I paesi sovrapposti
Beszel e UlQoma sono due città sovrapposte. Esse occupano cioè lo stesso spazio, ma in dimensioni diverse. Hanno abitanti differenti, architetture non coincidenti, sistemi di governo e regole difformi, e devono per legge ignorarsi a vicenda. Tecnicamente, è possibile che gli abitanti di una città riescano a vedere quelli dell'altra, ma la cosa è vietatissima, e chi trasgredisce la regola dell'“unsee” si espone a sanzioni molto gravi.
Il confine tra Beszel e UlQoma è invalicabile, tranne che in circostanze eccezionali, ed è bene che i due luoghi rimangano separati, di modo che l'equilibrio del mondo resti intatto. In La città e la città, China Miéville costruisce una distopia che ha come setting questo luogo doppio, nel quale il non-vedere è l'abilità selettiva dello sguardo di uniformarsi a una norma imposta, che serve a garantire l'esistenza di entrambi i luoghi in una situazione di non-conflittualità.
Nel mondo reale, vi è una narrazione ufficiale, governativa, del paese Italia: lo stato è solido, l'economia è sana, gli italiani sono felici e mangiano fette di pane e Nutella o pizzoccheri alla valtellinese ogni momento (intendendo questo come atto politico) e l'unico problema reale è rappresentato dai migranti che arrivano in eserciti stracciati dal mare, violando la legge in combutta con presunte associazioni umanitarie e progettando di cancellare la “razza italiana” dalla faccia della terra.
Chiudere i porti, smantellare tutte le istituzioni che lavorano utilmente per accoglienza e integrazione, e spingere in strada persone alle quali non viene riconosciuto lo status di esseri umani non sono atti di banditismo, ma lodevoli decisioni finalizzate a difendere il paese. Per lo stesso motivo, si possono ritenere legittime anche altre strategie difensive. Qualche giorno fa, guardando uno dei programmi televisivi che secondo me dovrebbero esser chiusi, una bionda donna di partito, tangenzialmente finita in qualche guaio per via di un marito con passioni erotiche non proprio lodevoli, dipingeva il quadro di un paese in cui chi esce per strada si trova davanti bande di malviventi pronte a “stuprare, rubare, ammazzare”, intrufolandosi nelle case di persone per bene. Che pertanto sarebbero autorizzate ad armarsi e sparare. Mirando con cura.
Sovrapposto a questo paese, in una geografia coincidente, succede che le persone si arrabattano per arrivare alla fine del mese. Succede che, per esempio, lo stipendio medio di un laureato ormai trentenne, quando c'è, a malapena raggiunga gli 800 euro al mese, si possa perdere il lavoro a 50 anni o se si rimane incinta; ci sono poi ragazzini di scuola che ritengono di poter aggredire legittimamente professori e compagni di classe, e succede che più donne muoiano perché malmenate dai mariti e dai fidanzati. E l'economia non è in crescita. E gli unici lavori che i migranti rubano agli italiani sono quelli che gli italiani non vogliono fare o che vorrebbero fare con una paga equa, quella che non viene mai corrisposta agli stranieri. La gente normale fatica a vivere, ma non perché viene aggredita per strada dai negri arrivati dall'Africa. No. La gente fatica a vivere perché derubata da uno stato che dovrebbe sostenerla, o illusa da misure che sono una carità, che verrà pagata caramente dai più giovani o da noi stessi. Fatica a vivere, magari, perché sta scomparendo la dignità del mestiere, l'autonomia di pensiero, la formazione culturale, ogni componente della libertà.
Però come tra Beszel e UlQuoma, siamo qui e ci esercitiamo a non vedere. I due paesi sono sovrapposti, e alla maggior parte di chi vive qui, apparentemente, piace di più il paese raccontato che quello vissuto. È una spaccatura pericolosa, quella che si sta creando: perché in questa scollatura tra fantasia e realtà si coltivano menzogne. E la bugia non è un territorio libero da abitare.
Nicoletta Vallorani
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