Armenia/
Tra sterminio e Ararat
Attraverso vari incontri culturali ho potuto conoscere altri
lettori della rivista “A”, come Paolo Cossi e Paolo
Cognetti, con cui condivido anche la vita di montagna e la ricerca
della natura selvaggia.
Dopo quasi tre decenni dedicati alla ricerca e alla divulgazione
sobria, non risonante dei grandi network e mass-media, è
per me un piacere raccontare in sintesi alcune vicende e scoperte
da me fatte in zone precluse alla ricerca e all'alpinismo, in
quanto zone militari. Il grande Monte Ararat (Masis per gli
armeni), è un vulcano spento alto 5165 metri posto sul
confine tra Turchia, Armenia ed Iran. I suoi versanti nord-orientali
sono coperti da ben undici ghiacciai e da circa un secolo esso
non fa più parte dell'Armenia, ma della Turchia. Tuttavia
è l'unico monte simbolo per l'intera immensa diaspora
armena, come se fosse ancor posto entro i confini nazionali.
Per gli armeni l'Ararat rappresenta la patria perduta, la rinascita
dell'uomo dopo il diluvio biblico, lo vedono dalla capitale
Yerevan e non lo possono raggiungere a causa della mancanza
di passaggi doganali tra Armenia e Turchia, chiusi dopo la guerra
del Nagorno nel 1992. Le sorgenti del Tigri e dell'Eufrate nascono
dalle sue pendici, la coltura del vino, le prime lingue scritte,
tutto partì da quella zona oltre 5000 anni addietro.
|
Monte Ararat (Turchia) - Il ripido canalone
che conduce al ghiacciaio con i resti lignei |
Nelle loro ampie tende
Molti anni or sono, un anziano archeologo lombardo mi chiese
di dargli una mano nella ricerca di resti lignei sui ghiacciai
della montagna, pagandomi le spese, e confidando nella mia esperienza
alpinistica ed esplorativa. All'epoca vi erano scontri a fuoco
con i membri del PKK curdo all'ordine del giorno, sulle pendici
mediane dell'Ararat e lo stesso Öcalan era dislocato a
circa tremila metri di quota con 400 guerriglieri curdi, uomini
e donne, ben armati.
A quel tempo il rischio di essere sequestrati già prima
di aver raggiunto i ghiacciai era reale, e gli arresti con successivi
maltrattamenti anche da parte dell'esercito turco dislocato
sul monte non erano affatto rari. Ciò nonostante decisi
di affidarmi all'amicizia di un vecchio pastore di pecore curdo
molto povero, e di salire la zona mediana della montagna durante
la notte, evitando così d'esser avvistato. Inutile dire
che nelle prime spedizioni, oltre a non trovar nulla, spesso
dovevo ridiscendere da versanti opposti a quelli della salita,
per via di scontri a fuoco o di rastrellamenti militari.
Negli anni i pastori curdi, spesso di origini armene, mi protessero
e accolsero nelle loro ampie tende poste sin oltre i 3000 metri,
in cui dormii e mangiai al ritorno dalle mie ricerche che sovente
erano solitarie. I curdi di quei luoghi miseri vivono in maniera
anarchica rispetto alle istituzioni militari e politiche locali
turche. Dapprima, in qualità delle loro usanze nomadi
non controllabili, venivano chiamati “turchi di montagna”.
Oggi sono divenuti “turchi dell'est”. Ma di turco
essi hanno poco, a parte la cittadinanza. Lingue, dialetti,
festività e costumi sono curdi, e non turchi. A volte
non mandano a scuola i bambini per evitarne l'obbligo di imparare
la lingua turca, e durante il servizio militare che dura due
anni, molti fuggono dall'esercito o si suicidano a causa del
duro trattamento loro inflitto dai superiori in quanto minoranza
etnica. Il loro passaporto contiene un segnale che permette
alle dogane di identificarli in quanto curdi, e con tale stratagemma
per loro diviene difficile uscire dai confini nazionali per
lavorare.
Sin dai primi anni alcuni curdi mi parlarono di migliaia di
morti sopratutto madri e bambini armeni, e in seguito, pur rischiando
essi stessi l'arresto, mi condussero in zone impervie della
montagna a documentare e raccogliere resti, oggetti e foto di
tale triste passato. Trovai chiese distrutte, villaggi abbandonati,
oggetti d'uso comune, macine da grano in pietra, grotte con
migliaia di resti umani sgozzati nel 1915.
|
Monte Ararat (Turchia) - Il gregge di
pecore dell'autore dell'articolo, a circa 3000 metri |
“Il Grande Male”
Per anni continuai a documentare con foto, film e notizie raccolte
dai pastori, ciò che portò alla “sparizione”
sul monte spesso per sgozzamento o decapitazione, di circa 200.000
armeni, di cui il mondo non parlò! Quando anni dopo iniziai
a proiettare e presentare mie pubblicazioni nella stessa Armenia,
in alcuni atenei o a Parigi nella folta comunità armena,
notai la meraviglia dei presenti, nel venire a conoscenza che
una grossa parte del loro storico popolo antico era scomparsa
sulle pendici e negli anfratti del loro sacro monte Ararat.
Il negazionismo turco che parte sin dall'insegnamento scolastico
è continuato per decenni nel colpevole silenzio Europeo,
prima all'epoca del genocidio e dopo con la mancata divulgazione
postuma degli atroci eventi. “Il Grande Male”, come
gli armeni chiamano il primo genocidio della storia moderna,
non fu causato dalla differenza religiosa tra cristiani armeni
e musulmani turchi. Il triumviro al potere del Partito dei “Giovani
Turchi” progressista come almeno voleva presentarsi al
popolo, vide nell'alta cultura espressa in ogni campo dagli
armeni e dai greci, un potenziale pericolo. Essi avevano sviluppato
i commerci in ogni dove, dalle flotte di navi che arricchirono
Venezia, ai grandi musicisti, poeti e scrittori in Turchia,
all'avanzata agricoltura in Anatolia, allo sviluppo di tecnologie
in vari settori, quali l'edilizia. Ed infatti la prima fase
del genocidio partì dai vertici culturali ed economici
del Paese: a Costantinopoli vennero arrestati i primi 1200 notabili
per essere poi torturati e strangolati, per divenire subito
dei “desaparesidos”, i cui resti furono occultati
alle famiglie.
Per continuare la mia ricerca anche sui resti dell'arca, dovetti
acquistare un gregge di pecore con una famiglia curda di radici
armene che negli anni crebbe. Con tale sistema permisi a loro
di vivere un po' meglio, e a me di pagarmi le spedizioni con
la vendita di alcuni agnelli e lana e di mimetizzarmi meglio
con i pastori. Devo aggiungere che negli ultimi anni, la silente
persecuzione e impoverimento delle popolazioni curde ha portato
anche alla chiusura dei pascoli sulle pendici dell'Ararat.
Il diritto a idee diverse
Tale inasprimento ha tolto il cibo alle greggi, unico mezzo
di sostentamento dei pastori. Con una serie di conferenze ho
potuto inviare denaro per acquistare fieno che ha permesso di
mantenere in vita gli armenti durante i rigidi inverni.
Dopo molti anni riuscii a trovare delle grosse porzioni di legno
antico conservato nei ghiacci ad oltre 4300 metri, calandomi
nei crepacci. Sono gli unici pezzi di legno di fattura umana
ritrovati sull'Ararat, e alcune datazioni e studi sulle essenze
hanno riportato all'epoca del diluvio e alle zone mesopotamiche
di cui narrò la Genesi e l'Epopea di Gilgamesh.
Le successive esposizioni di immagini e materiale in due mostre
a Venezia e le varie conferenze in diverse nazioni hanno permesso
di divulgare anche le culture armena e curda, nonché
le sofferenze di due popoli di origini indoeuropee antichissimi,
che sfociarono in quasi 1.800.000 morti nel 1915, ed in altre
centinaia di migliaia di curdi deceduti negli anni successivi
a causa del freddo e delle privazioni inferte dal regime di
Ataturk.
Una parte di me continua a vivere con tali popoli amici, e la
ricerca di far luce su tali eventi del passato e del presente
a noi vicini, credo possa spingere le future generazioni a saperne
di più e ad impegnare le loro energie affinché
tali popoli privati delle loro terre, famiglie e sopratutto
della libertà di idee diverse, possano un giorno avere
almeno una parte di ciò che spetta loro.
Azad Vartanian
www.noahsark.it
Leggere
(e vedere) l'Armenia
“Armenia
misteriosa”
nuovi sentieri editore
“Tevah, il mistero delle due arche”
nuovi sentieri editore
“Il soave suono del duduk”
nuovi sentieri editore
“I Fiori santi dell'Ararat”
nuovi sentieri editore fumetti storici
“Ararat, la montagna del mistero”
di Paolo Cossi ed. Hazard
“Medz Yeghern, il Grande Male”
di Paolo Cossi ed. Hazard documentari
“Ararat, la montagna misteriosa”
regia di Roberto Soramaè
|
Pesaro/
Cucine in Movimento
Si è tenuta a Pesaro, dal 18 al 20 maggio, la terza
edizione del Festival delle Cucine in Movimento. “Dopo
essere stato ospitato in due grandi realtà come “Eat
The Rich” a Bologna nel 2016 e “CSO Forte Prenestino”
a Roma nel 2017, il Festival approda in una classica, piccola
realtà di provincia. Pesaro è solo apparentemente
tranquilla e “pacificata”: le contraddizioni sociali
non faticano ad emergere nonostante i tentativi, da parte dell'amministrazione
comunale, di conferirle l'immagine di ridente cittadina costiera.”
È
una Pesaro non “pacificata”, come scrivono gli organizzatori
dell'incontro, quella della Spazio popolare autogestito Malarlevèt
(che in pesarese significa educato male), erede dello storico
centro sociale Oltrefrontiera, insediato negli anni Ottanta
in un ex-asilo della città e che, dopo varie vicissitudini,
è stato chiuso nel 2016 dall'Amministrazione comunale.
Ora al Malarlevèt il comune ha “concesso”
uno spazio nell'estrema periferia della città. Edizione
quindi difficoltosa, che ha visto i gruppi di lavoro svolgersi
al Malarlevèt e il momento pubblico aprirsi invece al
Parco cittadino Miralfiore, con una affluenza e visibilità
decisamente penalizzate.
Sempre interessanti gli spunti di discussione, che prevedevano
il ragionamento sulla filiera alimentare (in programma anche
la presentazione dell'ultimo libro di W. Bukowski col suo Santa
crociata del porco), e sull'argomento sempre attuale del
rapporto tra “Organizzazione delle cucine, sostenibilità
e conflittualità politica”, tema quanto mai attuale,
visto lo stretto legame tra apertura di spazi sociali, vertenze
politiche e cibo: la dialettica e l'autofinanziamento nei movimenti
spesso passa per piatto e bicchiere.
Gli altri tavoli: l'“antispecismo, corpi ed ecologia politica”,
e “lo sfruttamento del lavoro nella produzione di cibo
e nel mondo della ristorazione”. Argomento importante,
quest'ultimo, per gli organizzatori, con forte presenza del
collettivo studenti della campagna Basta Alternanza e di alcuni
militanti di Potere al Popolo, che ci dicono della vita dei
più giovani pesaresi come spesso impegnati nel periodo
estivo in massacranti turni nella ristorazione e macchina alberghiera
della costa adriatica, e parlando della loro città sottolineano
una presenza pesante dei Fast food: “Fast food che, oltre
a proporre cibo scadente, hanno ora anche il vantaggio di avere
mano d'opera gratuita, con la scusa della formazione.
A Pesaro si paventa inoltre la comparsa di un presidio di Eataly
in pieno centro storico, in un locale che finora è stato
utilizzato per attività sociali e culturali.
In programma anche la presentazione del libro di Laura Castellani
“Essere contadine”. La giovane autrice, e non è
sempre facile trovare un punto di vista di una donna anche nel
mondo della nuova piccola agricoltura bio, è nota per
le sue riflessioni sulle politiche di affidamento del patrimonio
agricolo pubblico. Il legame tra abitazione, terreno e rete
sociale è individuato da Castellani come nodo fondamentale
per poter riorganizzare la vita su territori di latifondo che
lo Stato (vedi la recente asta della Banca delle Terre agricole,
nel 2017) pare avere ben poco interesse a mutare in terreni
di agricoltura residenziale e non industriale.
Francesca Palazzi Arduini
Jesi (An)/
Libri con le ruote
L'archivio-biblioteca del Centro Studi Libertari di Jesi nasce
dall'esigenza del gruppo anarchico locale di rendere disponibili
documenti e libri per cercare di mantenere viva e libera la
memoria collettiva per l'arricchimento culturale, sociale e
politico; interamente autogestito e fruibile fin dall'apertura
del CSL nel 1985 (riattivando il locale Circolo Studi Sociali
del 1944-45), viene continuamente alimentato dalle donazioni
di compagni e compagne che ritengono opportuno collettivizzare
il sapere per renderlo accessibile agli altri.
Ad oggi conta più di 11.000 titoli, senza conteggiare
i documenti e la pubblicistica.
L'archivio, suddiviso in emeroteca e fondi archivistici, è
disponibile per consultazioni, mentre la biblioteca fornisce
in prestito anche i libri che sono presenti in distribuzione,
entrambi sono divisi in sezioni (Anarchica, Saperi, Memoria,
Biblioteca Circolante) con le relative sotto-sezioni, consultabili
online con l'opac libertario OLA (http://ola.bida.im).
La sezione Biblioteca Circolante comprende testi di qualsiasi
genere che possono essere presi e/o scambiati, ovviamente la
quantità e varietà dei libri dipenderà
da chi contribuisce al ricambio di questi senza esaurire la
riserva libraria.
In pratica è BookCrossing senza l'aspetto burocratico
che concerne tale circuito.
Da giugno apertura estiva il sabato dalle 17.30.
Centro Studi Libertari di Jesi
Via Pastrengo 2A (Jesi - An)
cslfabbri@gmail.com
Piove di Sacco (Pd)/
Primo maggio anarchico
Anche quest'anno, ringraziando dio pluvio, siamo riusciti a
organizzare e portare a termine la festa del I° maggio.
Abbiamo scelto la stessa “location” degli altri
anni perché è un boschetto con annesso casone
(antica abitazione della campagna veneta), dove si può
stare tranquilli, discutere, ascoltare musica, far giocare i
bambini senza paura e stare in compagnia senza essere disturbati
da vicini o persone indesiderate.
|
Piove di Sacco (Pd) - Primo Maggio anarchico
promosso dall'Ateneo degli Imperfetti di Venezia-Marghera |
Il “Coro degli Imperfetti” e il gruppo “Berretto
Frigio” hanno dato una connotazione politica alla festa,
entrambi con canzoni di lotta e di Anarchia interpretate e arrangiate
in diversi modi. Poi il gruppo “I fioi de na volta”
(I ragazzi di una volta) gruppo di simpatizzanti, ha alleggerito
la festa coinvolgendo in canti e balli i partecipanti.
La festa è stata innaffiata da buon vino (senza esagerare)
e cibi a volontà condivisi, da e fra tutti, come è
prassi in una società libertaria. Tutti hanno collaborato
sia alla preparazione sia al disbrigo dell'area con i tavoli
e le sedute.
Grande successo hanno avuto la bancarella dei libri e la proposta
di stampe d'autore in vendita per finanziare i lavori di ristrutturazione
dell'Ateneo. Come è noto, spinti dalla speranza che la
sede dell'Ateneo continui ad essere una fonte di ricerca e produzione
del pensiero anarchico, la casa è stata acquistata confidando
nella partecipazione di tutti.
Diego Gastaldi
Addio
Soazza bella
foto di: Daniela Zarro
Soazza
(Svizzera), 5 maggio 2018 - Soazza è un paesino
quasi in fondo alla valle Mesolcina, nel cantone dei Grigioni.
Altezza sul mare: 623 metri. Nell'ospitale casa di Edy
e Daniela nonché sede de Les Milieux Libres Edizioni,
un sabato pomeriggio la redazione di “A” si
è incontrata con alcune anarchiche e anarchici
per impostare un dossier sul passato e il presente del
movimento anarchico e delle attività libertarie
nella Svizzera italiofona cioè nel canton Ticino
e in parte di quello dei Grigioni. Chi fosse interessato
al progetto contatti direttamente edy.zarro@bluewin.ch.
|
|