ambiente
Manca l'aria
di Alberto “Abo” Di Monte
La verifica e la comunicazione della qualità dell'aria sono nelle mani di enti pubblici e media. Solo imparando a produrre e interpretare i dati possiamo pensare a politiche ambientali efficaci.
L'allarme giornalistico risuona,
periodico e atteso, alle orecchie indifferenti degli abitanti
della city lombarda: “a causa dello sforamento
continuo per cinque giorni della soglia di legge...” oppure
“Milano è in violazione della normativa europea,
dopo il superamento dei 35 giorni di sforamento previsti”
e così via.
In materia di PM10, per dirne una, l'Unione Europea ci offre
una tabella di agevole lettura: nelle 24 ore, la concentrazione
tollerabile di microparticolato è di 50 µg/m³,
nell'anno la sua media deve stare sotto i 40 µg/m³
e il numero massimo di superamento della soglia è di
35 giorni, sempre calcolati su base annuale. Oltre queste soglie
di sopportabilità delle cosiddette “polveri sottili”
entra in partita la Corte di giustizia e, onde evitare la messa
in mora e la conseguente figuraccia, le città si attrezzano
sul breve termine con misure di blocco (parziale, totale, domenicale,
a targhe alterne...) delle auto. Sul tempo lungo, incentivi
all'acquisto di auto e caldaie meno inquinanti si avvicendano
a politiche di ammodernamento del parco mezzi per il trasporto
pubblico locale e restrizioni all'uso dei mezzi più vetusti
nelle aree centrali.
Come si accerta l'inquinamento?
Flashback. Piuttosto di precipitare sui rimedi istituzionali
e la loro utilità, come accertare in maniera puntuale
e georeferenziata la consistenza del problema? L'accertamento
della presenza di inquinanti in atmosfera (sì, perché
oltre al PM10 la verifica della qualità dell'aria è
complicata dalla persistenza di molti altri inquinanti, su tutti
PM2,5, NO2, SO2, CO, O3, C6H6) è effettuato da una trama
di enti che ha al suo vertice l'Agenzia per la protezione dell'ambiente,
a livello regionale l'ARPA, quindi le agenzie locali presenti
sul territorio, ad esempio a Milano è attiva l'AMAT (Agenzia
mobilità ambiente e territorio, che fa capo al Comune).
La sensoristica installata a tappeto dentro e fuori le mura
delle città, ci restituisce un'impressionante mole di
dati real-time, presto corredati di bollini verdi, gialli
e rossi, a significare la pericolosità di quanto attraversa
di notte e di giorno i nostri temerari polmoni. Le basi di dati
vengono infine pubblicate online e “restituite”
in forma di open-data alla cittadinanza, in ossequio alle linee
guida di trasparenza e partecipazione sancite dalla Convenzione
di Aarhus nel lontano 1998.
Fin
qui il ripassone dei fatti noti. Ora tentiamo un'ipotesi di
ordine diverso. Diciamo che una cornice istituzionale di questo
tipo, unitamente alla sua consolidata narrazione mainstream,
piuttosto di avvicinarci coralmente alla ricerca di soluzioni
radicali ci abbia avvicinato all'ineluttabilità di un
fenomeno troppo impalpabile per essere compreso, contrastato,
superato. Diciamo, sempre per tentare un esercizio di stile,
che se l'approccio sperimentato sin qui ha premiato soluzioni
interne al primato della ragione economica (accelerando il tasso
di sostituzione di macchine, mezzi, fabbriche...) un diverso
sistema di pensiero possa germinare altre e nuove ipotesi di
lavoro, per rispondere ad una sfida dal costo di vite, ambientale
e sanitario assolutamente insostenibile.
Imparare a produrre (e comprendere) i dati
Immaginiamo dunque di mettere in campo un progetto tanto ambizioso
da ribaltare la logica della produzione, analisi e diffusione
dei dati, non con l'orizzonte di sostituirsi né di contestare
la validità dei dati oggi disponibili, ma di valorizzare
questa acquisizione, di riappropriarcene, di farne quindi strumento
autoprodotto per la nostra vertenza per un'aria che valga la
pena di essere respirata. Imparare a produrre, registrare, liberare
e leggere i dati può esorcizzare la loro scomoda onnipresenza?
Forse no, eppure ci può donare una sbirciata dentro la
macchina del fatto quantitativo, una vista comunque utile a
posizionare il fatto all'interno di una cornice politica.
Da dove si comincia? La piattaforma da cui voglio partire è
tedesca e risponde all'indirizzo https://luftdaten.info/ Qui
sono collezionati i dati in tempo reale rilevati da oltre 6000
sensori concentrati in Europa continentale, ma disseminati un
po' ovunque nel mondo. A margine della mappa principale, e dei
dati che vi si possono leggere ed estrapolare, torniamo prepotentemente
al piano di realtà con una call che “convochi”
gruppi di base, individualità, spazi sociali, che insistono
sul territorio ampio di una città o di un'area metropolitana
per tessere la trama dell'analisi qualitativa dell'aria che
condividiamo. Attorno alla collezione pubblica dei dati prodotti,
senza alcun abbandono fideistico nei confronti del fatto quantitativo
e tenendo in considerazione le opportune variabili che sono
proprie dei fenomeni complessi, possiamo provare a porre sul
banco da laboratorio la qualità delle politiche pubbliche
in fatto di mobilità, riscaldamento, qualità dell'aria
nel contesto urbano.
Probabilmente abbiamo bisogno di questo anche per convincerci
alla disamina dello storico dei dati già liberamente
disponibili, nel caso di Milano, dal 2004.
Attorno a questa prima lettura temporale possiamo sviluppare
ulteriori layer d'indagine, quali alert automatici in
caso di sfondamento per più giorni delle soglie di attenzione
o di particolari picchi, piuttosto che info-data interattive
che stimolino altri a produrre nuovi ragionamenti e pratiche
in direzione di una più ampia campagna di sensibilizzazione
e azione sul tema dell'aria da respirare, nella più ampia
cornice dei cambiamenti climatici e dell'apporto che scelte
politiche e stili di vita danno alla giustizia sanitaria così
come al surriscaldamento globale.
Oltre questo primo step è forse necessaria una riflessione
più ampia sulle prospettive dell'azione climatica e della
definitiva rottura della cornice semantica dell'antropocene
e della sua distorta assegnazione di comuni responsabilità
“di specie”, in un mondo che non offre pari opportunità
di scelta e di vita. Su questo apparente puntiglio semantico
si sono espressi in molti e più preparati del sottoscritto.
Nella prefazione al volume Antropocene o capitalocene?
di Jason W. Moore, così si esprimevano E. Leonardi e
A. Barbero: “evidente, quindi, che Antropocene non sia
solo il nome di una nuova epoca geologica, ma anche quello di
un inedito regime di governance dell'ambiente globale. Occorre
dunque prestare attenzione critica al rischio che il concetto
venga fagocitato nel vortice post-politico della tecnocrazia
globale.”
L'orizzonte possibile? Ad esempio, quello della candidatura
meneghina alla COP 26, la Conferenza dell'ONU sul “climate
change”, che si terrà tra 500 giorni circa. Una
candidatura, attenzione, che è irriducibile alla sola
agenda della città turistificata ed eventificio, piuttosto
che alla legacy di medio termine dell'esposizione universale
più contestata di sempre. Il sindaco Beppe Sala si è
dapprima posizionato alla vice-presidenza del network internazionale
di città “resilienti” dal nome C40cities,
quindi ha abbracciato la guerra ai motori diesel al cuore della
sua politica per implementare la congestion charge della
città adottando “area b”; oggi tende la mano
al treno delle COP perché il dente duole nel solco che
si è creato tra il forte attivismo propagandistico e
l'esito delle politiche pubbliche sin qui messe in campo per
contrastare la persistenza di sostanze inquinanti in città.
Il baratro della crisi ecologica
Nel linguaggio comune l'ora d'aria evoca il tempo che un detenuto
può passare a fare movimento al di fuori dello spazio
angusto della cella che gli preclude ogni altra libertà.
Ogni ora di libertà va agognata, pretesa, conquistata
se necessario. Eppure il saldo della nostra libertà non
si può dare sul mero calcolo delle ore, quanto sulla
nostra capacità di piegare il discorso pubblico in direzione
di quella che gli anglofoni definiscono la “extinction
rebellion”, la ribellione alla soluzione unica del baratro
verso cui la crisi ecologica ci sta rapidamente spingendo.
Alberto (Abo) Di Monte
@abuzzo3
|