dibattito anarchismo
La crisi della democrazia
di Franco Bertolucci
In tutta Europa (e non solo) il
sistema politico fa acqua. Nazionalismi, mito dell'ordine, errori
della sinistra parlamentare prefigurano scenari foschi.
Editore e attivista libertario, Bertolucci propone una rivisitazione
del concetto di democrazia. D'altra parte anche Malatesta, secondo
lui...
Il 23 e 26 maggio milioni di
cittadini europei saranno chiamati alle urne per eleggere il
nuovo parlamento europeo. Mai come in questo momento storico
l'Unione Europea è messa in discussione e con essa lo
è anche l'idea della democrazia rappresentativa: da una
parte tecnocrati, banchieri e finanzieri che la pensano solo
in termini speculativi; dall'altra parte sovranisti, nazionalisti,
euroscettici, xenofobi, identitari, islamofobici sempre più
aggressivi, l'un altro armati contro tutti, avanzano come un
esercito contro la democrazia, ritenendola il male generatore
di quei “mostri” che minano l'indipendenza, la sicurezza,
la ricchezza, la “tradizione” e il mito di un'Europa
“bianca” e “cristiana”, che per inciso
esiste solo nelle loro teste.
Si arriva anche, in alcuni casi estremi, a ripescare l'idea
del Volk e l'ideologia völkisch1
che nacque in Germania a cavallo dei secoli diciannovesimo e
ventesimo. Una corrente di pensiero formatasi a causa del ritardo
del processo di unificazione nazionale e che contribuì
a comporre un movimento nazional-patriottico che fondò
la sua ragion d'essere nella ricerca di un “radicamento”,
nell'esaltazione del mondo rurale e nella negazione del progresso
e dell'industrialismo: quindi si orientò fin dall'inizio,
più o meno esplicitamente, in un senso antisemita, identificando
l'ebreo con la moderna società industriale che sradica
il contadino. Sappiamo poi come questo retroterra culturale
sia stato fondamentale nella genesi e nello sviluppo del nazismo.
I ricchi sono sempre più ricchi...
La democrazia rappresentativa, è noto, è in crisi
da molto tempo nelle società avanzate e i “riti”
elettorali e le “riforme” mancate di questi anni
non sono riusciti ad arginare questo declino che sembra inesorabile.
È una crisi di vaste proporzioni che si alimenta, ovviamente,
della recessione economica di quest'ultimo decennio che accentua
le sperequazioni sociali e le tensioni internazionali mai sopite
con guerre, terrorismo e distruzioni. Inoltre, come non poter
accennare alla crisi ambientale e ai flussi migratori dal sud
del mondo che mettono in discussione i delicati equilibri geo-politici
del vecchio continente? Per capire dove va il mondo basta citare
l'ultimo rapporto di Oxfam presentato qualche tempo fa, alla
vigilia dell'apertura del Forum economico mondiale di Davos:
ventisei super miliardari si spartiscono da soli un reddito
pari a quello di 3 miliardi e 800 milioni di poveri (su 7,6
miliardi di persone sulla Terra), i ricchi sono sempre più
ricchi, i poveri sempre più poveri.
Che ruolo ha il governo giallo-verde e qual è la sua
filosofia politica di fronte a questo contesto nazionale e internazionale?
A seguire il fiume di parole che i due leader dell'attuale coalizione
sciorinano quotidianamente – dai social media alla
televisione – si coglie subito un elemento comune assai
preoccupante: entrambi, utilizzando con maestria la comunicazione
e con un'attenta manipolazione delle informazioni, tendono a
esaltare e a spettacolarizzare le emozioni suscitate dagli eventi
al fine di provocare una costante “mobilitazione”
del proprio “popolo”. Quest'ultimo è sempre
osannato come il “sovrano” dell'attuale potere,
i cui unici interpreti legittimi sono i due leader che si contrappongono,
con pose istrioniche, alla “politica dei vecchi partiti”
e allo stesso parlamento.
In questa operazione vengono utilizzati simboli e gesti che
stanno iniziando ad assurgere a rituali liturgici buoni a soddisfare
le aspettative del proprio pubblico: le “divise”
e i “selfie” del ministro dell'interno, i “balconi”
e le “passeggiate” del ministro dello sviluppo economico,
del lavoro e delle politiche sociali, ecc. Non è un caso
che, come hanno sottolineato diversi osservatori, di volta in
volta la loro retorica nazional/populista/sovranista enfatizzi
il clima di “emergenza”, vuoi sulla questione dei
migranti o su quella della securitate, o rivendicando
il lavoro e le case solo per gli italiani, diffondendo così
inevitabilmente una cultura generalista e populista tutta declinata
sul nazionalismo, il razzismo, il sessismo, il meritocratismo
sociale, ecc.
Sulla questione dell'immigrazione giocano soprattutto di rimessa,
rilanciando in modo spettacolare, perché è un
messaggio facile ed efficace per l'analfabetismo politico generalizzato.
La solita logica della guerra tra poveri, quale strumento di
distrazione di massa e investimento sul rancore sociale.
Entrambi i leader delle due formazioni poi alludono, nei propri
discorsi, alla necessità di superate questo modello di
“democrazia rappresentativa”, per Salvini –
che non scordiamocelo guida un partito condannato a risarcire
lo stato per 49 milioni di euro, denari trafugati dai suoi mentori
– la democrazia è un optional da utilizzare
nei rituali elettorali, tanto che un suo fan, Flavio Briatore,
recentemente ha sentenziato che “in Italia, la burocrazia
– leggasi la democrazia – è una cosa spaventosa,
che ostacola tanti italiani che si rimboccano le maniche la
mattina. Ci vorrebbe una dittatura democratica come negli Stati
Uniti, per cui chi vince le elezioni comanda davvero, fino a
nuove elezioni”2.
Ascoltando gli argomenti di Salvini o Di Maio, i loro giri di
parole sulla patria, la difesa dei confini, l'ordine e la pulizia,
morale e materiale, della nostra società, ecc. e vedere
la loro “popolarità” crescere ogni giorno
sempre di più, ci induce a pensare che forse essi costituiscono
la punta di un iceberg che affonda le sue radici culturali e
politiche nella profondità della società italiana
e quello che sta spuntando è un blocco economico e sociale
che si alimenta di un profondo rigurgito di “egoismo moralistico”,
di “orgoglio nazionalistico”, di malcelato “razzismo”
misto a un diffuso bisogno di “autorità”,
di un “capo energico che guidi la nazione”, una
realtà che viene da lontano della nostra storia novecentesca.
In questo senso vanno lette le iniziative della Lega che scende
in piazza a Torino con Confindustria, PD, Forza Italia e Casapound
in difesa del TAV, mentre i 5 Stelle tirano la volata ad altri
settori, tipo quelli della green-economy, ritenuta da molti
l'ultima sponda del capitalismo.
Ma la sinistra ha rinunciato alla trasformazione
sociale
Questa situazione si è sviluppata nel nostro Paese grazie
anche agli errori commessi dalla “sinistra” parlamentare,
che, ad esempio, sull'immigrazione e sui temi securitari ha
sempre rincorso la destra, introducendo la politica dei flussi
che già aveva in sé il germe della discriminazione,
scelte politiche poi completate dalla legge Turco-Napolitano
che istituì i CPT e ispirò la Bossi-Fini. Questo
brodo di coltura discriminante ha preparato così il terreno
per le estreme conseguenze leghiste-pentastellate, tanto che
persino l'attuale ministro dell'interno ha ringraziato Marco
Minniti, ex ministro dell'interno ed esponente del PD, per il
suo precedente operato.
La “sinistra”, in generale, sembra oggi non accorgersi
bene di ciò che sta accadendo, si affanna dietro a slogan
stantii, si aggrappa a una pretesa necessità di “cultura
della legalità”, alla Carta Costituzionale e ai
principi fondatori dell'Unione Europea dimenticandosi che, entrambi,
nascono da compromessi al ribasso che hanno imposto un'idea
di democrazia basata su ideali e forze ispirati a modelli liberali
funzionali solo all'organizzazione capitalista.
La “sinistra”, quella riformista e democratica,
ha rinunciato da decenni a qualunque ipotesi di trasformazione
della società, anche se graduale, abbandonando l'idea
che la democrazia in qualche modo sia connessa all'idea stessa
di socialismo. Eppure, nella storia del movimento operaio –
socialista o libertario che sia – l'idea di una società
costruita dal basso, nel senso più ampio possibile, e
democratica di tipo consiliare è sempre stata, nel bene
e nel male, nel DNA della teoria rivoluzionaria. Un'idea di
democrazia che si è sempre opposta a quella liberale3.
Intendiamoci, in questa corrente non sono compresi ovviamente
coloro che anche a sinistra hanno in passato abiurato i principi
della democrazia per imporre un “socialismo di stato”
che poi di fatto si è ben presto trasformato in un “capitalismo
di stato”.
Come disse Priscilla Poggi
C'è un aneddoto nella storia popolare pisana che vale
la pena ricordare per far capire questa differenza concettuale
tra la democrazia liberale e la democrazia socialista.
Molti anni fa, poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale,
la Giunta comunale di Pisa volle portare un proprio segno di
solidarietà all'anziana anarchica ed ex leader delle
“fabbrichine” [leggi tessitrici] pisane, Priscilla
Poggi, in quel tempo, al termine dei suoi giorni, ricoverata
all'ospizio di via Garibaldi. La Giunta, con a capo il sindaco
Italo Bargagna – ex repubblicano passato alle file del
PCI –, nel rendere l'ultimo saluto alla “Luisa Michel”
pisana le rivolse più o meno queste parole: “Cara
Priscilla, devi essere fiera della tua vita e per quante sofferenze
hai subito per la tua coerenza politica, devi essere oggi contenta
che abbiamo sconfitto il fascismo, cacciata la monarchia e conquistata
la democrazia”. L'anziana libertaria volgendo il viso
verso i suoi visitatori, alzando la mano e indicando con l'indice
il capo della delegazione, rispose istantaneamente con voce
ferma: “Toh!, mica quella proletaria!”.
In questa breve risposta della rivoluzionaria pisana stanno
due concetti fondamentali: l'appartenenza di classe e la concezione
socialista della democrazia. Nel senso che per Priscilla non
poteva esistere altra forma di democrazia che quella socialista,
mentre quella borghese non era altro che una forma politica
di rappresentanza del dominio della società capitalista,
cioè di una società basata sull'ingiustizia, la
violenza e la discriminazione di classe anche se più
o meno diluite in forme di Welfare State. Va inoltre ricordato
che quella generazione di rivoluzionari aveva ben chiaro il
rapporto fra etica e politica: un legame forte inscindibile
che univa gli ideali e i valori di una società libera
egualitaria con una prassi, quella politica, che doveva essere
coerente ed efficace nell'attuazione di quei principi. E va
infine aggiunto che nella tradizione libertaria, la “democrazia”
– intesa come affermazione di un processo rivoluzionario
dal basso – non poteva essere disgiunta dal concetto di
libertà integrale e dalla necessità di eliminare
ogni forma di potere di classe e di stato residui delle vecchia
società.
Su tale questione, però, è bene riflettere un
po' di più perché oggi non siamo certamente all'alba
di una rivoluzione proletaria, e i venti che attraversano l'Europa
tendono a far intravedere l'affermazione di tendenze e regimi
che mettono in discussione sempre di più le libertà
acquisite e i diritti civili di alcune minoranze, etniche e
non, di gruppi di lavoratori come quelli precari o i disoccupati,
di gruppi sociali più deboli come i migranti e/o di gruppi
di genere e/o lgbt. Per cui, quello che veramente conta oggi
è il diffondersi preoccupante di un “discorso”
discriminatorio e razzista.
Difendere ed estendere la libertà
Certo, nessuno ha dubbi sui caratteri falsi, illusori, fallaci
della “democrazia” e della “libertà”
così come le abbiamo conosciute in Occidente nell'ultimo
mezzo secolo, e poco tempo fa su questa rivista Andrea Papi
ha ben ricordato la natura della democrazia liberale e i suoi
miti ingannatori4. La messa in discussione di questi miti liberali
e democratici borghesi è sempre stato uno dei fondamenti
della critica libertaria. Questi principi, democratici borghesi,
oggi sono oggetto delle polemiche e degli attacchi dei nuovi
movimenti sovranisti/nazionali/populisti e dei loro nuovi leader,
basta vedere ad esempio quello che sta accadendo in Ungheria
e in Polonia.
Secondo il mio modesto parere sarebbe necessario riprendere
urgentemente a parlare del vero significato della “democrazia
socialista”, e non aver paura di difendere la libertà,
ogni libertà, anche quelle della cosiddetta “democrazia
liberale” in senso lato, per contrastare la tendenza all'autoritarismo
e alla violenza che sempre più si stanno affermando.
Non si tratta di fare un fronte comune con forze politiche che
oggettivamente sono già da anni dall'altra parte della
barricata; i riformisti facciano i riformisti e i rivoluzionari
siano conseguenti alle loro scelte, ma oggi è necessario
essere coscienti che ogni pur piccolo spazio di libertà
perso – ottenuto con tanti sacrifici dalle generazioni
passate, anche se formalmente concesso da uno “stato democratico”
–, è oggettivamente uno spazio regalato ai nostri
nemici di sempre.
Errico Malatesta, 1924 e oggi
Come scriveva Malatesta nel 1924, al manifestarsi di una delle
gravi crisi della democrazia liberale, di fronte alla nascita
del regime fascista:
Non v'è dubbio, secondo me, che la
peggiore delle democrazie è sempre preferibile, non
fosse che dal punto di vista educativo, alla migliore delle
dittature. Certo la democrazia, il cosiddetto governo di popolo,
è una menzogna, ma la menzogna lega sempre un po' il
mentitore e ne limita l'arbitrio; certo il “popolo è
sovrano” è un sovrano da commedia, uno schiavo
con corona e scettro da cartapesta, ma il credersi libero
anche senza saperlo val sempre meglio che il sapersi schiavo
ed accettare la schiavitù come cosa giusta ed inevitabile5.
Malatesta confidava nella natura umana, nella volontà
rivoluzionaria e nel principio pedagogico dell'esempio, con
cui la nuova società fondata sulla libertà avrebbe
dovuto affermarsi in contrapposizione al vecchio mondo autoritario.
Compito degli anarchici, per Malatesta, era dunque quello di
difendere ed estendere tutte le libertà e nella fase
transitoria dal vecchio regime alla nuova società –
dove le varianti politiche e sociali sarebbero potute essere
molte – gli anarchici avrebbero dovuto restare tali “prima,
durante e dopo la rivoluzione” mantenendo al massimo le
proprie capacità di influenza morale e politica sulle
classi subalterne.
Fugando dall'orizzonte dell'anarchismo ogni ipotesi che contemplasse
l'imposizione di una scelta autoritaria, ma confidando invece
nello spontaneismo delle classi subalterne liberate dalle catene
della schiavitù, l'anarchia avrebbe dovuto affermarsi
gradualmente, nella misura in cui le idee di libertà
e di eguaglianza fossero divenute un patrimonio comune.
Questo in sintesi il pensiero di Malatesta di fronte alla crisi
del liberalismo e all'avanzata del fascismo, ma oggi –
dopo più di 70 anni di democrazia – a leggerle
con attenzione queste parole manifestano ancora una loro forza
morale da cui prendere spunto per resistere con una nuova “insorgenza
delle coscienze” che stimoli il consolidarsi di un'opposizione
concreta alle nuove destre nazional/populiste/sovraniste.
Franco Bertolucci
- Oggi in Europa esistono correnti e organizzazioni culturali
e politiche che teorizzano l'etnonazionalismo, una sorta di
federalismo etnico, forma modernizzata del nazionalismo etnico
e dell'ideologia völkisch. Tale ideologia assegna
la priorità alla tutela del Volk, inteso come
“comunità di Sangue e Suolo”. L'etnicità
costituisce per gli etnonazionalisti il criterio fondante della
nazione, che prende corpo attraverso la forza del sangue. Il
singolo individuo è subordinato al volere della Volksgemeinschaft,
della comunità etnica. Nella visione etnonazionalista
la mappa geopolitica dell'Europa dovrebbe essere ridisegnata,
attraverso la nascita di una Federazione europea etnica, costituita
da Regioni-Stato, etnicamente omogenee. Per i movimenti e gruppi
etnocentrici non vi è posto per lo Stato nazionale etnicamente
eterogeneo.
- Riportato da “Il Giornale”, 26 dicembre 2018.
- Su questi temi si veda un interessante studio uscito qualche
mese di Monica Quirico, Gianfranco Ragona, Socialismo di
frontiera: autorganizzazione e anticapitalismo, Torino,
Rosenberg & Sellier, 2018.
- Cfr. A. Papi, La
crisi della democrazia, «A rivista anarchica»,
novembre 2018, pp. 19-20.
- Cfr. E. Malatesta, Democrazia e anarchia, «Pensiero
e volontà», 15 marzo 1924, pp. 1-2.
Tutte
a destra
le
principali organizzazioni e partiti di destra in Europa
Riportiamo un elenco delle principali organizzazioni
e partiti di destra con consistenza e storie a volte molto
diverse l'una dalle altre presenti in Europa
Austria: Partito austriaco delle libertà
(FPÖ Freiheitliche Partei Österreichs); Belgio:
Partito nazionalista fiammingo (Vlaams Belang); Bulgaria:
Unione nazionale attacco (Nacionalen Săjuz Ataka);
Cipro: Fronte popolare nazionale (ELAM Ethnikó
Laikó Métopo); Croazia: Partito Croato
dei Diritti (HSP Hrvatska stranka prava); Danimarca:
Partito del popolo danese (DF Dansk Folkeparti); Estonia:
Partito dell’Indipendenza Estone (Eesti Iseseisvuspartei);
Francia: Raggruppamento Nazionale (RN Rassemblement
national ex Front National); Germania: Alternativa
per la Germania (AfD Alternative für Deutschland);
Grecia: Alba Dorata o più correttamente
Lega Popolare-Alba Dorata (Laïkós Sýndesmos-Chrysí
Avgí);); Italia: Casa Pound, Forza nuova
e Lega; Lettonia: Alleanza Nazionale (NA Nacionālā
Apvienība); Lituania: Ordine e Giustizia (TT
Tvarka ir teisingumas); Malta: Movimento dei patrioti
maltesi (Moviment Patrijotti Maltin); Olanda: Partito
per la Libertà (Pvv Partij voor de Vrijheid); Polonia:
Diritto e Giustizia (Pis Prawo i Sprawiedliwość);
Portogallo: Partito Nazionale Rinnovatore (PNR
Partido Nacional Renovador); Repubblica Ceca: Alba
- Coalizione Nazionale (Úsvit – Národní
koalice); Romania: Partito Grande Romania (PRM
Partidul România Mare) e Nuova Destra (Noua Dreaptă);
Serbia: Partito Radicale Serbo (CPC-SRS); Slovacchia:
Partito Popolare Nostra Slovacchia (LSNS Ľudová
strana Naše Slovensko) e Partito Nazionale Slovacco
(SNS Slovenská Národná Strana); Spagna:
Vox; Svezia: Svedesi Democratici (Sverigedemokraterna);
Ungheria: Unione dei Giovani Democratici (Fidesz
Magyar Polgári Szövetség) e il Movimento
per un’Ungheria Migliore (Jobbik Magyarországért
Mozgalom). In ultimo va anche citato United Kingdom
Independence Party, noto ai più come Ukip, il partito
che ha promosso in Inghilterra il
referendum sull'uscita dall'UE del Regno Unito.
a cura di F.B. |
|