Notre Dame e il panettiere
Mentre scrivo, Notre Dame brucia. Forse la struttura portante è salva. Forse qualcosa riuscirà a salvarsi, ma per ora l'incendio sembra irreparabile. Senza speranza.
Però – e qui cambio sguardo e prospettiva – forse bisogna anche pensarla in un modo diverso. Per quanto struggente sia l'evento, una tragedia intollerabile per il mondo dell'arte, parte della perdita è anche, io credo, la cancellazione della memoria che questo incendio comporta. La cattedrale di Parigi è un'icona collettiva, della quale si è detto – con un filo di melodramma – che con essa è andata in fiamme l'identità stessa della Francia. Ed è pure il traghetto di mille ricordi individuali, tutti puntualmente rievocati sui social: piccoli momenti del cuore che sono ricomparsi magicamente, snocciolati come un rosario di desiderio e nostalgia, un attimo prima di essere divorati dalle fiamme. Nel network che ama le tragedie collettive e le fa sue in un lampo per poi dimenticarle con la stessa rapidità, Notre Dame ha conquistato il suo piccolo podio tempestato di bigliettini con ricordi personali giudiziosamente scritti, tutti collocati sullo sfondo del luogo in fiamme.
Così mi sono messa a riflettere sulla questione del ricordo, scegliendo però una direzione inconsueta. In altri momenti, ho insistito sulla necessità della memoria con uno sguardo all'indietro, per tenere a mente il passato e per capire le ragioni per cui ci troviamo qui ora. Ci sono delle circostanze che hanno prodotto quel che siamo, collettivamente e a livello individuale, e dovremmo ricordarle per capire che ci son scelte da fare, sbagli da ricorda, ragioni da spiegare, e forme di libertà e di rispetto da non dimenticare mai, per nessuna ragione. Dobbiamo sapere perché facciamo quel che facciamo altrimenti non siamo persone ma animaletti, e invece di un'etica abbiamo solo un comportamento.
Quindi oggi, all'ombra di questo rogo infinito, la riflessione che faccio è un'altra e si orienta stavolta nella direzione opposta: avanti invece che indietro.
Vicino casa dei miei, nel posto di provincia dove sono nata, c'è un panettiere, che è sempre stato il negozio di famiglia. Quando ero piccola, il padre faceva il pane e il figlio giocava con me per strada. Poi siamo cresciuti, e il figlio ha ereditato la panetteria. Non ho mai avuto modo di vederlo molto: fare il pane è un mestiere notturno e la mia vita, invece, si è dipanata complementare, in orari diurni, senza che vi fossero grandi possibilità di incontro. Ma abbiamo continuato a sbirciarci, tra una scelta di vita e l'altra.
Poi, una volta son tornata e il negozio era chiuso. Sopra c'era un cartello in cui la famiglia ringraziava i clienti e informava che ci sarebbe stata una nuova gestione. Ho incontrato qualche giorno dopo il mio amico panettiere, del quale ovviamente sospettavo una malattia mortale. Sorridendo, mi ha detto di essere andato in pensione. Certo, gli dispiaceva lasciare la panetteria, perché lì dentro c'era tutta la sua vita, e il ricordo di suo padre, e prima quello di suo nonno. Però le cose cambiano. E una trasformazione non è necessariamente una perdita. Non è detto che, in questo modo, la memoria svanisca. Un po', è quello che intende Iain Sinclair quando racconta la Londra che non c'è più ricostruendone i fantasmi attraverso l'osservazione della metropoli di oggi. Nulla sparisce davvero. Sedimenta e/o cambia statuto di esistenza, ma resta. E il cambiamento è vita, anche quando si accende in un rogo.
Detto ciò, è una tragedia che Notre Dame bruci. Ma la natura delle cose è che esse finiscono. Si trasformano in altro. Ogni trasformazione richiede una cesura, ed essa è sempre un atto violento, fisicamente o simbolicamente. Un incendio, per esempio, che distrugge le cose. Sono i pensieri che restano. E occorre che siano liberi.
Nicoletta Vallorani
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