Il nemico è il Sud
Un mio conoscente, che ha 95 anni e ha speso la vita in un paese piccolo, tutte le volte che vede una ragazza di colore per strada che fuma e chiacchiera con le amiche, commenta: «Ma guarda, si comportano proprio come noi. Come si sono modernizzate!». Per quanto odiosa e razzista sia la considerazione, essa è figlia di un'epoca in cui lo stereotipo era per molti il solo modo per controllare l'ignoranza e per tenere a bada la paura. La tassonomia semplificatoria che divide il mondo in due, disegnando una coincidenza perfetta tra topografia geografica e costume culturale sembrava la sola modalità cognitiva possibile per chi non si era mosso praticamente mai dalle sue colline, dal cascinale di famiglia e da una quotidianità sempre uguale a se stessa. A 95 anni e in circostanze come queste, forse, ci sta. È un atteggiamento irritante, fuori dal tempo, sbagliato, liquidatorio, ma ci sta.
Il Ministro della Pubblica istruzione dell'Italia di oggi ha 57 anni. Nato a Gallarate, ha studiato e accumulato esperienza istituzionale, nel senso che ha ricoperto diversi ruoli di responsabilità (e verrebbe da chiedersi come). Ora, in questo sciagurato paese, gli spetterebbe un compito importante, forse il più importante di tutti: la promozione culturale, la supervisione di un apparato formativo che dovrebbe aiutarci a non ragionare con parti del corpo che non sono il cervello, l'individuazione di strumenti di emancipazione sociale e politica, di equilibrio, di correttezza pubblica e privata.
Allora: questo Ministro della Pubblica istruzione va in visita in alcune scuole della Campania. Non so che cosa gli abbiano fatto. Non so quale imperdonabile offesa si sia consumata prima dell'intervista di una televisione locale. Non so neanche quale malcapitato si sia trovato a chiedere se per colmare il divario nell'istruzione scolastica tra Nord e Sud fossero previste misure specifiche. A una domanda del tutto ingenua, e in parte rituale, il ministro risponde, con rabbia mal contenuta, che il Sud ha bisogno solo di impegnarsi di più e di lavorare meglio. Nessuna misura è prevista.
Dunque, eccoci qua. Lo stereotipo dice che la scuola del Sud non vale niente perché gli insegnanti non vanno al lavoro e sono pelandroni che rubano lo stipendio. Leggono il giornale in classe, promuovono chiunque e si mettono d'accordo coi bidelli perché la campanella suoni prima. È già un miracolo se vanno in aula. E spesso fanno lezione in dialetto perché non sanno l'italiano. Non è chiaro se almeno si lavino i piedi ogni tanto e se cucinino il cibo prima di mangiarlo. Selvaggi, insomma.
Lo stereotipo ignora che vi sono scuole del Sud i cui studenti hanno vinto premi importanti, a dispetto delle condizioni spesso proibitive degli edifici scolastici e delle strutture di lavoro in generale. Lo stereotipo non sa che certe scuole del Sud hanno salvato la vita a certi loro studenti, strappandoli dalla strada e portandoli a immaginare un futuro diverso dall'esercizio della piccola criminalità. Lo stereotipo non distingue, omogeneizza, semplifica e disegna un meridione che ha rubato soldi e benessere a un Nord che ora rivendica la superiorità del babbuino.
Lo stereotipo ha bisogno della rassicurazione di regole ripetitive, e soprattutto deve identificare un nemico. Così, il Ministro della Pubblica istruzione, probabilmente incapace di migliorare le condizioni generali della formazione culturale italiana, fa una cosa semplice: fornisce un nemico a chi nutre la legittima rabbia di una persona che fa un lavoro bellissimo – quello dell'insegnante – senza aiuto alcuno. Il nemico è il Sud, non uno stato incapace. Il nemico non sono io, dice il Ministro.
È colpa del gatto, mamma, se gli ho pestato la coda.
Nicoletta Vallorani
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