Green economy?/ Bisogna abbandonare il capitalismo
In questo periodo si discute molto dell'auto elettrica e dei suoi effetti sull'ambiente. L'attenzione è aumentata in seguito alla proposta del M5S di inserire un bonus-malus per incoraggiare l'acquisto dell'auto elettrica e scoraggiare quello delle auto tradizionali a benzina o diesel. Le valutazioni fatte su questo tipo di proposta sono state di diversa natura: in alcuni casi sono stati messi in evidenza, timidamente, dei dubbi sulla reale portata ecologica del provvedimento, in altri, fortemente più numerosi, si è accettato il ruolo di presunta difesa dell'ambiente, risaltando, però, gli effetti negativi sulla crescita dell'economia italiana.
Una tale scelta, infatti, potrebbe penalizzare le automobili prodotte in Italia e conseguentemente i settori a queste associate. Inserire un malus nei confronti delle automobili non-elettriche equivarrebbe, dunque, ad una penalizzazione dell'economia italiana. Un altro tipo di critica riguarda, invece, la natura non sociale del provvedimento: colpendo, ad esempio, la Fiat Panda (non elettrica e con un prezzo relativamente basso) e riducendo il costo di alcune auto elettriche molto costose, si finirebbe per colpire i settori sociali più fragili.
Ciascuno di questi tre aspetti si basa su una visione falsata dalle potenzialità dell'innovazione tecnica e dello spirito capitalistico.
L'urgente necessità di cambiare
Partendo dall'aspetto relativo al minore o maggiore impatto ambientale dell'auto elettrica, sarebbe bene ricordare al M5S i numerosi studi che mettono in evidenza le criticità legate a questo tipo di veicolo. Tra le molte ricerche effettuate, è stato messo in luce che la CO2 emessa nell'intero ciclo di funzionamento dei veicoli elettrici risulta molto simile ed in alcuni casi anche maggiore rispetto ad altre tipologie di vetture.
Conclusioni simili sono presenti in altri studi e vengono ben illustrate nel libro Green Illusion di Ozzie Zehmer (University of Nebraska Press, Lincoln and London, 2012, sfortunatamente ancora non tradotto in italiano). Questo saggio ci invita a riflettere su tutto il ciclo di produzione dell'auto elettrica. Per costruire un veicolo elettrico occorrono, infatti, numerosi metalli e altre sostanze “rare” non richieste nella costruzione delle altre tipologie di vetture.
Ad esempio, il litio, elemento base nella produzione delle batterie, pur essendo diffusissimo in natura, si trova solo in forme estremamente diluite. Oggi alcuni laghi salati del Cile e della Bolivia sono considerati le riserve economicamente più importanti e, dunque, più colpite dalle conseguenze della sua estrazione. Se nell'estrazione del petrolio generalmente le compagnie petrolifere bucano una superficie sufficiente a scavare il pozzo, l'estrazione mineraria richiede l'asportazione e la lavorazione di ampi strati di terreno. Dico questo non per elogiare l'estrazione petrolifera né le automobili che utilizzano la benzina (i danni creati da questo meccanismo sono visibili e molto chiari), ma per sottolineare che i due tipi di autovetture presentano problemi diversi nella forma, ma uguali nella sostanza della loro natura distruttiva dell'ecosistema.
L'estrazione mineraria crea, dunque, forti problemi collegati all'intervento sul suolo. In questa fase gli elementi del terreno che vengono portati in superficie (come mercurio, arsenico, piombo, cadmio, rame, selenio etc.) risultano tossici in molti casi e possono creare danni inestimabili se finiscono nelle falde freatiche e nei corsi d'acqua. È bene tener presente, inoltre, che anche nell'attività estrattiva dei materiali e nella successiva lavorazione di questi vi è produzione di CO2. Alcuni ambientalisti e alcune ambientaliste, proprio per evitare di affrontare le problematiche fino a qui esposte, preferiscono occuparsi esclusivamente di riscaldamento climatico e di emissioni di CO2 e non dell'impatto ambientale dell'intero processo, rispetto al quale risulta evidente l'urgenza di mettere in atto politiche di altra natura.
Grandi speranze, terribili fallimenti
Se lo spirito del capitalismo non verrà ripensato, continueremo ad assistere ogni anno all'estinzione di decine di migliaia di specie viventi e alla lenta e inesorabile mortifera agonia di un ambiente che giorno dopo giorno risulta sempre più colpito. Da una parte, quindi, si ha la necessità di ridurre al massimo l'utilizzo di quelle macchine, come l'autoveicolo, che hanno un forte impatto ambientale: recuperare la consuetudine a spostarsi in bicicletta come facevano i nostri nonni e le nostre nonne, favorire il trasporto pubblico, diffondere pratiche di condivisione dei veicoli. Dall'altra potremmo sforzarci di abbandonare la cieca fede nel progresso tecnologico che tanto caratterizza la nostra epoca. Reintrodurre il senso del limite, la convivialità e la frugalità può accompagnare e rinforzare questo processo di cambiamento.
Quando si introduce un'innovazione tecnologica si scardinano numerosissimi precari equilibri naturali, le cui conseguenze non sono ben avvertibili se non dopo numerosi anni. In passato abbiamo assistito a molteplici casi in cui il “settore ecologista” ha esultato per l'introduzione di innovazioni tecnologiche che sembravano superare tutti i limiti delle precedenti tecnologie, ma che poi si sono rivelate dei terribili fallimenti. Quando, all'inizio del Novecento, le carrozze iniziarono ad essere sostituite dalle autovetture, il mondo occidentale si convinse che le città erano divenute incredibilmente più pulite e silenziose: dopo alcuni anni questa considerazione non può che lasciarci sbalorditi.
Un esempio molto simile è quello dei gas freon (o clorofluorocarburi). In un primo tempo il loro impiego venne descritto come un progresso fondamentale. In pochi anni si registrò un loro impiego massiccio come refrigeranti, agenti espandenti, propellenti per le bombolette spray. Nei primi anni '70 si iniziò a notare che questi gas una volta arrivati nella stratosfera a contatto con i raggi ultravioletti si decomponevano e liberavano atomi di cloro che riuscivano a distruggere porzioni significative dello strato di ozono. Inutile ricordare come sia stato devastante tale processo per il nostro pianeta.
Una sfida non facile
La verità è che molte persone vengono spaventate dalle questioni ecologiche poiché la cultura dominante è riuscita a far passare queste come esclusive delle classi sociali più benestanti. Secondo questa visione, i settori più poveri sarebbero i primi ad essere colpiti dal tenere atteggiamenti maggiormente rispettosi dell'ambiente: più fatica nella vita di tutti i giorni, maggiori costi per procurarsi cibi biologici e vegani etc. Bene, questa logica andrebbe esattamente capovolta. È questo sistema che tende a favorire l'ecologismo integrato e di nicchia, è questo sistema che propone atteggiamenti misantropi e moralistici che in fin dei conti altro non servono che alla riproduzione di se stesso.
E allora cosa fare? Per prima cosa, il modello capitalistico andrebbe semplicemente abbandonato. Introdurre nuove forme di organizzazione economico-sociale basate su piccole unità produttive sotto controllo popolare, ripartire da una riconversione e rilocalizzazione dell'economia e, soprattutto, redistribuire le grandi risorse accumulate in tanti anni di predazione potrebbero essere i primi passaggi. Le esperienze di auto-organizzazione portate avanti proprio negli ultimi anni in molti luoghi dell'America meridionale ci mostrano che le alternative al capitalismo non solo sono necessarie, ma si dimostrano le uniche realisticamente perseguibili se si tiene davvero a questo mondo.
Proprio i settori sociali più deboli, che tanto vengono spaventati dall'ecologismo filo-capitalista e liberale, sarebbero i maggiormente favoriti dalle politiche ecologiche volte al superamento del capitalismo. Non più costretti a condurre un'esistenza caratterizzata da continui sacrifici e alienazione, potrebbero recuperare tante energie e dignità per troppo tempo sottratte. Lo spirito del capitalismo si dimostra già perdente, perché riesce ad attecchire sulle paure, ma non convince. Il suoi sogni si stanno rivelando degli incubi. Le ragioni che spingono a ricercare oggi un suo superamento, appaiono più forti di quelle del passato. È una sfida non facile, ma che insieme possiamo vincere.
Marco Piracci
Marina di Cerveteri (Rm)
Botta.../1. Ma sollevare dubbi sui vaccini è legittimo
Gentile Daniela Mallardi,
ho letto con interesse, ma anche con punte di stupore il suo
articolo sul n. 429 (novembre
2018) di “A” (“Il cortocircuito della
parola”).
Arrivato ormai alla soglia dei 70, e interessandomi da sempre di temi della scienza e della medicina, ho trovato sconcertante l'accostamento al “piano Kalergi” della annosa e dibattuta questione vaccini.
Questa è una patata bollente che ha certamente alcuni aspetti antipatici dovuti ad animosità polemiche, ansie genitoriali, rimandi di veri cortocircuiti mentali (tutte ascrivibili a entrambi gli schieramenti), eppure... Sarebbe bastato ch'ella avesse letto quantomeno il saggio, pubblicato a suo tempo proprio sul sito di Medicina Democratica, del patologo (e già docente di Patologia Generale all'Università di Padova) Paolo Bellavite.
Il saggio è stato poi pubblicato in cartaceo nel 2017 (Vaccini sì, obbligo no, edizioni Macrolibrarsi) ed è facilmente recuperabile. Altrettanto quanto l'ottimo lavoro di Giulio Tarro (sì proprio lui, il co-inventore di un famoso vaccino) 10 cose da sapere sui vaccini (Newton Compton Editori).
Potrei citare altri, ma già questi due lavori sono sufficienti a fornire tutte le risposte e le “pezze d'appoggio” che lei sembra pretendere, giustamente, nel suo articolo.
Paolo Bellavite, in particolare, esamina profondamente e con parecchi dettagli, anche di carattere giuridico, oltre che ovviamente medico, il caso Wakefield, caso che lei utilizza pari pari come qualunque articolo apparso sui vari giornali e giornaletti, di regime o meno. Questa storia è diventata, non a caso e proprio perché non è stata fatta la chiarezza dovuta, la clava da sfasciare in testa ai dissidenti per mostrare quanto siano fessi. Tutti, da Mentana all'ultimo bollettino parrocchiale, citano indefessamente il caso Wakefield che, fosse anche vero e sviluppato così come da lei descritto, nulla toglierebbe alla questione generale della liceità, opportunità, valenza e diffusione della terapia vaccinica essendo poi ben altre le discussioni scientifiche che sono aperte da tempo in proposito.
Che dirle? Queste letture aprono a nuovi percorsi di pensiero e i dubbi che aiutano a sollevare mi sembrano più che legittimi. Del resto già la rivista “Internazionale”, qualche settimana fa aveva pubblicato un lungo articolo della stampa anglosassone da cui si ricavava come sia in ambito economico sia in quello della fisica o della medicina e simili, raramente o quasi mai affiorano sulle riviste considerate il “vangelo” dei singoli settori, articoli, studi, ricerche divergenti. Il risultato è che il “pensiero dominante” si impone con sempre maggior imperio a scapito della stessa ricerca.
Direi che qui si attaglia perfettamente l'analisi
di Andrea Papi, proprio nello stesso numero di “A”,
quando osserva che siamo in mano ad “oligarchie (anche
scientifiche - il corsivo è mio) facilmente corruttibili
e frequentemente incompetenti”.
Agitare, infatti, la bandiera dell'OMS come lei fa per dimostrare gli assunti della vulgata al comando nella sanità del mondo, mi pare, su una rivista anarchica, un argomento un poco debole.
Proprio in queste ore si è vista l'arroganza dei dirigenti della commissione Europea, quando, per bocca di uno dei loro responsabili (Vytenis Andriukaitis: “basta dibattiti c'è bisogno di azioni”), si è arrivati a proclamare che non i politici, ma i medici e gli scienziati devono decidere e che l'obbligo vaccinale non va discusso.
Queste posizioni hanno notevoli seguaci: recentemente durante un corso di aggiornamento per giornalisti, è stato rifiutato un articolo che accostava un caso di una bimba morta nel napoletano dopo una vaccinazione, alla vaccinazione stessa. Il rifiuto della commissione esaminatrice era basato sull'assunzione che “le vaccinazioni non producono effetti collaterali”.
Non so, ma a me non garba affatto una società dove, oltre allo spettacolo di tante schiene piegate, viga l'obbligo del trattamento medico, specialmente poi su persone sane.
Se poi questo trattamento è opinato, discusso, contestato, anche in ambito scientifico, pur se in forme minoritarie (ma non sarà questo certo un fattore escludente per gli anarchici...), tanto più occorrerebbe l'obbligo della prudenza e di una valutazione a tutto campo.
Non so se A riuscirà mai a sviluppare un dibattito sereno in questo campo, quando ci ha provato qualche mese fa, ho visto ancora alcuni toni accesi o approssimativi (mai comunque come su Facebook o sul web), evidentemente ci sono elementi culturali ben sedimentati e che attraversano in modo assolutamente trasversale anche i campi più disparati.
Non so se vedrò mai la conclusione di tale spinosa e intricata questione; credo, data l'età, che mi mancherà il tempo. Mi sembra del resto che le élite politiche e scientifiche siano già ben terrorizzate dal cambiamento climatico e forse, proprio per questo, temono l'esplodere di epidemie e ritorni di fiamma di vecchie malattie. Certo che fanno proprio ben poco per capire se si sia scelta la giusta strada culturale, scientifica ed esistenziale per rafforzare gli organismi o renderli sempre più vittime di aggressioni batteriche e virali. Quanto accade oggi con le gravissime forme di resistenza antibiotica, antimicotica e antivirale la dice lunga su battaglie, se non guerre, che forse abbiamo già perdute.
Comunque buon lavoro lo stesso e la seguirò ancora sulla rivista.
Gabriele Attilio Turci
Forlì (Fc)
Botta.../2. L'obbligo vaccinale è un tema da approfondire
Cara redazione di A,
vi scrivo per condividere il mio stupore dopo aver letto l'articolo
di Daniela Mallardi “Il corto circuito della paranoia”
sullo scorso numero della rivista (n. 429, novembre 2018). L'autrice,
parlando dell'imbarazzante attuale governo italiano, accomuna
due esempi di saldatura tra potere e paranoia: il piano Kalergi
(una bizzarra teoria in odore di razzismo eurocentrico) e una
legge in tema vaccini. Cito l'articolo: “È probabile
forse che Grillo (il ministro della salute), con i suoi colleghi,
faccia riferimento alla pubblicazione fraudolenta del 1998 ad
opera di Wakefield, medico britannico (ora radiato) in cui costui
sosteneva la correlazione tra vaccino trivalente MPR (morbillo,
parotite, rosolia) e la comparsa di autismo, correlazione peraltro
negata con forza dalla stessa Organizzazione Mondiale della
Sanità e smentita in Italia dalla Corte di Cassazione
con la sentenza n. 19699 del 2018”. Consiglio la lettura
del recente studio Vaccini, guida per una scelta informata
(edizioni Terra Nuova) per farsi un'idea imparziale della lunga
diatriba scientifica in oggetto e anche sugli interessanti motivi
di radiazione di Wakefield. Ora, mi sembra che dei due esempi
usati dall'autrice dell'articolo come “esempi di acriticità”,
almeno uno sia poco pertinente e la sicurezza con cui liquida
un argomento così spinoso (i possibili effetti collaterali
dei vaccini) non mi ha aiutato a proseguire sereno nella lettura...
tanto più che dopo qualche riga trasecolo leggendo: “Ma
allora viene da chiedersi: se non è la dirigenza politica
del Paese nel suo complesso ad allargare le basi della fiducia
e dell'intelligenza sociale, a favorire l'aumento e la redistribuzione
del capitale culturale, chi può farlo? In che modo ci
si può mettere al riparo dalle derive totalizzanti (e
totalitarie) del sospetto?”
Molto stupefatto, ma con invereconda stima, il vostro Federico Zenoni (in attesa che la “dirigenza politica del Paese” torni ad allargare la mia intelligenza!)
Federico Zenoni
Milano
e risposta/ Questione delicata, mettersi in ascolto
Innazitutto, grazie Gabriele e grazie Federico per aver scritto.
Ero (e sono) ben consapevole che avanzare un'argomentazione sul binomio vaccino e autismo e la sua perniciosa questione potesse esporre a delle perplessità. Conosco bene la bibliografia che chiamate in causa dalla quale emerge un ampio quadro circa i rapporti rischi-benefici delle vaccinazioni di massa e i possibili effetti collaterali con implicazioni di scelte istituzionali e accademiche. C'è come un richiamo alla prudenza.
Nella lettura delle vostre singole posizioni, mi sono interrogata sul come mai questo dibattito scaldi così tanto e come mai il dialogo sui vaccini presenti spesso degli intoppi. Sostengo la tesi, con conoscenza e consapevolezza, secondo cui i vaccini non abbiano alcun legame con l'insorgenza dell'autismo. Ad oggi, si riconosce quanto l'etiologia della malattia sia multifattoriale e che alcune manifestazioni del disturbo si possano individuare già nei primissimi mesi di vita. Uno studio del 2015 (Autism Occurrence by MMR Vaccine Status Among US Children With Older Siblings With and Without Autism, A. Jain, J. Marshall, A. Buikema, et al., JAMA, 2015; 313(15):1534-1540) ha indagato le eventuali relazioni tra lo spettro di disordini relativi all'autismo e il vaccino MPR (morbillo, parotite e rosolia), anche in bambini con fratelli o sorelle maggiori con tale diagnosi rappresentando, questo gruppo, quello più a rischio, dal punto di vista genetico, di sviluppare forme di autismo. La ricerca che ha visto il coinvolgimento di un campione di 95.727 bambini ha attestato che il vaccino non abbia avuto alcuna “influenza”. Inoltre, in un recente articolo di meta-analisi (Environmental Risk Factors for Autism: An Evidence-Based Review of Systematic Reviews and Meta-Analyses, A. Modabbernia, E. Velthorst, A. Reichenberg, Molecular Autism, Mar 17; 8:13) si può leggere: “le prove attuali suggeriscono che diversi fattori ambientali tra cui la vaccinazione [...] non sono correlati al rischio di disturbo dello spettro autistico”.
Ho lavorato per molto tempo a stretto contatto con bambini e adulti con disturbo dello spettro dell'autismo (la mia formazione post-universitaria in Psicologia si è dedicata per molti anni a questo mondo e a quello della disabilità) e ho avuto modo di conoscere genitori disperati che si aggrappavano alla convinzione del vaccino come unica causa per “alleggerire” la portata di un dolore inappellabile, ”perché proprio a mio figlio?”, come se il movimento di “esternalizzare” potesse sollevarli da una domanda senza risposta e dai sensi di colpa (drammatici e ingiustificati) che una simile diagnosi pone: solo attraverso un lungo e faticoso lavoro, si riuscivano ad allentare le maglie causa-effetto e a rinnovare la domanda d'amore verso il proprio figlio.
Mi rendo conto che la questione sia delicata e che non possa essere affrontata in modo facile e sbrigativo (come qualsiasi cosa che ci attraversi) e quindi colgo nelle vostre lettere degli spunti per una messa al lavoro del pensiero in una direzione non di esclusione quanto di ascolto sulle molteplicità delle posizioni che ognuno di noi, a seconda della propria storia, mette in cantiere.
Un caro saluto ad entrambi.
Daniela Mallardi
Roma
Pisa/ Una nuova sede per la Biblioteca F. Serantini
Nel 2019 la Biblioteca Franco Serantini entrerà nel suo 40° anno di vita, un anniversario speciale da molti punti di vista, infatti non è comune che una struttura culturale nata dalla società civile, autofinanziata e autogestita riesca a raggiungere una tale età!
La Biblioteca in questi anni oltre ad un'attiva e intensa promozione culturale ed editoriale è cresciuta. Oggi il suo patrimonio bibliografico e archivistico è di tutto rispetto (oltre 50.000 monografie, giornali, riviste e numeri unici [oltre 5.500 testate], 86 fondi archivisti con migliaia di documenti, fotografie, dischi, opere artistiche, carteggi, registrazioni di testimonianze orali, bandiere, manifesti, volantini e cimeli) in gran parte inerenti alla storia politica e sociale dell'Ottocento e del Novecento con particolare attenzione alla storia del movimento anarchico. La biblioteca negli anni ha ottenuto riconoscimenti non solo sul piano nazionale ma anche internazionale. Oggi la biblioteca fa parte come ente collegato della rete nazionale degli Istituti della Resistenza e dell'International Association of Labour History Institutions (IALHI).
Le radici della biblioteca affondano nella storia sociale e popolare della Toscana tra la prima metà dell'800 e l'inizio del '900, un territorio ricco di eventi, personaggi e fermenti che hanno lasciato una profonda traccia nell'identità culturale e politica di questa regione. Esperienze che hanno sedimentato archivi personali e di organizzazioni che, in parte, sono arrivati fino a noi intrecciandosi poi a quelli nati nell'età repubblicana.
La Biblioteca Franco Serantini si è formata con l'intento di raccogliere le fonti storiche e le testimonianze di queste idee, di questi fermenti e di queste lotte, con il tempo è diventata una delle realtà documentarie più significative e specifiche del territorio regionale e nazionale. Dedicata alla memoria del giovane Franco Serantini – arrestato, mentre si opponeva ad un comizio fascista, dopo ad un feroce pestaggio effettuato dalla polizia e morto nel carcere Don Bosco il 7 maggio 1972 –, la biblioteca nasce nei locali della Federazione anarchica pisana con una genesi storica/politica non dissimile da quella di altri centri di documentazione che si formano in Italia nel decennio della Contestazione (Cfr. L. Balsamini, Una biblioteca tra storia e memoria: la “Franco Serantini” (1979-2005), Pisa, BFS, 2006).
Scopo principale del centro è sempre stato quello di conservare e valorizzare la memoria del movimento anarchico, socialista e operaio dalla nascita ai giorni nostri, delle “eresie politiche” di sinistra, delle organizzazioni di base e dei movimenti studenteschi sorti in Italia dalla fine degli anni '60 in poi. Dal 1995, inoltre, è attivo un progetto speciale dedicato a reperire e conservare i documenti e le testimonianze riguardanti l'antifascismo, la Resistenza e la lotta di liberazione a Pisa e provincia.
Il centro, con molte donazioni di studiosi e militanti provenienti da varie parti del mondo, ha allargato le proprie collezioni di materiali ad aree linguistiche come quella spagnola, francese, inglese, tedesca divenendo di fatto un “istituto” con una forte vocazione internazionale.
Ora il Circolo culturale Biblioteca F. Serantini (proprietario della biblioteca) in collaborazione con l'Associazione amici della Biblioteca F. Serantini con il progetto del Laboratorio delle culture e delle memorie vuol dare un nuovo e prolifico impulso a questa missione con l'intento di conservare, condividere e raccontare la memoria e la storia sociale e politica dell'età contemporanea e essere luogo di discussione e progettazione per la cultura libertaria del 21 secolo.
Il Laboratorio delle culture e delle memorie è un progetto che nasce su iniziativa dell'Associazione amici della Biblioteca con l'intento di conservare, condividere e raccontare la memoria e la storia del Novecento con particolare attenzione alle vicende della provincia di Pisa e dei territori contigui.
Il cuore principale del Laboratorio sarà rappresentato dalle attività di ricerca, conservazione, documentazione, didattica e divulgazione storica promosse dalle associazioni legate da sempre alla Biblioteca Franco Serantini: il Circolo culturale Biblioteca F. Serantini, l'Associazione amici e la BFS edizioni.
Ora questo progetto, già preannunciato negli anni passati, si sta concretizzando con il lancio di una campagna nazionale che si chiuderà il 31 dicembre 2019 per l'acquisto della sede ed è per questo che rivolgiamo un pressante appello a tutte le amiche e gli amici affinché in questo momento non facciano mancare il proprio sostegno all'idea di dare una sede stabile e duratura alla Biblioteca Franco Serantini.
Chiunque voglia partecipare alla sottoscrizione nazionale – che ha l'obiettivo non solo di dare una sede alla biblioteca ma anche di attrezzarla per consentire una fruizione più ampia possibile – può inviare la propria donazione alla Associazione amici della biblioteca utilizzando il seguente IBAN: IT25Z0760114000000068037266 intestato a: Associazione amici della BFS, via I. Bargagna n. 60 – 56124 Pisa.
Associazione amici della BFS
Pisa
Tra Valtellina, Iran e America Latina/ Il mio 68
Nel '68 avevo sedici anni. Tutto cominciò, per me, a Sondrio, quando al teatro Pedretti proiettarono il film “Berretti verdi”. Assistetti alla manifestazione del Movimento Studentesco contro il film senza capirci molto, m'infastidirono però i “fascisti” che attaccarono con violenza ragazze e ragazzi.
A seguito di questa esperienza entrai nel Movimento Studentesco e poco dopo feci parte dell'Unione dei Comunisti Italiani (marxisti-leninisti), che ci invitò a mollare tutte quelle “seghe” teoriche per dedicarci, come avevano fatto i “compagni” cinesi, alla rivoluzione (sic).
La mia partecipazione alla “lotta rivoluzionaria” si svolse soprattutto nell'ambito scolastico (con volantinaggi, scioperi, contestazioni dei professori in classe, ecc.); partecipai anche alla “grande marcia” a Verceia (So), l'idea più fasulla che ebbero i “dirigenti” dell'U.C.I: sapendo che Verceia era il paese più “rosso” della provincia, pensarono bene di inviare un pullman di ragazzini con bandiere e fazzoletti rossi e immagini di Mao, Lenin, Stalin e di farli sfilare per le stradine del paese. Pioveva e dalle bandiere colava il rosso, nessuno del paese assisteva, solo un tipo uscì alla finestra e ci disse: “G'avi fem? Vuri mangià un po' de pulenta?” (Avete fame? Volete mangiare un po' di polenta?)
Noi, un po' intimiditi ma speranzosi, rispondemmo di sì... e lui ci disse: “E mi ven do brich!” (E io non ve ne do!)
E rientrò in casa.
Nell'Unione dei Comunisti Italiani (marxisti-leninisti) mi fu “affidato”, per qualche tempo, l'incarico di responsabile delle Guardie Rosse (sic): l'unica cosa che feci fu partecipare a un processo politico in difesa di un compagno “guardia rossa” che aveva osato fare dell'ironia sul libretto rosso di Mao (aveva strappato la copertina e l'aveva sostituita con la copertina di un vangelo! Fortissimo!), feci anche da collegamento amministrativo con la sede centrale di Milano, ho un ricordo incredibile di quella sede: sembrava un vero e proprio alveare con un numero incredibile di ragazze e ragazzi che giravano nei corridoi, che entravano e uscivano.
Quando l'U.C.I. si sciolse, divenni un “cane sciolto”. Nel 1971, a Milano, mi prestarono una rivista: “A rivista anarchica”, uno dei primi numeri. Tornato a casa, cominciai a leggerla e in ogni riga che leggevo mi ci ritrovavo completamente: da allora sono anarchico e la mia vita è continuata nell'impegno libertario.
Sicuramente, come per tanti, il '68 è cominciato, senza saperlo, molto prima: già nell'infanzia, influenzato dalle letture di mio padre (Salgari, Verne, l'enciclopedia Le Musée de l'Homme); poi, da sempre fortemente annoiato dalla musica che trasmetteva mamma Rai e dai vari Festival, Sanremo in primis, ero affascinato dalle musiche dell'America Latina che suonava mio padre con la chitarra e con la fisarmonica. Un giorno, per caso, aprii una busta di materiale musicale che mio padre riceveva per il suo lavoro di musicista e trovai un piccolo disco con una canzone di un gruppo inglese ancora poco conosciuto: i Beatles, la canzone era “Day tripper” e mi stupì... mostrandomi una creatività nuova, completamente differente dalla noia che la radio ancora propinava.
Dopo le superiori mi sposai e trovai un posto come ragioniere alla SNAM di Milano: ero immerso in una realtà che credevo esistesse solo nei film di Fantozzi, invece era tutto vero! Dopo alcuni mesi io e mia moglie non ne potevamo più di quella vita assurda, così una mattina andai all'Ufficio del Personale e mi licenziai.
Caricammo tutte le nostre cose sulla 500 e partimmo felici per la Valtellina. Cominciammo a vivere di lavoretti e a cercare contatti con gli anarchici. Così incontrammo Pietro Gaburri (che io ricordavo mentre vendeva “A rivista anarchica” un 25 aprile in piazza della Stazione a Sondrio); con Pietro e pochi altri (tra cui un giovane Piero Tognoli) cominciammo a discutere appassionatamente non solo a livello teorico ma anche cercando di concretizzare nella realtà quotidiana le idee in cui credevamo.
Unendo la necessità di trovare un lavoro accettabile e la possibilità di vivere le idee libertarie, decisi di prendere il diploma magistrale per cercare di entrare nella scuola. Ma riuscire a fare il maestro si dimostrò particolarmente difficile e quindi continuai a fare lavoretti.
Ad un certo punto le cose fra me e mia moglie non funzionarono più (la famosa coppia che scoppia) e caddi in una profonda depressione che durò ben quattro anni. Disperato cercai di fuggire a Parigi; fuggii anche in Libia, visto che Piero Tognoli aveva trovato una possibilità di lavoro per noi due come aiuto elettricisti, ci restammo 3 mesi: un periodo pesante ma anche molto interessante. Al mio rientro, tornai con mia moglie e mi misi a fare il bidello all'IPIA.
Venni poi a sapere che esistevano ditte italiane all'estero che assumevano maestri per le scuole di cantiere dove studiavano i figli degli italiani. Così andai a Milano, prendendo un giorno di ferie (era l'agosto del 1980), girai per varie ditte e finalmente mi assunsero.
Dovevo partire per la Colombia, ero entusiasta, ma poi m'inviarono in Iran. Partii eccitato dall'avventura, ma nello stesso tempo tristissimo perché lasciavo a casa mia moglie. In Iran ci restai poco più di un mese perché Saddam Hussein attaccò l'aeroporto di Teheran e la ditta ci fece rimpatriare. Tornato a casa, il rapporto con mia moglie franò di nuovo, e di nuovo caddi in depressione.
La ditta mi inviò in Libia, ma io ebbi la felice idea di assicurare il mio impegno fino alla fine dell'anno scolastico in quel paese chiedendo, però, di essere poi inviato in America Latina, cosa che avvenne: l'anno dopo ero in Patagonia. Non avrei mai pensato che mi sarei innamorato di questo paese, io che amavo il sole e i tropici.
Tornai dall'Argentina e ripiombai nella depressione, finché nell'agosto del 1982 incontrai Lina. Con Lina la mia vita cambiò. Tornai all'estero, in Honduras, sempre con la stessa ditta e Lina mi raggiunse.
L'Honduras fu un'esperienza magnifica: lavorai con molto interesse, cominciando veramente a creare un mio stile d'insegnamento, ebbi molte soddisfazioni nel lavoro con i miei alunni (dato che nelle vicinanze del villaggio del cantiere vi era una “palomera”, bordello, e avevo sensazione che i bambini potessero essere influenzati negativamente, proposi ai genitori un corso di educazione sessuale che fu accolto con favore; da allora ho sempre effettuato nelle classi dove ho insegnato questo intervento educativo); nello stesso tempo, con Lina, passavamo i fine settimana a Tela o a Puerto Cortez sul Caribe, siamo stati in Guatemala, ecc.
Vinsi poi il concorso per l'insegnamento nella scuola elementare e, tornato dall'Honduras, mi trovai a Olmo in Valchiavenna come maestro della pluriclasse I/II/III. Fu un'altra esperienza interessantissima: dall'America Latina ad un paesino a 1000 metri in Valchiavenna!
Da lì passai a Era e infine, nel 1996, a Verceia, dove sono rimasto fino al 2018 quando sono andato in pensione. Nel frattempo io e Lina abbiamo vissuto bene assieme e abbiamo dato la vita a 3 figlioli.
E l'attività politica? Io l'ho fatta nella scuola senza alzare bandiere: ho cercato di vivere le mie idee libertarie con i bambini che anno dopo anno ho incontrato in classe, con tanto affetto reciproco e “viaggiando” nell'universo assieme a loro.
Questo credo proprio che ora mi mancherà! Ho terminato la mia vita nella scuola, da insegnante e da genitore, e sfortunatamente non sono riuscito a passare il testimone a genitori più giovani... non c'è più lo spirito combattivo di noi “sessantottini”!
Andrea Della Bosca
Morbegno (So)
I
nostri fondi neri
|
Sottoscrizioni.
Milena Morniroli (Clermont-Ferrand – Francia)
ricordando Paolo Soldati, 213,41; Marco Pandin (Montegrotto
Terme – Pd) 30,00; Michele Beccarini (località
sconosciuta) per il progetto “Nopoteribuoni”,
15,00: a/m Angelo, G. Soriano (Parigi – Francia)
50,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Gianni Forlano
fratello, amico, compagno di una vita, 500,00; Giuseppe
Ciarallo (Milano) 45,00: Sergio Fumagalli (Arosio
– Co) per il progetto “Nopoteribuoni”
25,00: Maurizio Bisoglio (località sconosciuta)
25,00; Giovanna, Valentina e Igor Cardella (Palermo)
in memoria di Antonio Cardella, 100,00; Circolo Biblioteca “Franco Serantini” (Pisa) nel ventesimo
della scomparsa di Pier Carlo Masini, 100,00; Francesco
Scutari (Roma) 10,00; Ivano G. (Milano) 100,00; Maria
Ines Gritti (Bergamo) per Pdf, 4,00; Settimio Pretelli
(Rimini) 50,00 per progetto Nopoteribuoni; Gianni
Corini (Canada) 560,00; Antonio Ciano (Gaeta –
Lt), 10,00; Nicola Piemontese (Monte Sant'Angelo –
Fg), 30,00; Gianni Pasqualotto (Crespano del Grappa
– Vicenza) 150,00; Angelo Zanni (Sovere –
Bg), 20,00; Gianluca Lapina (Santo Stefano d'Aveto
– Ge) 10,00; Claudio Neri e Gabriella Gianfelici
(Reggio Emilia) 30,00; Manuel (Radio Onda d'Urto -
Brescia) 50,00; Massimo Torsello (Milano) 50,00; Gianpiero
Landi (Castel Bolognese – Ra) 50,00; Peter Sheldon
(Sydney – Australia) 27,60; Bak (Canton Ticino
- Svizzera) 75,00; Marisa Giazzi (Milano) ricordando
Gianni Forlano, uomo di eccezionale etica anarchica,
100,00; Angelo Caruso (Milano) 10,00 Massimiliano
Froso (Neirone – Ge) per Pdf, 5,00; Milena Scioscia
(Firenze) 50,00; Eros Bonfiglioli (Bologna) 5,00.;
Giuseppe Galzerano (Casalvelino Scalo – Sa) “pensando idealmente a un garofano rosso sulla
tomba di Misato Toda”, 40,00; Michel Pentimone
(Rezè - Francia), 30,00. Totale
€ 2.570,01.
Ricordiamo che tra le sottoscrizioni registriamo
anche le quote eccedenti il costo dell'abbonamento
annuo (€ 50,00 per l'Italia, €
70,00 per l'estero).
Abbonamenti sostenitori.
(quando non altrimenti specificato, si tratta dell'importo
di cento euro). Claudio Piccoli (Milano); Enrico
Calandri (Roma); Tommaso Bressan (Forlì) 110,00;
Luciana Castorani (Malagnino – Cr) 500,00; Giulio
Abram (Trento) 120,00; Rossella Cau (Arborea - Or);
Massimo Merlo (Lodi); Rodolfo Altobelli (Canale Monterano
– Rm); Andrea Pasqualini (Vestenanova- Vr);
Fabrizio Tognetti (Larderello – Pi); Loredana
Zorzan (Porto Garibaldi – Fe); Marco Bianchi
(Arezzo); Gianni Pasqualotto (Crespano del Grappa
– Vi); Selva Varengo e Davide Bianco (Lugano
– Svizzera); Luisa Corno (Novara); Giacomo Dara
(Empoli – Fi); Massimo Guerra (Verona); Vittorio
Golinelli (Bussero – Mi); Marco Pavani (Ronco
di Gussago – Bs); Giacomo Ajmone (Milano); Gianluca
Botteghi (Rimini); Emanuele Magno (Varese); Tomaso
Panattoni (Coventry - Gran Bretagna) 200,00; Michele
Piccolrovazzi (Rovereto – Tn); Enzo Boeri (Vignate
- Mi) 200,00; Mario Sughi (Dublino – Irlanda);
Giorgio Nanni (Lodi); Christian Colombo (Brescia);
Umberto Seletto (Torino); Franco Cappellacci (Marotta
di Fano – Pu); Andrea Anfosso (Bordighera –
Im); Silvio Gori (Bergamo) ricordando Egisto, Marina
e Minos Gori, 200,00. Totale
€ 3.930,00.
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