Cile
La memoria dell'acqua
dal docufilm di Patricio Guzmán trascrizione di Alba Monti
Cile. Il genocidio degli indigeni della Patagonia nel XIX secolo e i desaparecidos della dittatura di Pinochet, un secolo dopo. Storie, documenti, analogie, il cui filo conduttore è l'acqua. Che di questi fatti conserva memoria.
Lacqua: il confine più
lungo del Cile; forma un estuario chiamato Patagonia occidentale.
Qui la Cordigliera delle Ande scompare nelle acque e riemerge
sotto forma di migliaia di isole.
Prima dell'arrivo dell'uomo bianco, i primi abitanti della Patagonia
vivevano in comunione con il cosmo; lavoravano la pietra per
garantirsi il futuro; viaggiavano via acqua; vivevano sommersi
dall'acqua; mangiavano ciò che l'acqua portava con sé.
Arrivarono diecimila anni fa: erano nomadi dell'acqua; vivevano
in tribù che si spostavano per i fiordi; viaggiavano
di isola in isola; ogni famiglia teneva un fuoco acceso al centro
della canoa. C'erano cinque gruppi: i Kawésqar, i Selk'nam,
gli Alakaluf, gli Haush e gli Yámana. Tutti viaggiavano
per mare.
Ancora oggi non sappiamo come fossero in grado di prevedere
il tempo. Si stima che nel XIX secolo vi fossero 8 mila persone
con 300 canoe che si muovevano in questo immenso arcipelago.
Oggi ci sono solo 20 discendenti diretti di questo popolo dell'acqua.
- Gabriela, tu ti senti cilena?
- No, per niente!
- E cosa si senti?
- Kawésqar!
- Raccontami di te.
- Una volta, con mia madre, eravamo su un'isola, vicino a
Natales... non lo so esattamente dove. Mi avevano mandata lì
perché non avevamo acqua. Non c'era un pozzo, un fiume,
niente... eravamo andate a prendere l'acqua e dall'altra parte
c'era un fiume. Io sapevo già remare un po'. Per remare
ci vuole forza, non è facile, soprattutto quando c'è
vento. Dovevamo saperlo fare per forza. Imparai anche ad andare
sott'acqua, dovetti imparare! Avrò avuto 7 o 8 anni e
alla mia prima immersione presi una cozza, fu allora che mi
dissero che potevo prendere dei molluschi da mangiare, quello
era il nostro cibo; allora mangiavamo soltanto molluschi.
Per Gabriela, l'acqua è parte della sua famiglia; lei
accetta sia i pericoli sia il cibo che il mare le offre. Io
invece, che mi sento cileno, non mi sento vicino al mare; nei
confronti dell'Oceano provo ammirazione e allo stesso tempo
timore. Questo ha a che fare con la mia infanzia: un'estate
un mio compagno di scuola fu portato via dal mare, stava saltando
da una roccia all'altra, in mezzo alle onde che si infilavano
come artigli tra gli scogli. Il suo corpo non fu mai ritrovato.
Fu il mio primo desaparecido...
Gli indigeni della Patagonia furono il primo e unico popolo
marittimo del Cile. Noi, i cileni di oggi, abbiamo perduto questa
intimità con il mare. Invece per gli indigeni e gli astronomi
l'acqua è un'idea, un concetto che è inseparabile
dalla vita.
Mi chiedo quanto tempo avrà viaggiato la cometa che ci
ha portato le prime gocce d'acqua!
Ogni goccia è un mondo a parte. Ogni goccia è
un respiro.
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Qui
e nelle foto seguenti: Cile - Indigeni/e della Patagonia |
Come antropologo, Claudio Mercado ha imparato dagli indigeni
il linguaggio dell'acqua:
- I nativi americani credono che ogni cosa sia viva e abbia
uno spirito, che l'acqua sia viva e abbia uno spirito, dunque
l'acqua è fonte di musica. Tutto ciò che si muove
produce suono, e il resto è movimento, quindi sta producendo
suono in continuazione. Così è per l'acqua. Ho
iniziato ad ascoltare il rumore del fiume e all'improvviso ho
cominciato a sentire della musica, perché un fiume ha
il suono di mille suoni insieme; possiamo separarli, ascoltarli
uno alla volta. E allora ne ascolti uno, e ti soffermi su quello;
poi un altro, poi dieci suoni... e avviene la magia: senti un
suono diverso, che è un canto...
Un oceanografo mi insegnò che l'azione del pensare somiglia
all'oceano: le leggi del pensiero sono le stesse dell'acqua,
che è sempre pronta ad adattarsi a tutto. Forse questa
è la spiegazione di come questi gruppi di uomini e donne
abbiano potuto vivere qui per anni a temperature polari: adattandosi.
Vivevano nel luogo più remoto, nella regione meno popolata.
Non avevano città, non costruirono monumenti, ma sapevano
disegnare. A uno di questi gruppi, i Selk'nam, venne l'idea
di disegnare sui propri corpi. Dopo la morte credevano di potersi
trasformare in stelle. Nella loro mitologia si fa riferimento
alla costellazione di Orione e alla Croce del Sud. Ancora oggi
non conosciamo il significato di questi disegni. Il poeta cileno
Raúl Zurita ci spiega come i Selk'nam fossero un popolo
di grande complessità e ricchezza: “I loro disegni
mostrano il cosmo intero; e lo mostra il modo in cui dipingevano
i loro corpi, e come li trasformavano. Per questo popolo, le
stelle sono gli spiriti degli antenati.”
L'arrivo dei coloni
Nel 1883 arrivarono i coloni, i cercatori d'oro, i militari,
la polizia, gli allevatori di bestiame e i missionari cattolici.
Dopo secoli vissuti insieme all'acqua e alle stelle, gli indigeni
vissero l'eclissi del loro mondo. Il governo cileno, che sosteneva
i coloni, dichiarò che gli indigeni erano corrotti, ladri
di bestiame e barbari.
Molti di loro trovarono riparo sull'isola Dawson, dove si trovava
la missione principale: li derubarono del loro credo, della
loro lingua, delle loro canoe; li vestirono con abiti usati
che erano contaminati con i germi della “civiltà”;
la maggior parte di loro si ammalò e morì in meno
di cinquant'anni. Gli altri divennero preda dei cosiddetti “cacciatori
di indios”: gli allevatori pagavano una sterlina per un
testicolo di uomo, una sterlina per un seno di donna e mezza
sterlina per le orecchie di un bambino...
Così commenta Gabriel Salazar, storico cileno: Io
credo che questa storia dovrebbe essere raccontata molto più
spesso. I coloni cileni, appoggiati dai coloni stranieri, continuarono
a spingersi a sud per creare grandi aziende agricole; i cileni
ne trassero profitto, ottenendo dal governo terre da occupare
e coltivare per trasformarle in fattorie. Cominciarono a sterminare
la gente del sud, a eliminarla e a ucciderla nel modo selvaggio
che ben conosciamo. I responsabili non furono mai condannati,
per nessuno di questi massacri...
Gli ultimi gruppi sprofondarono nella miseria e nell'alcolismo,
e agli occhi di coloni diventarono mostri.
Nel XVI secolo anche gli spagnoli videro dei mostri in Patagonia;
affermarono che c'erano dei selvaggi giganti, li chiamarono
patagones a causa dei loro piedi nudi.
Io mi domando: sarà accaduta la stessa cosa su altri
pianeti? L'atteggiamento dei più forti sarà sempre
stato uguale ovunque? Uno dei pianeti della Terra Bis scoperto
in Cile potrebbe avere un oceano enorme: ci saranno esseri viventi?
Ci saranno alberi per fare canoe? Gli indigeni avrebbero potuto
vivere in pace su questo pianeta? Pensare queste cose è
irreale, però mi azzardo a farlo perché mi piacerebbe
che questi popoli dell'acqua non fossero scomparsi.
Attraverso loro la lingua è sopravvissuta per centinaia,
forse migliaia di anni. Ci sono arrivate, così, le parole
foca, balena, canoa, remo, papà, mamma, bambino, sole,
luna, stella, pioggia, mare, acqua, uomo buono, uomo cattivo.
Invece “non conosciamo la parola dio perché non
ce l'abbiamo mai avuto - spiega Gabriela - e neppure polizia
perché non ne abbiamo mai avuto bisogno.”
Quando era bambina, Gabriela attraversò in canoa quasi
tutta la Patagonia remando per mille kilometri. La prima volta
che ho visto Gabriela è stato in una fotografia; è
stata anche la prima volta che ho visto quasi tutti i sopravvissuti
della Patagonia. Una bravissima fotografa di Santiago era stata
attratta dai volti di questo popolo molto prima dei libri di
storia. Per anni, per secoli, i fueginos sono stati persone
invisibili. Nella stessa epoca in cui Gabriela faceva il suo
viaggio di 1000 kilometri e faceva immersioni in mare, io andavo
a scuola e vivevo sulla costa, ma noi alunni non sapevamo nulla
dei popoli del sud; tra me e Gabriela c'erano vari secoli di
distanza. In quegli anni io preferivo leggere i romanzi di Jules
Verne, eppure non conoscevo l'unico indigeno che aveva lasciato
un segno nella storia: il suo nome è Jemmy Button. Ho
scoperto la sua vita solo molto più tardi.
L'avventura di Jemmy Button mi sembrò quasi una leggenda
quando la lessi per la prima volta, ma è una storia vera.
All'inizio del XIX secolo, una nave inglese arrivò in
Patagonia sotto il comando del capitano FitzRoy, la cui missione
era disegnare i mari e le coste di questa terra. Disegnò
ottime mappe che vennero utilizzate per tutto il secolo seguente;
fu la prima persona a disegnare indigeni dal volto umano. Il
capitano, che aveva ideali umanistici, ebbe una trovata insolita:
portare quattro indigeni in Inghilterra per civilizzarli. Uno
degli indigeni salì a bordo in cambio di un bottone di
madreperla; per questo gli inglesi lo chiamarono Jemmy Button.
Fu vestito con abiti da marinaio e poi come un lord inglese.
Per più di un anno Jemmy Button visse su un pianeta sconosciuto.
Navigò dall'età della pietra alla rivoluzione
industriale... viaggiò 1000 anni nel futuro... e poi
1000 anni indietro nel passato... dopo che fu diventato un gentiluomo
il capitano lo riportò in Patagonia. Appena mise piede
sulla sua terra natale, Jemmy Button si tolse gli abiti inglesi,
continuò a parlare per metà in inglese e per metà
nella sua lingua, si lasciò di nuovo crescere i capelli,
ma non tornò mai ad essere quello che era prima.
Quello fu l'inizio della fine dei popoli del sud: le mappe di
FitzRoy aprirono le porte ai coloni. Per 150 anni un pugno di
uomini bianchi governò con mano ferma un paese silenzioso.
L'oceano e la repressione
Poi la dittatura si abbatté sul Cile e durò sedici
anni. Ci furono 800 prigioni segrete con 3500 agenti, molti
dei quali praticavano la tortura. In alcune regioni i prigionieri
venivano squartati vivi; le donne venivano stuprate davanti
ai mariti o ai figli; uomini e donne venivano appesi al soffitto;
la loro pelle veniva bruciata con l'acido e con le sigarette;
vennero torturati e torturate con scariche elettriche su tutto
il corpo; vennero drogati; vennero sgozzati; vennero imprigionati
in scatole di un metro cubo. Di solito, l'informazione che volevano
ottenere la conoscevano già: torturavano per sterminare.
Per anni i militari e i civili coinvolti non dissero dove si
trovavano i prigionieri. Dawson, l'isola in cui morirono centinaia
di indigeni nelle missioni cattoliche, fu trasformata in campo
di concentramento per i ministri di Salvador Allende che vennero
deportati da Santiago. A Dawson furono anche incarcerati e torturati
più di 700 sostenitori di Allende che vivevano a Punta
Arenas, la capitale della Patagonia. Loro furono vittime di
una violenza già nota agli indigeni.
In Cile si sono accumulati secoli di impunità, Dawson
è soltanto un capitolo.
In quegli anni di piombo, la corrente di Humboldt portò
a riva un corpo, nella stessa regione in cui era scomparso il
mio amico d'infanzia. Non era il corpo di un bambino, ma di
una donna; nessuno sapeva chi fosse. La gente cominciò
a sospettare che l'Oceano fosse un cimitero. Trent'anni dopo,
alcuni ufficiali della dittatura confessarono che, forse, qualche
persona era stata buttata in mare; una di loro era Marta, la
donna della spiaggia. L'avvocato della sua famiglia riferisce
che “le sue lesioni sono principalmente interne; il corpo
mostra altri segni di tortura, ha dei tagli; per quanto riguarda
il volto, ciò che colpisce è che ti sta guardando,
ha gli occhi aperti e ti sta guardando. Stranamente i suoi occhi
sono intatti, e la cosa non è molto comune per un corpo
che è rimasto molto tempo in acqua. L'impressione è
che sia sveglia e che ti stia guardando.”
Mi chiedo: quale sarà stata l'ultima cosa che ha visto?
Vide altri prigionieri vicino a lei? Ho deciso di ricostruire
gli ultimi momenti di una vittima, per poterci credere. Mi ha
aiutato uno scrittore e giornalista. “Secondo varie testimonianze,
veniva fatta loro una iniezione, alcuni dicono che fosse di
cianuro, ma secondo altri si trattava di pentothal: era un modo
per essere certi della morte del prigioniero. Una rotaia del
peso di almeno trenta kili veniva messa sulla cassa toracica.
Le rotaie provenivano dalla caserma di Puente Alto; la persona
che le portò fu uccisa dalla polizia segreta per aver
parlato troppo. Per terminare l'impacchettamento mettevano delle
buste di plastica, una a partire dalla testa e l'altra dai piedi,
in modo che si incontrassero al centro; quindi dei sacchi per
patate con lo stesso procedimento: dai piedi in su e dalla testa
in giù, per unirsi al centro. Poi aspettavano gli elicotteri
e gli aerei da cui li avrebbero gettati in mare.”
“Cosa successe con il corpo di Marta?”
“Successe che questa prigioniera, quando era già
sull'aereo, cominciò a muoversi. Ciò che fecero
fu slegare le buste e toglierle dal corpo; aprirono tutto e
si resero conto che era viva, perciò con lo stesso cavo
che la teneva legata la strangolarono. Poi il pacco fu sigillato
male, e questo spiega come il suo corpo sia arrivato alla spiaggia.”
Secondo i rapporti giudiziari, le forze armate cilene gettarono
nell'Oceano tra le 1200 e le 1400 persone, vive o morte. Fecero
questo con l'aiuto di molti civili. Speravano che il mare avrebbe
mantenuto il segreto del loro crimine.
Juan Rebolledo, meccanico nell'aviazione militare cilena, così
racconta: “Questo accadde nel novembre del '79. Quando
salii sull'elicottero – noi meccanici salivamo dalla porta
laterale – mi resi conto che c'erano due corpi: uno di
una donna e vidi che era giovane, l'altro di un uomo; vedevo
il corpo, ma la faccia era coperta da un sacco. E c'era una
rotaia attaccata al corpo. Quello fu il giorno più difficile
della mia carriera, perché dissi loro che Dio ci avrebbe
puniti perché quello che stavamo facendo era un crimine.
Nel mio secondo volo, nel giugno del 1980, ci saranno stati,
a giudicare dalle macchie rimaste, 4 o 5 corpi. Ebbi l'impressione
che fossero stati uccisi da poco, viste le macchie di sangue
lasciate. Erano quattro civili. Spinsero fuori i corpi usando
il portellone che di solito si usa per caricare le merci; era
più comodo piuttosto che trascinarli di peso fino alle
porte laterali. Quelli più vicini alle porte laterali
furono gettati fuori da lì, gli altri dal centro.”
Non c'è limite alla crudeltà: non ebbero nemmeno
la pietà, la compassione di restituire i cadaveri. Eppure
è scritto fin dalla storia più antica che il cadavere
del nemico va restituito perché i suoi parenti possano
continuare a vivere. Perché possano elaborare il lutto,
il cadavere va restituito. Perché il morto possa finire
di morire e i vivi possano continuare a vivere. È così
brutale ciò che è successo nel Cile, nel nostro
Paese. L'impunità è un ulteriore omicidio, è
come uccidere due volte la persona morta. Trovare il colpevole
non è la fine del cammino, è soltanto l'inizio.
Una storia di sterminio
Fin da bambino, Raoul faceva immersioni vicino a quelle rotaie: quasi tutti, in paese, sapevano che c'erano, ma la gente aveva paura. Nel 2004 il giudice Guzman ordinò agli ispettori di trovarle; fu Raoul a scendere in fondo al mare. Quaranta anni dopo le rotaie erano coperte di segni: l'acqua e le sue creature vi hanno impresso questi messaggi; qui ci sono i segreti lasciati sulle rotaie dai corpi prima di sciogliersi nell'acqua e prendere la forma dell'oceano. Osservando ciascuna delle rotaie vennero scoperti altri reperti. Fu trovato un bottone di madreperla attaccato a una rotaia.
Questo bottone è l'unica cosa che resta di qualcuno che è stato lì.
A Jemmy Button, in cambio di un bottone di madreperla tolsero la libertà, la vita. Quando fu riportato sulla sua isola, Jemmy Button non recuperò la sua identità, ma diventò un esule sulla sua terra. I due bottoni raccontano la stessa storia. Una storia di sterminio. È probabile che ci siano molti altri bottoni, nell'Oceano.
“In questo dettaglio c'è tutto condensato, compresso, come un buco nero - continua Gabriel Salazar - perché ci si può immaginare la rotaia e ricostruirne la storia: gli operai che la fecero, che la tagliarono, che la posarono. E così si può ricostruire la storia del bottone: il bottone ci porta a una camicia, a una persona, a una situazione, magari alla stessa Villa Grimaldi e a tutto ciò che lì accadde. È un dettaglio che cresce, si espande, si amplifica, come tante onde che vanno in direzione diverse. È la storia del Cile e di tutto ciò che avvenne sotto la dittatura...
Quando si guarda il mare - l'acqua - si guarda l'umanità intera. Queste terre sono meravigliose ma, allo stesso tempo, sono impregnate di sangue e racchiudono il peggio di noi stessi. Questa parte di storia, associata all'acqua, al ghiaccio, ai vulcani, è anche associata alla morte, ai massacri, alla violenza, al genocidio. È una parte. Se l'acqua ha memoria, si ricorderà anche di questo.”
trascrizione di Alba Monti
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