memorie
L'attivismo della coerenza
di Gianni Alioti
Il 24 dicembre 2018 è morto il libertario argentino Osvaldo Bayer. Uno degli intellettuali più rispettati dell'America Latina. Difensore instancabile dei popoli indigeni, della classe lavoratrice e della libertà.
Come ha scritto, nella lettera
di commiato, il figlio Esteban, “Erano settimane che Osvaldo
sentiva la necessità di partire. Non sopportava stare
senza fare niente, seduto nella sua casa [nel quartiere di Belgrano
a Buenos Aires] il Tugurio [come l'aveva denominata il suo amico,
Osvaldo Soriano anche lui scrittore e giornalista argentino
morto nel 1997]. Voleva fare le sue valigie. Si svegliava, dicendo
che doveva andare a un congresso per discutere sui diritti umani,
che lo aspettavano in un paesino remoto della Pampa [...] o
che l'avevano invitato in una piccola scuola a Puna [nello stato
argentino di Jujuy al confine con la Bolivia] per parlare dei
diritti dei popoli indigeni.
Allo stesso tempo lo aspettavano all'Università di Berlino
e in un'assemblea di un sindacato in Patagonia. [...] Chiedeva
della sua valigia, se il passaporto e il biglietto di viaggio
erano a portata di mano. Con Claudia, la compagna che si era
presa cura di lui in questi ultimi anni, avevamo sviluppato
dei codici per convincerlo che doveva posticipare il viaggio.
Oggi [la vigilia di Natale] non ha accettato rinvii. Ha deciso
di partire. Come un buon anarchico e per imbrogliare tutti quelli
che hanno acceso le candeline di un alberello verde, ha scelto
la data esatta. L'hanno rivelato tra le lacrime le sue nipoti
ad Amburgo: il nonno ha fregato la chiesa [...]”.
Per un'insolita coincidenza, dall'altra parte dell'oceano, un
altro compagno anarchico di 91 anni, Gianni Forlano, è
morto nella stessa notte di Natale. “Sembra quasi che
abbia scelto anche la data della sua morte per marcare il senso
laico e anticlericale della propria esistenza”, scrive
il suo amico Paolo
Finzi nel numero scorso di “A” rivista. Non
so se i due si fossero mai incontrati nei crocevia del mondo
o in questo loro ultimo viaggio. A me piace pensarlo.
Osvaldo Bayer ha sempre sperato di potersi riunire con tutte
le persone anonime che hanno lottato per una giustizia terrena.
Senza aver “sbandato”. Senza essersi dati mai per
vinti.
Gli anonimi che lottano tutti i giorni, senza apparire nei quotidiani
o in televisione; sono questi che il “vecchio”,
come lo chiamavano affettuosamente gli amici, ha sempre ascoltato
e a cui ha dato voce.
Chiarire il passato, affinché non si ripeta
In un'intervista di due anni fa, Osvaldo disse: “Ci sono
persone che non si arrendono, che resistono, fino alla fine.
Bisogna uscire in strada e smuovere i politici, perché
si rendano conto di quello che hanno fatto. L'unico modo per
cambiare le cose è partire dal basso”.
Osvaldo era consapevole che in un tempo in cui il ruolo dell'intellettuale
era spazzato via dalla società dello spettacolo, si esigevano
un impegno maggiore e un coinvolgimento diretto. Per questo
motivo, negli ultimi anni della sua vita, anche quando la sua
voce si levava solitaria, risuonava sempre chiara e forte. Come
nella difesa dei popoli indigeni. Quando ne parlava era solito
ricordare che “si tratta di chiarire il nostro passato
affinché non si ripeta mai”!
A questo proposito – molti se lo ricordano ancora –
in un video dell'agosto 2017, all'età di 90 anni, mentre,
guardando fisso la fotocamera, dichiarava in modo deciso: “Sono
Osvaldo Bayer, 50 anni fa ho vissuto a Esquel e ho denunciato
il furto di terra alla comunità Mapuche di Cushamen.
Esigo che terminino le sparizioni forzate in Argentina. [...]
Un mese dopo la sparizione forzata di Santiago Maldonado, ci
auto-convochiamo a Playa de Mayo per chiedere la sua riapparizione,
vivo!”.
A sostegno della famiglia Maldonado che chiedeva “verità
e giustizia” si era schierata, con Osvaldo Bayer, anche
l'associazione delle madri dei desaparecidos (Las Madres
de Plaza de Mayo) che da tempo protestava contro il nuovo presidente
Mauricio Macrì, accusato di voler minimizzare i crimini
commessi dalla dittatura di Videla fra il 1976 e il 1981.
L'Argentina è ancora una volta divisa. Una parte chiede
di voltare pagina, mettendo una pietra sopra ai crimini commessi
dai militari, l'altra invece ricorda l'impegno preso con la
fine della dittatura: Nunca más (“Mai Più”).
E, per molti, il caso di Santiago Maldonado ha fatto ripiombare
il paese nell'incubo di quegli anni. Era già il secondo
caso di desaparecido durante il Governo di Macrì. Il
primo fu la sparizione forzata – nel novembre 2016 –
di Marcelino Olaire, un indio nipote del capo della comunità
Qom. Ad oggi Marcelino non è stato ancora ritrovato.
Santiago, il giovane attivista che lottava per i diritti dei
popoli indigeni, era scomparso nel nulla l'1 agosto 2017 mentre,
stava partecipando a una protesta dei Mapuche che era terminata
con una violenta repressione da parte della Gendarmeria. La
protesta era avvenuta nei pressi di Esquel in Patagonia. Lo
stesso luogo dove Osvaldo Bayer, tornato in Argentina dopo aver
conseguito una laurea in storia in Germania, si stabilì
nel 1957. È qui dove iniziò il lavoro di giornalista
nei quotidiani patagonici “Noticias Gráficas”
ed “Esquel”, dal quale fu ben presto licenziato
per la sua compromettente libertà di pensiero. Ma Osvaldo
non si perse d'animo e non rinunciò a dedicarsi al giornalismo
d'inchiesta. Nel 1958 a Esquel fondò, insieme a Juan
Carlos Chayep, “La Chispa”. Il primo periodico indipendente
in Patagonia.
Nel primo numero de “La Chispa”, Osvaldo Bayer scrisse
che era “necessario trattare al più presto il problema
delle terre di Cushamen”. Raccontò le trame della
politica, che portarono – nella formazione delle nuove
classi dominanti in Argentina – all'appropriazione indebita
di terre aborigene, da parte dei proprietari terrieri e dei
luogotenenti dell'esercito. Fu anche l'inizio del suo lavoro
di storico, che finalizzò con la pubblicazione del libro
Los Vengadores de la Patagonia Tragica. Un emblema della
sua opera, ma anche della ricerca storica e giornalistica argentina.
Sono quattro tomi pubblicati nel 1972, 1974 e 1975, raccolti
sotto il titolo Patagonia Rebelde.
A causa di questo libro la Alianza Anticomunista Argentina,
conosciuta come la tripla A – diretta da José López
Rega – minacciò Osvaldo Bayer e la sua famiglia,
costringendoli all'esilio sin dal 1975, prima del golpe militare.
La scomparsa di Santiago Maldonado a Esquel, in quello stesso
luogo dove Osvaldo aveva vissuto e si era schierato per la verità
storica e per i diritti dei popoli indigeni, acquisì
per Osvaldo un significato profondo.
Il primo settembre, raccogliendo l'appello di Osvaldo e de Las
Madres y Abuelas, decine di migliaia di persone si radunarono
in Plaza de Mayo. C'era un unico slogan: “Verità
su Santiago”. La protesta si concluse con scontri nel
centro di Buenos Aires. Un mese dopo, il primo ottobre, ci fu
un nuovo appuntamento (l'ultimo) sempre in Plaza de Mayo a Buenos
Aires e in molte altre città argentine.
Solo dopo queste innumerevoli manifestazioni della società
civile in Argentina, e dopo le denunce a livello internazionale,
il corpo senza vita di Santiago Maldonado verrà ritrovato.
Il 18 ottobre 2017 nel rio Chubut. L'omicidio di Santiago Maldonado,
da quel momento, diventa uno dei simboli della lotta dei popoli
nativi nel Cono Sud dell'America Latina e nel mondo.
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Porta della casa “El Tuguro” di Osvaldo Bayer
foto di Roberto Fiadone |
Contro gli omicidi di Stato
Nonostante siano passati 60 anni dal primo numero de “La
Chispa”, i conflitti per la terra
nella regione patagonica e nell'intera America Latina coinvolgono
ancora migliaia di comunità indigene in tutto il continente.
Lo scontro oppone due logiche inconciliabili: da un lato una
nuova ondata di accumulazione-espropriazione capitalista, attraverso
il processo di estrazione di risorse naturali della Terra da
vendere nel mercato globale; dall'altra quella dei popoli nativi,
come i Mapuche, che rivendicano il recupero delle terre ancestrali,
per vivere costruendo una diversa relazione con la natura e
il territorio. In questa lotta i Mapuche (il popolo della Terra,
da Mapu=Terra e che=uomo) si trovano a combattere contro i Benetton,
i maggiori latifondisti stranieri in Patagonia, e non solo.
Il 25 novembre 2017, poco più di un mese dopo il ritrovamento
del corpo di Santiago Maldonado, è stato ucciso Rafael
Nahuel, giovane mapuche di 22 anni che viveva e lavorava nei
quartieri poveri di Bariloche. Rafael è stato colpito
alla schiena durante lo sgombero della comunità nativa
di Lafken Winkul Mapu, nella zona del Lago Mascardi, disposto
dal giudice federale Gustavo Villanuev. Non è stato dimostrato
che Rafael avesse attaccato le forze di sicurezza, né
che avesse avuto con sé armi da fuoco.
Di fronte a questo ennesimo omicidio di Stato, Osvaldo Bayer
non esitò a scrivere una lettera diretta al giudice Villanueva.
Nella lettera denunciava come inconcepibile un'operazione della
polizia federale con lo scopo di catturare i membri della comunità
di Lafken Winkul Mapu ed espellere con violenza le famiglie
Mapuche, la maggior parte di loro composte da donne e bambini,
violando tutte le norme legali e internazionali... “[...]
Ho visto così tanta viltà nella storia con Mitre,
Roca, Videla, Hipolito Yrigoyen, con la Patagonia ribelle e
ora in democrazia! – una cosa inaudita. [...] La stigmatizzazione,
il razzismo e la violenza sono gli strumenti di coloro che non
hanno argomenti”.
Una costante nell'attivismo di Osvaldo Bayer era questo perenne
coinvolgimento nella lotta a sostegno delle rivendicazioni dei
popoli indigeni. La sua non era una posizione solo politica,
ma anche caratterizzata da una forte tensione etica e ideale.
Contro qualsiasi governo. Durante il kirchnerismo, venne
presa dal governo argentino una decisione ostile nei confronti
di alcune comunità indigene. Così, quando nel
2015 in un'intervista gli chiesero chi fossero i Roca1 di oggi,
rispose: “sono le grandi tenute latifondiste e le imprese
transnazionali.”
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Buenos Aires (Argentina), piazza Alberti, nel quartiere Belgrano, 28 dicembre 2018 - L'addio pubblico a Osvaldo Bayer |
Nessuna dittatura, nemmeno del proletariato
Nella sua vita, svoltasi per anni tra il mondo accademico, il sindacalismo e le redazioni dei giornali, Osvaldo Bayer ha dissacrato i “falsi eroi” massacratori dei popoli indigeni e innalzato le bandiere delle lotte operaie e dei diritti umani. E ha lottato con maestria usando la parola come sua principale arma da combattimento. Nessuno più di lui ha difeso la causa di tutti gli “umiliati e offesi”.
Come ha ricordato Claudio Zeiger, opinionista del quotidiano “Página12”, il “vecchio” si è fatto storico per conoscere la vita collettiva, giornalista per narrarla senza aridità accademica, sceneggiatore di cinema per portare queste storie alle masse. In ogni passo e con ogni suo libro, Bayer ha tracciato la mappa della lotta tra le classi e l'ha fatto con verità testimoniale, con forza espressiva, disegnando il ritratto di insoliti personaggi che difficilmente figurerebbero nella “storia ufficiale”.
Per questi motivi, “Il migliore omaggio che possiamo fare a Osvaldo Bayer”, ha scritto il suo grande amico e storico argentino, Felipe Pigna, “è leggere i suoi libri, ricordare la sua coerenza e seguire la sua lotta”. Un esempio di coerenza da tutti riconosciuto.
Osvaldo Bayer, con il suo umorismo e la sua ironia, trovava sempre il piacere di mettere in discussione le varie forme di potere che incontrava. Per questo lo hanno pianto in molti, sottolineando che con la sua morte, se ne va uno dei giornalisti più degni e onesti del secolo XX e XXI.
Ma oltre al suo “attivismo della coerenza”, definizione che riassume efficacemente la sua vita, quale futuro sognava una persona come lui? La risposta è racchiusa nelle sue parole. “Sogno un socialismo libertario. Una società senza classi o povertà. Nessuna dittatura, nemmeno quella del proletariato. È un sogno... e nella vita dobbiamo lottare per raggiungerlo”.
Infine, qualche parola sul suo rapporto di “anarchico
e pacifista ad oltranza” (come lui stesso si definiva)
con la democrazia, sviluppato in un paese e in un continente
spesso vittima di involuzioni autoritarie e feroci dittature
militari. “Devi essere preparato a difendere la democrazia”,
disse nel 2012 davanti a un centinaio di studenti di giornalismo.
“Democrazia, quella parola che molte volte diventa così
leggera, così naturale, così eterna, è
sempre sotto controllo, è sempre minacciata. In breve,
è un'idea in costruzione”. Per poi aggiungere:
“Finché c'è miseria, non c'è democrazia”.
Osvaldo Bayer, durante tutta la sua vita, ha lasciato –
come libertario – un messaggio ben chiaro: la democrazia
deve essere difesa oltre qualsiasi ambizione di partito. Ci
sono dei limiti al potere che la società deve porre e
che nessun governo in carica, per quanto progressista o repressivo
possa essere, può oltrepassare. Alla fine, tutto dipende
da noi.
Forse è questa l'eredità più importante lasciateci da Osvaldo Bayer.
Gianni Alioti
- Alejo Julio Argentino (1843-1914) generale dell'esercito,
politico, statista argentino, artefice della “conquista
del deserto” da parte dello Stato nazionale. In realtà
erano le terre della Pampa e della Patagonia, dei popoli indigeni
come i Mapuche, che furono deportati e sterminati. È
stato due volte presidente della nazione – tra il 1880
e il 1886 e tra il 1898 e 1904. Attraverso la sua leadership
del Partido Autonomista Nacional ha dominato la scena politica
argentina per 30 anni.
Osvaldo
Jorge Bayer, storico, scrittore, giornalista,
anarchico e dirigente sindacale era nato in Santa Fé,
Argentina il 18 febbraio 1927 ed è morto in Buenos
Aires il 24 dicembre 2018. Fu professore onorario e titolare
della libera cattedra di Diritti Umani della Facoltà
di Lettere e Filosofia dell'Università di Buenos
Aires.
Dal 1952 al 1956 studiò Storia nell'Università
di Amburgo in Germania e al suo ritorno in Argentina,
si dedicò al giornalismo, alla ricerca storica
e a scrivere sceneggiature per il cinema.
Lavorò nei quotidiani della Patagonia “Noticias
Gráficas” e “Esquel”
e, in seguito, fu segretario di redazione al quotidiano
nazionale “El Clarín”. Nel 1958
fondó “La Chispa”, primo periodico
indipendente della Patagonia. Dal 1959 al 1962, ricoprì
anche il ruolo di segretario generale del Sindacato della
Stampa.
Durante la presidenza di María Estela Martínez
de Perón, Bayer fu minacciato e perseguitato dalla
Tripla A - Alianza Anticomunista Argentina, diretta da
José López Rega, a causa delle sue opere,
soprattutto per il suo libro “Los vengadores
de la Patagonia trágica”. Per questo
motivo fu costretto all'esilio, vivendo a Berlino Ovest
dal 1975 al 1983. Rientrò in Argentina solo dopo
la caduta della dittatura militare.
In tutti questi anni Osvaldo Bayer ha collaborato come
opinionista con il quotidiano Página12, fondato
nel 1987 da Jorge Lanata, dal suo amico (e scrittore argentino)
Osvaldo Soriano e dal giornalista Horacio Verbitsky. Inoltre,
ha continuato la pubblicazione di numerosi libri (vedere
bibliografia) e ha tradotto dal tedesco diverse opere
di Goethe, Kafka, Brecht.
Ha ricevuto il titolo di Dottore honoris causa, per meriti
acquisiti nel campo dei diritti umani, della letteratura
e del giornalismo, da diverse Università (Buenos
Aires, Cordoba, Quilmes, San Luis, del Sur, Comahue, San
Juan).
Bayer si auto-denominava “un anarchico e pacifista
a oltranza”.
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Bibliografia di Osvaldo Bayer
(in lingua spagnola)
Severino
Di Giovanni, el idealista de la violencia. Ensayo.
Editorial Galerna, Buenos Aires, (1970).
La Patagonia rebelde (tomos I y II). Ensayo. Editorial
Galerna, Buenos Aires, (1972).
La Patagonia rebelde (tomo III). Ensayo. Editorial
Galerna, Buenos Aires, (1974).
La Patagonia rebelde (tomo IV). Ensayo. 1975, Berlín
(Alemania).
Los anarquistas expropiadores y otros ensayos. Ensayo.
Editorial Galerna, Buenos Aires, (1975).
Exilio. Ensayo. Con Juan Gelman, editorial Legasa,
Buenos Aires, (1984).
Fútbol argentino. Ensayo. Editorial Sudamericana,
Buenos Aires, (1990).
Rebeldía y esperanza. Ensayo. Grupo Editorial
Zeta, Buenos Aires, (1993).
Severino Di Giovanni, el idealista de la violencia
(reedición). Ensayo. Editorial Planeta, Buenos
Aires, (1998).
A contrapelo. Conversaciones con Osvaldo Bayer.
Ulises Gorini. Editorial Desde la gente. Buenos Aires,
(1999).
En camino al paraíso. Ensayo. Editorial
Vergara, Buenos Aires, (1999).
Rainer y Minou. Novela. Editorial Planeta, Buenos
Aires, (2001).
Obras completas, Página 12, Buenos Aires,
(2009).
¿Qué debemos hacer los anarquistas?.
Ensayo. Editorial Quadrata.Buenos Aires, (2014).
Bibliografia
di Osvaldo Bayer
(in lingua italiana)
Patagonia
rebelde. Una storia di gauchos, bandoleros, anarchici,
latifondisti e militari nell'Argentina degli anni Venti,
Edizioni Elèuthera, Milano (2009).
Severino Di Giovanni. C'era una volta in America del
Sud, Edizioni Agenzia X, Milano, (2011).
Rebeldia y esperanza. Storia di un esilio, Edizioni
Ouverture, Grosseto, (2016).
La storia sociale del calcio argentino, Edizioni
Alegre, Roma, (2018). |
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