nucleare
Cattivo, stupido e folle
di Alfonso Navarra
L'opinione di un pacifista storico sui rischi che tutte e tutti noi corriamo quotidianamente a causa dell'armamento nucleare.
Il nostro grande “poeta degli ultimi”, forse il più grande poeta italiano della seconda metà del novecento, l'anarchico Fabrizio De André, nella sua famosissima canzone La guerra di Piero, ci illustra una tipica situazione che, “in un campo di grano”, si svolge secondo l'adagio latino “mors tua vita mea”, spesso rappresentativo di molte dinamiche anche nel mondo reale odierno. E che, soprattutto, rischia di diventare la spiegazione più adatta a comprendere il “gioco” che viene praticato nella corsa agli armamenti “atomici”. Non, si badi molto bene, la mutua distruzione assicurata, ma il first-strike (primo colpo) “vincente”.
Questo aspetto va tenuto presente quando, ad esempio, andiamo a giudicare le dichiarazioni rese dal presidente russo Vladimir Putin nella sua conferenza stampa di fine anno: “Il mondo sta sottovalutando il pericolo di una guerra nucleare che potrebbe condurre alla fine della civiltà umana”. La stampa mainstream ha per lo più commentato questa affermazione come una specie di sparata minacciosa rivolta contro l'Occidente e la NATO, tanto più che il nuovo Zar di Mosca (a scanso però di equivoci, precisiamo subito che Vladimir, l'autocrate ex agente del KGB, non suscita in noi alcuna simpatia) ha contemporaneamente mostrato i muscoli annunciando che il suo Paese ha approntato tutta una serie di armamenti strategici capaci di superare qualunque sistema di difesa, compresi naturalmente gli “scudi” antimissile americani in Europa e in Asia. Tra queste armi spiccherebbe una nuova star mediatica: un super-missile appena sfornato – e testato – dai laboratori militari russi, con volo illimitato e praticamente “invulnerabile” perché viaggerebbe con una traiettoria imprevedibile.
Non c'è dubbio che al fiero Vladimir piaccia sottolineare la forza e il ruolo di superpotenza militare di Mosca: “Nonostante tutti i problemi che abbiamo affrontato, la Russia era e rimane una potenza nucleare”, ha ribadito con orgoglio, e direi con compiacimento evidente. Ma una cosa credo di averla capita: a differenza di Donald Trump e della maggioranza degli attuali capi di Stato e di governo, il leader russo, addentro agli affari militari, è ben consapevole che la guerra nucleare può scoppiare persino per caso e/o per errore di calcolo. Ricordo una intervista televisiva rilasciata al regista americano Oliver Stone (RAI 3 l'ha trasmessa in due puntate nell'ottobre 2017) che non lascia dubbi su come Putin la pensi al riguardo.
Personalmente, da delegato accreditato della cosiddetta “società
civile”, ho partecipato alle conferenze internazionali
del “percorso umanitario” che hanno poi portato,
il 7 luglio del 2017, a New York, alla “storica”
(speriamo) adozione del Trattato di proibizione delle armi nucleari
(in sigla: TPAN). Un Trattato che entrerà in vigore quando
avrà raggiunto 50 ratifiche; attualmente siamo solo a
quota 19 Stati, tra i quali non c'è l'Italia. E continua
a non esserci, anche dopo l'insediamento del Salvimaio, che
meglio potremmo chiamare il “governo del cambianiente”.
Purtroppo io sono comunque tra i pochi antimilitaristi “pacifisti”
che hanno ben presente il rischio di una riedizione del Briand-Kellog:
mi riferisco al Patto della Società delle Nazioni che,
nel 1928, addirittura, sulla carta, proibì la guerra
quale strumento di politica internazionale. La fine che fece
questo solenne accordo è ben nota, visto che subito dopo
abbiamo dovuto subire i massacri della Seconda Guerra Mondiale
(quasi 70 milioni di morti!); e non è escluso che questo
TPAN, premiato con il premio Nobel per la pace 2017 alla Rete
ICAN (www.icanw.org),
non segua lo stesso destino.
Rispetto agli ottimismi faciloni dei dirigenti ICAN (credono
che le armi nucleari siano un residuo fossile e inutile della
guerra fredda di cui ci si può liberare facilmente) sono
stato messo in allarme, tra l'altro, dagli scritti di Carlo
Cassola, lo scrittore che nel 1978 fondò la “mia”
Lega per il disarmo unilaterale (in sigla: LDU) insieme all'anarchico
di Carrara Ugo Mazzucchelli. Non si può non citare in
proposito La rivoluzione disarmista, che Cassola fece
pubblicare dalla Rizzoli nel 1983, ma che presenta – così
la penso – ancora diversi elementi di attualità.
Quella notte del 26 settembre 1983
Ma torniamo al filo principale del ragionamento: “l'impossibilità
del controllo dei sistemi di comando e gestione della guerra
nucleare” di cui parla Putin l'ho sentita illustrata,
sviscerata e documentata a più riprese negli interventi
svolti in tali conferenze ufficiali ONU da Eric Schlosser, l'esperto
statunitense autore di Comando e Controllo (edito in
Italia da Mondadori), che enumera con precisione pignola tutti
gli incidenti che ci hanno portato ad un soffio dal lancio di
missili atomici o dall'esplosione accidentale di una singola
testata.
Tra le tante situazioni critiche merita di essere particolarmente
citata quella che portò l'ex colonnello sovietico Stanislav
Petrov, capo di una stazione di avvistamento vicino Mosca, ad
evitare, la notte del 26 settembre 1983, una risposta nucleare
ad un falso allarme di attacco missilistico USA: lui, da esperto
e soggetto pensante, capì che le tracce che si leggevano
sui maxischermi della base erano in realtà un travisamento
delle macchine e decise scientemente (fu un vero atto di obiezione
di coscienza!) di non informare i superiori. I cinque missili
che i computer del suo bunker (“Serpukhov 15”) segnalarono
come partiti da una base USA del Montana erano in realtà
l'abbaglio elettromagnetico della Luna riflesso dalle nuvole!
Naturalmente il colonnello Petrov fu subito punito per la sua
disobbedienza (degradato e emarginato socialmente) anche perché
il regime sovietico non voleva fare sapere che la sua macchina
tecnica di avvistamento e di risposta, il suo “sistema
di deterrenza”, potesse commettere errori così
clamorosi. Ma, dopo il crollo dell'URSS, con la desecretazione
dei documenti, i fatti sono in qualche modo riemersi e a Petrov
è stato internazionalmente riconosciuto l'“eroismo”
del suo comportamento, grazie al quale molto probabilmente tutti
noi dobbiamo l'esistenza. Il riconoscimento di cui si parla
non è cosa da poco: l'ONU con un voto dell'Assemblea
generale del 2013 ha stabilito il 26 settembre “Giornata
contro le armi nucleari” proprio in ricordo della notte
di Serpukhov e per onorare il colonnello. Sono i fatti ben riprodotti
dal docufilm The man who saved the World, uscito nel
2015 con la regia di Peter Anthony e che, nonostante la comparsata
di attori del calibro di Kevin Kostner, Robert De Niro e Matt
Damon, in Italia non è mai stato proiettato in una sala
cinematografica. (I Disarmisti esigenti – www.disarmistiesigenti.org
– lo portano in giro, in lingua inglese con sottotitoli
in inglese, per qualsiasi circolo o centro sociale lo volesse
visionare e discutere, gli interessati possono scrivere a coordinamentodisarmisti@gmail.com).
Dobbiamo – è questa la morale della favola –
ficcarcelo bene in testa: non siamo “a prova di errore”.
Affidare la nostra “sicurezza” ad una “deterrenza
atomica” che dipende sempre più dal funzionamento
dei computer e delle macchine è una vera “follia”,
da cui non si fuoriesce – si faccia bene mente locale
- perché il Potere che la coltiva e la alimenta, oltre
che “cattivo” e “imbroglione”, disgraziatamente,
dobbiamo farcene una ragione, è anche molto più
“stupido” di quanto non osiamo immaginare.
La follia del nucleare
Ho scritto insieme a due scienziati, Mario Agostinelli e Luigi
Mosca, La follia del nucleare (Mimesis, seconda edizione
2018) per sottolineare come la volontà di potenza, per
la sua intima natura, e per la sua configurazione storica, scontando
il rischio dell'autodistruzione, non riesca a prescindere dalla
tecnologia nucleare e dai “giochi” paranoici che
ha posto in essere.
Gli aspetti tecnici della condizione atomica contemporanea, incluse le novità che la rendono più pericolosa rispetto ai tempi della Guerra Fredda, sono esaminati più approfonditamente nel libro citato cui rimando. Qui enumero, quale antipasto per un invito alla lettura, sinteticamente cinque aspetti determinanti:
- il “gioco base”, in particolare tra le due superpotenze atomiche, non è la “Mutua distruzione assicurata” (acronimo: MAD) ma la ricerca del “Primo colpo”. La regola è: chi colpisce per primo deve poter vincere;
- non ci si prepara solo ad un confronto generale ma esistono anche scenari per guerre nucleari localizzate, cosiddette “di teatro”, ed in particolare limitate al “teatro europeo”;
- le nuove mininukes tattiche, spacciate come “sicure per i civili”, sono concepite per essere usate normalmente sui campi di battaglia e il loro impiego tende a sfuggire ad un controllo centralizzato;
- la proliferazione nucleare orizzontale (più potenze dotate), ufficialmente vietata, va incoraggiata e favorita per gli Stati “amici”, impedita invece (anche con bombardamenti preventivi) per gli “Stati-canaglia”;
- è in corso una ricerca febbrile per armi nucleari “di nuova generazione” che cancellano la fondamentale distinzione tra armi atomiche e armi convenzionali e vanificano tutti i trattati internazionali per la non proliferazione.
Alfonso Navarra
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