. In appendice uno scritto di Alfonso Failla del 1950
Nel secondo dopoguerra si sviluppò all'interno del movimento anarchico italiano un'esperienza di tipo politico e organizzativo che entrò in collisione con la Federazione Anarchica Italiana. I militanti dei Gaap seguirono poi diversi percorsi, il gruppo più consistente darà vita, dopo l'esperienza del Movimento della Sinistra Comunista, a Lotta Comunista. La casa editrice libertaria BFS e la casa editrice Pantarei (di Lotta Comunista) hanno pubblicato recentemente il primo di tre grossi volumi, dedicati alla ricostruzione dettagliata di quell'esperienza, che qui esaminiamo. Il secondo è previsto in uscita nel prossimo autunno.
L'eredità di Pier Carlo
Masini
intervista della redazione di “A” a Franco
Bertolucci
A vent'anni dalla morte dello storico toscano,
è uscito il primo di tre volumoni dedicati alla storia
dei GAAP.
In coedizione con la casa editrice di Lotta Comunista, la BFS
si è fatta carico di una parte dell'enorme lavoro di
ricerca e di ricostruzione storica. A partire dalle “carte”
lasciate da Masini, che di quell'esperienza politica fu tra
i promotori e il maggior archivista. Ne parliamo con il nostro
collaboratore, anima del progetto.
Redazione di “A” - Come è nato
questo tuo forte interesse per la storia dei Gaap?
Franco Bertolucci - L'interesse nasce da una parte dalla
curiosità storica: comprendere una pagina della storia
dell'anarchismo del Secondo dopoguerra, poco nota e controversa,
per capire le ragioni delle sue crisi e delle sue trasformazioni.
È ovviamente innegabile che l'anarchismo che abbiamo
conosciuto noi negli anni Settanta e Ottanta è stato
qualcosa di assai diverso, quantitativamente e qualitativamente,
da quello precedente all'epoca dei totalitarismi.
D'altra parte, lo spunto mi è stato fornito dall'eccezionale
dono fatto da Pier Carlo Masini alla nostra Biblioteca, quello
dell'archivio dell'organizzazione che aveva con cura e amore
conservato per tanti anni in casa sua. Come ho accennato nell'introduzione
al volume, questa notevole mole di documenti rappresenta –
nel panorama degli archivi noti – un'eccezione, in quanto
costituisce l'unico complesso documentario esistente in Italia,
e forse nel mondo, prodotto da una organizzazione libertaria.
Nel contempo, esso è una creatura di colui che è
stato in qualche maniera il principale ispiratore dal punto
di vista politico di questa esperienza, cioè di Masini,
che negli anni, come ho detto, lo ha accuratemente conservato.
Dunque si tratta di una ricerca storica ma nel contempo anche
un riconoscimento e un omaggio allo storico e militante toscano
che è stato sicuramente uno tra gli intellettuali socialisti
e libertari italiani più originali del Secondo Novecento.
Si tratta di una coedizione con Pantarei, quindi
Lotta Comunista (fondata da alcuni ex gaapisti), puoi spiegare
la genesi di questa collaborazione?
Anche in questo caso si tratta di una “eredità”
masiniana, nel senso che fu lui nel 1994 a metterci in contatto
con alcuni esponenti di Lotta comunista, fu una sorta di “autorizzazione”
allo studio e alla tutela del suo archivio per gli studi e le
ricerche sulla generazione di militanti che si sono formati
negli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento.
Anni nei quali, come è noto, hanno maturato la propria
esperienza militanti come Cervetto e Parodi che poi sono stati
i fondatori dell'organizzazione neo-leninista. Da quando Masini
ci ha messi in contatto è iniziata una collaborazione
paritetica – e devo dire, con molta franchezza, corretta
da ogni punto di vista –, sulla sistemazione e conservazione
delle carte d'archivio riguardante l'esperienza dei GAAP. Un
impegno comune che, come detto nella nota editoriale, è
stato preso “ufficialmente” poi alla scomparsa di
Masini, avvenuta nel 1998, al fine di rispettare le sue volontà
testamentarie e fare in modo che passati 10 anni dalla sua morte
quei materiali fossero riordinati e resi disponibili alle attività
di studio e di ricostruzione storica.
Dunque, questo lavoro va avanti da anni e alla fine è
sfociato poi nel progetto editoriale comune della pubblicazione
degli atti e documenti principali conservati nell'archivio.
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Pisa, ottobre-novembre 1955 Pier Carlo Masini (primo a sinistra) con Giulio Seniga e Lorenzo Gamba (a fianco) e un'altra persona non identificata (Archivio privato famiglia Masini, Cerbaia val di Pesa - Fi) |
Dopo l'epoca dei totalitarismi
Con l'uscita progressiva dei tre volumi, i Gaap
avranno il loro “spazio storiografico”. Quali altre
esperienze dell'anarchismo di lingua italiana aspettano, a tuo
avviso, un approfondimento storiografico?
Sono tanti gli aspetti della storia dell'anarchismo che ancora devono essere indagati, soprattutto da un punto di vista comparativo tra le diverse esperienze che il movimento ha fatto nei vari paesi del mondo. Penso, ad esempio, ad alcune aree dell'Asia o della stessa Europa dove l'anarchismo ha avuto esperienze significative.
Per parlare di epoche più vicine a noi penso agli anni Sessanta e Settanta, periodo storico ancora non sufficientemente indagato, sia dal punto di vista dell'evoluzione del pensiero libertario, sia da quello dei movimenti sociali che si sono affermati in quegli anni, movimenti con genesi e caratteristiche molto diverse rispetto all'epoca classica. Va ricordato, come premessa, che il ciclo delle lotte di quegli anni si inserisce in un quadro complessivo di tipo geo-politico ed economico che è erede di una grande sconfitta epocale dei movimenti di emancipazione umana. Questa crisi si è manifestata appieno nell'epoca dei due conflitti mondiali, che hanno trovato nei totalitarismi le forme più brutali ma “innovative” del potere e del dominio economico. Un potere che è poi continuato nelle forme che conosciamo (imperialiste, neo-liberiste, globaliste etc.) e che può prendere diversi nomi ma tutti compresi in un unico sistema economico planetario, il capitalismo. Un potere che, comunque lo si guardi, si alimenta di un insieme di ideologie che affondano le proprie radici nel liberalismo. Negli anni Sessanta e Settanta avviene una rottura, un tentativo di rispondere al dominio mondiale del capitalismo e alla sua ideologia dominante, questo si manifesta fortemente nei movimenti anticoloniali, contro la Guerra nel Vietnam, contro i regimi dittatoriali e autoritari, protagonisti di questi movimenti sono giovani fortemente motivati che alimentano correnti caratterizzate anche, ma non solo, da forti anime antiautoritarie che non li portano automaticamente ad approdare all'anarchismo, anzi a volte ne prendono le distanze. Si possono notare questi atteggiamenti e culture nella New left nordamericana, nei movimenti femministi e nello specifico di quelli che hanno combattuto le discriminazioni di genere e razziali, nei nuovi movimenti di base dei lavoratori etc. Insomma, capire come mai non ci sia stato l'incontro fra queste istanze e queste nuove idee e l'anarchismo classico, questa potrebbe essere una nuova frontiera della ricerca.
Va precisato però che, al di là delle auto-celebrazioni, il movimento anarchico di quegli anni in tutte le sue espressioni è stato nella sostanza un movimento marginale e minoritario quasi ininfluente dal punto di vista politico. Negli anni Settanta si diceva che all'anarchismo mancava la generazione degli anni Venti, quella nata nell'epoca dei totalitarismi - per intenderci quella dei nostri GAAP, gran parte dei militanti che ne fecero parte erano nati proprio tra il 1920 e il 1925 -, ma una domanda mi sono sempre posto negli anni: dove sono le generazioni degli anni Trenta, Quaranta, Cinquanta, Sessanta e così via? Perché l'anarchismo non è riuscito a rigenerarsi? Queste sono le domande che aspettano delle risposte e forse le ricerche di ambito storico e sociologico potranno fornirci nel tempo elementi utili per capire queste assenze… anche per comprendere come mai, nonostante gli “anarchici” e le loro varie correnti “politiche” e anche e “anti-politiche”, il pensiero libertario periodicamente torna di “moda” ed è sempre un riferimento per tutti coloro che cercano una propria via all'emancipazione e alla libertà.
Un buco nero nella storia del movimento anarchico
di Gianni Carrozza
Di questo primo volume abbiamo chiesto una recensione a un militante
e storico, negli anni '70 attivo a Firenze, poi da decenni
in Francia. Collaboratore di varie riviste libertarie, tra le
quali “Collegamenti/Wobbly” e per anni bibliotecario/archivista
alla Bibliothèque de documentation internationale contemporaine
di Nanterre. Carrozza mette in luce alcuni aspetti nodali dell'esperienza
dei GAAP e termina con alcune domande.
Un compagno mi ha detto a proposito dell'edizione del testo
sui Gruppi anarchici d'azione proletaria (GAAP): “ma a
chi pensano di venderlo?”. Anche se il libro dovesse restare
negli stock degli editori per un lungo periodo, un libro come
questo meritava di essere pubblicato perché è
un testo di riferimento, che resterà come una pietra
miliare negli anni a venire. Ed è un libro coraggioso,
appunto perché non è legato al consumo immediato
che se ne può fare. È un libro da consultare,
ma una volta che se ne comincia la lettura è avvincente
quasi come un giallo, perché delle vicende di cui parla,
anche nel movimento anarchico attuale, non se ne sa granché.
Il curatore dell'edizione scientifica – Franco Bertolucci
– ha potuto utilizzare per questo lavoro le carte dell'archivio
personale di Pier Carlo Masini, che questi aveva donato alla
Biblioteca F. Serantini di Pisa. Il riordino di queste carte
ha permesso di accedere all'archivio dei GAAP, di cui Masini
era stato uno dei protagonisti.
Il metodo di lavoro prescelto per la pubblicazione è
estremamente rigoroso sul piano scientifico e presenta una larga
selezione di documenti che permettono di leggere e capire il
punto di vista e l'evoluzione dei GAAP e dei militanti che vi
partecipano. Se c'è un rammarico è quello che
in un volume di 776 pagine non ci sia più spazio per
ricostruire in maniera completa i dibattiti dell'epoca, pubblicando
anche le posizioni dei loro avversari. Il ricorso alla corrispondenza
personale di e con Masini permette di approfondire i problemi
e la documentazione utilizzata nelle note è di una rara
ricchezza, radicata in vari archivi privati, fino alle carte
di polizia.
Il testo del curatore si presenta come una guida per la lettura
dei documenti, che costituiscono i due terzi del volume.
Le elezioni del 1948
Nel primo capitolo Bertolucci propone un excursus sullo stato
degli studi sull'argomento e segue passo passo le superficialità,
le omissioni, le dimenticanze, le imprecisioni, fino a veri
e propri tentativi per occultare questo pezzo di storia dell'anarchismo,
che segnano la storiografia sui GAAP, da parte dei testimoni
e degli storici (soprattutto) del movimento anarchico italiano,
favorevoli o avversi alla loro tendenza politica.
Al di là dei disaccordi che i contemporanei o gli storici
possono avere con i GAAP, la comprensione del loro percorso
sarebbe stata una buona occasione per rispondere ai problemi
che questi ponevano, alle insufficienze della loro analisi e
della loro azione, alle loro contraddizioni, alle loro divisioni.
La lista dei libri che parlano, accennano o sfiorano la storia
dei GAAP, o la biografia dei loro aderenti diventa un'antologia
di tutto quello che la storiografia del movimento anarchico
avrebbe potuto fare e non ha fatto, con motivazioni diverse
e a volte opposte.
Il secondo capitolo è dedicato alla ricostruzione della
storia dei GAAP. Anche se nascono ufficialmente a Genova nel
febbraio 1951, le loro radici affondano nella Resistenza e nel
clima dell'immediato dopoguerra, dominato dalla Costituente
e dal referendum istituzionale che sopprime la monarchia. Il
movimento anarchico non ha difficoltà ad assumere nel
complesso una posizione unitaria, aiutato in questo dalla vitalità
che si registra al congresso di costituzione della FAI a Carrara,
nel settembre 1945.
Ma le divisioni non tardano a manifestarsi, in primo luogo con
l'uscita dei gruppi che danno vita alla Federazione Libertaria
Italiana, che si sfalderà dopo aver sostenuto la scelta
della repubblica al referendum ed il PSIUP alle elezioni successive.
La sua nascita ha delle conseguenze sull'equilibrio tra organizzatori
e antiorganizzatori al congresso FAI di Bologna del 1947, dove
i primi si troveranno fortemente indeboliti. Le indicazioni
che ne escono sono piuttosto generiche e inizia quella serie
di affermazioni generali che ritroveremo nei congressi successivi,
con una FAI sempre più ripiegata su sé stessa
e sulla difesa dei principi, sempre meno capace di intervenire
nella vita del paese in cui vive. Viene scartata una rinascita
dell'USI e scelta la strada dei Comitati di difesa sindacale
(CDS) all'interno della CGIL, ma nel complesso l'attività
nel mondo del lavoro resta in sordina.
È probabilmente a causa dell'insoddisfazione creata da
questo ripiegamento sui principi che vari gruppi di giovani
anarchici rifiutano di rassegnarsi ai risultati delle elezioni
del 1948, che consolidano il ruolo centrale della DC, alla politica
di sostanziale collaborazione del PCI nella ricostruzione del
capitalismo italiano, alla divisione del mondo in due blocchi
sancita a Yalta, alla lottizzazione tra i partiti del sindacato
unitario (seguita dalla scissione della CGIL) e alla sua utilizzazione
come strumento per disciplinare le masse operaie.
Lo scontro generazionale diventa rapidamente uno scontro politico
e la riscoperta della Piattaforma di Archinov diventa l'indicatore
della crisi dell'insieme del movimento anarchico. Come in altre
occasioni, nei decenni che seguono, alla crisi politica del
movimento si risponderà soprattutto con una stretta organizzativa,
alimentando le paure degli antiorganizzatori e le difficoltà
dei “sintesisti”, e li porterà a investire
gran parte delle loro energie in una battaglia politica interna
alla FAI.
Le discussioni interne ai GAAP, che Bertolucci ricostruisce
in modo chiaro e sintetico, ci offrono le chiavi di lettura
dei documenti che seguono.
Per dirlo in maniera assai schematica, vedremo come la critica
della spartizione del mondo fra le due superpotenze porta alla
teoria dell'imperialismo unitario e alla proposta di un terzo
fronte, la critica delle posizioni antiorganizzatrici a un'organizzazione
fortemente strutturata, la critica del “resistenzialismo”
umanista a una forte affermazione classista, la critica dei
sindacati di Stato alla riscoperta del consiliarismo nella sua
versione torinese del '20 – senza dimenticare le esperienze
russe del 1917 e tedesche del 1918 –, ma nello stesso
tempo alimenta la ricerca di un radicamento nel mondo del lavoro
attraverso un rilancio dei CDS dentro la CGIL. La questione
dello Stato verrà affrontata con le tesi “sulla
liquidazione dello stato come apparato di classe”, che
segnano la nascita ufficiale dell'organizzazione.
Ma è forse sul terreno culturale e dell'analisi storica
che il lascito dei GAAP (e di Masini in particolare) influenzerà
durevolmente il movimento anarchico o parte di esso, spesso
senza che questo se ne renda conto. Chi infatti era cosciente
nei decenni successivi che Anarchici e comunisti nel movimento
dei consigli a Torino o la Lettura di Bakunin pubblicata
da «Umanità nova» nel 1976, o la Lettura
di Gramsci, facevano parte di un progetto culturale e politico
più ampio ed articolato?
Un'ultima osservazione per quanto riguarda il dibattito interno
dei GAAP, la cui omogeneità viene fortemente stimolata
dallo scontro con gli anti-organizzatori: fin dalle prime battute
vediamo come posizioni e tendenze siano diverse – ed in
certi casi divergenti – ad esempio fra Masini e Cervetto,
che sono alla punta della costruzione del nuovo raggruppamento.
L'attenzione alle questioni internazionali, gli attacchi contro
lo stalinismo, la critica dei partiti e del sindacalismo di
stato, l'analisi della politica italiana, il rifiuto di quella
marginalità politica rivendicata in sostanza dal gruppo
della redazione di «Volontà», la ricerca
storica e la cura nella preparazione dei militanti, il tentativo
di dare vita a una rete di contatti internazionali con gruppi
della stessa tendenza, danno dei GAAP un'immagine complessa
e vivace. Su varie questioni – che ritroveremo sviluppate
nei decenni seguenti – le loro analisi sembrano in avanti
rispetto al loro tempo.
Tre domande. E altre...
Resta una perplessità e una domanda aperta: nella loro
riflessione di questi anni lo spazio per le lotte operaie e
contadine sembra in fondo assai modesto e il dibattito sembra
portarsi più sulla partecipazione alle strutture sindacali
che ad alimentare la rivolta che in vari momenti esplode in
Italia.
La rivolta operaia del 1953 nella Germania dell'Est alimenta
la riflessione dei GAAP, che vedono in essa «un sintomo
evidente della crisi generale dell'imperialismo», e invitano
all'«unità di tutti i fronti di lotta contro le
centrali imperialiste». Ma quali ne sono le conseguenze
concrete sulla situazione italiana e sulla loro attività?
La lettura di un buon libro spinge a porsi più domande
di quante uno se ne poneva all'inizio, e questo è un
libro pieno di domande irrisolte (non soltanto perché
è il primo volume). Ne propongo alcune:
– i GAAP si richiamano al patto associativo della UAI
del 1920, ma la sintesi di quel momento non è solo una
questione di volontà. Perché aveva funzionato
nel Biennio rosso e fallito dopo la Liberazione?
– Era possibile conciliare il leninismo di Cervetto e
l'anarchismo di Masini, una volta lasciatasi alle spalle le
polemiche con la FAI e gli antiorganizzatori?
– Si possono facilmente comprendere le ragioni degli avversari,
ma per quale motivo quelli che hanno vissuto dall'interno l'esperienza
dei GAAP hanno scelto di non valorizzare e trasmettere il senso
di ciò che hanno provato a fare? O almeno un bilancio
della loro esperienza?
Gianni Carrozza
Il nostro umanesimo, irrinunciabile
di Alfonso Failla
Le ragioni profonde dell'umanesimo anarchico, ben lontane da ogni esasperato e cinico rivoluzionarismo, in un articolo del 1950 (68 anni fa) scritto proprio in polemica con un esponente dei GAAP. Per un'organizzazione anarchica che non rinunci ai propri valori, sulla base dell'esperienza pratica dell'antifascismo.
Alfonso Failla (1906-1986), originario di Siracusa, inizia la sua lunga militanza politica negli anni Venti partecipando alle lotte antifasciste, e per questo è arrestato più volte e infine inviato al confino politico. Dopo la Resistenza, finita la guerra, ritorna a Siracusa e riprende da subito le attività di propaganda e di collegamento, dando vita al periodico «La Diana libertaria». In questo periodo è un collaboratore assiduo dei periodici «Umanità Nova» e «Il Libertario» (del primo è anche redattore per un paio d'anni), e in breve tempo diviene uno dei protagonisti della ricostruzione dell'organizzazione anarchica nazionale (FAI) nella quale continuerà a militare per tutto il resto della sua vita. Failla, negli anni in cui nasce e si sviluppa l'esperienza dei GAAP, sarà uno dei pochi militanti della FAI a cercare costantemente, attraverso il dialogo e il confronto, di mantenere aperto un canale con quei giovani che in gran parte ha visto nascere dal punto di vista politico.
La sua presenza come osservatore alle Conferenze nazionali dei GAAP è quasi costante, tanto da essere accusato dai settori più critici, anti-organizzatori, di simpatizzare apertamente per gli «strutturatori», così spesso venivano etichettati i gaapisti. In realtà Failla in questi anni, pur essendo sempre pronto al confronto, si esprime in maniera inequivocabile per un anarchismo umanista, socialista e federalista, come dimostra l'articolo che qui ripubblichiamo, nato proprio in risposta a un altro articolo d'impronta nettamente classista scritto da Aldo Vinazza, un militante genovese che poi sarà tra i fondatori dei GAAP.
Failla interverrà più volte sulla stampa libertaria, polemizzando con i gaapisti su alcuni aspetti teorici chiave posti dal Gruppo d'iniziativa per un «movimento orientato e federato», poi GAAP, come la questione dell'organizzazione specifica e il problema della natura e del metodo dell'azione anarchica.
F.B.
Con questo titolo (“Non marxismo, ma anarchismo”), nel numero 12 di “Era Nuova” di Torino, il compagno A. Vinazza, rispondendo ad uno scritto di Italo Garinei, fa delle affermazioni rivelatrici di una profonda incomprensione delle idee e dei metodi anarchici che non può passare inosservata.
Premette Vinazza che «noi non siamo umanisti ma rivoluzionari ad oltranza». Se quei «noi» si riferisce a se stesso nessuno può negargli il diritto di non essere «umanista» ma se si riferisce agli anarchici in generale allora la definizione è errata perchè l'essere rivoluzionari per noi anarchici è in funzione proprio dell'essere «umanisti» cioè portatori, nei sentimenti e nelle idee, di una società di solidali, «umana»; idee e sentimenti che ci spingono a combattere la «inumanità» dei detentori delle ricchezze e del potere politico.
“Rivoluzionari” senza sentimenti
Anche nelle passate generazioni per reazione alla ipocrisia
della morale borghese, falsamente umanitaria, era di moda posare
a «rivoluzionari» senza sentimenti, «freddi
e conseguenti» nei propri propositi. E si arrivava in
odio al «sentimentalismo» ad irridere ai sentimenti
che stanno al primo come la salute del corpo alla malattia.
Ricordo che quanti durante il fascismo, nelle carceri e nelle
isole, da «rivoluzionari conseguenti», affermavano
che si è tali solo per «interesse» e per
«freddo ragionamento» finivano per piegarsi al fascismo
come alcuni (quasi tutti non anarchici) che vennero liberati
dal confino e diventarono collaboratori di una rivista di tirapiedi
del fascismo, diretta da Nicola Bombacci, che si intitolava
spudoratamente Verità.
In quel periodo di lotta lunga e dura anche i comunisti che
in teoria si richiamano quasi soltanto a motivi economici trovavano
forza di resistere più che nelle convinzioni razionali
nei sentimenti di simpatia verso l'umanità sofferente
che sostengono più del freddo ragionamento chi deve rinunziare,
per un'idea da realizzarsi nel futuro, alla propria libertà
ed, all'occorrenza, alla vita.
Che cosa più del sentimento di solidarietà umana
ha spinto i tre giovani compagni protestatari di Genova, Busico,
De Lucchi e Mancuso, ad affrontare la prigione per scuotere
l'apatia vergognosa di fronte ai delitti del boia del popolo
spagnolo e della sua cricca criminale.
Ricordo l'entusiasmo dei giovani compagni di Sestri, quando
della Spagna parlavano loro alcuni profughi spagnoli: in essi
e nel compagno Vinazza il rivoluzionarismo ad oltranza è
«umano» perchè anarchico. Negarlo diventa
posa pericolosa per sè e per l'ambiente che si vuole
influenzare.
Rivoluzionari non «umanisti» sono stati tutti coloro
che hanno voluto giustificare i propri eccessi autoritari con
la scusante della immaturità delle masse che i loro metodi
hanno risospinto nell'imbruttimento.
Noi, anche quando ci proclamiamo «rivoluzionari ad oltranza»,
cesseremmo di essere anarchici nel momento in cui dimenticassimo
di essere «umanisti», perchè considereremmo
lecito come tutti gli autoritari, rivoluzionari e no, «salvare»
l'umanità «malgrado se stessa», con l'imposizione
fino al terrore.
Ma dove il compagno Vinazza dimostra di aver perduto l'«orientamento»
anarchico è quando afferma: «Sicuro, se non sapremo
guidare senza comandare e imporre ... dimostreremmo di non essere
mai stati degli anarchici».
Per noi non è questione di chi «guida» o
di chi «dirige» (il movimento, per noi, il partito
per gli altri) le masse alla distruzione dell'orientamento attuale
ed alla costruzione della società nuova; ma di fare in
modo che le «nostre» idee, fatte proprie dai lavoratori,
siano esse guida e orientamento, cioè sia il metodo anarchico
a guidarli sulla via dell'emancipazione integrale. Noi anarchici
dobbiamo dare l'esempio praticando noi per primi, in mezzo al
popolo lavoratore, i nostri metodi per dimostrarne la bontà.
Il pencolamento di Vinazza sulla via del «dirigismo»
è indubbio perchè della esperienza spagnola lo
entusiasma proprio la parte meno anarchica, quella negativa
dei «dirigenti anarchici» mentre l'eredità
positivamente anarchica è quella della costruzione della
vita collettivista ad opera di lavoratori industriali ed agricoli,
artigiani, tecnici, medici, scienzati ecc. permeati e guidati
dalle idee anarchiche e non «diretti» da anarchici.
Il punto in cui la confusione raggiunge il massimo, nello scritto
di Vinazza, (e nella «dichiarazione dei principî»
proposta al convegno di Frascati da me confutata a voce e poi
per iscritto) è dove poi conclude: «l'anarchismo
deve essere (finiti tutti gli esperimenti ed essendo esso più
che mai attuale) l'ideologia della classe operaia e contadina»
che deve lottare «guidata e diretta dalla minoranza rivoluzionaria
cosciente...».
Non a scapito dei nostri mezzi o principi
Nessuno di noi si sognerà di negare che l'operaio, il contadino e qualunque altro lavoratore manuale o intellettuale, possono trovare solo nell'anarchia la propria emancipazione duratura e completa. Ma quando ritenendoci investiti dalla bontà delle nostre idee «coloro che non verranno in un modo o nell'altro dovremo dirigerli e guidarli (come scrive Vinazza) rinneghiamo l'anarchismo.
Noi non misconosciamo il ruolo della borghesia, nella storia, nè quello della «classe operaia e contadina» ma avversiamo l'arbitraria e artificiosa sistemazione finalistica che ne fanno i marxisti per diffondere la credenza nel «mito» della fatalità storica della successione, al potere, del proletariato alla borghesia mentre il loro partito, o per meglio dire il comitato centrale di esso, sfrutta la credulità delle masse per conquistare «volontaristicamente» il potere che graverà poi con la scusante del periodo di «transizione», anche sulla «classe operaia e contadina».
E rimaniamo avversari di tale maniera falsa di impostare il problema della liberazione delle classi lavoratrici, (ad opera della minoranza cosciente) anche quando è caldeggiata da giovani sinceri come il Vinazza, in contrasto con lo spirito dell'anarchismo che insegna a fare da sè, in libero accordo, ed a diffidare di tutte le «minoranze» che reclamano la «direzione» che diventerà per successione logica «governo».
A tanto conduce il mito della «classe» e del «classismo»: a perpetuare la soggezione della (non mitica) classe lavoratrice. Io penso che le odierne manifestazioni di confusionismo ideologico siano generate dalla sovrapposizione in alcuni compagni di scarse idee anarchiche sul loro fondo culturale marxista o liberale.
Non basta negare lo Stato alla maniera dei marxisti e dei liberali per essere anarchici. Siccome le teorie marxiste e quelle liberali sono fondamentalmente autoritarie. la loro critica allo Stato è opportunistica, secondaria e viene dimenticata, da quei partiti, non appena al governo ci sono i loro esponenti.
Noi anarchici abbiamo i nostri motivi, non secondari, nè opportunistici, per avversare da cima a fondo il principio di autorità, che nello Stato ha la massima espressione e perciò è alle fonti dell'anarchismo che dobbiamo formare ed irrobustire la nostra cultura, pur non trascurando la conoscenza di tutte le manifestazioni del pensiero umano.
Questo mio scritto non è dettato da astio polemico. So in partenza che compagni come Aldo Vinazza sono animati di buona volontà e vorrebbero bruciare le tappe per superare gli ostacoli che si frappongono all'affermazione delle nostre idee.
Noi abbiamo certamente commesso degli errori, non abbiamo saputo essere sempre all'altezza del nostro compito per diffondere le nostre idee e farle conoscere a migliaia di persone che sono potenzialmente pronte ad accettarle. E dobbiamo ricercare modi di attività sempre più adeguati ai momenti che viviamo.
Ma non a scapito della chiarezza dei nostri metodi e dei nostri principî la verità dei quali rifulge oggi più che mai di fronte all'abulia ed allo smarrimento imperanti.
L'Umanità ha secoli di obbedienza nel sangue che oggi sembrano paralizzarla come in nessun altro momento della storia. Al polo opposto della rinunzia, noi dobbiamo squarciare le tenebre che tentano di avvolgere il mondo in un medio evo apocalittico.
Per irrobustire le nostre idee, e la fede necessaria per non vacillare, non ci mancano i maestri. Di uno di essi, di Errico Malatesta, il 22 luglio ricorre il suo 18.mo anniversario di morte. Studiamone le idee, seguiamone la vita di pensiero e di azione e vi attingeremo chiarezza e suggerimenti nati dall'esperienza vissuta.
«Giovani» e non giovani che reputiamo necessaria l'organizzazione degli anarchici impareremo a conoscere i limiti al di là dei quali non c'è più organizzazione anarchica, nè anarchismo, nè anarchici.
Alfonso Failla
Umanità Nova, 23 luglio 1950
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