Sardegna/ Sulle orme di “A”
Tutto ha inizio alcuni mesi fa, quando sapendo che a maggio avremmo avuto due settimane di “stacco” dal lavoro, abbiamo cominciato a discutere sul come utilizzare quella “quindicina” di tempo libero.
Andiamo a Venezia? In fondo insieme non ci siamo mai stati. Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare, cantava Guccini ieri. Venezia che paghi per entrare, Venezia dove non puoi mangiare un panino seduto per terra, cantano i giullari che governano la città oggi. Venezia dove ogni giorno arrivano “barconi extra lusso” che vomitano tra le calli della città migliaia di turisti e che se ne fottono dei porti chiusi in accordo con l'”infame padano”. No, a Venezia non ci andiamo, almeno per ora. Potremmo andare in Garfagnana per rilassarci tra sentieri, ruscelli e vette come spesso amiamo fare. Magari potremmo tornare sui passi dei partigiani che tanto hanno resistito anche da quelle parti.
A un certo punto, quasi per caso, mentre stiamo ragionando sui
nostri programmi, prendo in mano il numero 431 di “A”
e leggo un'intervista
di Gerry Ferrara a Luisa Siddi, la fondatrice di uno studio
fotografico chiamato S'Umbra che si trova nel quartiere “Castello”
di Cagliari e da lì il gioco diventa facile. A maggio
partiamo per Cagliari.
Atterriamo a Elmas, prendiamo un treno e dopo dieci minuti siamo in centro. Abituati alla nostra Genova i ritmi ci appaiono subito meno frenetici e la gente cordiale e desiderosa di aiutarci nel muovere i primi passi in una città che non conosciamo.
Andiamo ad abitare in un monolocale di Stampace, un quartiere storico situato tra “Casteddu” e la Marina che insieme a Villanova formano la parte storica della città. I primi giorni giriamo alla ricerca di stradine e piazze storiche, monumenti ed eventuali siti archeologici scattando alcune foto da mettere a referto del nostro stato di vacanzieri. Ma soprattutto pranziamo su una panchina davanti al mercato rionale di via Quirra, nel quartiere popolare Is Mirrionis, perché mai bisogna dimenticare che esiste la periferia maltrattata qui come ovunque.
Nei giorni successivi respiriamo un po' di mare al Poetto a Calamosca e alla Sella del Diavolo e al rientro scopriamo, per caso, la BAZ (biblioteca autogestita zarmu) di via S.Giacomo.
Scambiamo due parole con i presenti ed è bello vedere i ragazzi che stanno preparando uno striscione da esibire la domenica successiva alla manifestazione contro le basi militari del Sulcis e la RWM che fabbrica armi.
Ci capita, ahinoi, di imbatterci anche in una sede della Lega con decine di persone presenti, bandiere verdi e un furgone pubblicitario. Ci sale la carogna e ci fa male vedere che, anche in questa terra intrisa di sano indipendentismo, la gente si fa raggirare da uno “strangiu” che va in giro a seminare odio, intolleranza e a inventarsi urgenze securitarie inesistenti.
Nel frattempo troviamo S'Umbra ancora chiusa e sempre nel frattempo
passiamo una giornata tra Gergei, paesino dell'entroterra dove
amava tornare sulle tracce delle sue origini un caro amico e
compagno che mi manca oramai da sette anni, Barumini e il suo
Nuraghe e San Sperate, paese museo, paese dei murales che ha
dato i natali all'artista Pino Sciola.
A questo punto del nostro viaggio-vacanza torna ancora una volta protagonista la nostra rivistA.
Infatti è grazie al resoconto di Gerry (e altri compagni) sulle varie iniziative culturali che ogni anno in Sardegna vengono dedicate a Fabrizio De André, che abbiamo la possibilità di frequentare luoghi di aggregazione come il Babeuf e Su Tzirculu dove tra buon cibo, birra, musica, libri ovunque e teatro indipendente fraternizziamo con belle persone antifasciste e questo ci pare fondamentale.
Al Su Tzirculu veniamo anche a conoscenza dell'associazione Libertade a sostegno delle lotte dei pastori sardi ai quali viene negato perfino il diritto a manifestare contro la solita arroganza del potere.
L'ultima sera la possiamo dedicare finalmente allo studio anarchico fotografico S'Umbra che scopriamo essere passato di mano (ma non di pratiche e ideali) e che ha cambiato il suo nome in Sa Gura (La cura) e dove si pratica rigorosamente la “fotografia analogica” con tanto di vecchia, cara, camera oscura.
Tutti ci accolgono con affetto e ci fanno sentire come a casa nostra. Marcello ci presenta il suo ultimo lavoro fotografico relativo al suo viaggio in Messico durante la festa della Santa Muerte, Massimo “il medico”, legge e commenta con passione alcuni passaggi di Baudelaire mentre Luisa e Angelo ci abbracciano e ci trasmettono un “calore” che forse davvero solo gli anarchici di “strada” riescono a trasmettere. Una bionda figliola cerca di convincermi a votare per le europee, spalleggiata da Elena, ma non riuscirà nell'impresa.
E ancora finalmente incontiamo Gerry che in realtà io solo avevo conosciuto al volo la sera prima al Babeuf, in compagnia del suo bimbo che però, giustamente, per la serata aveva altri progetti.
Gerry è una bella persona con la quale abbiamo il piacere di scambiare due parole e raccontarci pezzi delle nostre vite. Ci promettiamo contatti futuri, e soprattutto lo incolpiamo (come anche Luisa) di essere la causa di questo nostro viaggio-vacanza ed è per questo che li ringraziamo di cuore.
Nostro malgrado ci accomiatiamo, il giorno dopo si torna a Zena dove nel frattempo, in piazza Corvetto, i fasci hanno cercato di rialzare la testa protetti dalle istituzioni e dai soliti sbirri muniti di manganello.
Un abbraccio a tutte le persone con le quali abbiamo socializzato durante il nostro girovagare, a tutti gli antifascisti che abbiamo conosciuto e mucha suerte a S'Umbra. Ops, Sa Gura.
Alessio Parodi
Genova
Social network/ La standardizzazione del pensiero
Non sono mai stato un convinto simpatizzante dell'universo “parallelo” dei social network, nonostante una breve esperienza sul primissimo Facebook che cominciava a diffondersi a macchia d'olio anche in Italia attorno al 2008.
La critica di base che ho sempre mosso ad un sistema web di questo tipo è quella più palese ed evidente, ovvero l'enorme problema della privacy e del potenziale utilizzo fraudolento di informazioni e contenuti personali da parte di terzi.
È pur vero che nel corso degli anni sono state rilasciate versioni via via più sensibili al citato problema, con l'introduzione della possibilità, ad esempio, di controllare e gestire quali dati rendere disponibili e a chi; questo intervento (così come tutti i successivi) non ha però evidentemente sortito gli effetti positivi sperati, in quanto le polemiche in materia sono all'ordine del giorno. I convinti “facebookiani” restano inflessibili sulle proprie posizioni difensiviste, mentre i contrari inaspriscono le critiche. Per non parlare poi dell'altro cruciale aspetto del problema privacy: al di là di chi possa pubblicamente visualizzare o meno le nostre informazioni, qual è il soggetto che le conserva sui server? Lo fa in maniera sicura e criptata? Chi garantisce agli utenti finali che non siano proprio questi soggetti a utilizzare i dati per il raggiungimento di scopi personali? (Si veda lo scandalo Cambridge Analytica).
Non è però per queste incognite (né per le tantissime altre che si possono facilmente far emergere) che voglio riflettere sulla questione dei social network, ma per quello che definisco il “rischio indiretto” che corrono gli utenti, un rischio a mio avviso tanto significativo quanto quelli diretti e palesi appena citati.
Il sistema di Facebook, Twitter, Instagram ecc. si basa su un presupposto elementare, ossia la creazione di un proprio alter ego virtuale che, a differenza dell'io reale, può ambire al raggiungimento della perfezione fisica, d'immagine e soprattutto reputazionale. Per perseguire questo scopo, diventa vitale applicare il secondo presupposto basilare dei social network, ossia cercare di incrementare a dismisura la propria popolarità mediante la creazione di contenuti mirati e di impatto, che possano essere condivisi (citati, ripostati o retweettati, se preferite) su larghissima scala.
I professionisti della materia (gli ormai famosi social media manager che personaggi pubblici e politici non esitano ad assoldare agli albori della propria notorietà) sanno che non importa tanto quello che si scrive, ma piuttosto il modo in cui l'oggetto viene proposto agli utenti: il linguaggio in primis, ma anche il contesto in cui viene inserito, la tempestività rispetto ai fatti di cronaca e la tendenza generale del momento.
Questi studiati meccanismi portano spesso a generare nell'utente cosiddetto passivo (colui che consulta regolarmente i profili social senza pubblicare un numero cospicuo di post o tweet) il preoccupante processo di standardizzazione del pensiero, quel rischio indiretto che rappresenta a mio avviso uno dei pericoli principali dello sviluppo esagerato di queste piattaforme.
Sui social, un contenuto è considerato meritevole d'attenzione se costituisce un trend topic, ossia se rientra tra quelli più letti, commentati e condivisi in un dato periodo di tempo; sempre sui social, l'utente che commenta un determinato post agisce spesso sotto falso nome oppure, se lo fa in maniera palese, crea una discussione (magari dai toni forti e volgari) destinata a rimanere impressa solo sul web. Difficilmente si riflette sulle conseguenze delle proprie affermazioni, né tantomeno ci si preoccupa di essere coerenti con ciò che si è dichiarato fino al giorno precedente. Questo perché, come si diceva, il tempismo è decisivo e quand'anche ci si sforzi di produrre qualcosa di ragionato o sofisticato, si finisce inevitabilmente nell'oblio, in quegli inferi delle bacheche che nemmeno i più affezionati e instancabili utenti arrivano a visualizzare.
Siamo di fatto al paradosso: se, sui social network, elabori un concetto impiegandoci più di 3 minuti sei considerato un analfabeta digitale, incapace di esprimerti in modo efficace e sintetico.
A questo punto la trappola è già scattata e il pensiero espresso su Facebook diventa quindi il naturale frutto della distratta lettura e successiva pubblicazione di contenuti orchestrati a pennello dall'alto; l'assenza di un contradditorio reale e verbale, che tenga quindi conto delle espressioni del viso della controparte, del suo umore, della sua reazione istintiva, porta gli utenti a postare distrattamente, senza crearsi un vero punto di vista personale sulla tematica in discussione. In altre parole, tutto ciò porta gli utenti a vedersi minacciata una (piccola?) quota di libertà di pensiero, d'opinione e di spirito critico.
Sui social network gli utenti rinunciano di frequente alla libertà di avere una propria posizione sulle cose del mondo per la paura di essere impopolari (off topic) e per perseguire il citato scopo di apparire non tanto per quello che si è, ma per quello che la rete (e quindi la comunità di utenti) chiede.
Non intendo con questo condannare in toto un sistema che, per contro rispetto a quanto espresso finora, offre (almeno sulla carta) la possibilità di creare infinite connessioni tra soggetti e costituisce uno strumento d'informazione aggiuntivo rispetto a quelli tipici.
Il processo di standardizzazione del pensiero, però, è purtroppo già realtà; è pertanto necessario, a mio avviso, fare il possibile per conservare e supportare ambienti e strumenti tradizionali di confronto quali sono le conferenze, le discussioni post-eventi e incontri, ma anche una buona rivista o un buon libro, nel quale il tema principale viene sviluppato per ben più di 140 (o 280) caratteri. Bisogna ribaltare l'assioma, palpabile tra i giovani con cui mi capita di parlare, secondo cui il pensare “in direzione ostinata e contraria”, contro la maggioranza, sia – mi si passi il termine – una roba da sfigati; bisogna allo stesso tempo riaffermare il valore di un dibattito in cui la controversia nasca da idee libere e indipendenti dai trend generali.
E, in un'ottica di questo tipo, la realtà virtuale dei social network non può certo dare una grande mano.
Michele Beccarini
Lodi
disegno di nerosunero
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Montagna su “A”/ Il buon sapore della lettura
Volevo semplicemente segnalare che la rubrica “Walden, nuovi montanari” è stata un'idea eccellente che impreziosisce la nostra rivista.
Ho appena letto Lupo
si, lupo no di Paolo Cognetti,
articolo in cui l'autore si avvale del parere di Irene Borgna.
Mi ha letteralmente entusiasmato per come è stato scritto.
L'ho letto due volte per il piacere di riassaporare il buon sapore della prima lettura.
Complimenti!
Pasquale Palazzo
Cava de'Tirreni (Sa)
Donne e Resistenza/ Perché nemmeno una in copertina?
Ciao. Ho letto ora il vostro post facebook sulle donne della
Resistenza... molto bello, e alla luce anche di quelle parole
vi chiedo: come mai non ci sono donne sulla cover del vostro
numero di aprile (“A” 433)? O forse non ne trovo
io?
Avevo notato subito questa mancanza, non avevo commentato pubblicamente ma ve ne chiedo ora la ragione, da vostra lettrice ed estimatrice, e anche da donna e femminista.
Grazie e buon 25 aprile.
Giulia Abbate
Roma
Hai ragione, l'avevamo notato subito anche noi.
Appena ricevuta la copertina, poco prima dell'entrata in produzione del numero, esprimemmo al disegnatore, Fabio Santin, la nostra osservazione critica.
Fabio ci spiegò che il suo disegno riprendeva l'unica foto di partigiani in Val di Zoldo (Belluno), presente – nella foto – anche un suo zio anarchico (cosa spiegata all'interno del dossier antifascista).
Resta comunque valida la tua (e nostra) osservazione critica, e ci assumiamo naturalmente la responsabilità della scelta.
Carcere dell'Aquila/ Lo sciopero della fame di due detenute
Mercoledì 29 maggio scorso due compagne anarchiche, Anna e Silvia, detenute nel carcere dell'Aquila, sono entrate in sciopero della fame per la situazione indegna in cui sono costrette.
Quello dell'Aquila è un carcere pensato per il regime 41 bis (regime di “tortura bianca”, con isolamento, impossibilità di cucinare in cella, un colloquio al mese, numero ridotto di oggetti personali e ulteriori restrizioni) e le due compagne, rinchiuse nella sezione AS2 (Alta Sorveglianza) si trovano sottoposte a un controllo ossessivo con decine di perquisizioni quotidiane, vestiario limitato e non più di quattro libri in cella.
Nei giorni successivi, in loro solidarietà, hanno cominciato lo sciopero della fame anche altri compagni da varie carceri italiane.
Anna e Silvia sono dentro per aver lottato senza compromessi contro alcune delle più ignobili ingiustizie di questo sistema infame. Queste sono alcune loro parole: “Ci troviamo da quasi due mesi rinchiuse nella sezione AS2 femminile dell'Aquila, ormai sono note, qui e fuori, le condizioni detentive frutto di un regolamento in odore di 41 bis ammorbidito. (...) Noi di questo pane non ne mangeremo più: il 29 maggio iniziamo uno sciopero della fame chiedendo il trasferimento da questo carcere e la chiusura di questa sezione infame.”
Sempre più spesso negli ultimi mesi le forze repressive ingabbiano chi continua a lottare contro una società che va dritta verso il disastro ecologico e sociale, perché la sua legge principale è mettere il profitto di pochi davanti alla vita, la libertà e la salute di tutti gli altri.
Il carcere non è e non sarà mai la risposta giusta ma solo la minaccia che incombe su chi non vuole ridursi a schiavo, pensare come un robot e farsi manipolare come un burattino.
Esprimiamo tutta la nostra solidarietà alle compagne e ai compagni prigionieri, perché la lotta e il desiderio di un mondo libero, basato sull'autogestione e la collaborazione tra individui, non potranno mai essere arrestati.
Garage Anarchico & Galeone Occupato
roundrobin.info@autistici.org
I
nostri fondi neri
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Sottoscrizioni.
Giuseppe Pagano (località sconosciuta),
10,00; Vittorio Golinelli (Bussero -Mi) 20,00; Alberto
Franchella (Milano) per Nopoteribuoni, 1.000,00; Rino
Quartieri (Zorlesco – Lo) per il 1° maggio,
ricordando i Martiri di Chicago e a sostegno del progetto
Nopoteribuoni, 50,00; Paola Rizzu (Sassari) per Nopoteribuoni,
100,00; Beppe Chierici (Todi – Pg) 60,00: Massimo
Torsello (Milano) 20,00; Settimio Pretelli (Rimini)
25,00; Rosa Luxemburg Stiftung (Hamburg – Germania)
50,00; Roberto Solani (?) 30,00; Antonio Rampolla
(Palermo) ricordando Antonio Cardella e Franco Riccio
100,00; Claudio Paderni (Bornato – Bs) 23,00;
Serena Becherucci (?) per Pdf “Se non posso
ballare non è la mia rivoluzione”, 10,00;
Gabriele Attilio Turci (Forlì) 20,00; Aurora
e Paolo (Milano) ricordando Angelo Pagliaro, amico
compagno fratello 500,00; Doriano Maglione (Como)
20,00, Claudio Albertani (Città del Messico
– Messico) 50,00. Totale
€ 2.088,00.
Sullo scorso numero, in questo spazio, abbiamo
registrato in modo incompleto la sottoscrizione di
Giovanna Cardella e Marcello Monterosso (Palermo)
ricordando Antonio Cardella. L'importo resta lo
stesso, per cui il totale non cambia. Ce ne scusiamo
con i donatori e ci affianchiamo a loro nel ricordo
di Antonio Cardella, nostro amico e compagno dalla
nascita di “A” e apprezzato collaboratore
per oltre cento numeri di questa rivista. E lo accomuniamo
nel ricordo a Gianni Costanza, altro militante del
gruppo anarchico “Alfonso Failla” di Palermo,
aderente alla Federazione Anarchica Italiana, scomparso
recentemente.
Ricordiamo che tra le sottoscrizioni registriamo
anche le quote eccedenti il costo dell'abbonamento
annuo (€ 50,00 per l'Italia, € 70,00 per
l'estero).
Abbonamenti sostenitori.
(quando non altrimenti specificato, si tratta dell'importo
di cento euro). Remo Ritucci (San Giovanni in
Persiceto – Bo) 150,00; Gianni Pasqualotto (Crespano
del Grappa – Vi) 300,00; Barbara Berardinatti
(Trento); Fabio Coronas (Siniscola -Nu); Anagreta
e Orazio Gobbi (Piacenza); Salvatore Piroddi (Arbatax
- Og). Totale
€ 850,00.
Abbonamenti sospesi.
Si tratta di abbonamenti destinati a persone detenute,
alle quali noi inviamo comunque regolarmente “A”
in omaggio. Ricordiamo che noi inviamo la rivista
a tutte le persone detenute che ce ne facciano richiesta
direttamente o tramite familiari o gruppi di solidarietà.
Tutte le persone detenute che desiderano ricevere
“A” ce lo facciano sapere e – ci
raccomandiamo – ci segnalino i trasferimenti
(quando non altrimenti specificato, si tratta dell'importo
di € 50,00). Francesco Codello
(Treviso); Alex Steiner (Torino); Alessandro Gulberti
(Amburgo – Germania) 150,00; Pierina Codazzi
(Calderara di Reno - Bo). . Totale
€ 300,00 per 5 abbonamenti sospesi.
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