Lupo sì, lupo no. Un dilemma
Gennaio. Poca neve, boschi spogli, prati bruciati dal gelo.
L'altro giorno un amico passava per casa mia la mattina presto,
e ha visto due cani o forse due lupi attraversare il pascolo
accanto alla baita. Erano grigi e appena si sono accorti di
lui sono filati via nel bosco. Più tardi è salita
la forestale che ha trovato e seguito le impronte nella neve,
raccolto un campione di sterco e confermato: lupi. Li aspettavamo,
sapevamo che prima o poi sarebbero arrivati. E adesso eccoli
qui.
Il lupo sulle Alpi occidentali era scomparso dagli anni Venti
del Novecento. Un secolo fa, quando la montagna era tutta abitata
e coltivata, l'avevamo sterminato fino a estinguerlo. Era sopravvissuto
in Appennino, nel Parco Nazionale d'Abruzzo che fu appunto fondato
nel ’22, e solo nel dopoguerra, con l'abbandono di tanti
paesi e campi, ha potuto tornare a riprodursi e a muoversi per
le valli. Ecco due cose che il lupo ci insegna a proposito di
montagna e anarchia: la prima, che lo spopolamento umano costituisce
un'occasione di libertà per un'altra specie, anzi per
tutte le altre diverse dalla nostra, perché siamo noi
i dittatori della terra; la seconda, che per i fuggiaschi e
i clandestini la montagna non è affatto una barriera,
è piuttosto un rifugio e una via di comunicazione. Il
lupo ha fatto un lungo viaggio per arrivare fin quassù,
tutto attraverso le terre alte d'Italia: negli anni Settanta
ha risalito l'Appennino, nei Novanta è comparso sulle
Alpi Marittime, nel 2016 per la prima volta si è mostrato
in Valle d'Aosta, dove ormai gli avvistamenti sono frequenti.
Dunque quei due che girano qui intorno devono essere figli o
nipoti di qualche emigrante, un lupo d'Abruzzo che a un certo
punto è partito per il nord, come i nostri padri e i
nostri nonni.
E proprio come gli emigranti di ogni epoca, dove arriva incrina
l'ordine costituito, disturba il sonno della brava gente, si
procura odio diffuso e rare amicizie. Quassù sono in
tanti che vorrebbero imbracciare il fucile.
Siamo carne anche noi
Il punto è che il lupo per vivere ha bisogno di carne:
la prende dove può, non distingue tra giusto o sbagliato
ma solo tra prede facili e prede difficili. Oggi in montagna
la fauna selvatica è molto più abbondante di un
tempo (di nuovo, evviva l'abbandono): tra cinghiali, cervi,
caprioli, camosci, stambecchi, un cacciatore come lui ha l'imbarazzo
della scelta. Tuttavia, qualche volta incontra un gregge di
pecore o una mandria di mucche al pascolo, specie in alpeggi
dove il bestiame viene lasciato brado. Altre volte attacca un
capriolo appena fuori da un paese, dove tutti possono assistere
al triste spettacolo di un animale sbranato.
Ce l'ho negli occhi e posso capire che chi abita in montagna,
magari in un posto isolato come casa mia, non dorma tranquillo:
è difficile levarsi il pensiero che siamo carne anche
noi. Bisogna informarsi per scoprire che, in vent'anni di presenza
sulle Alpi, non c'è mai stata notizia di attacchi all'uomo.
Dunque la paura è ingiustificata e si odia il lupo più
per quello che rappresenta, che per un reale pericolo. È
reale invece il bisogno dei pastori di proteggere il loro lavoro.
La selvatichezza
Dall'altra parte ci sono gli adoratori del lupo, quelli che vedono in lui la Natura, la Libertà, la Selvatichezza, non solo un animale ma un simbolo, di nuovo, e una ragione di lotta. Lo osservano, lo studiano, lo fotografano, lo difendono. Però spesso sono persone che non vivono a stretto contatto con lui, o che non hanno bestiame al pascolo, o che non devono tornare a casa di notte attraversando il bosco. È un fatto che spesso le battaglie ambientaliste siano combattute dai cittadini contro i montanari, ormai l'ho visto succedere tante di quelle volte...
Come succede in ogni questione ideologica, le due fazioni si parlano poco o nulla, le posizioni si estremizzano, e qualunque cosa uno dica, anche in un articolo tranquillo come questo, finisce per farsi dei nemici. A me è capitato di trovarne al bar, dove difendevo il lupo da chi avrebbe voluto organizzare ronde di cacciatori, e di ricevere insulti digitali per aver scritto che mi pareva giusto tenerlo lontano dal bestiame, anche col fucile se necessario. Oggi non ne sono più sicuro, allora ero stato molto colpito da alcuni episodi capitati ai miei vicini e ai loro animali.
Il parere di Irene Borgna
Il fatto è che il lupo mette in crisi anche me. È difficile capire cosa pensarne e cosa scriverne, allora ho chiesto aiuto a un'amica, Irene Borgna, che lo studia da anni. Irene è un'antropologa, una nuova montanara (da Savona è andata a vivere in Valle Gesso), una guida naturalistica nel Parco delle Alpi Marittime. Tra le altre cose collabora a un progetto che si occupa di osservare il lupo sulle Alpi, dare un'informazione corretta sulla sua diffusione e sul suo modo di vivere, proteggerlo ma anche studiare strategie per proteggersi da lui, immaginare una convivenza più o meno pacifica. Irene mi scrive:
“Mi trovo di fatto tutti i giorni in mezzo a discussioni che riguardano lupi (che predano, che vengono ammazzati e crocifissi, che vengono idealizzati e infiocchettati) e - lavorando per il Parco, ma avendo lavorato anche in una stalla e con amici pastori e cacciatori - sono nella posizione adatta per fare la passeuse di idee. Porto un pezzo di lupo vero (quello che puzza, fa danno, rompe i coglioni) dalla parte degli animalisti estremi (che però in montagna non ci stanno e il lupo lo vedono solo nei documentari) e faccio passare un pezzo di “lupo solo lupo” a pastori e cacciatori. Infatti per quanto riguarda i pastori, nella stragrande maggioranza dei casi, coi danni veri e col lupo di carne e pelo in qualche modo un accordo si trova, ma è l'idea del lupo che è inaccettabile: il lupo è la burocrazia delle norme europee che vuole le sale di mungitura immacolate e impossibili e i formaggi tutti uguali, i culi appiattiti dalle sedie dei legislatori che non conoscono la materia che pretendono di normare, la globalizzazione dei mercati che fa svendere latte, carne e lana. Per i cacciatori, che vogliono essere padroni a casa loro e signori di tutto ciò che si muove e respira nel comprensorio di caccia, il lupo è un rivale - che caccia a sbafo, non ha il porto d'armi e non paga nemmeno il tesserino stagionale. Ma nello stesso tempo sarebbe anche un bel trofeo da appendere sopra al camino.
Insomma, porto a spasso pezzi di lupo qua e là nella testa delle persone. E ce li scambiamo eh, non è che io li distribuisca e basta. Infatti anche la mia idea è in continuo aggiornamento. Come la popolazione di lupo: che noi ce li immaginiamo ancora in montagna e invece (in provincia di Cuneo) sono alle porte delle città pedemontane. E non hanno nessuna intenzione di fermarsi.”
Più avanti aggiunge: “Tutte le specie sono tornate per restare. Tutte ci mettono in difficoltà. Tutte ci offrono un'opportunità. Con la loro presenza i lupi insegnano una cosa che abbiamo dimenticato: che siamo animali tra gli animali. Ce lo ricordano rimettendoci nel ruolo più scomodo: quello della preda. Lo fanno attraverso qualcosa di antico e di prezioso: la paura. Ci riportano al nostro posto nell'ecosistema, ricordandoci che siamo tutti commestibili. Che il bosco non è casa nostra. Che metterci piede equivale ad accettare leggi diverse da quelle umane. Per questo un bosco con il lupo è più di un bosco senza il lupo. Una montagna con l'orso è più alta di una montagna che ne è priva. La montagna con i selvatici smette di essere una cartolina rassicurante e torna a essere un ambiente condiviso, dove di volta in volta siamo colleghi, rivali, complici. Considerarci al di sopra del mondo naturale ci ha condotti dritto verso la catastrofe ecologica, comprenderne di esserne parte è il primo passo nella direzione opposta. I selvatici incrinano la nostra onnipotenza, la presunzione di poter essere sicuri e padroni dappertutto, l'idea di essere al di là e al di sopra del resto del mondo naturale.”
Lupo, maestro di anarchia. Forse dovrei uscire e dargli il benvenuto.
Paolo Cognetti
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