Rivista Anarchica Online


migranti/3

Il gioco

di Giulio D'Errico

Attraversare le frontiere, di notte, con la paura di essere scoperti, fermati, picchiati e riportati alla casella di partenza. Chi vi è costretto, lo chiama “the game”, il gioco. Un anno fa sembrava difficile fare di più e peggio, ma le politiche comunitarie e quelle degli stati membri sono riuscite ad aumentare la militarizzazione dei confini, a calpestare qualsiasi forma di diritto per gli “illegali”, a criminalizzare la solidarietà e a rendere la libertà di movimento sempre più bianca e classista.


Non c'è solo il Mediterraneo, ormai diventato la frontiera più letale al mondo; una delle porte dell'Unione Europea è nel cuore dell'Europa, nei Balcani, dove si estendono i confini che separano la Croazia, stato comunitario, dalla Serbia, la Bosnia Erzegovina e il Montenegro. In particolare la Bosnia Erzegovina è diventata nel 2018 un'importante meta di passaggio lungo la rotta balcanica: circa 23.000 persone sono entrate nel paese nel corso dell'anno. Lo scorso autunno, il governo croato ha tentato di sigillare parte dei 1,000 km di confine, chiudendolo per settimane anche a frontalieri e residenti della zona.
E da qui parte, ancora una volta, “il gioco”. Le regole sono le solite. Di giorno i rischi sono pochi, ci si può avvicinare al confine e gli abusi della polizia sono limitati, ma per superare il confine si viaggia di notte, spesso male attrezzati e con scarsissima conoscenza di un territorio che - per quanto riguarda il lato bosniaco - non è ancora stato completamente bonificato dalla presenza di ordigni inesplosi. Si va alla ricerca dei passaggi più isolati, nella “giungla”, i boschi sulle colline su cui è tracciata la frontiera, lontani da centri abitati e sentieri.
“Ci sono cani in ogni villaggio, e quando abbaiano ci fanno spaventare. Quindi corriamo, il più veloce possibile, come Usain Bolt. Nei boschi siamo più veloci di lui. Continuiamo fino al sorgere del sole. Poi ci fermiamo, dormiamo fino all'una o le due, prepariamo da mangiare e aspettiamo la notte, quando si ricomincia da capo, fino a che non raggiungiamo la nostra destinazione o veniamo catturati.” (Amir, insegnante di inglese, emigrato dall'Iran.)
Dopo “il gioco”, quando e se si raggiunge l'UE, uomini, donne e bambini vengono ripetutamente e spesso violentemente respinti indietro dalle forze dell'ordine di pattuglia ai confini. Molti tornano indietro con ferite, contusioni, ossa rotte, telefoni distrutti, senza scarpe, derubati dei propri averi e traumatizzati. La brutalità poliziesca è ordinaria amministrazione: casi di shock elettrici e morsi di cani sono stati segnalati in diverse occasioni. Il furto di scarpe e coperte, così come la distruzione di tende e sacchi a pelo, sono tra le pratiche più comuni attuate dalla polizia di diversi paesi, il cui unico scopo è aumentare le difficoltà delle persone migranti nel loro viaggio in cerca di stabilità. La distruzione dei telefoni cellaluri invece, largamente diffusa, è anche un modo di cancellare qualsiasi traccia (che siano foto, video o segnali GPS) dell'intervento poliziesco. Rimangono solo le testimonianze dirette, che provenendo da sans papiers e attivisti a loro vicini, sono largamente ignorate.
Questi respingimenti – i cosiddetti push-back – sono infatti illegali: secondo le norme internazionali, chi raggiunge il territorio di un paese ha diritto a richiedervi asilo, indipendentemente dal modo in cui vi si è arrivati. In questo modo chi viene fermato dalla polizia croata dopo essere entrato nel paese, dovrebbe essere messo in condizioni di presentare domanda di protezione. Questo non succede. Il diritto di asilo viene costantemente negato. Solo nel mese di novembre 2018 centinaia di testimonianze riguardanti respingimenti dalla Croazia alla Bosnia sono state raccolte da gruppi di attivisti e solidali attivi nel cantone bosniaco di Una-Sana.
Senza particolare sorpresa, nonostante il numero di denunce e articoli pubblicati, le autorità croate si sono finora rifiutate di prenderle in considerazione, questionandone la veridicità, negando il dispiegamento di agenti in borghese sul confine, bloccando i tentativi di accertamento sui fatti più gravi, attaccando le organizzazioni che lavorano in solidarietà con i migranti.

Velika Kladusa, Atene, dicembre 2018 – L'hub Miral è composto da due grandi
spazi comuni con decine e decine di letti a castello ognuno. Coperte vengono
usate per ripararsi dal freddo e creare un minimo senso di privacy
Foto di Zarka Radoja

Il ruolo dell'Europa

Il governo croato è solo parte del problema. L'Unione Europea ha investito 18 milioni di euro del suo Fondo per la Sicurezza Interna per aiutare la Croazia a “gestire” i flussi migratori. Soldi spesi per formare ed equipaggiare la polizia di frontiera del paese. Altri 7 milioni sono stati spesi, questa volta dalla Commissione Europea, per accrescere la capacità di ricezione di migranti in Bosnia. Le agenzie delle Nazioni Unite, UNHCR, OIM e UNICEF, ne hanno ricevuti la larghissima parte per costruire nuovi centri e campi di accoglienza. Invece che offrire riparo e servizi basilari a chi ne ha bisogno, questi centri si sono istituiti a nuove forme di controllo, laddove il governo bosniaco faticava ad arrivare. Come gli hotspot sulle isole greche o i CARA in Italia, questi centri operano una costante e continua de-umanizzazione di chi vi è “ospitato”.
La brutalità delle condizioni di vita, la privazione di diritti e la sistematica mancanza di sicurezza e servizi sono espressione di una precisa volontà politica e una conseguenza delle politiche migratorie dell'Unione. La privazione di prospettive future è un punto centrale della campagna di dissuasione, a cui i migranti sono sottoposti dal momento in cui approcciano il territorio europeo. Questa campagna si inserisce nel quadro della sempre maggiore priorità data ai programmi di deportazione e di ritorno “volontario”, la cui volontarietà assume un carattere ben più ambiguo alla luce di quanto appena descritto, soprattutto considerando come i tempi di permanenza negli hotspot europei siano costantemente aumentati (sulle isole greche le attese per le pratiche di richiesta di protezione possono durare fino a 4 anni).

Velika Kladusa, 2019 - Squat: occupazione di un edificio
Foto di Angelica Sánchez-Martinez

Un inferno vivente

L'entrata in scena delle grosse agenzie internazionali nella gestione dei flussi migratori nei cantoni bosniaci di confine ha prodotto un drastico calo delle possibilità di azione per i gruppi di sodali e gli attivisti locali. Alla fine di novembre 2018, L'Organizzazione Mondiale per le Migrazioni ha preso in affitto una fabbrica abbandonata, trasformandola in un centro di accoglienza temporaneo. Con il nuovo titolo di hub umanitario, la nuova struttura avrebbe dovuto garantire l'accesso ai servizi e la sicurezza per le persone migranti. Non è andata così.
Chi vi ha alloggiato l'ha descritto come un inferno: “a living hell”, dove si sono sentiti umiliati e privati della propria dignità per la mancanza di sicurezza, le scarsissime condizioni igieniche, l'assenza di qualsiasi forma di supporto psicologico e di adeguata assistenza medica. Con una capacità di 700 posti letto, a gennaio 2019, circa 1,000 persone vivevano nella struttura. La grande maggioranza è alloggiata in 2 grandi capannoni, senza alcuno spazio personale. L'accesso è consentito solo a coloro che accettano di essere registrati, e anche chi arriva in cerca di riparo dal freddo è costretto ad aspettare giorni prima di essere ammesso all'interno.
In tanti hanno preferito cercare altre soluzioni all'aperto. Chi aveva deciso di trascorrere il freddo inverno balcanico lì prima di ritentare “il gioco” ha presto cambiato idea. A metà gennaio 2019 un gruppo di 19 persone, tra cui alcuni bambini, è stato trovato dalla polizia croata poco lontano dal confine in condizioni di grave ipotermia. Si contano almeno una trentina di occupazioni di case abbandonate nell'area, spesso edifici privi di porte e finestre, il cui utilizzo non è certo privo di difficoltà. Altri rimpiangono le sistemazioni autogestite di fortuna a cui potevano accedere prima dell'apertura dell'hub di Miral.
“Faceva freddo nel campo, ma avevamo le nostre tende e la nostra privacy e ci sentivamo molto più al sicuro di adesso qui a Miral. Questo posto rende le persone furiose, è come se fossimo rinchiusi in una prigione, ci sono risse ogni giorno. Fare a botte non mi interessa, quindi me ne andrò.” (Testimonianza di un un uomo Pakistano, che ha vissuto nel corso del 2018 nel campo autogestito di Trnovi, prima di essere “volontariamente” trasferito a Miral.)

“Nessuno morì di fame durante la guerra e nessuno morirà di fame oggi.”
Asim Latic Latan, proprietario di una pizzeria trasformata in cucina sociale
Foto di Nevia Elezovic del collettivo No Borders Photography

Solidarietà e criminalizzazione

Durante tutto l'anno passato, i cittadini di Velika Kladusa, città sul confine con la Croazia, avevano ricordato al resto della regione e all'Europa il significato delle parole solidarietà e ospitalità. In un momento in cui buona parte della popolazione europea aveva distolto lo sguardo, in Bosnia le iniziative locali in favore dei migranti sono state molteplici. I segni del conflitto seguito alla dissoluzione della Repubblica Yugoslava sono ancora presenti, così come lo è la memoria della fuga dalle zone di conflitto, elemento che ha segnato in modo particolare le iniziative portate avanti negli ultimi mesi.
L'apertura dell'hub di Miral ha trasformato il clima nell'intera zona.
“Quella che era un'atmosfera tranquilla e amichevole dal gennaio precedente, si è lentamente trasformata in un clima di ostilità verso rifugiati e migranti, e anche verso i volontari e gli attivisti internazionali.” (Testimonianza di volontari locali.)
Proibizioni e sorveglianza continua sono gli strumenti usati dalla polizia nei confronti dei migranti, a cui viene negato l'accesso a luoghi pubblici della città e sempre più spesso a esercizi commerciali. Gli stessi abitanti della zona sono infatti diventati il bersaglio di vessazioni da parte della polizia locale che, attraverso multe e minacce, ha drasticamente ridotto il numero e la portata delle iniziative spontanee nella zona. Le grandi agenzie umanitarie non fanno nulla per prevenire questi comportamenti discriminatori da parte delle forze dell'ordine anzi, attivisti locali riportano che durante questi “controlli” gli agenti di polizia sono spesso accompagnati dagli operatori dell'OIM che lavorano all'interno di Miral.

L'Associazione Are You Syrious? ha aperto un locale nel centro di Zagabria
dove ricevono e condividono donazioni per le persone espulse dalle loro case

Fantasmi del passato

Un gruppo di attivisti e difensori dei diritti umani provenienti da diversi stati balcanici ha recentemente pubblicato un documento in cui richiama i cittadini di tutta Europa a fare tutto il possibile per fermare l'ondata di politiche di estrema destra che si sta diffondendo nel continente:
“Vogliamo ricordare, visto il nostro triste privilegio di un'esperienza diretta della guerra, ma anche dei difficili anni del dopo-conflitto, che è proprio questo tipo di comportamento portato avanti dalla burocrazia dell'UE ad aver dato l'avvio alla dissoluzione della Repubblica Yugoslava e ai conseguenti conflitti. Non solo: ha anche offerto terreno fertile per lo sfruttamento degli strati più poveri e maggiormente investiti dal trauma della guerra, alla deumanizzazione delle vittime e all'ascesa di speculatori e profittatori in modalità molto simili a quelle odierne.
Nei Balcani degli anni Novanta, in tanti si sono dovuti affidare a criminali e specultatori che permettevano di provvedere alle necessità più basilari, perché i governi e la agenzie non governative erano incapaci di farlo.
Ci sentiamo quindi obbligati a richiamare l'attenzione verso il bisogno urgente di cambiamento delle politiche di militarizzazione e chiusura dei confini dell'Unione Europea. Ora, quando non ci sono vie legali per entrare nel territorio comunitario o per richiedere protezione internazionale alle porte dell'Europa, speculatori, approfittatori e trafficanti stanno prosperando di nuovo, mentre coloro che richiedono il rispetto dei propri diritti basilari sono ignorati, vessati e criminalizzati.”

Giulio D'Errico

Questo articolo è stato reso possibile dalla collaborazione con Are You Syrious? (gioco di parole sull'omonimia in inglese tra “serio” e “siriano) organizzazione con base a Zagabria (Croazia) impegnata in diversi progetti di solidarietà con i migranti nei Balcani. Oltre al lavoro sul territorio in Croazia, Bosnia e Serbia, Are You Syrious? pubblica da tre anni a questa parte un digest giornaliero di notizie e informazioni di prima mano sulle migrazioni in Europa. Tutte le citazioni di testimonianze dirette sono prese dalla loro pagina Medium: https://medium.com/are-you-syrious