Nebbiosi, Basaglia, Mastrogiovanni, il taser
intervista a Alessio Lega
“Amici, vi parlerò dell'isola. Qui nessuno ci
arriva da solo. Né porto né approdo sicuro. Isola
che mai sarai casa... Non giungono qui gli uomini attenti. Non
giungono qui guidati dal vento. Se arriva qualcuno lo portano
a forza. Isola che mai sarai casa.... Alcuni ci compiangono
a parole. Per pietà danno cibo e vestiti. Ma se dico
che voglio partire, nessuno che mi porti via... E consumo, consumo
tutti i miei giorni. Corridoio, giardino, volano i corvi. La
mia mente svanisce, marcisce il mio cuore. Nutro il mare che
mi dilania...”
Il poeta errante Michele Gazich mi invia questi versi, testimonianza
del suo viaggio e della sua ricerca sull'isola di San Servolo,
di fronte a Venezia. L'isola fu manicomio dal 1725 al 1978,
e nell'ottobre del 1944 da quest'isola vennero “ritirati”
gli ebrei presenti e deportati verso i campi di sterminio tedeschi.
Gazich, reclusosi a sua volta per andare a fondo, li canta
nel suo lavoro di canzoni, case di memoria. Quasi contemporaneamente
leggo, dalle pagine di “A”, un'interessante scambio
tra il “riluttante” psichiatra Piero Cipriano e
“l'internabile seconda ombra” Silvano Agosti, dove
si ripercorre la storia di Basaglia a 40 anni dalla “liberazione”
(?) dai manicomi.
Nello stesso periodo vado in giro con un lavoro sulla figura
e i temi di Peppino Impastato (a 40 anni dal suo omicidio) all'interno
del quale racconto di Franco Mastrogiovanni, crocefisso ad un
letto dalla “mafia” medica e di stato che ancora
oggi perseguita e uccide, soprattutto gli anarchici, con l'ausilio
delle telecamere.
Nel frattempo mi chiama Alessandro Montisci, del Centro di
Salute Mentale di Cagliari, per propormi una collaborazione
come moderatore su alcuni temi della legge 180 che vede tra
gli ospiti Franco Rotelli, uno dei più stretti collaboratori
di Franco Basaglia.
A suggellare il momento, mi arriva da Valter Colle, folle
editore friulano, la ristampa di un disco, meglio sarebbe dire
la ristampa della cartella clinica del “basagliano”
Alessio Lega. E chi ti trovo “ricoverato” tra gli
appunti sonori e quelli scritti di Alessio? ...il riluttante
Cipriano, lo psichiatra democratico che soffiava la malattia
mentale in un clarinetto, Gianni Nebbiosi, i suoni e “le
voci di dentro” di Rocco Marchi e la pecora nera Ascanio
Celestini che dà voce alle parole di una ballata di Alessio
sul gigante buono Mastrogiovanni.
Insomma, dopo il numero d'appello, Nina e l'alcolizzato,
continuarono gli altri fino a leggermi Alessio e Rocco “e
ti chiamaron matta”.
G.F.
Gerry Ferrara – Dunque, caro cantore Alessio,
il “quadrato” si chiude (allegoria dello spazio
abitativo perimetrale in cui ognuno di noi vive da internato...),
era ineluttabile che ti chiedessi, dalle folli e internabili
pagine di “A” il resoconto del tuo nuovo, vecchio,
vizio di “fumarti” le storie degli altri. Raccontaci...
Alessio Lega – Le storie, anche quelle cantate
che noi chiamiamo “canzoni”, secondo me sono a disposizione
di tutti. Anzi, credo proprio che le storie e le canzoni muoiano
se qualcuno non continua a interpretarle. Queste sei canzoni
di Gianni Nebbiosi mi son sempre parse indispensabili per allacciare
alla nostra memoria il tempo – sembra lontanissimo –
in cui abbiamo portato i cosiddetti matti fuori dalle gabbie
che gli avevamo costruito.
Certo, è stato un percorso difficile, accidentato, non
del tutto riuscito, ampiamente tradito. Ma ci insegna che questo
non è sempre stato un Paese di merda. Ricordarcelo non
può che farci bene. Oltretutto sono canzoni poeticamente
e musicalmente bellissime.
Senza tener conto di ristampe o di ricorrenze basagliane,
qual è la tua ossessione fertile, per tornare sul tema
in questione.
La repressione della diversità – e non pensiamo
solo ad Artaud, a Van Gogh, a Hölderlin, ai grandi folli-illuminati,
pensiamo al “fuori di testa” che incontriamo ogni
giorno e non ha apparentemente nulla di eroico e di immortale
– è un fatto che allarma innanzitutto i ribelli,
che sono sempre stati rinchiusi fra i matti. Poi gli artisti
che vedevano colori e sentivano suoni e voci nella loro mente
e che sono visitati da idee fisse.
Più in generale i poveri cristi, quelli senza un soldo,
perché nel manicomio Lapo Elkan, per quanto siano stravaganti
e assurdi i suoi comportamenti, non finirà mai in nessuna
epoca, ci finirà invece chi non ha con sé un paracadute
che è anzitutto economico. Visto che io sono anarchico,
artista e povero in canna, la questione mi riguarda personalmente.
C'è una sorta di contenzione, di seconda ombra
fra te e Gianni Nebbiosi. Svelaci la causa e la cura, semmai
esista una cura per un rapporto così “anomalo”.
Per quanto sembri assurdo, visto che sono dieci anni che convivo
strettamente con le sue canzoni in modo pubblico, e trenta che
le conosco e le amo, io Nebbiosi non sono mai riuscito a incontrarlo.
Ho conosciuto decine di suoi collaboratori dell'epoca del Canzoniere
del Lazio, conosco benissimo e stimo Sara Modigliani che fu
sua moglie, e che è una delle più grandi cantanti
di musica popolare, con la quale ho avuto il privilegio di salire
sul palco... ma lui no, per ragioni che mi sfuggono (io abito
a Milano e lui a Roma, non in Himalaya o Terra del Fuoco) non
siamo mai riusciti ad incontrarci. Non so se questo rapporto
sia una malattia o una cura, certo è bizzarro.
Un'esperienza che non possiamo sentire lontana
Nebbiosi, nel 1971, a 27 anni, nella prefazione
originale al suo “E ti chiamaron matta” (che hai
inserito nel tuo diario di viaggio sulle canzoni dei matti),
racconta del suo “disagio” durante l'esperienza
politica del Movimento Studentesco, nel momento in cui, musicalmente,
doveva affrontare i temi legati “alle sofferenze e alle
lotte degli sfruttati, degli operai, e dei contadini”
affermando la sua origine borghese e la contraddizione di farsi
portavoce di istanze di cui conosceva ben poco. Mi sembra un
ragionamento di disarmante lucidità e di profonda e ineccepibile
analisi rispetto ad una serie di questioni legate, soprattutto
negli anni ‘70, anche a quel fermento musicale di protesta,
di lotta, di canto di tradizione popolare che molto spesso era
lontano dalle barricate.
Quel discorso che fa il giovane Nebbiosi nelle note di accompagnamento
del suo disco originale, e che io ho in parte riportato nel
libretto di questa nostra ri-incisione, lo trovo estremamente
interessante. Il rapporto con la sofferenza mentale è
un fatto che ci deve riguardare tutti, che ci coinvolge tutti,
un'esperienza che non possiamo sentire lontana. La sua repressione
però – insisto, perché questa è la
parte del pensiero di Basaglia che più sovente viene
dimenticata e tradita – è legata all'appartenenza
di classe, a ragioni economiche. Quindi cantare la follia equivale
a cantare l'empito verso la libertà, ma anche quello
per l'eguaglianza.
Con Rocco Marchi, quale terapia, che tipo di psicosostanze
utilizzate per provare a portar fuori le storie degli altri,
per provare a volare sul nido del cuculo.
Mi stupisce che proprio tu me lo chieda. Ognuno ha le sue sostanze
preferite (da ragazzo ho scoperto che l'eroina era troppo dannosa
e ho adottato la Pasta alla Norma e il Risotto Giallo), ma la
sostanza psicotropa principale resta la musica.
In effetti anche tu hai uno sguardo “basagliano”,
sei una camminatore di corridoi dei confini umani... Silvano
Agosti, proprio nell'intervista con Piero Cipriano, afferma
di essere affascinato dai matti “perché c'è
qualcosa nella follia che assomiglia alla fragranza della creatività...
e la negazione di poter esprimere la propria creatività
può portare all'esplosione della follia con le caratteristiche
imprevedibili della creatività frustrata”. Per
uno come te, creatore e portatore ossessivo-compulsivo di storie,
che tipo di frustrazione può essere dannosa?
Siamo tutti preda di una quantità enorme di frustrazioni,
questa società si basa sui pilastri della frustrazione
e dell'alienazione. La guerra contro i migranti, di cui assistiamo
l'evolversi orribile giorno per giorno, è chiaramente
un elettroshock sociale, che ci sta intorpidendo e incattivendo
sempre di più. Una cura sbagliatissima e dagli esiti
probabilmente drammatici: se va avanti ne usciremo distrutti
come civiltà. La mia antitetica “malattia”
è quella della memoria delle storie che ci insegnano
che l'uomo ha aspirato a qualcosa di grande e di sublime: le
sue rivolte contro l'ingiustizia, la sua solidarietà,
la sua bontà.
Fai parte dello schedario di Valter Colle, hai saldato
un debito con Franco Coggiola stando fuori dal gregge con la
“pecora nera” Celestini con il quale hai condiviso
“87 ore” per la ballata che racconta Franco Mastrogiovanni...
quante storie “sotto il vento e le vele” della nave
dei folli.
...e non solo, ho anche tentato di rispondere a queste tue folli
domande, per una pazza rivista sulla quale io stesso scrivo
follemente di musica da vent'anni.
La riluttanza alle psico-pistole
E qualcuno poi disse “Guarda lì l'agitato,
son passati otto mesi, sembra un po' migliorato...”. Caro
fratello cantore Alessio, fai attenzione al riluttante Cipriano,
psichiatra Piero, che conosce bene l'utilizzo del Taser, la
pistola che fa la contenzione perfetta.
La battuta amara e paradossale con la quale Cipriano chiudeva
il suo intervento sul Taser nel numero
di giugno di “A” «dopo aver lottato contro
il manicomio concentrazionario, quello chimico e quello elettrico,
devo iniziare adesso a predicare e praticare la riluttanza alle
psico-pistole» in effetti riapre l'antica ferita sulla
mai del tutto dismessa elettro-convulsione, nota come elettroshock.
Sono molto fiero delle parole che ho raccolto da Piero per corredare
il mio disco. Però voglio qui ribadire una cosa: Cipriano
è uno straordinario scrittore, non facciamoci trarre
in inganno dalla forza dei suoi temi, perché la sua abilità
è innanzitutto la parola, l'architettura della frase,
l'organizzazione cristallina e insieme etica del pensiero. Non
vedo l'ora di leggere un suo romanzo.
Quanto al suo lavoro di psichiatra (per quanto riluttante) negli
ospedali di Stato, che mi è già costato critiche
e reprimende di compagni che militano nell'anti-psichiatria,
seguaci di Giorgio Antonucci (che pure ebbi il privilegio di
conoscere), per cui non solo il manicomio ma la psichiatria
stessa andava distrutta, io non ho davvero l'autorità
e la consapevolezza per capire se la battaglia può essere
fatta da dentro (come già fece Basaglia). Sono però
certo che se Mastrogiovanni avesse incontrato un Cipriano invece
dei suoi assassini, oggi potremmo ancora bere un bicchiere assieme.
Molto efficaci le foto che accompagnano questo tuo
diario di viaggio, come nasce e dove si sviluppa l'idea... e
per finire, se Alessio Lega avesse continuato a fare il disegnatore
di fumetti, come avrebbe immaginato di raccontare la follia
e chi la canta?
Questa delle foto è un'altra bella storia di incroci
che risale al 2008, data della pubblicazione originaria di questo
disco, oggi ristampato in versione accresciuta. Finito il disco,
io e Rocco partimmo in una serie di concerti di presentazione
negli ex-luoghi di cura, spesso trasformati in qualcos'altro
(sedi di cooperative, teatri, sedi universitarie, ecc.), una
di queste era il Sant'Osvaldo di Udine, dove aveva operato un
direttore molto legato a Basaglia, Mario Novello. Lui ci permise
di entrare col nostro editore Valter Colle e col fotografo Alberto
Di Giusto nei padiglioni dismessi ma rimasti esattamente com'erano
prima della Legge 180. Incrostati a quei muri c'erano rimaste
le urla degli shockati, la contenzione, l'assenza di ogni intimità,
la privazione della personalità: tutte le caratteristiche
del mondo concentrazionario. Lì facemmo delle foto molto
cariche di emozione... due o tre le abbiamo riprese per il ricchissimo
libretto della ri-edizione, quella in copertina invece è
una foto fatta proprio da Valter Colle (l'editore) a Di Giusto
che a sua volta ci stava fotografando in un reparto. Non so
perché, ma la trovo molto rappresentativa di tutti questi
incroci.
Curioso anche che tu mi chieda come vedrei questa storia da
fumettista: non ti nego che all'epoca della tragedia di Mastrogiovanni
avevo proprio pensato a un fumetto che accompagnasse la nostra
lunga ballata, ovviamente non disegnato da me (che ho appeso
i pennelli al chiodo)... non è detto che questa cosa
non la si faccia davvero, magari presto.
L'anno prossimo saranno passati dieci anni dal calvario di Franco
Mastrogiovanni, e sono certo che quella storia così dolorosa,
così divisiva (uno dei principali responsabili del suo
TSO fu il sindaco Angelo Vassallo, poi santificato dal martirio),
così paradigmatica, in pochi vorranno ricordarsela. Ma
noi non possiamo lasciare indietro i nostri compagni, il Mondo
Nuovo lo costruiremo anche con loro. Nessuno sarà morto
inutilmente per l'anarchia.
Gerry Ferrara
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