Errico Malatesta/
Una bella mostra e un convegno a Roma
La mostra “Errico Malatesta: idee e azioni. Appunti per
una storia internazionale”, alla Casa della Memoria e
della Storia di Roma, tenutasi a Roma dal 19 marzo al 12 aprile
2019, ha ripercorso le vicende e la vita di una delle più
significative figure della seconda metà dell'Ottocento
e primo Novecento, con sezioni che ne hanno illustrato la storia,
il pensiero, le idee e le battaglie ideali.
Tenendo conto che Errico Malatesta è assente dai manuali
scolastici, la Casa della Memoria e della Storia di Roma è
invece un luogo visitato dalle scolaresche oltre che da studiosi
e storici appassionati della Resistenza, e pertanto da insegnanti
e studenti di ogni ordine e grado fino alle università
ed è coordinata con il circuito dei centri culturali
e delle biblioteche locali e non.
La Casa della Memoria ha un calendario di iniziative, conferenze,
mostre, presentazioni di libri e convegni gestito da un comitato
che esamina le proposte e ne conferma l'ospitalità. Contiene
al suo interno spazi museali e una biblioteca alla cui gestione
partecipano alcune delle associazioni che rappresentano la memoria
storica dell'antifascismo, della Resistenza, che ne stanno continuando
la ricerca, la documentazione, la didattica e la divulgazione
storica, testimoni diretti dell'esperienza antifascista romana,
tra cui l'Associazione Nazionale Ex Deportati politici nei campi
nazisti (ANED), l'Associazione nazionale ex internati (ANEI),
l'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia (ANPI), l'Associazione
Nazionale Perseguitati Politici Antifascisti (ANPPIA), la Federazione
Italiana delle Associazioni Partigiane (FIAP), l'Associazione
Partigiani Cristiani (parte della Federazione italiana volontari
della libertà, FIVL), l'Istituto Romano per la Storia
d'Italia dal Fascismo alla Resistenza (IRSIFAR), la sezione
didattica e alcuni archivi sonori e audiovisivi dell'Associazione
Culturale “Circolo Gianni Bosio”, il Coordinamento
della Società italiana di Storia Orale. La Casa della
Memoria è stata inaugurata nel 2006, in occasione dell'anniversario
dell'eccidio delle Fosse Ardeatine.
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Casa della Memoria e della Storia di Roma - Particolare della mostra con le due teche e i pannelli di “Umanità Nova” con alcuni articoli di Errico Malatesta del 1920, 1921, 1922, vignette e testate del giornale dell'epoca |
La FIAP, Federazione Italiana delle Associazioni Partigiane,
ha lanciato la proposta di una mostra su Errico Malatesta coinvolgendo
a partecipare, alla composizione e promozione dell'evento, il
Circolo Giustizia e Libertà (che ha sede proprio nell'edificio
in piazza degli Eroi dove ha soggiornato Errico Malatesta e
dove, nel 1945, è stata posta una targa sulla facciata
del palazzo in sua memoria), l'associazione “I Refrattari”,
il Gruppo Anarchico “Carlo Cafiero” – FAI
Roma e alcuni storici e studiosi del movimento anarchico e operaio
tra cui Pasquale Grella, Tommaso Aversa, Franco Schirone, Franco
Bertolucci, Roberto Carocci, Francesco Maria Fabrocile, Valerio
Gentili. Le diverse entità e individualità coordinate
hanno dato corpo, in autonomia, alla raccolta dei materiali.
A Roma esisteva già una mostra fotografica esposta in
un convegno, tenutosi al Cinema Palazzo nel 2018, organizzato
dall'associazione dei Refrattari in occasione della presentazione
del libro di Roberto Carocci dal titolo Errico Malatesta,
un anarchico nella Roma liberale e fascista (BFS edizioni).
Il materiale iniziale della mostra consisteva in alcune decine
di foto, frutto del lavoro di ricerca di alcuni storici e appassionati
che avevano fotografato e scansionato dall'archivio di stato
i verbali, materiali sequestrati o lettere intercettate nella
corrispondenza di Malatesta in seguito ai controlli polizieschi,
agli arresti e ai fermi a cui fu sottoposto nel corso della
vita, in particolare durante i suoi soggiorni romani.
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“La Tribuna”, pagina 3, giugno 1914 |
Partendo dalla selezione di questo materiale, per questa nuova
mostra tutto il resto della documentazione è pervenuta
da altre fonti, autorganizzate nel tempo e conservate fino a
noi per tutto il Novecento: archivi condivisi e privati, testi
redatti da altri storici, studiosi del movimento operaio e anarchico,
con la partecipazione di note case editrici libertarie che hanno
messo a disposizione inediti e non, con foto e anche giornali,
opuscoli e libri originali.
Sono intervenute così, in questo nuovo progetto, la FIAP,
il gruppo anarchico “Carlo Cafiero”, l'Asfai - Archivio
Storico della Federazione Anarchica Italiana di Imola, l'Archivio
dell'Unione Sindacale Italiana di Ancona, le case editrici Zeroincondotta
di Milano e la Biblioteca “Franco Serantini” di
Pisa. Molto preziosa è stata anche la consulenza di Davide
Turcato curatore dell'opera omnia su Errico Malatesta, di cui
sono stati pubblicati quattro volumi congiuntamente dall'editrice
Zeroincondotta e dalla Fiaccola (sono stati studiati e diffusi
per l'occasione i testi di C. Levy, N. Pernicone, R. Giulianelli,
M. Antonioli e The method of Freedom di D. Turcato e
P. Sharkey).
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Dettaglio della trascrizione della lettera inviata da Virgilia D'Andrea a Malatesta nel 1932, D.P.P. |
L'originalità inedita dell'attuale mostra è
stata l'apertura, l'inclusione e la partecipazione di tante
individualità e entità che hanno permesso un interessante
ampliamento e approfondimento dell'argomento, allestendo trenta
pannelli e tre teche, con la stampa consultabile anche di una
copia integrale del Programma Anarchico e dell'opuscolo
Fra contadini. Le sezioni in mostra hanno affrontato
temi eterogenei che hanno illustrato alcuni aspetti della vita
e il pensiero del teorico e rivoluzionario anarchico: “La
Biografia”, “Antimilitarismo e Arditi del Popolo”,
“La Roma di Malatesta”, “Malatesta e il Movimento
operaio e contadino”, “Umanità Nova”,
“Pubblicazioni e Stampa: opuscoli, corrispondenze, articoli,
manoscritti, volantini, inediti”.
Alcuni documenti, presenti in questa mostra, sono stati tratti
da materiali originali, come ad esempio i primi numeri di “Umanità
Nova” con il supplemento del n.1, la prima uscita di “Pensiero
e Volontà” del 1924, le copertine degli opuscoli.
Tra il materiale esposto, le stampe dei manoscritti quali la
lettera di Malatesta, allora responsabile di “Umanità
Nova” a Thomas Keel, editore del mensile “Freedom”,
del mese di settembre 1920 (in riferimento a un articolo scritto
da M. Nettlau, storico anarchico, pubblicato nello stesso anno
sul giornale “Freedom)”; due pagine di un articolo
scritto a mano da Errico Malatesta dal titolo “L'attentato
di Roma”, pubblicato in “Guerra Tripolina”
(speciale Londra 1912) sull'attentato alla vita del re Vittorio
Emanuele da parte del lavoratore edile Antonio d'Alba; infine
sono state esposte anche alcune parti di testo delle lettere
ad Amilcare Cipriani (1883). È stata selezionata per
l'occasione anche una lettera che Virgilia D'Andrea scrisse
a Malatesta quando era a Brooklyn nel 1932.
Norma Santi
Educazione libertaria/1
Quartieri che educano, città che cambiano
La Scighera, circolo arci nel quartiere Bovisa, periferia nord
di Milano, ha organizzato domenica 17 marzo un incontro di conoscenza
e approfondimento del progetto “Quartiere educante”;
ospiti Paolo Mottana - professore di filosofia dell'educazione
all'Università di Milano Bicocca, nonché ideatore
della “Gaia Educazione Diffusa” che fa da cornice
teorica al progetto, e Francesca Martino, coordinatrice della
sperimentazione pilota.
La Scighera è una realtà associativa nata nel
2005 attorno a una comune vicinanza dei soci fondatori al pensiero
anarchico: le forme alternative e libertarie di educazione,
così come la ricerca di modalità innovatrici nella
relazione adulto-bambino sono da sempre temi a noi molto cari.
In altre occasioni abbiamo conosciuto progetti di scuole alternative
e libertarie, in questo caso abbiamo indagato un progetto che
mira a riformulare le basi e i contesti della scuola statale
pubblica.
Il progetto “Quartiere educante” prende ispirazione,
riformula e attualizza un filone teorico che va da Charles Fourier
a Ivan Illich, da Lev Tolstoj a René Schérer,
teorie non certo nuove ma decisamente innovative se confrontate
con il panorama esistente; quello che ci interessava indagare
in quella serata erano le possibilità di attuazione pratica
di un tale modello e le eventuali ricadute su territorio e società,
nella profonda convinzione che slanci ideali possano seminare
germogli reali.
Questo breve articolo non ha certo la pretesa di risultare esaustivo
rispetto all'approccio e alla visione della “Gaia Educazione
Diffusa”, per eventuali approfondimenti rimandiamo alla
lettura dei materiali presenti sul sito www.paolomottana.it
e sul sito quartiereeducante.com
Il progetto “Quartiere educante” si immagina una
scuola in cui i ragazzi e le ragazze usino gli spazi degli edifici
scolastici come “campo base” per poi passare gran
parte del tempo fuori, ideando e realizzando progetti in collaborazione
con associazioni, laboratori artigianali, studi professionali,
e con le realtà presenti sul territorio. Da un punto
di vista della didattica la centralità si sposterebbe
dalle singole materie di studio ad aree di competenze, con un
approccio che vede l'apprendimento come un processo che parte
dall'esperienza reale e implica diversi coinvolgimenti, non
solo quello cognitivo. Attualmente il progetto è stato
proposto in due scuole secondarie di I° grado collocate
nel municipio 6 del Comune di Milano, grazie all'interessamento
dei dirigenti scolastici.
Francesca Martino ci ha spiegato, non senza un certo stupore,
come il progetto sia stato accettato dal Ministero dell'Istruzione
senza alcuna complicazione burocratica, in quanto i due principi
cardine, il vivere il territorio e l'apprendimento per competenze,
sono due concetti che già fanno parte delle linea guida
ministeriali. La difficoltà attuale, che per il momento
sta bloccando la partenza delle classi pilota, è la riorganizzazione
del personale educativo, necessario ad accompagnare i ragazzi
e le ragazze sul territorio e a seguirli nelle attività
svolte in gruppi ristretti.
Rimettere bambini e bambine
in circolazione
Rimettere i bambini e le bambine in circolazione è, secondo
Paolo Mottana, l'obiettivo principale del progetto: permettere
loro di vivere i territori e di trasformarli con la loro creatività
e vitalità, senza bisogno di aspettare la fine di un
lungo percorso di formazione, per lo più chiuso dentro
le mura delle scuole, prima di essere considerati a pieno titolo
come soggetti e vedersi aperte le porte della vita sociale.
L'idea che i ragazzi debbano imparare fuori dalla scuola, nel
mondo, e non perché il mondo sia particolarmente bello
ma semplicemente perché il mondo è la vita vera,
ci è parsa particolarmente interessante e ricca di potenziali
ricadute.
L'orto
del quartiere è immensamente più interessante
dell'orto della scuola, perché è un orto vero,
in cui i ragazzi e le ragazze potrebbero essere riconosciuti
come cittadini che agiscono sul territorio, e non restare confinati
entro il rassicurante modello di mondo in miniatura che la scuola
ha preparato per loro.
In questo senso la scuola potrebbe diventare il luogo dove iniziare
ad immaginare una società differente: non sono i bambini
a dover crescere fatti su misura per la società, ma è
interessante immaginare lo stimolo contrario. Riconoscere a
bambini e bambine il diritto di essere accolti nei territori
significa ripensarli anche a loro misura; ascoltare le istanze
e rispettare i tempi di bambini e bambine significa mettere
in discussione tempi, abitudini e modalità della vita
adulta. Permettere ai bambini di osservarci nella nostra quotidianità,
e di interrogarci su mestieri ed attività che svolgiamo,
significa permettersi di interrogarsi sulle nostre vite adulte.
Ripensare dunque la presenza di bambini e bambine nei territori,
all'interno dei quali possano muoversi in autonomia, fare esperienze
significative, imparare e crescere insieme agli adulti, non
necessariamente insegnanti o genitori, presuppone una cambiamento
radicale non solo della scuola, ma della società intera.
Questo cambiamento rivoluzionario ci coinvolge, facendoci intravvedere
allo stesso tempo le difficoltà che pone e le prospettive
che apre. Non è difficile immaginare come un mondo ospitale
per bambini e bambine, e per coloro che si muovono in modo meno
iper-produttivo, permetterebbe a tutti di disporre meglio delle
proprie vite, di passare più tempo e soprattutto tempo
più significativo con bambini e ragazzi, di essere più
a contatto con la loro vitalità e forse anche di riappropriarsi
della propria.
Il cambiamento sarebbe così ampio e coinvolgente
da non poter essere delegato al singolo insegnante o nucleo
familiare. In questo senso Paolo Mottana parla di “educazione
pubblica”: la questione su cui interrogarsi, ragionare
e responsabilizzarsi non è più semplicemente la
scuola, ma l'intero sistema di relazioni sociali ed educative.
Il rimettere i ragazzi in circolazione sarebbe un potente stimolo
per scardinare sia la frammentazione della società, che
è ora fortemente divisa per età, professioni e
altre più evidenti segmentazioni, che la privatizzazione
della dimensione familiare. Questi temi ci risuonano fortemente
anche qui in Scighera dove, non senza difficoltà, rifuggiamo
il modello “baby friendly” per tentare di creare
situazioni collettive dove ogni adulto è di riferimento
e i bisogni delle varie età si affiancano e convivono.
Apprendere per “attrazione
appassionata”
Un secondo principio cardine della “Gaia educazione diffusa”
è quello che l'apprendimento si attiva solo se mobilitato
dalla curiosità, da quell'”attrazione appassionata”
di cui parlava già Charles Fourier. Significa che ciò
che si fa nell'ambito di un'esperienza di gaia educazione diffusa
è condizionato dal desiderio appassionato di farlo: la
curiosità, il desiderio, il piacere, l'interesse personale
dei ragazzi e ragazze sono le spinte per apprendere profondamente,
sprigionare energie e creatività e impegnarsi sinceramente.
L'apprendimento passa inoltre attraverso esperienze reali che
i ragazzi e le ragazze sono chiamati a vivere in tutte le loro
dimensioni: emotiva, immaginale, intuitiva, corporea oltre che
cognitiva. Per gli insegnanti e gli educatori si tratta di programmare
una rosa di possibilità vasta e variata, che può
essere arricchita e modificata secondo le preferenze di chi
fa l'esperienza: le proposte saranno costruite coinvolgendo
i ragazzi e saranno portate avanti individualmente, in coppia
o in piccolo gruppo, come meglio si sta.
Questa idea di appassionarsi, questo slancio necessario per
apprendere, ci sembrano particolarmente interessanti non solo
per gli studenti, ma anche per gli insegnanti. Tra il pubblico,
una quarantina circa di persone, una consistente presenza di
educatori e insegnanti si è palesata in interventi, domande,
riflessioni, condivisioni di esperienze di lavoro concreto.
È emerso da più voci il desiderio e la curiosità
per nuove forme di coinvolgimento e di strutturazione del proprio
lavoro e l'interesse a mettersi in gioco in un'ottica di rinnovamento.
Un'altra qualità dell'apprendere appassionato è
quella dell'assenza di valutazione. Niente voti né giudizi
devono guidare il movimento e il lavoro dei ragazzi e delle
ragazze, ma un reale senso di responsabilità nei confronti
dei compiti e progetti scelti e delle persone coinvolte nella
realizzazione di essi; ci piacerebbe immaginare una scuola in
cui si possa sbagliare all'infinito senza che nessuno ti dica
niente se non: “Posso darti una mano?” Questo significa
dare fiducia a bambini e ragazzi, e riappropriarsi di un'accezione
positiva della valutazione che potrebbe smettere di essere un
giudizio per trasformarsi in un semplice confronto aperto e
disponibile tra pari.
Ancora una volta dalla scuola potrebbe partire lo stimolo per
rendere la nostra società più ospitale e conviviale:
niente più voti ai ragazzi e niente più ansia
da prestazione, “quantified self”, tirannia della
competizione per noi adulti.
Il progetto “Quartiere educante” è probabilmente
solo uno dei tanti possibili modelli da cui partire per un rinnovamento
della scuola e della società ma ha sicuramente il merito
di tentare un compromesso per niente sminuente e molto fattivo
tra l'immenso carico di fantasia e follia della teoria e una
sua possibile realizzazione nel contesto reale della scuola
pubblica italiana.
Usciamo dalla serata ispirati dall'idea di una scuola che sprigionando
le energie, gli sguardi e i linguaggi dei ragazzi e delle ragazze
sia in grado di contribuire alla vita sociale; non una scuola
che forma studenti a misura di società ma una scuola
che mette ragazzi e ragazze nella condizione di partecipare
attivamente alla società, e anche di cambiarla.
Alice, Chiara, Gaia, Paola, Viviana per la Scigherina
scigherina@scighera.org
Educazione libertaria/2
La Rete compie 10 anni con un bell'incontro a Reggio Emilia
Il 31 marzo si è tenuto a Massenzatico (Re) il 9°
incontro nazionale della REL (Rete per l'Educazione Libertaria)
che in questo 2019 festeggia un compleanno importante: 10 anni
di attività. L'iniziativa è stata ospitata presso
le Cucine del Popolo e organizzata in collaborazione con il
collettivo “Louise Michel, gruppo di studio e divulgazione
dell'educazione libertaria”.
Loro cura inaugurare la giornata attraverso le parole di Eliana
Bartoli, ospite accogliente e stimolante, che ha ricordato anche
come le Cucine rimangano sempre riferimento nel proporre e sostenere
iniziative volte a diffondere pratiche e conoscenze di libertà.
Altra breve ma importante presentazione è stata quella
di Benny, accompagnatrice in “Officina del Crescere”
di Genova, che assieme a un piccolo gruppo formato da persone
appartenenti a varie realtà operanti in REL, ha curato
la mostra dedicata alla storia dell'educazione libertaria.
Da sempre gli incontri nazionali riservano uno spazio significativo
a questa memoria: viene infatti ritenuto fondamentale mantenere
ben presente la consapevolezza delle radici storiche che hanno
dato vita al nostro approccio educativo sviluppatosi sul fertile
terreno dell'anarchia.
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Massenzatico (Re), 31 marzo 2019 - 9° incontro nazionale della REL (Rete per l'Educazione Libertaria) foto di Giulio Spiazzi |
E sempre di origini ha raccontato il primo intervento della
giornata: Giulio Spiazzi ha ripercorso la storia della REL dal
suo essere tensione e desiderio di pochi fino alla molteplicità
di oggi. La sua narrazione, vibrante e attenta, ha ricostruito
un percorso lungo e articolato che nel tempo ha visto elaborazioni
differenti succedersi e trasformarsi senza perdere il senso
originario nato con la REL, ricordando uomini e donne che con
il loro contributo hanno creato e nutrito questa strada. Il
racconto di Giulio ha ripercorso la bellezza degli incontri
divenuti relazioni fondanti ma non ha trascurato la fatica e
le fratture che hanno portato anche al distacco di persone e
di realtà che non si sono riconosciute in un divenire
sempre più netto. Una caratterizzazione sempre più
viva, sempre più evidente nel suo valore e nel suo significato,
portatrice di una tensione di superamento del concetto di democrazia
verso quello di sperimentatazione concreta e quotidiana di costruzione
di libertà autentica. Un percorso, quindi, che nel tempo
si è sempre più connotato come politico, non solo
nelle intenzioni ma anche nelle pratiche, un percorso di trasformazione
sociale in senso libertario e non una semplice alternativa al
modello educativo dominante, e per questo considerato tradizionale.
L'intervento di Maurizio Giannangeli ha illustrato il tema centrale
dell'incontro di quest'anno: educarsi all'autodeterminazione.
Il suo generoso e ricco contributo ha offerto innumerevoli spunti
di riflessione: i suoi rimandi e le sue analisi di testi, eventi,
autori, storie capaci di spaziare nelle diverse ma interconnesse
discipline, la sua lunga esperienza come insegnante nella scuola
statale a contatto con ragazzi e ragazze e come membro attivo
nella REL fin dai suoi esordi, hanno offerto uno sguardo significativo
che più che offrire risposte ha aperto domande. Domande
importanti, utili, scomode, centrali. Partendo da una riflessione
di Colin Ward -”allargare il campo d'azione e l'influenza
dei metodi libertari, fino al punto che essi diventino i criteri
normali con i quali gli esseri umani organizzano la loro convivenza”-
autodeterminazione, libertà e apprendimento si trasformano
in un intreccio indissolubile atto a concretizzare questa possibilità.
Il valore della scelta rimane al centro della riflessione: i
progetti operanti in REL si caratterizzano come realtà
di autodeterminazione sociale e non come attività di
servizio.
Nel prosieguo della giornata i e le presenti, un centinaio circa,
hanno potuto ascoltare direttamente la testimonianza delle esperienze
in atto che si sono messe a disposizione. Sono stati individuati
diversi temi da condividere e diversi punti di interesse collettivo
che le varie realtà presenti hanno condiviso: l'esperienza
quotidiana vissuta con bambini/bambine e ragazzi/ragazze, le
problematiche che si incontrano, i vissuti e le contraddizioni
di un quotidiano che opera in una direzione di autonomia per
una libertà efficace in un mondo che va in tutt'altra
direzione e richiede altri contributi, altre conoscenze, altre
prestazioni e altre competenze per essere allineati ed efficaci.
Elemento ben evidente emerso in questa sede è la distribuzione
geografica delle esperienze che si riconoscono nella REL: la
quasi totalità opera nel nord Italia con una significativa
concentrazione nella zona emiliano romagnola.
Dopo il pranzo conviviale il confronto è proseguito
in diversi tavoli tematici che hanno dato la possibilità
di dialogo tra più sensibilità, più vissuti,
più esperienze in uno scambio vivace e curioso, aperto
e costruttivo.
La chiusura è stata di Francesco Codello. Il suo potente,
appassionato, carico intervento ha tirato le fila sulla giornata
riportando alla realtà del quotidiano di ognuno e ognuna
quanto appreso, elaborato, ascoltato, condiviso e testimoniato
nei vari momenti dell'incontro. Il suo contributo è andato
ben oltre la relazione tra educazione e fare politico e ha spaziato
fino a collegarla con l'attuale situazione politica. Centrale
nel suo discorso la riflessione sul tema della responsabilità:
con Paul Goodman come riferimento vi è stata un'attenta
analisi sul costante, esponenziale e continuo processo di delega
attuata nel contesto sociale e culturale attuale, un contesto
dove l'individuo diviene, e accetta di divenire, sempre più
deresponsabilizzato circa il suo ruolo all'interno della comunità
in cui vive e opera.
Solo individui capaci di autonomia intellettuale e politica,
solo individui capaci di assunzione diretta di responsabilità
possono creare condizioni politiche e sociali tali da creare
una cultura diversa, altra da quella presente, una cultura che
operi nella direzione di creare opportunità, cooperazione
e crescita a disposizione di tutti e tutte, una libertà
vera che non finisce dove comincia quella altrui ma continua
e si moltiplica nella libertà di tutti e tutte.
Di qui la necessità di creare reti, collegamenti, relazioni
tra chi rimane saldo nella volontà di costruire un mondo
più libero e giusto.
Questo simbolico compleanno segna quindi un grande passaggio
di maturità della REL: segna la nascita di una visione
più complessiva, un desiderio di crescere socialmente,
di crescere in relazione a realtà e situazioni che possano
contribuire insieme a creare spazi di libertà sempre
più ampi in cui l'attitudine libertaria è tanto
radicata da divenire spontanea.
Un grande regalo per una ricorrenza importante, un germoglio
dalle salde radici con in sè il potenziale di splendida
fioritura e ottimi frutti.
Thea Venturelli
Firenze/
Il turismo nella città vetrina
Ilaria Agostini, un'urbanista resistente, afferma che «l'industria
del turismo prolifera nella città storica, vuota di residenti
stabili. È un'economia di rapina che saccheggia le città
monumentali. [...] Nella città dei recinti, la cittadinanza
è espropriata dai luoghi centrali di vita urbana, quando
non fisicamente espulsa dai “centri storici” cui,
negli anni Settanta, fu attribuito un forte ruolo sociale, aggregativo,
civilmente costitutivo e oggi interamente soppiantato dal loro
potenziale economico.»1
Il turismo plasma la città e il contesto circostante, è un sistema di governo del territorio che incide su svariati aspetti della società: dal prezzo degli affitti alle trasformazioni urbanistiche, dalle condizioni di lavoro ai meccanismi di interazione tra gli abitanti. Il centro storico di Firenze, come quello di altre città, sta assistendo a un «profondo cambiamento della base economica e del tessuto sociale della città [...], ed in particolare alla diffusa sostituzione dei residenti tradizionali con una ‘nuova residenza' (studenti fuori sede, turisti stanziali per ragioni di studio o di ricerca, business people ecc.) [...]»2
Ma la città contemporanea...
Dalla seconda metà del Novecento gli studiosi si sono interessati ai processi di rigenerazione urbana e in particolare alle dinamiche politiche volte alla privatizzazione o commercializzazione dello spazio pubblico, che hanno tolto porzioni considerevoli di spazi di uso pubblico per far posto a esercizi di tipo commerciale. Inizialmente prevalse un'analisi piuttosto critica di tale fenomeno, letto «esclusivamente in termini di erosione di spazi precedentemente destinati alla libera fruizione, conseguente alle strategie di marketing urbano con le quali le città tentano di lanciare la propria immagine come luoghi di consumo, per fronteggiare la competizione globale ed attrarre investimenti e turismo». In seguito si è diffuso un orientamento che ha visto nell'espansione del fenomeno «anche uno strumento di recupero di quartieri degradati [...] evidenziando come, specialmente nei luoghi di consumo di cibi e bevande, si sviluppino nuove modalità di rapportarsi allo spazio, forme inedite di relazione sociale [...], nuovi stili di convivenza urbana.»3
Potremmo definire la città come un insediamento, sede di attività economiche e commerciali, politiche, culturali, dotato di una rete viaria e di servizi organizzati in funzione della collettività che la abita. La città contemporanea però sta perdendo il suo ruolo storico di produzione e scambio di culture e di merci. Che la città sia anche il luogo del costante cambiamento e che la sua trasformazione sia naturale e non di per sé negativa è fuor di dubbio, dobbiamo però constatare che il turismo oggi è tra le cose che più comandano i centri storici e le città d'arte, tanto che Marco d'Eramo in Il selfie del mondo. Indagine sull'età del turismo (Feltrinelli 2017) definisce la nostra epoca «l'età del turismo».
Emblematico a riguardo è la trasformazione del mercato centrale di san Lorenzo a Firenze. Il suggestivo edificio in ferro e vetro costruito nel 1874, un tempo fulcro della vita cittadina, a causa dell'affermarsi della grande distribuzione e per lo svuotamento dei residenti, si è trovato negli anni 2000 in una profonda crisi.
L'Amministrazione cittadina, dopo due anni di ristrutturazioni della zona ortofrutticola posta al primo piano, ha deciso di non ricollocarvi più i banchi. Per “valorizzare” il mercato e il quartiere di san Lorenzo ha indetto invece una gara pubblica e ceduto per 15 anni a un imprenditore privato (Mercato Centrale srl) la gestione del primo piano. Il progetto ha previsto la creazione di 500 posti per mangiare piatti cucinati con i prodotti in vendita all'interno del mercato stesso. Nella primavera del 2014 diventa così una grande piazza coperta di 2500 mq nel cuore della città, un luogo a loro dire «dove autenticità, spontaneità e tradizione sono protagoniste.»4
Oltre 7 milioni di turisti l'anno passano da qui, dalle 8 di mattina a mezzanotte. Mirella Loda scrive che: «l'idea di spazio pubblico sottesa a questa iniziativa, e il tipo di rigenerazione urbana che ne deriva, sono però più prossimi a un modello gentrificato [cioè riqualificazione di aree cittadine con conseguente aumento dei prezzi delle case e abbandono di residenti verso altre zone] di centro cittadino, che ad una visione del mercato come spazio pubblico tendenzialmente inclusivo. [...] Il piano di valorizzazione del mercato di S. Lorenzo costituisce di fatto la più importante operazione di commercializzazione di spazio pubblico recentemente realizzata a Firenze. [...] Lo spazio realizzato e il pubblico cui l'iniziativa si rivolge appaiono obiettivamente coerenti con un'idea di città come location per investimenti ad elevato tasso di profitto o come una fantastica destinazione turistica.»5
La dittatura del cibo
Tra le cause che più hanno contribuito all'espropriazione degli spazi pubblici, comuni e di relazione vi sarebbe il decreto 114/1998, detto “Bersani” che ha liberalizzato il commercio e favorito la diffusione dei centri commerciali suburbani e la conseguente sostituzione delle attività commerciali al dettaglio e delle botteghe artigiane con i locali dediti al foodismo (Agostini). La titolare di un ape che vende panini al lampredotto e trippa alla fiorentina fuori dal mercato di san Lorenzo, mi dice: «te facevi il muratore e ora tu fai il mangiare, tu facevi l'infermiera e ora tu fai il mangiare. Tutti fanno da mangiare».
Il cibo è ormai connaturato con il turismo, del resto «[...] anche se il turismo è d'affari o balneare, o sessuale, o perfino religioso, in ogni caso le spese alimentari costituiscono secondo l'Ocse “il 30% e più” della spesa totale del viaggio: anche i turisti mangiano, con tutta l'ambiguità di cui è intriso questo verbo.»6
Passeggiando per via Nazionale, via Faenza o per piazza del Mercato Vecchio si nota subito la quantità di locali per mangiare e per bere con annessi dehors o tavolini fuori. I dehors in particolare sono «[...] una delle forme più pervasive di commercializzazione dello spazio pubblico, rapidamente diffusasi nelle nostre città [...]7» e percepiti dagli esercenti come parte necessaria alla sopravvivenza economica dell'attività commerciale. Quando ho chiesto a qualche esercente di via Nazionale se il proprio locale avesse o meno dei dehors mi è stato risposto, in una pizzeria, che «è proprio quello che ci manca per avere clienti», in una panineria che «ho preso questa attività due mesi fa, ma la sto già vendendo perché non c'è la “pedana”.»
Prima abbiamo parlato dell'interno del Mercato Centrale, ma se volgiamo lo sguardo all'esterno, a nord dell'edificio si osserva come l'avvento della motorizzazione, la creazione di parcheggi, lo spazio per il carico e scarico delle merci hanno sottratto superficie all'uso pubblico: ben 1693 mq sui 4221 mq complessivi. Inoltre, negli ultimi 15-20 anni, il già esiguo spazio libero «è stato progressivamente occupato dai dehors istallati dalle attività di ristorazione che affacciano sulla piazza. L'estensione, unitamente alla forma, assunta qui dalla privatizzazione/commercializzazione di spazio pubblico produce di fatto uno spazio dedicato quasi esclusivamente alla fruizione turistica (anche per i prezzi elevati delle consumazioni dei dehors)», le pedane nel 2010 occupavano l'8,6% della superficie della piazza8.
Gli affari sono affari!
In un articolo provocatorio intitolato Il dilemma del turista, apparso su «Internazionale» (numero 1235, dicembre 2017) lo scrittore olandese Stephan Sanders, ad un certo punto, confronta l'immigrazione al turismo.
Nella dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti si proclama il diritto «alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità». Il turismo low coast può farci credere che fare viaggi o gite per un fine settimana in una città lontana ci faccia trovare quella felicità che non troviamo nella vita di tutti i giorni. Ci può distogliere dal creare nel quotidiano quelle relazioni che possano rendere felice la nostra esistenza e a lottare per avere migliori condizioni lavorative, sociali e materiali. Nel dibattito sull'immigrazione c'è un'idea diffusa secondo la quale i paesi ricchi non possono aprire le loro porte e far entrare chi cerca la felicità fuggendo dalle guerre e dalle carestie, altrimenti si correrebbe il rischio di diventare società chiuse e insicure. «Ma quando si parla di turismo la questione assume improvvisamente un aspetto innocuo. La ragione è che, secondo questo punto di vista, noi turisti portiamo soldi nei luoghi dove andiamo, e soprattutto ce ne torniamo a casa in un lasso di tempo ragionevole. Forse è vero a livello individuale, ma a livello collettivo siamo diventati una forza di occupazione che nelle grandi città europee non si limita più ai periodi di vacanza [...]» (Sanders, p. 51).
Si sa che gli affari sono affari! Così un cameriere di una trattoria mi parlava dei tanti bengalesi impiegati nelle cucine dei ristoranti e dell'avidità degli affittuari di appartamenti nel centro storico fiorentino: «è facile lamentarsi degli stranieri, ma quando gli si affitta la casa a 500 euro a testa a chi viene dal Bangladesh allora va tutto bene». Molte altre abitazioni invece sono affittate ai turisti su piattaforme come Airbnb o simili che a Firenze contano 9.897 inserzioni, di cui 5.537 nel centro storico. Solo il 22% degli affitti si tratta di stanze in alloggi condivisi con altre persone, ben il 77% sono appartamenti interi. Il 70% dei locatari ha una sola proprietà, mentre il 30% offrono più di una sistemazione9.
Circa un anno fa, per un grande desiderio di mio figlio Ettore, siamo andati con tutta la famiglia a Venezia per due notti prenotando su Airbnb. Una volta arrivati alla stazione abbiamo seguito le gentili indicazioni arrivate per email da una certa Valentina che ci hanno condotto in un'impersonale agenzia che gestisce vari appartamenti sparsi per la città. «La Sharing economy mostra il volto amichevole di un sistema postcapitalistico. Un sistema che vuole esserti amico e alimenta la tua illusione di dormire “a casa della gente”, fuori dalle piste battute e dalle catene di hotel. Naturalmente esistono gli Airbnb dove il proprietario esiste davvero e ti fa anche trovare un mazzo di fiori, ma la gran parte dei profitti finisce nelle tasche di aziende anonime con maschere umane» (Sanders, p. 50).
Nicolò Budini Gattai
- Su www.perunaltracitta.org,
Città storiche: espropriazione, espulsione e monocoltura
turistica di Ilaria Agostini
- M. Loda, Espacios públicos, una aproximación desde la geografía urbana: i mercati storici, in «Revista Abaco» 75, 2013, p. 35
- M.Loda-S.Aru-M.Barsottelli-S.Sbardella, I dehors fra erosione dello spazio pubblico e nuove forme di convivialità, in a.c. M. Loda-M. Hinz, Lo spazio pubblico urbano. Teorie, progetti e pratiche in un confronto internazionale, Pisa, Pacini, 2010, p. 83
- http://www.mercatocentrale.it/mercato-centrale-firenze/
- Loda 2013, pp. 37-38
- D'Eramo, p. 189
- Loda-Aru-Barsottelli-Sbardella, p. 84
- M. Loda, Per una lettura sociale delle piazze fiorentine, in a.c. M. Loda-M. Hinz, pp. 74-75
- Dal sito www.ilreporter.it
Airbnb, mercato saturo a Firenze?
Repressione/
Mastrogiovanni, dieci anni dopo
Il 31 luglio 2009 Francesco Mastrogiovanni, insegnante libertario
cilentano, venne sottoposto ad un TSO (Trattamento Sanitario
Obbligatorio) illegittimo e illegale ordinato non dai medici,
come prescrive la norma, ma dall'allora sindaco di Pollica,
Angelo Vassallo, (ucciso dalle mafie il 5 settembre 2010), che
fece sconfinare i vigili in un campeggio del comune di San Mauro
Cilento, dove Mastrogiovanni stava trascorrendo tranquillamente
le vacanze.
Accusato di essere entrato, alla guida della sua auto, nell'isola
pedonale di Acciaroli (Sa), ne sarebbe uscito a folle velocità,
senza causare un graffio a nessuno e senza ricevere contravvenzioni
o contestazioni di alcun tipo dalla Polizia Municipale. In seguito,
braccato da varie forze dell'ordine alla stregua di un pericoloso
criminale, si tuffò nel mare di Acciaroli per sfuggire
alla cattura e ritornò, stremato e pacifico sulla battigia,
dopo circa due ore. Franco bevve un caffè, si fece la
doccia e si consegnò ai sanitari che lo sedarono sulla
spiaggia, ancor prima di condurlo in ambulanza.
Uno dei medici, capovolgendo la norma e assecondando la richiesta
del sindaco, prescrisse il TSO e la sua collega, specializzata
in medicina dello sport, e quindi non in possesso del titolo
specifico richiesto, lo confermò. Da quel momento iniziò
il calvario del “maestro più alto del mondo”
come lo chiamavano i suoi alunni; resterà legato mani
e piedi ad una branda per ottantanove ore e la sua agonia sarà
ripresa dalle videocamere interne del reparto.
A distanza di sei ore dal decesso, la mattina del 4 agosto 2009,
i medici si accorsero che il suo cuore – nell'indifferenza,
nella barbarie e nella disumanità – aveva cessato
di battere a causa di un edema polmonare, dal quale poteva essere
salvato. Il video della sua “passione”, pubblicato
sul sito online di varie testate giornalistiche, passerà
alla storia come il “video dell'orrore”. Prima di
salire sull'ambulanza Franco Mastrogiovanni aveva supplicato
profetico: “Non mi fate portare all'ospedale di Vallo
della Lucania, perché là mi ammazzano”.
La sentenza: fu sequestro
di persona
La contenzione dei pazienti negli ospedali e delle persone in
qualsiasi luogo non è ammessa, chi vi ricorre, senza
annotarla nella cartella clinica che “dev'essere redatta
chiaramente con puntualità e diligenza, nel rispetto
delle regole della buona pratica clinica, e contenere, oltre
ogni dato obiettivo relativo al decorso della patologia, tutte
le attività diagnostico terapeutiche ed assistenziali
praticate”, commette il grave reato di sequestro di persona.
È quanto ha stabilito la V Sezione della Corte di Cassazione,
presieduta dal Consigliere Dr. Maurizio Fumo, nelle motivazioni
del 20 giugno 2018 nella sentenza n. 50497 contro i sei medici
e gli undici infermieri dell'ospedale-lager “San Luca”
di Vallo della Lucania (Sa).
Le condanne: inizio pena mai
Oltre ai medici condannati a pene inferiori ai due anni (in
primo grado erano state inflitte pene variabili da due a quattro
anni) sono stati condannati, dopo nove anni di processo, anche
gli undici infermieri (assolti in primo grado), i quali, come
i medici, hanno l'obbligo di “proteggere” il paziente
e di segnalare all'autorità competente maltrattamenti
o privazioni, soprattutto della libertà personale, insieme
all'obbligo di “attivarsi per far cessare la coercizione”
in quanto sono “più frequentemente a contatto con
il paziente ed in grado di constatare da vicino le sofferenze
che la limitazione meccanica gli cagionava”.
Nelle motivazioni viene affermata e riconosciuta la verità:
Mastrogiovanni non aveva messo in atto nessuna aggressività,
anzi aveva implorato aiuto ai medici, ma nessuno – a partire
dal primario – gli aveva dato ascolto. Viene anche riconosciuto,
inoltre, che nell'ospedale di Vallo della Lucania la contenzione
era una “prassi radicata” tale da diventare terapia
e medicina quotidiana. Nessuno dei condannati sconterà
un solo minuto di carcere.
Il ruolo del Comitato “Verità
e giustizia”
Com'è accaduto anche per altre tristi vicende, i familiari
di Mastrogiovanni si trovarono quasi da soli a dover organizzare
una campagna di controinformazione, scegliere i legali, informare
le associazioni e contrastare gli attacchi indecenti di alcuni
medici e di qualche legale. Alcuni di loro avevano tentato di
giustificare la contenzione come risposta all'aggressività
del paziente, continuando anche in Cassazione a denigrare Mastrogiovanni
definendolo – in maniera infondata – violento, drogato,
asociale, abbandonato dalla famiglia (solo un avvocato lo ha
sempre definito correttamente “il professore Mastrogiovanni”).
Un avvocato arrivò finanche a chiedere l'incriminazione
dei familiari per lite temeraria, sostenendo che la contenzione
è una pratica terapeutica. Nonostante tutto, una grande
determinazione mista a disperazione compensò l'esiguità
numerica dei promotori del Comitato.
Grazie ad alcuni amici di famiglia, tra cui Peppe Tarallo e
Giuseppe Galzerano, e alla dott.ssa Agnesina Pozzi, medico combattivo
e generoso che individuò immediatamente tutte le anomalie
della triste vicenda dal punto di vista sanitario, in collaborazione
con i legali anch'essi parenti di Franco, si iniziò ad
organizzare il Comitato “Verità e giustizia”
che conterà, dopo pochi anni, centinaia di sostenitori.
Da Comitato di vittime di azioni disumane si trasformò
in promotori di una vasta campagna di mobilitazione e di informazione.
Il punto di riferimento di tutti noi diventarono Vincenzo Serra
e sua figlia maggiore Grazia, rispettivamente cognato e nipote
di Franco Mastrogiovanni. Grazia e Vincenzo, grazie alle loro
doti umane, non risparmieranno alcuna energia intellettuale
e fisica per promuovere iniziative in tutto il Paese attivando
collaborazioni con i media nazionali e locali, con associazioni
come “A buon diritto” presieduta dia Luigi Manconi,
con il Partito Radicale e con i familiari di altre vittime di
questa follia di Stato.
La battaglia continua
Dopo dieci anni dalla morte di Franco la lotta del Comitato
e della famiglia Mastrogiovanni, per giungere a una completa
verità e migliorare alcune situazioni, continua su due
fronti: su quello legislativo si opera per migliorare la legge
sull'introduzione del reato di “tortura” nell'ordinamento
penale italiano, modificata in peggio rispetto alla proposta
originaria firmata da Luigi Manconi e il sostegno alla cosiddetta
“Legge Mastrogiovanni” per la riforma del TSO presentata
dal Partito Radicale. Sul fronte legale, invece, il 5 luglio
2018, l'avvocato Loreto D'Aiuto, familiare del maestro e legale
della famiglia Mastrogiovanni, ha presentato un esposto-denuncia
alla Procura di Vallo della Lucania chiedendo di accertare se
l'Asl di Salerno fece o meno un'indagine interna, se ha mai
deliberato la contenzione dei pazienti e sulla base di quali
prove in suo possesso non ha mai dialogato con i familiari di
Mastrogiovanni.
Dopo dieci anni dalla morte di Franco, insegnante buono e generoso,
continua la riflessione e la battaglia. Dopo aver lavorato,
per dieci anni a questo caso, sentiamo che il nostro impegno
non può ancora concludersi. Vorremmo che si verificassero
tutte le notizie incredibili e i comportamenti inconcepibili
che hanno consumato un fragile confine tra tortura e abbandono,
tra accanimento e osservazione cinica di una morte evitabile.
La morte di Mastrogiovanni non è un atto di ingiustizia
isolato; come le tragedie di Cucchi, Bianzino, Aldrovandi, Uva
ecc. sono diventati casi esemplari dell'ingiustizia generalizzata
che si consuma, oltre che per strada, tra i numerosi luoghi
“guantanamizzati” del Paese, luoghi della memoria
di una nuova Shoah penitenziaria e sanitaria che continua a
mietere vittime e che sembra non conoscere fine.
Angelo Pagliaro
angelopagliaro@hotmail.com
Ricordando Sandro Galli/
Una lotta di libertà
Non possiamo non registrare la riproposizione di logiche e metodologie istituzionali fasciste, in piena sintonia col clima di restaurazione reazionaria di cui puntualmente il governo penta-stellato vigente si dimostra campione. Questa volta si chiede di annullare la conquista di libertà che a suo tempo l'anarchico Sandro Galli riuscì ad ottenere con una durissima lotta in contrasto con l'allora ministro democristiano dell'istruzione Sarti.
«Quando ha iniziato lo sciopero della fame il 12 maggio, pesava 67 chili, non certo tanto per il suo metro e 70 d'altezza: ora, passata la metà d'agosto, è poco sopra i 50 chili. E continua a calare.» riportava un articolo di questa rivista, a cura della redazione, nell'estate del 1980.
Grande amico e indimenticato compagno, che purtroppo ci ha lasciato il 14 ottobre del 2018, Sandro era allora in pieno sciopero della fame per opporsi all'obbligo di giuramento per gli insegnanti e per tutti i dipendenti pubblici, ereditato dal fascismo col Codice Rocco, che la repubblica nata dalla resistenza non aveva ancora cancellato. Lui stesso concepiva la sua come una lotta per le libertà.
In una sua lettera aperta ai compagni, scritta il 25 luglio 1980 durante lo sciopero della fame, scrisse: «Sono convinto che questo attacco all'istituto fascista del giuramento per affermare le libertà fondamentali di tutti, sia la continuazione dell'impegno che i compagni, ognuno secondo le proprie possibilità e volontà, hanno da sempre prestato.» Alla fine riuscì a vincere e l'obbligo del giuramento per gli insegnanti venne abrogato. Lui la considerava una vittoria parziale, perché in verità la sua richiesta era rivolta a tutti i dipendenti pubblici di ogni ordine e grado. Sono convinto che in cuor suo sperava che, sempre in seguito a lotte, quella logica di sottomissione prima o poi sarebbe stata definitivamente abolita.
Purtroppo invece i reazionari sono tornati all'attacco ben circa quarant'anni dopo. Con l'attuale disegno di legge 1122, che prevede l'attribuzione di numerose deleghe al Governo in materia di riforma del Pubblico Impiego, si chiede il ripristino dell'obbligo di giuramento da parte dei dipendenti pubblici. Il par. g), secondo comma, art. 2 recita testualmente: «g) rafforzare lo spirito di servizio dei dipendenti pubblici nello svolgimento delle relative funzioni, anche estendendo l'obbligo del giuramento.» Riproposto in pieno lo spirito della mistica statale fascista. Questo governo ci tiene proprio a far sapere quanto nelle sue viscere più profonde ci sia una spiccata nostalgia, se non per quel regime, ormai storicamente decaduto, senz'altro per logiche e metodi di gestione-imposizione statuale che ad esso ampiamente s'ispirano.
Caro Sandro, questo provvedimento dell'attuale governo italiano dimostra quanto fosse puntuale lo spirito della tua lotta, che continua ad essere attualissimo proprio perché abbraccia valori universali non contingenti.
Andrea Papi
www.libertandreapapi.it
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