Rivista Anarchica Online





Viva la montAgna (e gli eretici e...)

Da dieci anni passo i mesi tra maggio e ottobre in una baita di montagna, a 1800 metri d'altezza, in mezzo ai boschi e ai pascoli. Quella non è una quota in cui abitare tutto l'anno: come i montanari miei vicini faccio la transumanza, salgo al disgelo e scendo quando torna la neve. Preferisco non esserci, mentre il pascolo davanti a casa mia diventa una pista da sci. Così l'inverno lo passo a Milano o in viaggio dietro ai miei libri: è una vita divisa in due che mi provoca qualche scompenso (in montagna mi manca la città, in città mi manca la montagna, in entrambi i luoghi ho amici che di colpo non mi vedono più per mesi), ma ho capito che è una vita giusta per me, risponde ai miei bisogni. Dunque, provo a portarla avanti e a stare bene.
All'inizio me n'ero andato in baita alla Thoreau, da cui il titolo di questa nuova rubrica di A: non solo per succhiare a modo mio “il midollo della vita”, ma per un rifiuto della società e delle sue regole. Per me Walden e Disobbedienza civile sono due libri gemelli, la capanna è anarchica tanto quanto il carcere subito per opporsi a una legge ingiusta (solo che nella capanna si sta meglio). Un altro seguace di Thoreau, Sylvain Tesson, scrittore e viaggiatore francese, ha scritto dal suo rifugio siberiano: “In città sia il liberale che l'uomo di sinistra, sia il rivoluzionario che il ricco borghese pagano il pane, la benzina e le tasse. L'eremita invece non chiede niente allo stato e non gli dà niente. Si rifugia nei boschi e ne ricava il necessario. Per il governo il suo isolamento è un guadagno mancato. In teoria, trasformarsi in una perdita di guadagno dovrebbe essere l'obiettivo dei rivoluzionari. Un pasto a base di pesce arrostito e mirtilli raccolti nel bosco è più antistatale di un corteo che sfili agitando una selva di bandiere nere. La solitudine è una rivolta.” (Nelle foreste siberiane, Sellerio 2012: un libro che consiglio a tutti).
Eppure, come ho scoperto dopo un paio di stagioni in baita, la rivolta solitaria ha vita breve. Nessuno di noi ha davvero la vocazione dell'eremita. La solitudine è un rito di passaggio: nella capanna cerchiamo silenzio e purezza, girando per i boschi pratichiamo la rivolta e la liberazione, e davanti al fuocherello celebriamo la morte del nostro vecchio detestabile io. Ma poi, se vogliamo andare avanti a vivere, dobbiamo tornare tra gli esseri umani. Tesson restò in Siberia per quattro mesi, a vedere com'era l'inverno sull'immenso lago Bajkal ghiacciato, e al disgelo rientrò a Parigi, alla società letteraria che lo coccolava, alle sue donne e ai suoi amici. Thoreau resistette di più: due anni, due mesi e due giorni in una baracca sul lago Walden, poi tornò a Concord, Massachussets, il lindo puritano e profumato buco di culo in cui era nato e cresciuto (c'è sempre un lago di mezzo. Mi sono chiesto perché e alla fine mi sono risposto: perché il lago è uno specchio e l'eremita è un narcisista, non desidera altro che guardare la sua immagine riflessa tutto il tempo). Io non volevo che finisse così. Non volevo scrivere un libro sulla vita in baita, chiudere quell'esperienza e ricominciare la vita in città da dove l'avevo sospesa. Ma qual era l'alternativa?
Questa: trovare o costruire una comunità intorno alla solitudine. Pensavo di essere andato in montagna per un bisogno individuale, e certo era stato così, ma poi leggendo e studiando mi rendevo conto di far parte di un fenomeno collettivo. Numericamente irrisorio, eppure osservando i dati faceva una certa impressione, dopo il crollo demografico del secondo Novecento (nella montagna dove abito è stato dell'80%), rivedere il segno più nelle tabelle, anche se è un più 0,1. Quel più è uno su mille che torna a vivere quassù: li chiamano, ci chiamano, nuovi montanari. Questo mi interessava molto.
“In casa mia avevo tre sedie”, scriveva Thoreau, “la prima per la solitudine, la seconda per l'amicizia, la terza per la società.” Non è detto che la capanna debba essere luogo da eremiti. Può anche essere parte di un villaggio o, ai giorni nostri, nodo di una rete. Così negli ultimi tempi ho cominciato a girare per le Alpi in cerca di nuovi montanari (l'Appennino mi è ancora estraneo, così come le Alpi oltre frontiera o i Pirenei, ma è una distanza che vorrei colmare).
È il mondo di cui mi occuperò in questa rubrica e ringrazio “A” di avermi offerto lo spazio per farlo: esiste una montagna libertaria a cui vorrei dar voce. Sono ben accette le lettere, le proposte, gli inviti, le segnalazioni. Viva la montAgna e gli eretici, i partigiani, i fuggitivi e i fuorilegge che in lei hanno sempre trovato rifugio.

Paolo Cognetti